Elenco delle ricette

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Quando tu occidi polli, colombi o altri ucelli, riserva il sangue e li fegatelli; poi, smembrati, li friggi con le cipolle e col lardo, giuntovi dentro origano secco, bene pestato, distemperato con vino; poi togli il sangue de li predetti, e i fegatelli con uno poco di pane brusticato, e pesta forte; e distempera con aceto e vino, e colora sutilmente; e poni a bullire coi detti ucelli, agiuntovi dentro del pepe competentemente; per li columbi spetialmente, vi si ponano capo d'agli; e mangia.

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Puoi anche fare torta de capponi, fagiani, starne, ucelli salvatichi e domestichi, piccioli e grandi, de coratelle – e de pesci marini e di fiumi, e di pomi, e di simili cose nei dì del digiuno, e di pesci battuti con spetie, con lacte d'amandole o ova; e asaporala e colorala, come tu vuoli.

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Metti la tria nel lacte de l'amandole bullito, e un poco di sale; e da' a mangiare.

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Anche togli çucche novelle, e lavale e premile fortemente, e con ova rotte, e con cipolle, e cascio trito fortemente; e gittale in acqua bullita, col pepe e col çaffarano, e oglio a sufficentia, e sale. E de tali si possono fare ravioli con carne battuta mista, e anche pastelli.

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Togli çucche secche, e polle a mollo con acqua calda al vespero; e quando sono mollificate, tagliale minute; e tagli sopra la taola, con cipolle e con oglio, pepe e çaffarano; soffrigge e poni in civero, facto de aceto e molena di pane, a cocere. E a tale modo si pò fare con lacte d’amandole, pepe, cruocho, sale e oglio e con lacte di noci.

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Togli çucche novelline; lavale bene con acqua calda, e spremile fortemente; e metti a cocere con lacte d'amandole. Nota che i mangiari d'erbe e foglie minute per l'infermi si possono cocere nel brodo de la carne che si dà a loro.

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Le fave in prima molli; mettile a bollire, e, gittatane via l'acqua, metille in altra acqua a bollire con carne di porco, o con cascio; e da' a mangiare.

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Fave fresche novelle, bullite, e gittatane via l'acqua, mettile a cocere con cipolla sofritta in oglio, e herbe odorifere pestate agiunte, e con pepe e çaffarano.

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Togli fiori di fave, e metti a cocere con carne di porco fresca; e quando sono quasi cotte, mettivi dentro ova debattute, lacte e spetie, çaffarano e sale; e fa' che la carne sia bene debattuta; e mesta tuto, e fallo speso, quasi mortadello.

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Cuoceli i fiori de fave col capone intero; e, al fine de la cocitura, mettivi lacte d'amandole e ova debattute, pepe, çaffarano e sale; e cochansi in buono vaso.

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Fave fresche novelle, falle bullire, e, gittata via l'acqua, mettile a cocere con lacte di capra, o de pecora, o lacte d'amandole, o con carne bene spurata di sale. E mettivi ova dibattute e lardelli in scudelle, se vuoli.

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Tolgli spinaci e treplice biette; scioglile bene, e fa' bollire; poi le cava e battile col coltello fortemente; poi togli petroselli, finocchi, aneti, cipolle, e battile e tritale col coltello; e sofrigi con olio bene; e prendi altre erbe minute; sofrigile insieme, e mettivi uno poco d’acqua, e lassa bullire, e mettive del pepe e de le specie; e da' a mangiare. In questo modo si possono ponere dentro ova dibattuti, polpe di pescio sença spine, carne di castrone, di porco, o carne insalata, e diversificare secondo pare ala discretione di buono cuoco. E torre magiorana, transmarino, petrosello, con bone spetie, cum garofani; e di queste erbe, peste forte nel mortaio, cum pesce o carne battuta, porrestine fare mortadelli, comandelli e molte altre cose. A questo modo poi torre erbe salvatiche overo domestiche, se d’orti non si potesseno avere.

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Togli farina bona biancha; distempera con acqua tepida, e fa' che sia spessa; poi la stendi sottilmente; lassa sciugare; debbiansi cocere nel brodo del capone, o d'altra carne grassa; poi metti nel piatello col cascio grasso grattato, a suolo a suolo, come ti piace.

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Togli lattuche, fesse in due parti, e cocile sença sale; e, poste sul taglieri, dale a mangiare con verde salsa o savore.

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Togli latughe con lacte frescho di capre, del mese d'aprile, con spetie e tuorli d'ova, e lardo frescho, e carni de porco; questo mangiare si chiama mangiare di çucche, per ciò che si fa di medolle di latuche.

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Poni a cuocere le lenti con carne di porco frescha o insalata, e dalle a mangiare; pur così: sença ova e cascio.

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Togli le lenti bene lavate e nette dale pietre, e poni a cuocere con herbe odorifere, oglio, sale e çaffarano. E quando saranno cotte, tritale bene; e, messovi su ova debattute e cascio seccho tagliato, da' a mangiare.

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Togli pere fresche, e metille in acqua a mollare; e, gittata quella acqua, polle a bullire in altra acqua, con sale e oglio e poca cipolla, a sofriggere con spetie e çaffarano in poca acqua; e pone a cocere. E quando saranno cotte, menestra un pocho di spetie in scutelle. E similimente puoi fare in pocho di lacte d'amandole, sença oglio e sença cipolle, ponendo un poco di çuccaro e un poco di sale.

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Togli i capi de le rape, sença foglie, taglia e fa' bullire in acqua. E, gittata via quella acqua, pone a cuocere con capone o altra carne, e colorale con cruoco e pepe. E, poste in essa ova distemperate, cascio secco tagliato e ova lesse, mettivi su lacte di capra; e da’ a mangiare.

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Togli rape sença foglie, mondate de corteccia, bullite e sciutte; e poni a cuocere con sale e lacte di noci; e poni pepe e cruoco.

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Togli rape sença foglie, bullite, e, gittata via l’acqua, togli pane insuppato nel brodo de la carne, e le dette rape, e cascio grattato, e grasso di carne; a suolo di l'uno e a suolo di l'altro fa' una suppa, che si chiama suppa di fanti.

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Togli rape bullite colle foglie e polle a cocere con carne di bue e pepe e cruoco. Et quando sono cotte, e poni in scudelle per la comune famiglia.

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Lessa le triglie, con petrosello e con çaffarano; e da' a mangiare.

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De tutti i fiori e altre più erbe predette, de qualunche tu vuoli, puoi fare erbolato con cascio e ova e spetie; e de'si cocere nel forno o tra i testi; la crosta si chiama 'erbata'.

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Togli il fegato, taglialo a peçii e arostili nel spiedo; e quando non serano bene cotti, involgi sopra essi la rete del porco; e fa' cocere. E, cotti, mettili in una pentola voita. E falli su il savore, come ditto è di sopra. E, involgendolo ciascuno fegatello per sé in la rete del porco, è migliore.

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Togli li sparaci, e falli bollire; e quando sieno bulliti, ponli a cocere con oglio, cipolle, sale e çaffarano, e spetie trite, o sença.

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De pasta tu puoi fare onni instrumento che tu vuoli, cioè ferro da cavalo, fibbie, anelli, lettere e onni animale che tu vuoli. E puoli empiere, se tu vuoli; e cocere nella padella col lardo – e con oglio e pesci; e colora come vuoli.

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Si possono fare altre delicate paste, formandole con un mescuglio delle già descritte: basta aver ingegno e saper l’arte dell’unione delle cose, acciò non urtino tra loro, ma uniscono, ed in modo da formar dilicatezza e gusto.

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L’Acetosa è buona sì cruda che cotta, per salse. Il sugo di quest’erba può servire in luogo di agresta o sugo di aranci nelle vivande; per condimento di frittate ed insalatine è ottima. Tritolata o tagliata a filetti, serve per condimento alle zuppe, ai lessi ed alle vivande in umido.

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Il Cedro, Cedrato ed Aranci di Portogallo, quando son canditi servono nelle vivande d’Entremets dolci. Canditi intieri si servono ripieni di Crema o Marmellate. Bianchiti in acqua e vuotate, si riempiono di farsa e si cuocono in un Colì di Vitello. Cotti in vino, si servono con salsa agro-dolce. I Fiori di tutti gli Agrumi si condiscono e servono per condimento ed ornamento di Pasticceria fredda. Degli altri agrumi se ne fa uso del solo sugo, sebbene i Limoncelli verdi ancor si candiscono.

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Questo pesce in Roma, e Napoli appellasi Acucella; in Venezia Angusicula; ed in altre parti Aco, e Agucchia: i nomi tutti allusivi alla sua forma lunga e affilata. Oltre di ciò l’Aguglia è così nominata per la forma singolare del suo capo, e delle sue mascelle, le quali sono sì estese, e sì minute, che imitano la forma di un aco. Le Aguglie sono più o meno lunghe, e grosse, essendovene della lunghezza di un palmo e mezzo, e talvolta due palmi, grosse come il dito mignolo, il pollice ec. Esso è un pesce di mare, né mai rimonta le acque dolci. Si trova nel Mediterraneo, nell’Oceano, e nell’Adriatico. In Napoli si trovano delle Aguglie assai grosse, polpute, e di buon sapore. La loro carne è bianca e soda un poco asciutta, ed è sufficientemente gustosa. Benché passi per dura, e secca, ma non perciò è ingrata al gusto, somministra un ottimo cibo, e assai di sostanza, difficile però alquanto alla digestione, e mangiandone assai si pretende che produca degli umori grossolani, e vischiosi. Piace assai questo pesce ai Giudei, mentre credono, che il Profeta Aron fosse il primo, che ne mangiasse, onde viene da essi chiamato Verde di Aron. La stagione della pesca delle Aguglie è nella Primavera, e nell’Autunno. Si debbano scegliere grosse, fresche, e polpute. Le maniere migliori per mangiarle sono arrostite, o fritte, e ben sugose. In Bretagna si salano per conservarle, ma le fresche sono preferibili alle salate. Convengono alle persone di un temperamento facile alla digestione. Questo pesce viene stimato aperitivo.

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L’Alice è un picciolo pesce di mare delicatissimo, senza squame, della grossezza, e lunghezza più o meno di un dito, osservabile per una trasparenza non interrotta, che nel luogo della spina. La pesca più abbondante dell’Alici si fa nel Mediterraneo, che bagna le coste della Sicilia, di Napoli di Roma, di Genova, della Catalogna, e della Provenza, come pure nell’Adriatico dalla parte di Venezia, dal principio di Decembre, fino alla metà di Marzo. Se ne prendono ancora in Maggio, Giugno, e Luglio, tempo in cui passano lo Stretto di Gibilterra, per ritirarsi nel Mediterraneo. Se ne trovano ancora dalla parte Occidentale dell’Inghilterra, e del Paese di Galles. Subito che è finita la pescagione delle Alici, si taglia loro la testa, che si dice essere amarissima, si leva loro il fiele, e le budelle; poscia si salano, e s’imbarilano. Le Alici sono un delicato, e saporoso cibo, specialmente in quei luoghi dove si ritrovano di maggior grossezza, come si veggano ordinariamente sulle coste di Napoli, e di Sicilia. Le alici somministrano un ottimo nutrimento, e facile a digerirsi, specialmente arrostite sulla gratella, o fritte. Si debbano mangiare subito sortite dalla pesca; imperocché allora sono assai più buone. Le migliori sono quelle, che si prendono nella Primavera, o nell’Inverno, in spiaggia, e mare arenoso; benché si peschino tutto l’anno.

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L’Anguilla è il solo pesce di acqua dolce che entri nel mare, e quelle che quivi si prendono, vengano dai fiumi ove nascano. Le Anguille delle acque correnti hanno il ventre più bianco, e più lucido, e il dorso più bruno morato. Intorno alla generazione delle Anguille, grazie alle osservazioni del celebre Vallisnieri, è dimostrato, che sono vivipare, e traggono la loro origine dalle uova. Queste uova si sviluppano nel ventre della madre, e mette alla luce le sue Anguilline belle e vive. Questo pesce genera ovunque siavi acqua dolce, eccettuato nel Danubio, e gli altri fiumi, che in esso si scaricano. In Pietroburgo, e Parigi sono grossissime. Nella nostra Italia abbiamo quelle de’ laghi di Comacchio, di Garda, di Bolsena, ed altri luoghi, ove le acque sono limpide, e nette; queste sono di un ottimo sapore, e molto grosse. In Napoli i Capitoni hanno il loro gran pregio; e finalmente quelle prese alle foci del Tevere sono esquisite, ed in Roma molto stimate. La carne dell’Anguilla è tenera, molle, nutritiva, e saporosa, ma siccome contiene molte parti lente, grossolane, e vischiose, così si rende difficile a digerirsi, e produce de’ sughi densi, ed eccita de’ flati. In Francia, e Russia si comprano le Anguille vive tutto l’anno. In Italia la loro pescagione è nell’Inverno, e Primavera, e si comprano ordinariamente morte. Devesi scegliere l’Anguilla grossa, polputa, e più fresca che sia possibile, che sia stata presa in acqua chiara, e limpida e che non senta di fango. Questo pesce serve a lardare gli altri pesci, e si prepara inoltre in moltissime maniere, ma, la più salubre, secondo il mio giudizio, è quella di mangiarla arrostita.

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Le Aringhe sono pesci di passaggio, rimarchevoli e interessanti per l’ordine che osservano, allorché partiti dalle lontane regioni del Nord, discendono verso te spiaggie della Francia per andare sino al Mezzodì a somministrare quasi al Mondo intero un nutrimento egualmente sano che abbondante. Questo pesce di mare ha la figura de’ piccioli Alosi (Laccie): il suo luogo natale è l’Oceano. La sua lunghezza è di nove in dieci pollici, e due pollici incirca largo. L’Aringa viene nominata il Re de’ Pesci, a motivo del suo buon sapore, e della sua utilità. I pescatori di Amburgo chiamano l’Aringa, Pesce Coronato. L’Aringa abita il mare Occidentale, o il Baltico. La picciola Aringa, che non differisce, che per la figura, abita il mare di Botnia. Il mare gelato dalla parte dell’Asia non manca di Aringhe. La loro principale dimora è fra la punta di Scozia, la Novergia, e la Danimarca. Tutti gli anni ne partono delle colonie, che infilano successivamente il canale della Manica; e dopo avere costeggiato l’Olanda, la Fiandra, l’Inghilterra, e l’Irlanda; vengono a gettarsi sulle coste della Normandia, nelle cui vicinanze gli Olandesi ne fanno la pesca tutti gli anni verso la festa di S. Giovanni, e ne prendono una quantità così prodigiosa, che ne distribuiscono In tutte le contrade d’Europa. La carne dell’Aringa è bianca, saporosa, delicata, di ottimo gusto, e di un eccellente nutrimento; produce anche diversi buoni effetti, a motivo che è tenera, poco serrata nelle sue parti, poco vischiosa, e sufficientemente carica di principi oleosi e balsamici. Si debbano scegliere le Aringhe fresche, grosse, grasse, e ben nutrite, di una carne bianca, e d’un buon sapore, e mangiarle subito uscite dalla pesca. Le Aringhe si pescano da Giugno a tutto Agosto, ed in Francia non vi è pesce più comune di questo. Delle Salate, e sfumate ne parlerò all’Articolo de’ Pesci salati Tom. VI. Cap. IV.

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L’Eperlano è un picciolo pesce molto stimato, così nominato per la sua bianchezza argentina, che assembra a quella delle perle. Ha molta rassomiglianza con i picioli Merluzzi, ma partecipa più dell’Argentino. L’Erpelano è del genere del Salamone. Questo pesce spande un odore, che molti hanno paragonato a quello della viola mammola; ma in certe stagioni, cioè di Marzo, e di Aprile, nel cui tempo va in amore. L’Erpelano, detto in Roma Argentino, è un pesce di mare, che sulle coste di Francia rimonta ne’ fiumi ove viene pescato, e specialmente nella Senna. In Italia si pesca in pieno mare. E’ lungo da quattro in otto pollici, e grosso da uno in due. La sua carne è bianca, molle, tenera, e d’un sapore esquisito, più di quella del Merluzzo per un gusto di violetta che gli è molto naturale. Tale diversità di gusto prova, che i principi dell’Eperlano sono più esaltati, che quelli del Merluzzo: ecco il motivo per cui produce un sentimento più delicato sugli organi del gusto. Si assicura che l’Erpelano è di un sapore migliore verso la fine dell’Estate, o nel principio dell’Autunno, che in alcun’altro tempo dell’anno. Nutrisce poco, e si digerisce facilmente, né si è inteso dire, che produca de’ cattivi effetti. Questo pesce moltiplica molto: essendo spogliato dalle scaglie color di perla, gli si vede sopra il corpo differenti colori simili a quelli dell’Arco celeste. Li più stimati si prendono dalla fine dell’Estate, fino a Pasqua, in diversi fiumi d’Europa, e segnatamente nella Senna verso Candebec Si pescano questi pesci colla nassa, o con la gran rete, e si mandano in Parigi disposti con simetria sopra spaselle guarnite d’erba fresca. Si deve scegliere l’Eperlano, fresco, lucente, color di perla, di una carne tenera, delicata, e di un odore piacevole di violetta. Nella Cucina si appresta come i Merluzzotti, come le Triglie, Alici ec. Questo delicato pesce è molto comune in Francia, in Germania, in Fiandra, nella Svizzera, in Inghilterra ec. La sua stagione migliore è nell’Inverno, e segnatamente ne’ mesi di Gennaro, e Febbraro.

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Con l’erba S. Maria tritolata e mescolata con uova e cacio se ne fanno ottime frittate. Si serve anche fritta in butirro o strutto coverta di pastetta, o pure fritta semplicemente per condimento di arrosti o fritture. Se ne fa salsa all’olio, pesta col petrosemolo.

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Principierò quest’Articolo dall’Erbe solite mangiarsi dal già Em(inentissim)o Cardinal de Bernis, le quali termineranno, ove dice Tartufi al Vino rosso di Spagna, e che possano servire ancora per Antremè.

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Arrosto = Dopo che questi Uccelli saranno spennati, sventrati, fiambati, e spilluccati, trussateli colle zampe dentro il corpo, infilateli allo spiedo senza coprirli di fette di lardo. Vi vuole poco tempo per la loro cottura, mentre debbono essere mangiati nel loro sugo. Le Oche dopo che le avete preparate come sopra, gli potete mettere nel corpo una picciola farsa del loro fegato, salciccie, e marroni. Vedetela nel Tom. II. pag. 122., e spolverizzarle, se volete, di mollica di pane grattata alla fine della cottura.

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Pesce di mare così nominato per li suoi grandi occhi; esso rassomiglia in gran parte al Fravolino, ma è di un gusto, e di usi sapore assai inferiore. La sua carne è insipida, leggera, di poco nutrimento, e facile a digerirsi. Questo pesce si appresta nello stesso modo, che il Fravolino, ma non è punto stimato. La sua migliore stagione è nell’Estate, e Autunno.

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L’Ombrina è un grosso pesce che nasce, e vive nel mare vicino agli scogli erbosi, né mai ritrovasi in acque dolci. Essa si pesca tutto l’anno, la migliore per altro è quella, che si prende nella Primavera, mentre è più grassa, e di miglior sapore, che in qualunque altra stagione. Questo pesce deve essere alquanto infrollito, altrimenti sarà duro, e coriaceo, ed è dopo lo Storione il più nobile, e il più grosso, giungendo il suo peso alcune volte a circa ottanta, e cento libbre Romane. La picciola Ombrina è più delicata della grossa, e la parte del venire è migliore di quella della schiena. Delle sue uova se ne fanno delle buone bottarghe, ed anche del caviale liquido; i latti, ed il fegato sono sommamente stimati. L’Ombrina lopis, o di scoglio, e migliore dell’altra. L’Ombrina si appresta esattamente come lo Storione, ed anche in tutte quelle maniere, che il Pesce spada, del quale parlerò qui appresso, e ciò per non replicare le medesime cose, e non rendere questo Tomo soverchiamente voluminoso.

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Questo è un eccellente pesce di mare così nominato da una linea color d’oro, che si estende dal suo capo sino alla coda. In Roma viene distinto in due specie cioè della Corona, e Liscio, ma la prima specie è la vera Orata, mentre la seconda non è che il Sarago. La carne dell’Orata è bianca, delicata, soda, e saporita, di un ottimo gusto, benché alquanto asciutta, somministra buon nutrimento, e facilissimo alla digestione. Alcuna volta le Orate passano ne’ laghi che comunicano col mare, e ci vivono, ma la loro carne acquista un sapore di fango. Questi pesci abbondano in gran copia nel Mediterraneo, e segnatamente nel Golfo di Lione, e verso Marsiglia, mentre i popoli della Linguadoca si cibano comunemente di essi durante la Quadragesima. L’Orata ama di stare in mare profondo, e partorisce nel maggior caldo dell’Estate vicino al lido. La sua pesca è nella Primavera, e nell’Estate, nelle cui stagioni noi ne abbiamo delle molte buone.

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Rondelezio distingue quindici sorta di Arzille, ed altri autori diecisette. Io per non entrare in sì fatto numero, che poco o nulla servirebbe al Lettore, distinguerò soltanto le Arzille in tre specie, cioè Chiodata, Stellata, e Liscia, le due prime sono senza contradire le migliori, e le più stimate. L’Arzilla contiene de’ sughi vischiosi che rendono la sua carne difficile a digerirsi, ma nutrisce molto, e produce un alimento sodo, e durevole. L’Arzilla per produrre de’ buoni effetti, e per essere grata agli organi del gusto, non deve essere molto fresca, ma bisogna, che sia stata conservata un certo tempo, nel quale gli si eccita una picciola fermentazione, che insensibilmente distrugge, ed attenua qualche materia lenta e vischiosa, che rendeva la sua carne dura, e coriacea. L’Arzilla Chiodata, quanto più si prende vicino alle spiaggie, altrettanto è più tenera, più picciola, e di miglior sapore, poiché quella che si prende in alto mare e molto grossa, e molto dura. L’Arzilla Stellata, al contrario di rado si vede vicino alle spiaggie, ed abita in mare profondo, la sua carne è più tenera, più facile a digerirsi, e nutrisce assai più di quella delle altre Arzille. L’Arzilla Liscia, abita ne’ luoghi fangosi, e limacciosi del mare vicino alla rive, onde la sua carne è molle, e di un gusto per lo più fangoso. Tutte le Arzille si nutriscono di piccioli pesci, e benché si pescano tutto l’anno, pure la loro migliore stagione è nell’Estate, alla riserva della Liscia, che è migliore nell’Inverno. I fegati dell’Arzilla Chiodata, e della Liscia detta Oculata sono grassi, delicatissimi, e di molto buon sapore.

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La Boragine è ottima in insalata cruda, in potaggio ed in Torta, con ricotta e butirro. Le foglie di boragina si servono fritte con pastetta, condite di zucchero o mele. Con fiori di Boragine si ornano piatti freddi di carne e pesce ed insalata.

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Una cantina, perché il vino posto in essa non venga a guastarsi, è necessario che abbia la condizioni seguenti: 1.º dev’essere esposta al nord; in allora la sua temperatura è meno variabile; 2.º dev’essere profonda, perché la temperatura sia costantemente la stessa; 3.º l’umidità dev’esservi costante, non però troppo forte, giacché l’eccesso dell’umidità produce la muffa nelle botti, ecc.; l’arsura invece fa disseccare le doghe, le piega, le slarga e fa trasudare il vino; 4.º la luce dev’esservi moderata; una viva luce dissecca, un’oscurità quasi assoluta fa marcire; 5.º la cantina dev’essere al sicuro delle scosse, le quali agitano la feccia del vino, la mescolano con esso, la trattengono sospesa e provocano l’acetificazione; 6.º devonsi allontanare dalla cantina le legna verdi, gli aceti e tutte le materie suscettibili di fermentazione; 7.º finalmente bisogna evitare il riverbero del sole, il quale variando necessariamente la temperatura della cantina deve alterarne le proprietà.

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Arrosto = In Roma non abbiamo questo eccellente Pollo, onde ci viene recato da Bologna; la sua migliore stagione è verso la fine di Decembre, e i principi di Gennaio; imperocché passato questo tempo la sua carne diviene alquanto dura ed asciutta. Le Capponesse si debbono commettere giovani, bianche, grosse, e carnute: Allesso, o alla Bresa guarnite con Erbe, o coperte di Tortelli, o Lasagne, vogliono, che siano più delicate, che Arrosto; ma quando abbiano le qualità di sopra accennate sono ancora famose cotte Arrosto. Esse si preparano come la Pollanca.

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Alcuni moderni scrittori hanno confuso questo pesce coll’Ombrina, e col Corvo. Sotto nome di Cerna è conosciuto in Roma, Venezia, Napoli, Palermo, ed altre città marittima dell’Italia. Se ne conoscono di due specie differenti, detta una Cerna di Sciabica, o di Fondo, e l’altra Cerna di Scoglio; questa seconda è più stimata della prima, ed è più rara. Questi due pesci poco variano nella forma, e strottura della loro figura, nella picciolezza delle loro squame, e nell’ordine de’ loro denti. La Cerna di Scoglio è comunissima nel mare Mediterraneo dalla parte d’Italia, e nell’Adriatico; si pesca fra i scogli, ed ingrossa fino al peso di settanta e più libbre Romane. La Cerna di Sciabica si pesca anch’essa ne’ mari d’Italia, ma in mare profondo, ingrossa più dell’altra, e talvolta passa il peso di cento libbre. Questi pesci si nutriscano di alga, di piccioli crostacei, di polipi, ed altri pesciolini. Le Cerne si pescano tutto l’anno, ma la loro migliore stagione, è dalla fine di Aprile a tutto Ottobre. Nell’Inverno se ne prendano anche in molta quantità sulle coste e mari di Calabria, e quelle prese nel Faro di Messina sono assai grosse, benché nel Golfo di Napoli, e nel mare dello Stato Romano, se ne pescano delle buonissime, grosse, e di ottimo sapore. Anche questi pesci debbano essere infrolliti, onde avere la carne fina, tenera, e delicata. Le Cerne si apprestano come lo Storione, ed il Pesce spada.

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La Cernia si pasce dell’erbe vicino agli scogli e si pesca da Maggio per tutt’Ottobre. La sua carn’è dura, per cui si può cuocere in quella maniera che si vuole.

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Si prenda uno o più tortanelli di detta colla, e sopra di un marmo con grosso martello batterla e sminuzzarla bene, ed indi metterla nell’acqua per ammollirla e disporla alla bollizione. Dopo circa otto ore si laverà con acqua tiepida e si metterà a bollire a vivo fuoco e nella bollizione sempre spumarla per toglierne l’impuro. Quando l’acqua sarà consumata per due terzi e che si vedrà ad un certo viscoso addensamento, allora per un panno lino, bagnato prima in acqua, si passerà in un vase di fina creta per usarla. Tutta l’importanza sarà di far rimaner la decozione limpida e chiara, e se si andrà a congelare si metterà il vaso in acqua bollente, e così si scioglierà e sarà sempre all’uso.

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La coscia del vitello per esser parte molto a proposito, e capace di varie vivande, farà altresì come segue in vari modi notata. Prima di essa coscia, oltre i lessi, arrosti, e stufati, che vi si possono cavare, si può la medesima tirare in una, battuta minuta, con uova, prune di Genova, pinocchi, midolla di manzo, tartuffoli, pezzetti di cedro condito, olive senz’osso, cacio parmegiano grattugiato, e chiudendo ogni cosa in rete di porco, cavarne il riempimento d’un piatto brodoso, che reso condito dalla varietà degl’ingredienti, potrà ottimamente servire. Della polpa di essa, possono farsi bragiolette battute, poi pasticciate; e delle medesime se ne fanno pasticci con grasso di manzo minuto, cannella, garofano intiero, e distrutto, in cassette di pasta, o lavori di mezzo, o tutto rilievo a beneplacito. Se ne fanno bragiolette battute, ripiene con uova, cacio, pepe, erbe odorose, e cannella, che condite in un tegame riescono servite calde. Se ne cavano bragiolette non battute, ripiene dello stesso, che applicate allo spiede, sono sofficienti. Si riempiono copiette della medesima, con petrosello, polvere di basilico, un poco di lardo, e aglio, ogni cosa battuto insieme, posti allo spiede, tramezzati, con fette di lardo sottile. Se ne fanno altre bragiolette battute, poste in adobbo, fritte, e servite con salsa bastarda, calde, e fredde conforme il gusto. Se ne fanno tagliate minutissime, che bollite in brodo grasso con bocconi di midolla, un poco di sale, pepe, e noce moscate, sono di nutrimento gentile. Se ne fanno piccate fredde, e calde, grosse, e minute, in vari modi, conforme i gusti, e le occasioni. Se ne cavano piccole polpettine, accompagnate con bragiolette dello stesso, fondi di carciofi, midolla, brodo grasso, noce moscata, un poco di pepe, agro di limone, e altri adatti ingredienti; Onde viene a farsi un piatto alla francese, che si può regalare con crostini di rognonata, pane fritto, e zucchero sopra. Se ne fanno torte buonissime dopo esser arrostito il vitello, e piccato minuto accompagnato con rossi d’uova, midolla di bue, zucchero fino, scorza di cedro condito battuta sottile, cotognata, capo di latte, polvere di mostacciolo, sale, pepe, e cannella, ogni cosa mista, e la loro pasta dovrà esser frolla, con butiro, e di sopra marzapanata. Di questa compositione se ne possono riempir parimente paste fine sfogliate, tanto da friggersi in butiro, quanto da ponersi in forno. Se ne possono riempire cannoncini sfogliati, e reali, e adattarla a tutte le cose: farne sino tortelli nella pasta bolliti, da condirsi poi con grasso di manzo, e polvere di mostacciolo.   Della medesima composizione se ne riempiono frittatine sottili d’un uovo, e fattone al compimento d’un piatto, acconcie in modo di cannoncini, può servirsi con brodo grasso di manzo, e zucchero sopra. Di questa pure si può fare il corpo al riempimento di pagnottine, prima scrostate, abbeverate nel latte, con accompagnamento di latti di vitello in bocconi, cacio grasso grattugiato, capo di latte, cervellette dello stesso, zucchero, cedro condito grattugiato, uova fresche battute, un poco di polpa della stessa pagnotta, agro di limone, poco sale, e cannella; tirandosi le dette pagnotte poste in tegame, cotte con butiro nel forno, servite con lustro di zucchero alla spagnuola. Di questa polpa gentilmente lardata, cotta allo spiede, minutamente piccata, se ne fanno capirotate, o zuppe spagnuole, accompagnate di cantucci di Pisa, abbeverati in moscato, tramezzati con cacio grasso in fette; rossi di uova toste, panna di latte, polvere di mostacciolo, cocuzza di Genova in fette sottili, profilate di cotognata, bollite nel piatto, con prugne damaschine silopate in zucchero, e altra quantità, e qualità proporzionate d’aromati, che si rimettono alla mano del cuoco prattico. Di questa, battuta in minuto, accompagnata con cocuzza bollita, passata, posta in piatto con ricotta grassa, panna di latte, poco sale, rossi d’uova, polvere di pane di Spagna, zucchero a sufficienza, pepe, e cannella tutto misto insieme, vien a fare un piatto, che unto con butiro fresco, spolverizato di cannella, e zucchero riuscirà mirabilmente. Della coscia del vitello in somma, cotta allo spiede, se bene non intieramente finita di cuocere, se ne cava un sugo sostanzioso, adattato al condimento di qual si voglia vivanda. Avverto io i seguenti ritrovamenti, per chiunque vorrà industriosamente disporre col semplice vitello, anzi con carne, senza carne un servigio reale, ove entrino i maggiori artifici della cucina, e i più rari bocconi che possano inghiottire i più curiosi palati. Piglia tre oncie di sugo di vitello, mezza libra di capo di latte, due oncie di zucchero fino in polvere, un tantino d’ambra stemperata con un rosso d’uovo fresco, unisci il tutto insieme, riempine globetti di pasta reale, mostragli per breve spazio al forno, servigli caldi, sentirai carne senza carne, col più adattato accompagnamento, che possa darsi. Piglia sottilissime bragiolette nette da’ nervi, e da grasso, coprile per lo spazio d’un’hora almeno con fortissimo aceto rosato, lavale, rasciugale, infarinale sottilmente, friggile in istrutto purgato, di modo, che più tosto restino morbide, che arse, mettile in tegame con salsa reale a fuoco lento, per mezz’ora, assaggiale, e troverai condimento incitativo al gusto, e valevole al rendimento dell’apetito.   Piglia la detta bragioletta stata in aceto forte per lo spazio di due hore, e più, se lo concede il tempo, mettila in ramina ben turata con butiro fresco, un poco di noce moscata, pepe, sale, e cannella, lasciala a fuoco lento per lo spazio d’un ora, e avrai vivanda mirabilmente gustosa. Piglia pistacchi mondi, macerati in acqua di fior di cedro, cavane latte, aggiugni per la quarta parte sugo di vitello, zucchero fino tanto, che basti, un bicchiero di panna di latte grasso, due rossi d’uova fresche battute con un poco d’acqua di fior di cedro, poni ogni cosa a levare una bollita sopra le bragie, e avrai una minestra nobilissima, e di grandissima sostanza. Ma passiamo ormai alle animelle del vitello, delle quali, ciò, che si possa fare è indicibile, per esser parte la più rara, e gentile di questo corpo. Per tanto toccherò qualche modo di condirle, per non restare dall’impresa propostami, se non d’arrivare a dire tutto il fattibile, d’accennare almeno la maggior parte di ciò, che possa farsi.

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Vi è nel Mare una quantità e varietà di Pesciolini, chiamati volgarmente Fragaglia, la quale si pesca nella Està vicino a’ scogli e si mangia con piacere in frittura condita con salsa di agresta; o pure con salvia o petrosemolo fritto.

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La Frittura si prende tutto l’anno, né si rende così facile il descrivere la qualità propria di essa; imperocché è una mescolanza di moltissimi pesciolini di mare. La migliore è quella, che si pesca nel mese di Marzo, e di Aprile, poiché riesce in queste stagioni di migliore nutrimento. Lo Sciampichello altro pesce minuto sul fare della Frittura si pesca la Primavera, e dura tutto il mese di Luglio. Tutti questi pescetti sono di Tartana. Questi pescetti si lavano, si puliscano, s’infarinano, e si fanno friggere nell’olio, o nello strutto assai caldo, e si mangiano subito.

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Antremè rifreddo. La Mongana, il manzo, la grossa caccia ec. vedete nei loro cap. come sono cotti in bresa, tanto naturalmente, che ripieni, come ancora i Prosciutti nel cap. del Maiale, e serviteli rifreddi, e decorati, come si è detto qui avanti della pollaria rifredda. Si osservi nei Prosciutti vecchi di ben dissalarli, e di cuocerli al suo punto con acqua, vino, un poco di fieno, un mazzetto d’erbe, qualche cipolla steccata, ed una mignonette.

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La Laccia è un pesce di mare che s’introduce ne’ fiumi, e rimonta in essi contro il corso della corrente. La sua lunghezza ordinaria è di un piede e mezzo, ma cresce talvolta alla grossezza de’ Salamoni. Questo pesce entra ne’ fiumi nel principio di Primavera, e quindi sul principio di Giugno torna in mare a partorire. Quando la Laccia passa dal mare nell’acqua dolce è magra, secca, arida, e di un cattivo sapore, ma quando ha dimorato qualche tempo ne’ fiumi, diviene grassa, carnuta, e di un sapore assai grato. Quando la Laccia è presa ne’ fiumi lungi dal mare e freschissima è un pesce delicato, che viene servito sulle migliori mense. Quando però non è ben fresco racchiude un sugo acre, che sviluppandosi sì la sentire alle gengive e ai denti di chi ne mangia di una maniera dispiacevole, e che può essergli nociva, come anche allo stomaco. La Laccia conviene nella Primavera, nel cui tempo è migliore che in alcuna altra stagione; e sarebbe il più saporito pesce del mare che entri ne’ fiumi, se non avesse tante spine. La migliore è quella che ha le uova, e presa nei mese di Marzo, allorché rimonta l’acqua de’ fiumi. Le Laccie prese nel Tevere ne’ mesi di Marzo, e Aprile tengono il primo luogo; come anche quelle prese nel Volturno, ossia fiume di Capua; imperocché si trovano in questa stagione grasse, grosse, piene di uova, o di latti, e delicatissime al gusto. Questo pesce è di ottimo e copioso nutrimento, facile a digerirsi, e concilia il sonno. Si deve scegliere la Laccia assai fresca, di carne bianca, polputa, e soda. In Francia le migliori e le più stimate sono quelle prese nella Senna, e nella Loire. In Roma la sua pesca principia di Marzo e dura a tutto Maggio. I Francesi chiamano questo pesce Alose; e lo servono come uno de’ buonissimi pesci d’acqua dolce, benché sia pesce di mare. Le Laccie si prendono ne’ fiumi dell’Italia, della Francia, dell’Inghilterra, della Spagna, della Germania, e dell’Affrica, alcune miglia prima che sbocchino in mare. La moltitudine peraltro delle picciole spine della Laccia fa sì che in Italia non viene stimata a tenore della delicatezza della sua carne; ma a questo si rimedia con facilità. Quando questo pesce sarà cotto in qualunque maniera (la migliore però è allesso, o arrosto) si apre nella Cucina diligentemente col coltello lungo la schiena, e con un ago grosso gli si levano parte delle picciole spine, che essendo a guisa di forcinelle si rende molto facile l’operazione; quindi si torna a mettere nella sua forma primiera, e si serve sulla mensa con quella Salsa che sarà più a proposito.

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Sonovi due sorta di Lamprede, una di mare, ed una di acqua dolce, ed ambedue rassembrano ad una grossa Anguilla, il ventre bianco, e la schiena sparsa di picciole macchie azzurre, e bianche. Quella di mare ama di entrare nell’acqua dolce come la Laccia, e diversi altri pesci di mare, e ciò succede nel principio di Primavera, nel cui tempo la femmina vi fa i suoi figliuolini, e quindi dopo qualche tempo ritorna nel mare con i medesimi, essa è migliore pregna, che dopo partorito. Quella di acqua dolce dimora sempre nel suo luogo nativo, e trovasi molto spesso ne’ ruscelli, e nelle fontane ove l’acqua del mare non penetra giammai; essa rassembra per la sua figura, ed il suo gusto, a quella di mare, e non differisce, che per la sua grossezza. La migliore stagione per questi pesci è la Primavera nel cui tempo sono tenere, delicate, e di un ottimo sapore; mentre si è osservato, che in altre stagioni sono dure, coriacee, e di un cattivo gusto, ciò che in Francia le fa chiamare ordinariamente Lamprede Cordate. La carne di questo pesce è molto nutritiva, ma contiene un sugo lento, e vischioso, che la rende difficile a digerirsi. Devesi scegliere viva, grossa, e preferire il maschio alla femmina. In Roma non si fa grand’uso delle Lamprede, benché fossero molto stimate in tempo degli antichi Romani, i quali le facevano nutrire nelle vivaie con grandissime spese. Quelle pescate nel Tevere sono senza contradire le migliori, ma vengono prese molto di rado. I fiumi della Lombardia ne somministrano delle grosse, e di un ottimo sapore.

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La Lasca è un picciolo pesce poco considerato, e non solo mai servito sulle tavole de’ Grandi, ma inoltre rarissime volte su quelle pe’ Cittadini alquanto comodi. Le Lasche si pescano in diversi laghi, e fiumi, dal mese di Novembre, a tutto Aprile esse sono migliori quando sono piene di latte, imperocché in questo tempo hanno gli intestini gonfi, e carichi di un certo liquore bianco, che le fa essere più delicate; benché in qualunque maniera, siano tempre poco buone. La maniera più usitata di mangiarle è quella d’infarinarle, e friggerle.

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La Lente fresca è di niun uso. Secca riesce gustosissima tanto in pottaggio da grasso che da magro, particolarmente cotta in brodo di Anatra o Mallardo, e con presciutto, spicchi di aglio, foglie di alloro e finocchi salvatici triti, ch’è per essa il gran condimento.

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Arrosto = Scorticate una Lepre giovane, o una Lepratta, sventratela, trussatela propriamente colle coscie incrocicchiate, fatela rinvenire sulle bracie, e strofinatela subito, se sarà una Lepratta col suo sangue, se lo avete, acciò divenga rossa; indi piccatela di minuto lardo, e fatela cuocere Arrosto al suo punto di cottura, acciò sia servita nel suo sugo. Se sarà una Lepre la potete marinare, con una marinata tiepida, allo Scevruglie, fatta con un bicchiere d’acqua, mezzo di aceto, un pezzo di butirro, fette di cipolla, uno spicchio d’aglio, una foglia d’alloro, un poco di basilico, sale, pepe, tre garofani: dopo due ore infilatela ad uno spiedino, legate questo ad uno grande, fatela cuocere Arrosto, aspergendola colla sua marinata, e servitela di bel colore con una Poevrada in una salsiera, o una Salsa all’Inglese fatta in questa maniera sì per l’una, che per l’altra Lepre: prendete quattro oncie di conserva di visciole, pestatele nel mortaio, indi ponetele in una cazzarola con un bicchiere di vino di Borgogna, fatela bollire un pochino, poscia passatela al setaccio, e servitela calda. Potete anche cuocere la Lepre Arrosto senza piccarla, e marinarla, ma aspergerla nel tempo che si cuoce con una Salsa alla Poevrada mescolata con altrettanto fiore di latte, ciò che formerà una specie di patina sopra la carne, e servitela con una Salsa alla Chinesec in una salsiera. Vedete queste due Salse nel Tom. I. Cap. I.

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La lingua del vitello netta diligentemente lessata, lardata, involta in rete, insproccata con garofani, e cannella, si pone allo spiede, servita con salsa reale, e ciò puoi fare d’una, ò più lingue insieme, come ti piace. Le dette insteccate per il longo, bollite poco meno, che cotte, raffreddate, che saranno, le condirai in una stagnata con butiro fresco, e lasciandole soffriggere, vi aggiugnerai un bicchiere di malvagia, sale, pepe, cannella, e noce moscata, e dopo alquanto bollite, v’aggiugnerai zucchero, arancini conditi, battuti col coltello, pezzi di cedro condito, capi d’aglio, prima lessi in rodo, mapetti di finocchio dolce, stecchi di garofano, e polvere di mostacciolo, con aver preparate tante cassette, quante saranno le lingue, che devono essere di pasta frolla, ben cotta, vi accomoderai dette lingue, con la compositione medesima sopra, ben compartita, e te ne servirai, tanto per regalo de’ piatti reali, quanto per sé stesse a formarne un piatto assai lodevole, e grato. Le lingue vagliono in pasticci d’ogni sorte, e dopo esser lesse, spaccate, unte benissimo col grasso della leccarda, involte in pane grattugiato, sale, e pepe, poste alla graticola, si doveranno servire con sugo di limone sopra, e aranci spaccati. Dopo, dico, lesse stuffate in moscato con vari conditi, e speziaria, riescono rare. Lesse, e poi aperte, dorate con uova, e fritte con zucchero sopra, e limoni si servono calde. Pigliale ancora dopo tagliate sottili, ponile in lucerne di carta alla graticola con speziaria, butiro, erbette odorose, e servile, nelle medesime carte, col sugo di limone. Similmente n’avrai onore, poste in tegame nel forno, col medesimo condimento, spezzandole in fracassata doppo esser lesse, poste con pepe ammacato, erbette odorose, cipolle minute, e due melarancie tagliate in fette, con la loro scorza, metti il tutto nella padella con buon distrutto, e sale minuto, ch’avrai un servigio gradito, valevole in ogni caso con vari regali, adattando ogni cosa al suo condimento.

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Sonovi pochi pesci di mare, che abbiano un così buon gusto, e che siano nello stesso tempo di una qualità sì sana, come la Linguattola. La sua carne è bianca, tenera, delicata, e soda, grata al gusto, nutritiva, propria a produrre de’ buoni succhi, e facile a digerirsi; essa non produce de’ cattivi effetti, se non che mangiandone all’eccesso. La Linguattola, chiamata altrimenti da’ Francesi Pernice di mare, a motivo del suo buon sapore, è molto migliore trasportata, che sulla faccia del luogo, e ciò proviene, che racchiudendo essa una picciola vischiosità, questa si dissipa nei trasporto. A Parigi, e a Lione per dire il vero sono più eccellenti, che sulla riva del mare, come lo stesso succede in Roma, ed altri luoghi poco distanti dal Mediterraneo, o Adriatico. Enrico III, Re di Francia ne faceva la sua vivanda favorita ne’ giorni di magro. Questo pesce, secondo le osservazioni di Horstius, conviene a quei maladi, che sono In grado di mangiare, a motivo che produce un buon sangue, e che il nutrimento, che somministra forma pochi escrementi, ed inoltre perché è di un ottimo, e grato gusto. La Linguattola trovasi tutto l’anno, ma la sua migliore stagione è nell’Inverno, e Nella Primavera. Devesi scegliere fresca, grande, polputa, e senza macchie. Si prepara questo pesce in molte maniere differenti, e benché a parlare in generale le Fritture non siano molto salubri; pure si è osservato, che la Linguattola fritta non ha nulla di nuocievole, e ciò proviene, che avendo la carne molto serrata nelle sue parti, non assorbisce tanto olio, o butirro, o strutto, come la maggior parte degli altri pesci. In Toscana appellasi Sogliola, e in Napoli Palaia.

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La Lotta è un picciolo pesce di acqua dolce molto stimato, che rassembra alla Lampreda; ha la coda a guisa di spada, ed il corpo rotondo e bruno. Questo pesce rare volte giunge ad avere un palmo di lunghezza. La sua carne è tenera, delicata, e facile a digerirsi. La sua migliore stagione è nell’Inverno, e nella Primavera. In Roma siamo privi di sì buon pesce, ma se ne trova in abbondanza in Francia, e nella Lombardia ove viene appellato Mugniega.

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La Maggiorana serve per condimento ai potaggi, dentro i Colì, salse, sapori e ragù di carne o pesce.

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La Menta è di condimento all’insalate crude e cotte ed ai marinati di pesce. Pesta, e sciolta con aceto ed olio, se ne fa buona salsa. È buona per condimento di braciole e copiette di Manzo.

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La midolla si serve marinata, e fritta per tramesso; vedete le cervelle di bue fritte, come sopra a pag. 57.

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La Morena è un pesce di mare della figura di un’Anguilla. La sua carne è di ottimo nutrimento, ma alquanto molle e poco stimata. Pescasi nel mese di Novembre, a tutto Aprile. Questo pesce si può apprestare come l’Anguilla.

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La Orata si pesca nel mese di Ottobre per tutto Febbraio e si può preparare nelle varie maniere già dette degli altri Pesci, ma la vera sua cottura è in arrosto, servita con salsa all’olio, composta con capparini triti con acciughe e poi sciolta con aceto ed olio. Questo Pesce fu mangiato la prima volta da Aurelio Ceste.

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La panzetta del vitello, si può servire e lessa, e stuffata, e nello spiede, ripiena, come pur anche tagliata in fette per compimento d’un piatto, con pepe ammaccato, limoni, e erbette odorose, e similmente calda in occasione di regalare; le fette d’essa ripiene, dorate in uova, e cacio grattugiato, poi fritte in butiro, possono servire a tutte le forme; e una delle dette, posta nel fondo d’una minestra di cavoli, con due fette di presciutto, formerà cosa lodevole, e di gratissimo condimento.

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Sopra un quarto di farina mettetevi una libbra e mezza di buon butirro, e circa un’oncia di sale, questo vi servirà per regola, adoprando questa dose secondo la pasta che vorrete fare; mettete la farina sopra la tavola ben propria, facendovi un buco nel mezzo per mettervi il sale, ed il butirro in piccoli pezzi: procurate di non mettervi tropp’acqua acciò la pasta non venghi liquida, e difficile a sostenersi; stemprate il butirro bene coll’acqua, ed a poco a poco colla farina; tosto che la farina ha bevuto tutta l’acqua impastate bene la pasta a forza di braccio che sia bene unita, ed alquanto consistente senza grumi; procurate di farla almeno due ore prima di servirvene acciò la pasta abbia tempo di rinvenire. Con questa pasta farete ogni sorta di timbale per entrée, come carne di beccheria, pollame, uccellame, e pesci. Le torte che voi potete fare in differenti maniere in pollame, sono d’una pollastra tagliata in quattro, de’ piccoli piccioni intieri, o tagliati in due quando sono grossi, delle ali di polli d’india. Prendete ciò che giudicarete a proposito, ed immergetelo nell’acqua bollente, ritirandolo subito per piumarlo nell’acqua fresca, proccurando di piumarlo bene: prendete la tortiera per mettervi un pezzo di pasta della spessezza d’uno scudo, che avrete distesa, sopra di cui vi metterete la carne che avrete preparata con sale, e pepe, mettendovi del butirro in tutti i luoghi voti; coprite con fette di lardo la carne, coprendola con altrettanta pasta quanta ne avete messo di sotto: bagnate con acqua, incolando le due parti che dovranno toccarsi insieme premendole bene all’intorno; fatevi poi col pollice un bordo tutto all’intorno, e prendete un uovo, sbattendolo bene, indi con una piuma bagnata in esso fregate tutto il di sopra della torta; fatela cuocere al forno per tre ore; un quarto d’ora dopo che la torta sia al forno bisogna cavarla per farle un buco nel mezzo acciò possa uscire il fumo, il quale le darebbe cattivo odore se non si usasse questa precauzione; rimettetela poi nel forno per finirla di far cuocere, quando sarà cotta levatevi il disopra, tagliandola all’intorno vicino al bordo; levatele il grasso che è nella torta, e le fette di lardo, levandovi con un cucchiaio ciò che vi è dentro nel bordo non cotto. Tenete preparata in una casseruola una buona salsa che metterete nella torta: se avete di che fare un buon intingolo di animelle di vitello, e funghi di un buon gusto, per mettervi dentro sarebbe buonissimo; ricopritela col suo di sopra, e servite. Ecco la maniera che osservarete per ogni sorta di torte; per entrée sia in grasso che in magro, non vi ha cangiamento che per le carni che sono dentro per il lor condimento, il tempo della cottura, e le salse differenti; per ciò che riguarda la pasta sarà meglio la sfogliata per uso delle torte grasse, e come anche in magro.

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Li cuochi che avranno la destrezza di fare un pasticcio dell’altezza di quattro pollici si serviranno della stessa pasta delle torte già descritte. Osservarete la stessa maniera anche per la composizione del di dentro; la cottura, e le salse sono le stesse. Il piacere che se n’ha, sebben siano le stesse cose, è che si diversifichi, per soddisfare l’occhio d’una tavola, e si farà con un bel accompagnamento condito di buon gusto, per poter sperare onore, e gloria della sua intelligenza. Ecco la maniera di fare la pasta brisée per li pasticci freddi, farete più o meno di pasta secondo ciò che avrete bisogno, e vi regolarete come segue: prendete quattro libbre, o più di farina, due libbre di butirro, e due oncie di sale; mettete la farina sopra una tavola, fatevi un buco nel mezzo per mettervi dentro il sale, ed il butirro; indi prenderete dell'acqua pressoché bollente, che versarete sopra il butirro, meschiando bene colle mani finché sia liquefatto, indi meschiatevi la farina, impastandola bene a forza di braccio il più presto che sarà possibile, acciocché sia ben legata, e più che la pasta sarà ferma migliore sarà la riuscita, basta che sia ben unita. Lasciatela riposare per tre ore questa pasta avanti di servirvene, ed aggiustatela con tal pasticcio di carne che giudicarete a proposito.

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Prendete una libbra di fior di farina passata al velo della regina, fate il suo buco in mezzo, metteteci un uovo intiero e un rosso, due oncie di butirro, un pizzico di sale, impastatela con acqua fresca, ma bisogna che chi vuol fare sfogliate bene con la suddetta pasta, avverta che tanto deve essere tosta la suddetta pasta, tanto deve essere il butirro che anderà messo tra una pasta e l’altra, che sotto vi si accennerà; dunque dovete impastarla ad uso di tagliolini, e dopo che l’avrete tirata a suo segno, la menerete per una buona mezz’ora; dappoi la coprirete con una salvietta pulita e lascierete stare per una buon’ora a riposare; dappoi stiratela con un lasagnolo sopra la mattora in lungo due palmi e larga più di un mezzo palmo e alta mezzo dito; dappoi prenderete dieci oncie di butirro; se sarà inverno, lo maneggerete bene secondo la morbidezza della pasta, e se sarà estate lo terrete a molle nell’acqua fresca anche con qualche pezzo di neve; così stesa la pasta, prendete il butirro e mettetelo sopra la pasta sino alla metà ugualmente alto quanto sarà la pasta, rivoltate l’altra metà sopra il butirro, e chiudete intorno il butirro con la pasta; di sotto andate torcinandola come si fa alli picconi, acciocché il butirro non abbia occasione di uscire dalla pasta; prendete il lasagnolo, stiratela come se voleste fare una pagnotta di taglioni sempre per lungo, e quando l’avrete slargata ugualmente, prendete con diligenza da piedi la pasta; piegatela alla metà, che torni ad uguagliarsi insieme, tornate a stirare come avete fatto la prima volta, e ritornerete ad uguagliarla, e farete per fino a quattro volte se sarà d’inverno, e se sarà d’estate, si deve darle tre piegature sole che sia in luogo fresco, dopo di averle dato le suddette piegature la piegherete in quattro e tirerete con il lasagnolo la pasta larga, quanto sarà largo il piatto di rame, in cui dovete formare la vostra torta della grossezza di un grosso baiocone, e di questa ne dovete tagliare due, una di sotto e una di sopra, larga quanto sarà il piatto di rame, e va tagliata con il coltello scaldato al fuoco, il quale raffreddato che sarà, ne terrete un altro in ordine per poter finire d’intagliare la torta; di questa si possono fare e formare barachiglie, pasterelle quadre, e con le stampe tonde fatte fare a posta per questo effetto, vanno sempre scaldate per tagliarle; si possono anche friggere con distrutto, e dopo cotte si spolverizzano con zucchero e si mandano in tavola calde; questa pasta si può fare anche con distrutto di assogna di maiale all’inverno in vece di butirro, e si può fare anche di grasso di rognone di vitella all’estate, in vece parimente del butirro, e mandata in tavola calda. Questa è la pasta che dovete fare per coprire tutte le composizioni che di sopra vi accennai; ingegnatevi di farla bene e di buona simmetria; avvertite prima di mandarla al forno di darle un’indorata leggiera con un pennello di piume.

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Prendete una libbra di farina (sarà il più che ne potrete mettere per fare una torta) metterete questa farina sopra una tavola, facendovi un buco nel mezzo, in cui metterete alquanto di sale, ed acqua, impastando bene la detta farina, e procurando che la pasta riesca né troppo molle, né troppo dura, lasciatela riposare almeno due ore avanti di servirvene, indi prendete quasi altrettanto butirro quanto vi ha di pasta, e stendete la pasta coll’opianatoio di legno, mettendovi in mezzo il butirro; date cinque giri nell’estate, e sei nell'inverno (ciò che si dice giro è di stendere la pasta col legno fin a tanto che sia della spessezza di un mezzo dito, spargendo di tanto in tanto leggermente alquanto di farina). Quando ciascun giro è finito ripiegate la pasta in tre, ricominciando fino al fine; servitevi di questa pasta per fare ogni sorta di torte, per fare de’ piccoli pasticci, e paste sfogliate.

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La Pasta per coprire le Torte dolci è di due specie: sfogliata e frolla. Della prima se n’è parlato al Trattato delle Torte e Pasticci degli Animali; la seconda si fa con questa proporzione: per ogni due libre di fior di farina v’ha bisogna una libra di zucchero ed una di sugna, sei gialli di uova, con una chiara, qualche senso di mandorle amare, cedrato o cannella, ed anche poche gocce di acqua. Non bisogna troppo dimenarla, per non farle acquistar tenacità e per non riscaldarla, che l’è di nocumento.

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Questa Pasticcieria comprenderà indifferentemente quella apprestata all’olio, e quella apprestata al butirro, trattandosi specialmente di Pasticci, Torte, e Pasticcietti di pesce, e finalmente tutta quella, che trovasi mancante nel Tom. IV. Cap. IV. In quanto alle Croccanti: ne’ giorni di vigilia si potranno fare di pasta croccante, o di mandorle, e gli altri giorni di pasta alla condè. Benché abbia detto altra volta, che questo genere di pasticcieria dipende totalmente dal genio, e sapere di chi lavora; nulladimeno dirò qualche cosa di quelle Croccanti le più triviali, che potrà servire per quei Cittadini, che volessero farle eseguire per servirle sulle loro mense. Riguardo a Pasticci, Torte, e Pasticcietti di pesce al butirro: questi si apprestano con pasta brisè, e sfoglia; circa gli altri all’olio, ecco le sole paste che noi abbiamo in uso.

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Devesi sciegliere la Pernice, e la Starna giovani, grasse e tenere, e di un grato odore; quando sono vecchie la loro carne è dura, tigliosa, asciutta, e di poco buon sapore. Non devesi mangiare né l’una, né l’altra subito uccise, ma è necessario d’esporle per qualche giorno all’aria, acciò mediante una picciola fermentazione, che si eccita nella loro carne, divenga più tenera, e delicata. Noi abbiamo anche i Perniciotti, e Starnotti, e sì gli uni, che gli altri sono riguardati nella cucina come vivande assai delicate. La Pernice si appresta esattamente come la Starna, e li Perniciotti come li Starnotti, onde parlerò soltanto di una di esse, che potrà comprendere ancora l’altra. I Francesi appellano Pernice rossa, e Pernice bigia, ciò che noi chiamiamo ordinariamente Pernice, e Starna. La prima è un poco più grossa della seconda, e credesi di un miglior sapore. Le primizie di questi Uccelli principiano ad essere buone per servirle sulle Mense nel mese di Luglio, e di Agosto, allorché hanno acquistato una certa grossezza. Per distinguere i Perniciotti e Starnotti, allorché sono divenuti grossi, dalle Starne e Pernici quando sono divenute vecchie, osservate che lo Starnotto deve avere l’ultima penna dell’ala puntuta, le zampe bigie, ed il becco nero. Il Perniciotto si conosce alla medesima penna puntuta, nell’estremità della quale evvi un poco di bianco. La Pernice l’ha rotonda, e priva di detto bianco.

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Arrosto = Allorché volete apprestare una Pollanca per Arrosto sventratela; principiando per il gozzo, che levarete, facendogli un taglio lungo dietro il collo, passate poscia dalla medesima parte il dito dentro il corpo della Pollanca per distaccare gli intestini, che stanno attaccati allo stesso gozzo; indi fategli un taglio da un lato sotto la coscia per sventrarla: ma questo si prattica solo a qualche grossa e bella Pollanca o Capponessa, mentre gli altri Polli si sventrano dalla parte da basso; levategli il fegato senza rompere, e spargere il fiele, ed il griscile; fatela rinvenire sopra un fornello ardente, prima dalla parte della schiena, poscia dai lati, e finalmente dalla parte del petto; essendo fiambata egualmente, nettatela con un pannolino, spilluccatela, trussatela propriamente con un grosso ago e spago, tagliategli la metà delle zampe dopo averle spilluccate, piccatela di minuto lardo, o copritela con una gran fetta di lardo, tagliategli il collo nell’estremità, e lasciategli la pelle di sopra in tutta la sua lunghezza, fatela cuocere allo spiedo ad un fuoco eguale involtata di fogli di carta. Quando sarà cotta scartatela, fategli prendere un bel color d’oro alquanto pallido, e servitela guarnita all’intorno di crescione, o altra insalata.

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Antremè rifreddo. Dai cap. della Polleria, e della piccola caccia potrete regolarvi, mentre qualunque pollo, o uccello tanto ripieno, che senza riempire, e cotto in bresa, potrete apprestarlo rifreddo sopra una salvietta guarnito di foglie di alloro regio, o con fiori freschi, e sopra un’aspic gelata, e sminuzzata, oppure coperto di butirro fresco, formandogli sopra un lavoro con pistacchi, tartufi, vaghi di granato, carote cotte, prosciutto ec.; oppure si serve il rifreddo naturalmente, e solo coperto con una campana di cartone, o di latta intonacata al di fuori di strutto, o di butirro, ed arabescata con erbe di diversi colori, e con sopra qualche statuetta di butirro ec. Si servono ancora i rifreddi dentro un bordo di butirro ben decorato, e con sopra una bella aspic gelata, e sminuzzata.

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La pollastra si serve altresì per un piatto d’arrosto, come abbiamo detto dei pollastri grassi; nel tempo del crescione mettetegliene tutto all’intorno, condite con sale, ed aceto; i fegati grossi delle pollastre, capponi, polli d’india, e grossi pollastri si mettono in vari intingoli, e servonsi per tramesso particolare; fateli cuocere allo spiedo inviluppati in lardo tagliato in fette, coprendoli con pane grattugiato; serviteli con la salsa bachique; potete altresì metterli in tamburri fatti con carta unta d’olio; fateli cuocere nel loro sugo con prezzemolo, cipollette, e funghi, il tutto triturato, delle fette di lardo sotto, e sopra, un poco di olio, ed in servendo del sugo di citrone oppure mettetele in papigliotte ovvero in intingolo secco.

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La Porcellana, lavata nel vino, è buona in insalata. Cotta nella leccarda col grasso di arrosto di Castrato, serve per condimento di esso. Fritta, è di condimento agli arrosti di Quaglie.

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Rilievo. La porcelletta va sempre servita intera, e si appresta come lo storione, fuori che in fette, purché non fosse una porcelletta grossa assai. Si avverta di levare alla porcelletta il nervo, che tiene nella schiena, operazione che si fa allorché si sventra, con aprirla di dentro.

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La Raggia si pesca nella Primavera e nell’Autunno e si mangia fritta calda ed in scapece fredda; si serve in ragù con funghi e lessa con ramolata, né di altra maniera può riuscir di piacere.

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Questo è un Pesce Crostaceo del genere de’ Gamberi di mare, ed ha le medesime virtù, e proprietà, che il Gambero di acqua dolce. La sua carne nutrisce molto, e produce un alimento assai sodo, e fortificativo, il suo sugo è dolcificante, e conviene particolarmente ne’ calori di petto; ma questa carne è di difficile digestione, e più di quella de’ Gamberi di acqua dolce. Nulladimeno la Ragosta viene servita sopra tutte le buone, e delicate mense, per la squisitezza della sua carne. Trovasene quantità ne’ nostri mari, e sulle nostre coste, e abbondano moltissimo in tutte le Città marittime d’Italia, e segnatamente in Roma, Napoli, e Genova. Questo Crostaceo è buono in ogni stagione, ma più quando è preso in tempo del Plenilunio, dal mese di Ottobre fino ad Aprile. La femmina piena di uova devesi preferire al maschio, essendo molto migliore. Devesi scegliere la Ragosta grossa, pesante, e viva; distinguensi dagli Astachi, e Leoni marini a motivo, che questi tengono due grosse tanaglie più lunghe, e più larghe della mano, dovecché la Ragosta tiene due gran barbe lunghe come le braccie, e scabrose; l’una, e gli altri crescono sino ad avere una grandezza straordinaria, dimodoché se ne veggano, che hanno due, tre, e quattro piedi di lunghezza. Le Ragoste vivono ne’ luoghi pietrosi del mare, riveggonsi l’Inverno comparire verso le spiaggie, e sulle sponde de’ fiumi, e nell’Estate si ritirano in luoghi profondi. Si battono fra esse colle loro corna, e si nutriscono di piccioli pesciolini, che trovano intorno ad esse. La carne dell’Astaco, e del Leone, ossia Elefante, ha le medesime proprietà, che quella della Ragosta, ma è più dura, più difficile a digerirsi, e per conseguenza meno delicata dell’altra. Sì l’uno, che l’altro di questi Crostacei, si apprestano nello stesso modo, che la Ragosta.

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Questo è un picciolo animale anfibio quadrupede, che cammina a salti, nota assai presto, e rassomiglia moltissimo al Rospo. Sonovi diverse specie di Rane; ma le sole acquatiche sono buone a mangiarsi. Si debbano scegliere grosse, grasse, carnute: e se sono vive, verdi, sparse di picciole macchie nere, e che siano state prese in acqua chiara, e limpida. Le migliori sono quelle, che si prendono ne’ fiumi, e ne’ laghi, e non ne’ pantani, o luoghi paludosi. Abbondano in Lombardia, e dalla parte di Ferrara sono molte grosse, e di un ottimo sapore, onde vengono servite sulle migliori mense. Il brodo delle Rane è eccellente per tutta sorta di brodi di magro, ed anche per guarire moltissime malattie. Quando si vogliono però mangiare, bisogna dopo che sono scorticate gettarle subito nell’acqua calda, e quindi nella fresca, ciò che le intenerisce non poco, e le fa essere più facile alla digestione. Le Rane si prendono tutto l’anno, e segnatamente nel mese di Giugno, e Luglio.

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La Rucola è ottima, servita in insalata cruda con la lattuga. È di condimento bollita con la carne e con gli stracotti di Agnello, come anche con i fagioli, lente e ceci in potaggio. Pesta la Rucola con petrosemolo ed aglio, e sciolta con aceto ed olio, se ne forma ottima salsa.

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È questo un pesce di mare della figura del Fravolino, che si pesca sotto ai scogli, ove ordinariamente nasce, e fa la sua dimora, Plinio dice, che per esser buono, deve essere mangiato subito preso dalla pesca, la quale fassi nell’Estate, e nell’Inverno. La migliore maniera di apprestarlo è come quella del Fravolino.

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Con le foglie di Salvia si condiscono addobbi di pesce; come anche arrosti, specialmente di Uccelletti. I rametti teneri di Salvia si friggono con pastetta e sono gustosissime con pastetta di farina di castagne. La salvia fritta è di ottimo condimento a servire vivande arrostite e fritte. È di condimento la Salvia alle salse fatte con presciutto, zucchero ed aceto, o pure con acciughe, capparini, cipollette e spezie. Le acciughe salate fritte tra le foglie di Salvia, con pastetta, sono gustosissime.

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Le Sarde nuotano in truppa assai folta e stretta, come le Alici, colle quali hanno questo di comune. Si debbano mangiare subito prese dalla pesca, mentre allora sono molto saporite e delicate. Questi pescetti di mare somministrano un buon nutrimento, e facile a digerirsi. Le migliori sono quelle che si prendono nell’Inverno, e nella Primavera. Le Sarde sono molto abbondanti nel Mediterraneo che bagna la Sicilia, Napoli, e la spiaggia Romana ma quelle che si pescano nelle vicinanze di Palermo superano tutte le altre si per la grossezza, come per il sapore. In Palermo sono più stimate delle Alici, alla quale sono preferite, per la loro grossezza, e per il gusto delicato della loro carne. Si debbano scegliere le Sarde, ed anche le Alici tresche, grosse, e polpute. Quando questi pescetti non sono freschi pizzicano le fibrette nervose della lingua in guisa, che alcuna volta non è possibile di poterli mangiare. Siccome le Sarde si apprestano esattamente come le Alici, onde si rende inutile una repitizione, potendosi le Sarde preparate nella stessa maniera. Nulladimeno ecco qui sotto il modo di arrostirle. Le Sarde salate, dette Sardelle, non sono così buone come le Alici salate; nulladimeno se ne sogliono dare si delle une, come delle altre una, o due ai convalescenti, onde eccitare loro l’appetito, e purificare lo stomaco dalle flemme e superfluità.

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Della schiena del vitello se ne possono formar servigi in tutte le forme, come lessi, stuffati, arrosti, e lardati, e senza. Se ne fanno parimente bragiole fiaccate prima benissimo l’ossa, poste in adobbo con aceto rosato, aglio, salvia, ramerino, pepe ammaccato, garofani, e noce moscata; levate poscia dall’adobbo spolverizate con polvere di coriandri, poste alla graticola, servite con limone, e zucchero. Adatta nondimeno più ad essa lo spiede sottilmente lardata, insproccata con garofani, e pezzetti di cannella a fuoco proporzionato, con sale minuto nel fine del condimento; poi servita calda con limoni, e altri lavori, a giudicio di chi ordina, e conforme l’occasione. Della medesima fredda, se ne cavano insalate scartozzate, e piccate, delle quali darò buon conto a suo luogo. Si fanno ancora varie piccatiglie minute, con pezzetti di midolla in brodo grasso, e un poco di noce moscata.

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Lessa la Spigola con acqua e vino, condita di limone, petrosemolo, cipolla ed olio, quando si ha da servire o calda o fredda come si vuole, si coprirà con salsa di giallo di Ragosta o di Caviale sciolta con olio e sugo di limone.

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La Spigola è un pesce nobilissimo, delicatissimo, facilissimo a digerirsi, e somministra un nutrimento sostanzioso. Ve ne sono di mare, e di acqua dolce; quelle di mare però sono le migliori, e le più stimate. Si pescano da Decembre a tutto Aprile, benché si trovino tutto l’anno.

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Questo Crostaceo appellasi gibba, attesa la gobba che mostra nell’atto che si curva: esso è più piccolo del Carangone, e specialmente nell’estremità della coda: anche questi sono una specie di Gamberelli: buonissimi infarinati e fritti, o allessati con acqua e sale, e conditi come le Canocchie.

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Comprende questo nome, come ho detto di sopra, quattro specie di Squille, che noi conosciamo sotto i nomi di Canocchie, o Sparnocchie, e Messanette. Queste ultime sono la Squilla lata di Rondelezio, e la Squilla Ursa minore. Le altre due sono la Squilla lata, o Ursa maggiore, e la Squilla lata di Baren-Krebs. Questi quattro Crostacei poco variano nella loro figura, eccettuatane la Squilla Ursa minore, ma bensì nella loro grandezza, ed hanno qualche rassomiglianza colla Ragosta, ma sono più larghi, più irsuti, e più depressi di corpo. Si debbano scegliere queste Squille vive, o almeno freschissime, pesanti, e che siano piene di corallo, cioè d’uova; queste uova si ritrovano annesse al ventre, e aderenti alla carnosità della coda d’ambi i lati dell’intestino, contenute da una sottile membrana. Tali uova formano tutto il gran pregio di questi Crostacei. Queste specie di Squille abbondano moltissimo nel mare Adriatico, ma scarseggiano al contraria nel Mediterraneo, di modo che sono assai rare in Francia, e da quella parte dell’Italia, che viene bagnata da questo mare. In Affrica per altro sono frequentissime, ed in molta abbondanza. La loro stagione più propria, e nel cui tempo sono assai lodate, è nell’Inverno, e Primavera, prima che si siano sgravate delle loro uova. In quanto alla Squilla Ursa minore Rondelezio la nomina Cicala marina, avendo qualche similitudine colla Cicala grande terreste: questa peraltro ha il dorso egregiamente scolpito, e variato con artefizioso lavoro dalla natura, mediante le sue scaglie, ed è tutta rossa. Per maggiore intelligenza de’ Leggitori, queste Squille verranno indicate sotto il nome di Canocchie.

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Prende il nome questa Squilla da un picciolo animale del genere delle Locuste, e da Bellonio viene appellata Cicala marina. La sua crosta è sottile, di un bianco lucido trasparente, e la natura l’ha fornita di un incredibile artefizioso lavoro. La sua carne è molle, dolce, e delicata. Viene apprestato, e servito questo picciolo Crostaceo allesso, o infarinato, e fritto.

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Questa Squilla si nomina parva, cioè picciola, ed è priva di nome proprio. Se ne trovano di due specie: una grande di una crosta più dura della Squilla gibba, che in Roma appellasi Gamberello: l’altra è così picciola, che appena mille formano il peso di una libbra: sono abbondanti nel mare Adriatico dalla parte di Venezia, ed anche sulle nostre spiaggie. Questi Gamberelli vivi sono di un colore bianchiccio, ma dopo cotti divengono rossi. Nascono nel mare, e ne’ fiumi, sebbene Bellonio afferma essere essi più abbondanti nel mare. Tarentino le chiama Squille fluviatili. La loro carne è così dolce, che cagiona fastidio a chi ne mangia, e come dice Rondelezio non v’è altro cibo di tal genere più dolce di questo. Lavati e cotti in acqua d’orzo sono di molto giovamento agli Eteci. La migliore maniera di mangiare codesti Gamberelli è di farli cuocere allesso, e condirli come le Canocchie; ovvero infarinarli, farli friggere, e servirli con petrosemolo fritto.

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Questo animale è ricoperto di una scaglia convessa di una specie particolare; rimarchevole per la sua grandezza, per la sua durezza, e per la sua bellezza, fatta alla foggia di scudo, ed impressa di vari colori: la testa, e la coda di codesto animale rassembra a quelle del serpente, ed i piedi a quelli del leopoldo. Sonovi quattro specie di Tartarughe; cioè Marine, Terresti, di Fiume, e di Pantano. Le sole due prime sono in uso fra gli alimenti. La Tartaruga terreste partorisce le uova con un guscio duro, e di due colori, come quelle degli uccelli; quindi le seppellisce sotto terra, e visitandole spesso le cova. In capo ad un anno si schiudano, ed esce fuori il picciolo animaletto. Le migliori sono le più grosse, e piene di uova. La loro stagione più propria è da Giugno a tutto Ottobre. Si debbono nutrire di buoni alimenti, e tenerle in luogo pulito. Le uova, ed il fegato di codesti animali, sono come quelli di pollo, avendone quasi lo stesso gusto. La Tartaruga di mare, è ordinariamente molto grande, e senza uova ma il suo fegato, e l’intestino passano per un cibo esquisito. Si veggano la Primavera, e parte dell’Estate verso le spiaggie del mare, e vicino alle imboccature de’ fiumi, ove vengono prese, e quindi si ritirono in luoghi profondi: si nutriscono di cadaveri, e di tutte sorta d’immondizie. La loro stagione migliore è da Marzo a tutto Giugno. La carne delle Tartarughe, e segnatamente di quelle di mare è assai buona, e rassomiglia a quella della mongana: essa nutrisce molto, e forma un alimento sodo e durevole; imperocché contiene un zucchero oleoso, balsamico, e salino; questo zucchero la rende ancora ristorativa, e pettorale. Da un altro canto ella è dura, e vischiosa, e difficile alla digestione; genera degli umori vischiosi e grossolani, e rende il corpo pesante, e infingardo. Diversi sonosi immaginati, che non v’era nulla di migliore agli Eteci, che di mangiare delle Tartarughe; ma sono i brodi di Tartarughe, e non le Tartarughe medesime, che convengono agli Eteci. La carne di codesti animali, dice il Padre Goutier, è di una sostanza troppo terreste, onde potersi digerire come dovrebbe nello stomaco di un Etico. Le uova delle Tartarughe sono buone a mangiarsi, e Pisanelli le consiglia ai febricitanti, esse conciliano il sonno, e rinfrescano. Quelle che sono macchiate ed hanno il guscio più duro passano per le migliori: sono più salubri un poco conservate, che tutte recenti.

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Essa si aggiusta come la testa del cinghiale, facendola abbrustolire a chiaro fuoco sopra di una stuffetta molto ardente, e fregandola a tutta forza con un mattone, e poscia con un coltello; tosto che sia pulita, disossatela a metà, senza levarle la pelle, piccatela al di dentro con lardo, conditela di sale, e spezie miste, prezzemolo, cipollette, fonghi, ed aglio, il tutto ben triturato, inviluppandola in un pannolino bianco, infilzatela, e fatela cuocere in una buona braise fatta con brodo, vino rosso, un grosso mazzetto guernito, cipolle, erbe, sale, e pepe. Quando è cotta lasciatela raffreddare nella sua braise, e servitela sopra d’una servietta per tramesso per il mezzo.

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Il modo ordinario per valersi della testa del vitello, sarà questo. Si bolle in salvietta, servita calda con limoni, e petroselli. Si pone senz’osso ripiena, e il suo riempimento si fà in varie maniere; Fra le quali la seguente, a mio giudicio, sarà reale, e degna di qual si voglia convito. Che però piglierai la testa del vitello pelata, e netta con grandissima deligenza, e rivolgendola in un canavaccio bianco, le fracasserai con un pestello tutte l’ossa; ma con avvertenza di non rompere la pelle; le levarai le cervella, la lingua, e gli occhi, e roversciandola per l’apertura del collo, la renderai purgata, e monda da tutte l’ossa grandi, e piccole, lavandola a più acque con diligenza; poscia con filo le chiuderai   i fori della bocca, e degli occhi, e la riempirai con la seguente composizione delle quali materie ti servirà il giudicio in proposito della quantità, secondo, che vorrai riempire una, o più teste. Piglierai dunque panna di latte, cacio grasso grattugiato, provature fresche tagliate a dadi, midolla di bue, fette sottili di presciutto lesso, pezzetti di lingue di vitello, occhi, e cervella dello stesso bollite, grasso di rognonata, latti del medesimo, pepe, garofano, cannella, cedro condito grattugiato, pinocchiata pesta, un poco di sal bianco, acqua rosa muschiata, butiro, e uova fresche battute; E riempita, che l’avrai con i sudetti ingredienti, cucirai con filo l’apertura del collo, procurando gentilmente di dargli la propria forma, poscia la stringerai bene in salvietta bianca, e in una stagnata a proposito la metterai a bollire in brodo grasso di manzo. Devi poscia avvertire d’aver preparata in altra stagnata netta panna di latte grasso, acqua rosa, pinocchi pistacciati, pasta di marzapane stemperata con latte, cedro condito in fette, zuccata di Genova in fette sottili, pere moscatelle, condite in zucchero asciutte, prune di Genova, uova battute, butiro fresco, e zucchero, e facendo bollire il tutto a fuoco lento, avvertirai quando possi esser cotta la testa; e levandola dalla salvietta, l’aggiusterai nel mezzo del piatto reale, prima unto di butiro, spolverizato di zucchero, e cannella, con fette intorno di pane di Spagna, e levando le fila dalla bocca, occhi, e apertura del collo, le volgerai sopra la detta compositione, aggiugnendo intorno all’orlo del piatto un tortiglione di pasta fina sfogliata, aperto, e ripieno d’animelle, e varie sorti di conditi, ogni cosa con zucchero sopra, polvere di Cipro bianca, e cinamomi muschiati. La medesima, divisa in due parti, dopo esser bollita, sarà gustevole posta alla graticola con crostata di sale, pane grattugiato, e pepe; overo pane, zucchero, e cannella, unta bene con grasso della leccarda. Similmente posta a friggere nella padella con sopra una salsa acetosa. Di questa si possono cavar certi bocconcini di latti, e grassumi gentili, che con l’occhio dello stesso vitello servono per riempimento di pasticcietti col loro ordinario condimento, e accompagnamento adattato. La medesima riempita di variata composizione, si può stuffare alla francese in buona malvagia, con speziarie convenienti, e quantità di conditi; poscia servirla col regalo delle lingue, e cervellette, condite come dirò a suo luogo, e formarne piatti reali, degni d’ogni lauto imbandimento. Dopo dico d’essere spaccata in due parti levatene l’ossa, indorata con uova, e polvere di mostacciolo, fritta in buon distrutto; si mette con zucchero sopra, e limoni tagliati. Se ne fà parimente fracassata con erbette odorose, e frutti di tutte le sorti. Similmente riesce perfetta dopo lessa, posta in pezzi fritta con odorifera marinatura.   Spolpata gentilmente se ne fanno piatti alla francese con brodo grasso, aggiugnendovi qualche polpettina, o bragioletta, cervella, pinocchi pistacchiati, buona speziaria, e a suoi tempo con punte d’aspargi, o fondi di carciofi, che riescono di proposito. Aggiugno per ultimo, che la detta testa divisa, cotta in bianco, levatene l’ossa, fritta nella padella con butiro, sale, pepe, e erbette odorose minute, servita con una frittata sopra all’imperiale, fatta con chiara d’uova, panna di latte, e zucchero, regalata intorno con biscotti reali, e sopra con fette di cocuzza di Genova; formerà un piatto, ch’oltre l’esser grato per il condimento, potrà per la nobiltà del regalo, servire ad ogni grande occasione.

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La Tinca ha la figura quasi del Carpio, ma le sue squame sono assai più picciole. Se ne trovano di diverse grossezze, e alcuna volta grosse come i Carpi. Questo pesce è molto vischioso, onde ha gran bisogno del soccorso de’ condimenti, a motivo, che produce de’ sughi assai grossolani. Benché l’uso della Tinca sia condannato quasi da tutti gli Autori, a cagione di un sugo vischioso, e grossolano, che produce, come essi asseriscono, non si lascia per questo d’impiegarla spesso fra gli alimenti, e non si vede neppure, che produca de’ cattivi effetti; a meno, che non se ne mangi con eccesso: e se la carne di questo pesce non è molto salubre, non è almeno generalmente nociva, come si è osservato coll’esperienza. La Tinca deve essere scelta viva, o fresca, e grossa, la migliore è quella, che si prende ne’ fiumi, e laghi d’acque chiare, e limpide, imperciocché le altre ordinariamente sentano di fango, o di terra, d’onde deriva, che il suo sapore è più, o meno grato, secondo le acque ove ella soggiorna. In Francia questo pesce è migliore, che in Italia, benché ne’ fiumi, e laghi di questa Penisola se ne prendono delle ottime, e di buon sapore specialmente nella Lombardia. La femmina, è migliore del maschio. La sua pesca si pratica dalla Primavera, a tutto Autunno. Le migliori che noi abbiamo sono quelle dell’Anguillara.

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La Triglia è un picciolo pesce di mare, assai delicato, e grato al gusto, esso si pasce di alga, di gamberelli, ed altri piccioli pescetti, si pretende, che sia migliore l’Inverno, che l’Estate, ossia perché l’Inverno vive in alto mare dove che l’Estate si porta verso la riva, ciò, che lo fa nudrire di alimenti diversi in queste due stagioni, ovvero perché nell’Estate, come credesi partorisce; ma quello però che è certo, che noi nella Primavera, e nell’Estate ne abbiamo in grande abbondanza, e più grossi, che nell’altre stagioni. Gli antichi Romani stimavano moltissimo questo pescetto, essendo consagrato a Diana, mentre si vuole, che partorisca tre volte l’anno, ciò, che viene attribuito a questa Dea. Si distinguono due specie di Triglie, cioè una detta di scoglio, che viene stimata la migliore, e una nostrale, la più grossa è ordinariamente più in pregio, si dell’una, che dell’altra specie. La carne di questo pescetto nudrisce molto, e ristora mirabilmente, si di-gerisce ancora con facilità, e si pretende, che arresti la diarea. Un celebre Medico Francese dice, che la Triglia conviene nella diarea, nella tosse, e nella maggior parte di quelle malattie provenienti d’acrimonie di umori; alcuni altri però vogliono, che l’uso frequente di questo pesce sia contrario alla castità; ma questa è una immaginazione, che non è fondata né sulla ragione, né sulla esperienza. Devesi scegliere la Triglia grossa, fresca, e polputa; quella che si prende fra i scogli è più grossa, più bella alla vista, e di un sapore assai più grato, che l’altra; nei mari di Napoli, Roma, e Venezia se ne prendono in quantità, e molto grosse. Le Triglie si pescano tutto l’anno, ma il tempo migliore è da Maggio, a tutto Agosto.

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La trippetta del vitello ridotta a perfezione di candidezza, e odore ben cotta in brodo grasso, posta in minuto, accompagnata con salame, e cacio grattugiato, pepe, e cannella, servirà per fare, una zuppa, che fatta con un fondo di essa composizione, e un altro di fette sottili di pane, e così sino al riempimento del piatto, in cui bollita con brodo grasso, riuscirà non in tutto spiacevole. Serve per minestra tagliata sottile, bollita, e cotta con erbe odorose poscia maritata con cacio, e uova. Riesce stuffata con sale, pepe, garofani, e noce moscata, con un poco di malvagia, e alcuni conditi in fette, servendola con pane fritto dorato in uovo, e melarancie tagliate. Lessata prima, poi tagliata nelle parti più grasse, serve in pasticci brodosi, accompagnata con polpa di   vitello tagliata, e polpettine dello stesso. Sarà ottima battuta in minuto, con accompagnamento convenevole per riempire la testa, e la panzetta del vitello; E la medesima composizione involta in rete, cotta allo spiede, servita calda, con melarancie intorno, sarà di molta sodisfazione. Ponila finalmente in pezzetti nelle parti più sode, dopo esser lessata, allo spiede nella carta, con fette sottili di lardo, sale, pepe, e polvere di basilico, sentirai quasi lo stesso delle animelle, e potrà servire comodamente per regalare i piatti, e per accompagnare fritture grasse di tutte le sorti.

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Sonovi diverse specie di Trotte, che differiscono per il luogo, per il colore, e per la grandezza; le une si trovano ne’ fiumi profondi, e rapidi; le altre ne’ laghi; le une hanno un colore brunastro, e le altre rossastro; ve ne ha finalmente di una specie più grande che le altre, che si appella Trotta Salmonata, a motivo, che rassomiglia al Salamone, e questa è molto più stimata, che le altre per la sodezza della sua carne, e per l’esquisito sapore. In Milano le Trotte del Tesino sono di color d’oro, e più delicate, di quella di color rosso, che si prendono nel Lago maggiore. Tutte le Trotte hanno qualche rapporto col Salamone, ma assai meno, che la Trotta salmonata. Tutti questi pesci vanno moschinati sopra la pelle di picciole macchiette rossine. Le Trotte del lago di Ginevera, sono le più grosse, che io abbia vedute, e quelle del fiume Neva in Pietroburgo, le quali scendono dai laghi Ladoga, e Onega, le più eccellenti, e delicate al gusto. In Roma ne abbiamo delle buone da Rieti, da Vicovaro, e da Tivoli. Le prime sono le più grosse, ma non hanno un così buon sapore, che le ultime. Si debbano scegliere le Trotte vive, o molto fresche, grosse, polpute, di una carne soda, e rossastra, esenti da vischiosità, e sopra tutto, che siano state prese in acqua chiara, e limpida. Le Trotte si corrompono facilmente, motivo per cui non si possano conservare lungamente, onde è bene di farle cuocere più prontamente, che sia possibile. La Trotta dice M. Andry ha una carne sì tenera, e delicata, che si digerisce con molta facilità, che produce un ottimo succo, ed è il più sano di tutti gli altri pesci di acqua dolce, onde conviene a diversi infermi; ma bisogna per altro, saperlo scegliere, come si è detto di sopra. La pesca delle Trotte è nell’Estate, nella cui stagione sono più delicate, che in qualunque altra, benché si peschino tutto l’anno, e segnatamente nell’Inverno, e nella Primavera. In Roma le abbiamo dal principio di Decembre, a tutto Febbraio; ma dopo questo tempo riscaldandosi la stagione si corromperebbero per la strada.

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La trutta saumonée ha la carne rossa, e la comune bianca; la prima è molto migliore, s’aggiustano però nella stessa maniera. Fatele cuocere in un court boüillon con del vino rosso, e servitele sopra di una servietta guernita di prezzemolo verde. Se volete metterle in entrée versatele sopra una salsa che si serva per gli altri pesci. Potete altresì farle cuocere alla graticola dopo d’averle immerse nell’olio, come abbiamo detto degli altri pesci, e servirle con un intingolo magro. S’aggiustano anche in grasso, come il salmone fresco.

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Arrosto = Il Lombo è la parte migliore della Mongana da servirsi per Arrosto: deve essere infrollita al suo punto, ben cotta, e di un coloro dorato; potete, se volete, piccargli tutto il filetto di minuto lardo, ovvero servirla al Naturale, guarnita di crescione, ed un pochino di Sugo di manzo nel fondo del piatto. In ordine alla maniera di cuocerla. Vedete Lombo di mongana alla Nonette, e alla Sassone nel Tom. I. pag. 216.

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La Viva è un pesce di mare, della grandezza, e della figura di un Maccarello; ma tiene la pelle più unita, la carne più soda, e le spine più pungenti. Questo pesce è il più salubre ed il più esquisito, che si possa servire sulle buone mense. La sua carne è bianca, tenera, buona, soda, e delicata, di un sapore eccellente, e poco carica di sughi grossolani; essa si digerisce con facilità, nutrisce molto, e carica poco lo stommaco. La sua stagione migliore è nella Primavera, e nell’Estate. La Viva va armata sopra la schiena di piccioli pungiglioni, che gli servono di difesa contro i pescatori; se essi ne vengano piccati la parte si gonfia, ed il tumore è accompagnato ordinariamente da infiammazione, da dolori, e dalla febbre. Questi pungiglioni non perdono neppure tutto il loro veleno quando l’animale è morto, e allorché per azzardo i cuochi ne sono piccati vanno soggetti alli medesimi accidenti, come se l’animale fosse vivo; motivo per cui in Parigi, ed altri paesi per ordine del Governo di pulizia viene ordinato ai pescatori, o venditori di pesci di tagliarli. Dice Mr. Lemery, che lo spirito di vino, o una mescolanza di sale, e cipolla applicata sulla ferita la sani; e Mr. Andry dà per rimedio il più pronto, e sicuro il fegato della Viva schiacciato, e posto sulla parte offesa.

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Le zampette sono buone, cotte in bianco, con petrosello, e servite calde. Si possono soffriggere nella padella con distrutto, e servirsi con forte aceto, e aglio ammaccato sopra. Si mettono similmente fritte, prima bollite, e con salsa sopra di zucchero, aceto, e aromati, e si riempiono di variate composizioni, a beneplacito. Sono buone nel mosto cotto, servite con aceto garofanato, e zucchero sopra. Se ne fanno gelatine di vari colori, facendo bollire, e consumar le zampe, ma che siano prima ben nette, e purgate, in vin bianco, e aceto, con zucchero, sino, che venghino a perfezzione di gelo, passando il detto gelo per calza, acciò divenghi chiaro dandogli il colore a beneplacito; o con zaffrano, o latte di mandole, o cannella, o con sugo di buoni erbaggi, quale aggiustato ne’ piatti, o con altre zampette sotto, o senza, si mettono a gelare in luogo freddo, e riescono molto grate, e gustose. Volendo il detto gelo aromatizato con speziarie, piglierai garofani, pepe, cannella, e noce moscata, delle quali farai in una pezza di tela un bottone, e lo farai bollire insieme con le zampette nel vino, e aceto; Servono anche fredde spaccate con aceto forte, e pepe ammaccato sopra. E dopo esser lessate poste alla graticola, con pepe, pane, e sale, servite calde con limoni, o salsa bastarda, riescono gratissime al gusto.

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Le Aguglie, quando sono grosse, si mangiano in arrosto con sapor di semi di finocchi, e piccole si mangiano in frittura. Si pescano nell’Autunno per tutta la Primavera.

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Ponete un poco di pece greca squagliata dentro la fossetta del loro pedicozzo, e conservatele dentro una cassa coperta, tramezzo la segatura di tavole, o dentro la sabbia asciutta.

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18. In quanto al composto veggasi il capitolo 16 n. 155, e con questo potrete fare piante, fiori, castelli, edifici, carri, nave e tutt’altro che la vostra idea vi presenterà anche per ornamento della tavola.

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Le Anguille, che si pescano nelle acque correnti e chiare, sono delicatissime e la loro stagion’è nella Primavera e nell’Inverno. Quando son grosse si chiamano Capitoni.

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Servonsi l’animelle di vitello nello spiede lardate, con salsa reale, o senza, conforme al gusto. Pongansi le dette, partite in bocconi, poste nella carta allo spiede con un poco di cannella, sale, pepe, e due lardelletti sottili. Friggansi nella padella gentilmente, e servansi con sale, pepe, e limoni. Stringile poste in bocconi in brodetto, con rossi d’uovo fresco, zucchero, e agro di limone. Accompagnale ad ogni vivanda composta, che per tutto saranno ottime, e gradite. Fanne pasticci, accompagnati con bocconi di midolla, tartuffoli, pinocchi, e speziaria conveniente. Mettile ne’ piatti in bocconi, con fondi di carciofi, di cardi, e altri adattamenti gentili, condite nel butiro. Questo in somma riesce a tutto, in tutte le forme, e nobilita qual si voglia pasticcio di carne.

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5. Le anitre selvatiche in diverse maniere si cucinano come si è detto delle oche al cap. 4 n. 80 al 86, e servitele con false e guarnizioni a piacere (cap. 20).

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Delle foglie di Bietole bianche se ne posson fare quelle vivande che si son dette degli Spinaci. Delle Bietole rosse sono buone le radiche, che le chiamano Carote.

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I Conchiologisti danno il nome di Cama ad un genere di conchiglia bivalva di cui note ne sono varie specie, che si possono dividere in Rotonde, in Ovali regolari, ed in Ovali irregolari; le prime peraltro sono le vere Came. Tutte queste conchiglie hanno i due nicchi uguali, convessi, e perfettamente simili. Ve ne hanno di sottili e di grosse, di rigonfie e di depresse, di scambrose e di lisce, indistintamente in ciascheduna delle tre forme precedenti. Le Came sono più o meno grandi, fragili, e diversamente colorite: alcune si trovano disperse sulla spiaggia del mare fra l’arena: altre nel fango: altre sotto il musco; ed altre attaccate ai scogli. Jostonio le distingue in Scambrose, e Liscie. Le prime hanno la conchiglia lineata esternamente, e liscia su i bordi. Si pescano sulla spiaggia del mare fra l’arena. Le seconde hanno la conchiglia assai liscia e sottile, sono bianchissime dentro, e fuori, e la loro carne è molto bianca. Si pescano anche queste nell’arena come le Telline. I Veneziani le tengono immerse ne’ vasi pieni di acqua fresca, acciò non moiano con tanta facilità. Quando queste conchiglie sono fresche, lavate dall’arena, e ancor vive, non sono punto inferiori alle Telline. Sono abbondanti sì le une, che le altre nel mare Adriatico, e segnatamente verso le parti di Venezia, e della Dalmazia. Le loro stagioni migliori sono l’Autunno, e la Primavera, benché si peschino tutto l’anno. Queste conchiglie si apprestano esattamente come le Telline, e come le Cozze di Taranto. Vengono dagli Italiani appellate queste conchiglie Cappe, e Peverazze, non già perché abbiano un sapore di pepe, ma perché si mangiano condite con pepe. Vi sarebbero altre conchiglie della famiglia delle Came buone a mangiarsi, come la Nera di Rondelezio, la Glicimerida, la Pelorida ec., ma si andrebbe molto a lungo con tante descrizioni, e questo Tomo verrebbe assai più voluminoso degli altri. Nulladimeno intorno a queste conchiglie dirò, che la prima è ovale irregolare e biancastra, la seconda è ovale regolare di un bianco rossastro, e rassomiglia per la sua figura alquanto alla cozza di Taranto. La terza è ancor’essa irregolare, e prende il suo nome dal Promontorio di Peloro, o Capo di Faro, nel mare di Sicilia, ove si ritrovano in abbondanza, e molto buone. Tutte queste conchiglie sono comprese secondo Aldovrando nella classe delle liscie. La loro carne è bianca, di un sapore, e di un sugo assai dolce, e grato al gusto; ma alquanto più dura di quella delle Telline. Esse si apprestano come la Cozze di Taranto, come le Telline, ed anche come le Ostriche.

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Si conservano spase sulle stuore dentro le camere asciutte, e fresche, e si voltano spesso, levando quelle guaste.

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Con le Castagne si fanno salse sopra volatili salvatici. Cotte in brodo, si servono in frittura dorate o in pastetta. Cotte in zucchero si servono intiere o pure peste se ne fan Torte. Ridotte le Castagne in farina, se ne fa Polenta o pure Budin con sangue di Porco. Cotte sotto le braci si servono con salsa di olio e sugo di limone.

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Le cervella del vitello si possono accomodare in varie maniere. Servono calde in bianco, con petrosello, fritte in buon distrutto, dorate con uova; e in pasticci, tagliate in bocconi, con suoi dovuti ingredienti. Se ne cava un corpo per sapori sostanziosi, con rossi di uova toste, cedro condito, cotognate, sugo di limone, e polvere di mostacciolo. Accompagnate con uova, cacio, e pane trito, erbette odorose, poco sale, pepe, e poca cannella, se ne fanno gnocchetti, i quali cotti in brodo grasso di cappone, servono per una gentile minestra. In pezzetti tagliati ben involti con cacio grattugiato, e uova, poi fritte in butiro, sono in luogo di frittelle molto saporose, le quali possono anche servire per regalo d’un piatto di qual si voglia natura. Lessate le detta cervella, poste con capo di latte, zucchero, e uova battute, servono per far torte regalatissime con butiro in pasta frolla. Servono pure in minestra, se con latte di pinocchio, butiro fresco, zucchero, cannella, acqua rosa, rossi d’uova si fanno cuocere a fuoco lento. Si tagliano in fette, s’involgono in rete di porco, con zucchero, cannella, e pepe, poi fritte si servono calde con zucchero sopra, e sugo di limone, prima lessate, battute minutissime con erbette odorose, uova, cacio, speziaria, e latte; se ne fanno frittate nel butiro molto gustose. Se ne cavano tartare dopo lesse le cervellette peste sottilmente con pinocchiata, miste con acqua rosa, zucchero, cannella, uova fresche, butiro, e panna di latte, che sono isquisite. Sono ottime per riempir cannoncini sfogliati da friggersi in butiro fresco, accompagnate, e peste con cedro condito, zucchero, cannella, e midolla di manzo. Se ne fanno ravivoli piccoli con pasta di marzapane, midolla, cacio grattugiato, erbette odorose, uova battute. Se ne riempiono cipolle, prima lessate, accompagnate le cervellette, con butiro, zucchero, e speziaria; e si cuocono in tegame con butiro. Servono finalmente per riempire   paste sfogliate, con pinocchi ammaccati, rossi d’uova tosti, e conditi di tutte le sorti.

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Le Cipolle sono di grandissimo uso nelle Cucine, non essendovi vivanda in brodo dove non abbiano luogo, come si è veduto nel discorso dei Trattati di tutte le carni. Ma oltre questi usi delle Cipolle, possonsi preparare moltissime Vivande ancora.

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Le Ciriegie e le Visciole sono buone a farne potaggi cotti in buon brodo. Se ne fanno Torte, cuocendole prima in giulebbe. Son piacevoli bollire in vino con zucchero e cannella. Col sugo delle Visciole se ne fan salse sopra fritture e ad uccelletti arrostiti.

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Li Colì e le Purè, che qui si descrivono, posson servire non solo nelle zuppe, ma ancora sopra tutte le carni, pesci, uova ed erbe. L’avvertenza sarà di saperle adattare e destinarle in modo che possono essere analoghe alle cose che si voglion condire, acciò possan riuscire di gusto al palato.

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Animali testacei i cui corpi sono molli, senza sensibili articolazioni, e ricoperti in tutto, o in parte da un inviluppo di sostanza dura, di natura cretacea, che nominasi conchiglia. Questo nome generico per altro comprende qui soltanto quelle famiglie di conchiglie, i di cui animali vengono mangiati crudi, o cotti. Il Signor d’Argenville si estende moltissimo sulla descrizione delle conchiglie, e ne forma un sistema sopra osservazioni paragonate, e rettificate dietro a quanto hanno detto i più celebri Naturalisti; ma siccome questo non è il luogo, onde diffondersi sopra una materia cotanto vasta, parlerò soltanto di quelle che ci servono di alimento. Le conchiglie dunque i di cui animali sono buoni a mangiarsi vengono indicate fra noi sotto le respettive denominazioni di Ostriche, di Came, o Peverazze, di Soleni, o Cannolicchi, di Foladi, o Dattili di mare, di Spondili, di Gongole, di Telline, di Mitoli, di Pinne, o Buccardini, di Fontrivole, di Muscoli, o Cozze di Taranto, di Lepas, o Patelle, di Pettini, o Cocciole, di Balani, o Ghiande di mare, di Echini, o Ricci di mare, di Volute, o Sconcigli, di Viti, o Maruzzelli, di Nerite, o Chioccole, di Lumache ec. Si dividono codeste Conchiglie in tre classi, cioè in Univalve, in Bivalve, e in Moltivalve: le prime sono quelle la di cui conchiglia è composta di un solo pezzo, le seconde di due pezzi, e le terze di molti pezzi. Di tutte queste conchiglie io qui farò menzione soltanto di alcune di esse le più importanti; mentre la maggior parte apprestandosi come le Ostriche, le Came, le Cozze, le Telline, i Cannolicchi, le Gongole, le Cocciole, i Dattili, le Ghiande ec. sarebbe un ripetere le medesime cose.

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Le Cotogne, cotte sotto le braci e poi giulebbate, servono per ripieno di Torte. Così cotte e fettate, si servono in frittura. Cotte in vino si servono con Colì di Vitello o con salsa agro-dolce, o pure con mele o zucchero. Con il loro sugo se ne fa gelo, facendolo cuocere in giulebbe. Se ne fanno anche salse e sapori. Bollita la polpa delle Cotogne con mele, se ne fa Cotognata da servirla tutto l’Anno.

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Sono queste conchiglie del genere delle bivalve, e della famiglia delle Came; hanno una grandissima corelazione con i Muscoli, se non sono i Muscoli stessi. Nascono nel picciolo golfo di Taranto all’intorno de’ scogli, da cui ritraggono il nome, e si nutriscono di un poco d’acqua marina. Queste conchiglie sono ovali regolari, ed in ciò differiscono alcun poco dai Muscoli; le più grandi non eccedono la lunghezza di due pollici; sono sottili e leggiere; nere o torchine al di fuori, e quasi sempre ricoperte di lanuggine, o di musco; al di dentro liscie e risplendenti, e d’un bianco celeste. La carne che contengono è grande come una grossa fava; pallida allorché è cruda, ma cotta diviene color di rosso d’uovo; di un sugo ottimo e copioso, molto nutritiva, grata al gusto, e non tanto dura alla digestione. La loro stagione migliore è nella Primavera. Vengano tali conchiglie trasportate, e regalate come una cosa rara. Ecco in succinto ciò che riguarda le Cozze di Taranto. In quanto ai Muscoli, così chiamati da’ Latini a motivo della similitudine, che hanno coi muscoli del corpo umano, solo variano, che se ne distinguono di due specie; cioè di mare, e di acqua dolce. Quelli di mare sono i migliori, e somministrano più copioso nutrimento. Quelli di acqua dolce sono di carne dura, e difficile a digerirsi, a cagione di un sugo vischioso, gommoso, ed insipido che contengono. I marittimi sono in ogni tempo buoni a mangiarsi, ma i migliori di tutti sono quelli, che si prendono nell’Oceano Germanico, e nel mare Mediterraneo. Queste conchiglie si mangiano cotte: sono buonissime nelle zuppe di magro, arrostite nelle proprie conchiglie, ed apprestate in tutte quelle maniere, che le Ostriche, e le Telline; debbano essere però freschissime.

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Le creste dopo pelate nell’acqua bollente, le potrete cuocere in bresa, e servirle salseggiate con qualunque culì, salsa, o purè. Sono ottime ancora ripiene di farsa, cucite, cotte in bresa, e servite come sopra. Potrete ancora friggerle dopo cotte ripiene, o senza riempire, tanto indorate, che appannate, o con la pastella. Finalmente potrete formarci crostini, ascì, fritture, ed altre vivande, come trovarete nella descrizione di apprestare varie carni nel cap. dei Piatti composti. Le creste ripiene, o senza riempire, sono di vago ornamento ad un infinità di piatti, granade, certrose ec.

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Ciascuna cottura del zuccaro ha il suo uso, esse si sieguono tutte a misura che continuano a bollire. Dopo di averlo chiarificato, come dissi, rimettetelo al fuoco per farlo bollire. La prima cottura si chiama il piccolo lissè, che si conosce immergendovi dentro un dito, e toccandolo con l’altro, ed apriteli per osservare se forma un piccolo filo, quale si rompe, e si ritira in goccie sulle dita; la seconda che si chiama il gran lissè ha un bollo di più, ed il filo non si rompe così facilmente, e si stende di più nelle dita. La terza che è il piccolo perlato ha un bollo di più, e si conosce facendo la stessa operazione il filo non si rompe. La quarta che è il gran perlato si conosce quando bollendo il zuccaro forma delle piccole perle rotonde, ed elevate. La quinta è la piccola, e grande coda di porco che si conosce facendolo bollire un bollo di più; e prendendo del zuccaro colla mestola, poi lasciandolo cadere forma la coda di porco. La sesta è il soufflé, il che conoscerete continuando a farlo bollire, e immergendo la mestola, o sia schiumarola nel zuccaro, soffiando a traverso i buchi ne vederete uscire delle scintille di zuccaro, o siano specie di piccole botti. La settima, che è la piccola e gran piuma, si conosce come la precedente, colla differenza che le specie delle piccole botti devono esser più forti, e per la gran piuma immergerete la mestola nel zuccaro, e sbattendo colla mano ve ne deve uscire delle scintille lunghe che si uniscono insieme levandosi in aria. La ottava, che è il piccolo e grosso boulet, il che si conosce facendo bollire ancora un poco; proccurate di avere a voi vicino dell’acqua fresca, dove v’immergerete dentro due dita, mettendoli velocemente nel zuccaro, e ritirandoli subito nell’acqua fresca; il zuccaro che voi avrete preso lo rimenerete colle dita, ed essendo freddo deve essere come una pasta molle, nella stessa maniera deve essere il grosso boulet ma la pasta più ferma. La nona cottura è il cassè, e si conosce nella stessa maniera che il grosso boulet, con questa differenza che la piccola palla rinfrescata bisogna che si rompa premendola colle dita. La decima, che è il caramel, è poco differente dal cassè; vi è il caramel oscuro che si fa in differente maniera, bisogna solamente mettere del zuccaro con acqua, e farlo bollire a gran fuoco finché sia pervenuto al grado di colore che voi bramerete. Quando alle volte avreste mancati i gradi di cottura che vi vogliono fare si rimette alquanto di acqua nel zuccaro, riducendolo alla sua consistenza con farlo nuovamente ribollire.

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Le farse altro non sono, che carni piste, le quali servono per ripieno di erbe, pollaria ec., come ancora se ne fanno fritture, terrine, ed altri piatti. Di tante farse antiche, che si usavano, e che altro non facevano, che aggravare i stomachi i più robusti, grazie al progresso dell’arte, si sono ridotte a pochissime, le quali sono ottime, e leggiere; onde ve le descrivo qui appresso.

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Le fave fresche sono dell’istesso uso dei Piselli e Ceci: secche si possono servire come i Ceci. L’usitata maniera, quando son secche, è di formarne pottaggio in olio, specialmente se si frangono, condendole con olio, cipolla, foglie di alloro e pepe.

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Fate una forma con un foglio di carta bianca, che lascierete in doppio, e piegherete tutto all’intorno, facendo un bordo alto due dita, come se voleste fare un tamburro, o sia cassa; fate le forme della grandezza delle foccaccie che volete fare; per una foccaccia mezzana mettete una libbra di zuccaro in una pentola, con un bicchiere d’acqua; fatelo bollire, ed ischiumatelo bene finché immergendo la mestola dentro nel zuccaro, e soffiando a traverso de’ buchi si stacchino delle grandi scintille, e si uniscano le une con le altre: aggiugnetevi allora quattro oncie di foglie di fiori di melarancio, e fatele bollire fin a tanto che il zuccaro ritorni allo stato di prima; ritiratelo dal fuoco, volgendolo bene con una spatola, fregando tutto all’intorno della pentola, e nel mezzo finché il zuccaro incominci a divenire più consistente, allora aggiugnetevi alquanto di zuccaro fino, stemprato con un bianco d’uova, volgendo bene il tutto insieme, versando poscia la foccaccia nella forma, fate che il disotto della foccaccia nella pentola resti per disopra nella forma, mentre è caldo; la foccaccia di viole si fa nella stessa maniera, vi bastano però per quattr’oncie di viole dieci oncie di zuccaro. Così pure si fanno le foccaccie di fiori di melarancia abbrustolite; facendo abbrustolire il fiore con alquanto di zuccaro, prima di metterlo nell'altro zuccaro.

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Le foglie di Vite servono a far frittelle; tramezzando, tra due foglie di esse, marmellata di cedro, portogallo o qualche farsa di carne, pesce o di latticini, e passate nella pastetta o infarinate e dorate, si friggono nello strutto. Con i Tralci di Vite si servono anche lessi e zuppe, cotti prima in brodo. Sono ottimi anche in frittura, con bianchirli prima e poi friggerli con pastetta o pure infarinati e dorati.

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Sono queste conchiglie della classe delle bivalve. Se ne distinguono di due specie, cioè di pietra, e di arena. La prima specie appena sviluppatasi mediante un sugo glutinoso ch’esce dall’animale si attaccano alle pietre, e ai sassi subaquei; e questo sugo essendo inoltre caustico si forano né sassi medesimi ognuno una tana da se, in cui crescono fino ad avere un pollice, o più di lunghezza. La tana s’ingrandisce a misura dell’ingrandimento dell’animale, il quale a cagione della picciolezza del foro non può più quindi uscire. Così i Dattili passano come imprigionati tutto il corso del viver loro. Nell’Adriatico, e segnatamente sulle coste della Dalmazia, e del Piceno, ve ne sono in grandissima quantità, come lo stesso in porto Venere. Per cavar fuori queste conchiglie si leva il sasso dall’acqua, si rompe in pezzi con maglio, o picco di ferro, e così si prendono i Dattili. Quelli di arena si prendono sulla spiaggia del mare, come le Telline. I Dattili sono ottimi per brodi, e zuppe di magro, ed anche apprestati in altre maniere, come le Telline, e le Ghiande di mare: essi sono molto ricercati per essere di ottimo sapore, benché Ateneo dica che sono grati al palato, ma di cattivo sugo.

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Le fragole, lavate con vino generoso, condite di acqua di cannella e zucchero, si servono gelate sopra fette di pane di Spagna. Con lo Fragole si fanno varie Torte e con il loro sugo se ne fanno sapori.

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Prendete degli uovi quanti ne vorrete, e metteteli in una casseruola con sale fino, e sbattendoli bene; fate liquefare il butirro in una pentola, mettendovi dentro gli uovi, e fateli cuocere finché la frittata sia ben colorita di sotto, e poi rinversatela nel piatto che dovete servire. Per quelli che amano il prezzemolo, e cipollette si triturano ben fine, e se ne mette dentro. Se volete fare delle frittate più distinte, come al lardo, di rognone di vitello, di punte di sparagi, di tartuffi, o di funghi ecc. bisogna che l’intingolo sia cotto, e condito, come se allora doveste servire, raffreddato che sia trituratelo fino affinché s’incorpori bene cogli uovi, sbattendo bene il tutto insieme, facendo questa frittata nella pentola come le altre; vi regolarete per il condimento in ciò che vi entra nell’intingolo per salar la frittata, acciò non vi mettiate troppo sale. Quelle che si fanno per la farsa di lattuca, o cicoria si fanno in differente maniera. Farete tutti questi intingoli in magro come s’è detto a ciascun articolo di queste erbe, e le aggiustarete nel piatto che dovete servire, mettendovi sopra una frittata, dove non vi entri che uovi, e sale, e servitela per hors d'oeuvres, e le precedenti per tramesso. Le arringhe per le frittate apritele per il dorso, e fatele arrostire, poi trituratele, e mettetele nella frittata come se metteste del giambone; non mettendovi sale nelle uova; questa frittata si finisce come le altre; quella del giambone si fa nella stessa maniera.

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Avvertite che le fritture alla pastina debbono essere di bel colore e crocanti e non ontuose, e vanno sopra le salviette e si serviranno con sopra presemolo, o foglie di sellero o foglie di salvia fritte. Le fritture poi dei crochetti debbono essere mostose nel suo composto; e friggendoli siano crocanti e di un bel colore d’oro, si monteranno sopra salvietta. Le fritture che si fanno cuocere al plafon-sauté o nella padella o nella tortiera si deve avere la precauzione che non restino asciutte di butirro, ma piuttosto procurare che il butirro non divenga nero; servitele con spremuta di limone, versandovi sopra lo stesso butirro ove furono fritte. Tutte le altre fritture procurate che siano ben manipolate d’un gusto delicato e ben montate.

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La miglior Gallin’a mangiare è la nera, con cresta doppia e diritta, e che abbia il becco rosso: ciò insegna l’esperienza. La sua stagione è nello Inverno ed in parte della Primavera.

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Difficilmente si conserva questo frutto, e si può conservare come le lazzarole.

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30. Osservate che questo uccello, come pure il grugnetto deve essere fresco, perché se fosse passata la maturanza sarebbe difficile a falsirlo ed empirlo, e poi nel cucinarlo si romperebbe. Conviene sì l’uno che l’altro farlo cuocere alla brasura alla predouillet (cap. 22 n. 1). Cotto, montatelo al piatto e servitelo colla sua sostanza passata al sedaccio.

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Conchiglie della classe delle bivalve. Plinio, ed Aldovrando ne distinguono dieci specie, che si possono dividere in Scambrose, o Striate Rugose, e Liscie. Codeste conchiglie variano ancora fra di loro per la figura, per il luogo, per il colore, per l’animale che le abita, e per il sapore del medesimo. In Napoli se ne conoscono di due specie, sotto le denominazioni di Gongole comuni, e di Gongole veraci. La carne di queste conchiglie è di un copioso, ed ottimo sugo, commendabile cruda, e cotta, ed ha quasi lo stesso sapore, che quella dell’Ostrica, e dello Spondilo. Si apprestano come le Cozze di Taranto, come le Telline, ed anche in alcuna maniera come le Ostriche.

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Bianchite ed asciugate, l’Indivie si riempiono con farsa di petto di Cappone pesto con grasso di Vitello, panna di latte, gialli di uova e spezie; ripiene si fanno cuocere lentamente con brodo di Cappone e s’imbandiscono con crema di latte e gialli di uova.

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Deve il Credenziere avvertire, che le insalate crude, le quali deve servire in tavola, siano ben lavate, indi asciugate, e capate con gran diligenza, dovendosi servire altro che la sola parte più tenera, e delicata dell’erba, gettandone come inutile l’altra più dura, oppure scura. Tutte le insalate cotte si debbono cuocere con acqua che bolla, altrimenti perdono il bel colore verde, e si procuri di servirle calde. Si avverta ancora di accomodar bene con simetria le insalate nei tondini, mentre ancor questo fa un bell’effetto in tavola.

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Delle uova e del fegato della Testuggine se ne posson fare frittelline passate nelle uova e pane grattato, ma prima tritulate con erbe. Del sangue se ne fanno Sanguinacci o Budin, come si è detto di quello del Porco.

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Sono le Lamprede stimatissime, in particolare quelle che si pescano nella Primavera.

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Le lazzarole non tanto mature, le potrete conservare dentro un barile tramezzo la sabbia asciutta; indi otturate il barile con il coperchio, e tenetelo in luogo fresco, ed asciutto.

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Conchiglie del genere delle univalve, i di cui animali diconsi testacei. Si ritrovano nel mare, ne’ fiumi, e nella terra; ma qui non parlerassi, che di quest’ultime; imperocché le marine si possono apprestare come le Nerite, o Chioccole, e le fluviatili non sono in uso fra cibi. Le terrestri dunque variano nella grandezza, colore, figura, luogo, nutrimento, e vita. Sono, o nere, o bianche, o gialle, o rosse, o varie, o nude, o vestite. Si attaccano al fico, all’alloro, alla vite, alle siepi, e a schiere sulle foglie de’ cardi. Nell’Inverno per il freddo si ritirano sotto terra, e nell’Estate si dilettano di luoghi ombrosi, e freschi: esse vivono del loro succo. Le più grosse, e stimate sono quelle di Sardegna, di Africa, di Sicilia, di Scio, delle montagne di Genova, e di Norcia. Erano le Lumache molto in uso sulle tavole degli antichi Greci, e Romani: questi ultimi ne componevano diverse vivande dopo di averle fatte ingrassare di una maniera particolare in certe specie di sotteranei destinati a tal’uso. Intorno alla loro carne non sono d’accordo i Scrittori se sia di buono, o di cattivo sugo. Celso dice ch’è buono. Galeno asserisce ch’è cattivo. Dioscoride ch’è utile allo stomaco, e Mattioli ch’è più buono, che cattivo; ma nonostante tanti pareri diversi, tutti i moderni medici convengono, che la carne delle Lumache è assai pesante, e difficile a digerirsi; che non pertanto nutrisce molto, ma che facendone un uso troppo grande genera la nera bile. Ecco cosa dice Mr. Andry sopra le Lumache: questi animali sono di una sostanza si vischiosa, e mucillagginosa, che malgrado tutte le diligenze, che gli si usano nel cucinarli, non possano produrre nel corpo, che degli umori, grossolani, e di cagionare delle ostruzioni considerabili nelle principali viscere. Alcuni consigliano agli Eteci, e a quelli che vogliano ingrassare di mangiare delle Lumache; ma questo nutrimento è troppo difficile a digerirsi per essergli proprio, ed è con ragione che de’ saggi, e dotti medici le condannano, come pericolose in queste occasioni. Del rimanente se questi animali non sono salubri in alimento, hanno il loro gran merito in medicamento, e se ne preparano dei brodi, che sono molto propri per addolcire le acrimonie del petto, per ingrossare gli umori troppo affinati, e per procurare il sonno. Le stagioni loro più proprie sono la Primavera, e l’Autunno, e le migliori quelle che si prendono nelle vigne, siepi, e luoghi montuosi. Quelle di Norcia, e di alcune altre montagne sono molto stimate per il loro squisito sapore, e grossezza. Quelle di vigna, e di siepi le meno mal sane, ma né le une, né le altre meritano luogo sopra mense delicate.

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Con le mandorle si fa latte per cuocere Pottaggi e formar Creme. Peste le Mandorle se ne fanno Torte, paste Croccanti, Gattò, Cialdoni ec. Tagliate a filetti si fanno Grillaci ed altre cose a piacere.

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Tra le Mela sono ottime le Alappie perché odorifere. Con esse mela, cotte in giulebbe, se ne fa Torta; marinate con zucchero e spirito di vino se ne fanno bignè nella pastetta; tagliati a fette si servono in frittura; cotte al forno si servono con zucchero e con il loro sugo se ne possono fare sapori.

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Le mele ancora quando non saranno tanto mature, potrete conservarle sopra le stuore di paglia, ponendole bene discoste, una dall’altra, avendo però attenzione di tenerle in una camera asciuttissima, e che non sia ventilata. Nel conservare tanto le pere, che le mele si deve stare molto attenti di levar subito quelle che potessero cominciare a guastarsi.

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Conchiglie della classe delle univalve, elegantissime per i vari colori. Se ne distinguono di grandi, e di picciole, di rotonde, e d’inanellate all’intorno. Generano nelle fissure cavernose degli scogli, e veleggiano sopra all’acqua colle loro conchiglie. La loro carne è polputa, tenera, e di buon sapore. In Grecia si mangia cruda, e per eccitare l’appetito la condiscono colla cipolla; cotta però è molto migliore, e più grata, più amogenea allo stomaco, e si digerisce con più facilità. Sotto il nome di Nerite vengono comprese anche le Chioccole, apprestandosi nello stesso modo. Si debbano scegliere recentemente sortite dal mare. La loro stagione migliore è nel mese di Ottobre.

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Si conservano dentro la sabbia, nesse pignatte ben chiuse.

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Con le Noci, nette e peste con un senso di aglio e maggiorana, si fa sapore per sopra lessi. Peste le Noci, e fattone latte con acqua, serve questo per cuocere potaggi di zucca, riso, miglio e farro. Si fan cuocere le Noci con zucchero alla caramella.

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Le Ortiche marine sono del genere de’ Zoofiti, ossiano Pianteanimali. Se ne distinguono di varie specie: alcune sono picciole ed ottime a mangiarsi, altre grandi ma dure: alcune attaccate fisse ai sassi ne’ seni cavernosi del mare: altre camminano, ed amano la spiaggia in cui vanno vagando. Secondo Rondelezio alcune rimontano i scogli, ed altre vi stanno fisse, come l’Ortica picciola, che trovasi nascosta nelle fissure de’ sassi: come quella che nasce attaccata alle Porpore e Buccini: e come la cenerina a lunghi ricci. Quelle, che cambiano di luogo, e vanno vagando, come l’Ortica porpurea, vengono appellate volgarmente Ortiche libere. L’Ortica picciola appena supera la grandezza di due noci, tutta carnosa, con breve riccio, e di colori vari, essendovene delle turchine, delle verdi, delle tendenti al nero, ma sparse di alcuni puntini azzurri biondi e rossi. L’Ortica cenerina prende il nome dal suo colore, ed è sottile come una fronda, con molto riccio, e poca carne. L’Ortica porpurea, ossia Fenicea detta d’alcuni Rosa, e le altre dette Posterole, non variano della prima, che per la lunghezza, e copiosità delle foglie. L’Ortica che nasce attaccata alle Porpore e Buccini ha la parte esterna dura, rigida, e soda, ed ha intorno brevissimo riccio. Bellonio riferisce alle Ortiche picciole quelle che sono di corpo rotondo spruzzate di rosso, ed altre di più granelletti azzurri all’intorno con molti ricci, e grandi come Scarafaggi. Del genere delle picciole è ancora la cenerina di Rondelezio, la quale nasce ancora fra sassi, e con pochissimi ricci, fatta a foggia di cappello, colore di scarlatto, eccettuata la sommità, che è verde con una nera e rotonda macchia. L’Ortica libera ha la figura di un polipo allorché resta sospesa, il suo colore è di un vitreo lucido, la sua forma superiore è rotonda e l’inferiora concava a foggia di conchiglia, ed il riccio a modo de’ Polipi. Tutte codeste Ortiche si mangiavano una volta, e si mangiano ancora presentemente. Pitagora ne vietò l’uso a’ suoi discepoli, a motivo, come dicesi, che eccitano stimoli venerei, ed anche perché erano consagrate alla Dea Ecate. Asserisce Aristotile, che sono molte buone dopo l’equinozio Invernale, e Senocrate, che sono grate al gusto, ma che non convengono allo stomaco. Difilo poi dice, che nettano il ventre, e che provocano l’orina. Le migliori, e le più stimate sono le piccole, di qualunque specie di sopra accennate, e segnatamente la picciola propriamente detta. La migliore maniera di mangiare le Ortiche marine, è quella di nettarle, e lavarle bene, tagliarle in pezzi, allessarle all’acqua bollente, scolarle, asciugarle, infarinarle, farle friggere nell’olio ben caldo, o nel butirro, o nello strutto, e quindi condirle con pepe schiacciato, e sugo di limone; ovvero dopo fritte servirle con sotto una Salsa verde fredda, o una Remolada fredda. Alcuni dopo allessate, e asciugate le apprestano come i funghi, e come i frutti di mare ed altri le nettano e le tagliano dopo lavate, ed allessate.

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Le Padelle si posson servire per condimento di varie vivande in umido e ne’ Pasticci caldi.

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Le Pastinache per lo passato sono state riputate vilissime, ma ora se ne fa non poco uso nelle cucine nobili. Nette le Pastinache al di fuori, e spaccate per metà, se ne toglie il midollo e si bianchiscono in acqua con sale; si tagliano in pezzi, e passate con grasso, erbette e spezie, si finiscono di cuocere in un Colì di presciutto con quantità di targone trito, e così si servono.

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Le Pera sono ottime per la Cucina: con queste si fanno pottaggi in buon brodo. Cotte in vino bianco se ne fa sapore. Farsite a piacere si cuocono in un Colì di presciutto; si servono in frittura e cotte in giulebbe se ne fa Torta.

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Abbiate due boccali di acqua con due libre di sale marino dentro, e quindi ponetela sul fuoco in uno stagnato; allorché bollirà assai forte poneteci le pere non molto mature, e dopo un minuto levatele subito, e legatele per il gambo, attaccandole per aria separandole una dall’altra in una camera asciuttissima, e che non v’entri aria, e così le potrete mantenere per molto tempo. Potrete ancora mantenere le pere immature sopra le stuore di paglia, tenendole separate una dall’altra, osservando, che la stanza sia molta asciutta, e riguardata dall’aria.

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Le Pesche, cavatone l’ossa, si possono farsire e cuocere con Golì di Vitello; si cuocono con butirro e si servono con parmegiano; si servono in frittura con pastetta o senza; si cuocono con latte e si servono con Crema. Cotte in giulebbe, si servono con pasta di merenghe o pure per ripieno di Torta.

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Conchiglie del genere delle bivalve, dette volgarmente in Napoli Conchiglie spere. Rondelezio ne distingue tre specie, Bellonio due, e Aldovrando quattro. Io per non entrare in sì fatta descrizione, che sarebbe molto lunga, dirò, che codeste conchiglie poco variano nella loro figura aculeata, o a cuore, ma bensì nella grandezza, ne’ colori, e ne’ capillamenti. Nell’Adriatico non si trovano, o almeno vi sono rare, abbondano peraltro ne’ golfi di Lione, e di Napoli. L’interno di queste conchiglie è a guisa dello Spondilo, e l’animale che racchiude è come quello dell’Ostrica. Vivono fisse in luoghi del mare arenosi, fangosi, e fra i scogli. Secondo Wottono quelle prese l’Estate in siti paludosi, tranquilli, e privi di vento, ed ove mescolansi l’acqua de’ fiumi con quella del mare sono piene, polpute, e tenere. Le picciole, e le mezzane sono migliori delle grandi: hanno la carne delicata, bianca, e dolce. Quelle che si prendono nella Primavera, e nell’Estate sono più grate ai gusto, più piene, e di maggior pregio. Dice Ateneo, che la carne de’ Chori, o Buccardini è difficile a digerirsi, ma che provoca l’orina, e che sia di buon nutrimento. Queste conchiglie si apprestano come le Cozze di Taranto, e in molte maniere come le Ostriche: bisogna però ben nettarle al di fuori, e aprirle sopra il fuoco in una cazzarola.

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Le Pollanche per uso di un maggior delicato e particolar cibo si possono castrare, siccome si fa a’ Galletti. Se le fa al basso ventre un taglio a traverso, e per là, con una veloce maniera, se le toglie una certa pellicola ch’è propriamente la madrice, la quale trovasi tra l’intestino golo e li reni. Tolta questa, si cuce, giusta la maniera de’ Galletti, e si mette al governo giornaliero di grano, ec. Segno che queste Pollanche capponate siansi già ingrassate è che debbonsi ammazzare, e appunto quando van girando intorno al covo in atto di voler far le uova. Sicché, osservato in loro un tal movimento, ammazzar assolutamente si debbono, altrimenti si ammalano e se ne muoiono.

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Cotte le Prugne in vino, si servono con salsa agrodolce. Cotte in giulebbe, si servono con Crema di pistacchi o pure in Torta. Sono buone per far sapori e salse. Secche le Prugne, si servono dentro i ragù di grasso e di magro.

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Ponete le prugne con il loro ramette dentro una cassetta, e le sospenderete sopra piccoli legnetti ivi accomodati; indi chiudete la cassetta, incatramate le fissure, ed involtatela dentro la paglia; coprite la cassetta con sabbia asciutta, che le prugne si conservano a meraviglia.

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Allorché avrete cotto con acqua il legume, o erba, con che vorrete fare la purè, scolatela bene, e passatela dentro una cazzarola, con butirro, erbe fine, sale, pepe pesto, prosciutto, qualche garofano, e spicchio d’aglio, e quando sarà bene il tutto rosolato, ed insaporito sopra un fuoco moderato, bagnate con sugo, e brodo buono; fate bollire dolcemente, e quando sarà ben cotta, passate con espressione forte per setaccio di crino; tornate poi a mettere la purè dentro una cazzarola, e fatela ribollire adaggio per digrassarla, e depurarla; indi servitevene per salsa, o zuppa, secondo vi occorrerà. I legumi freschi, come piselli, fava, cipolle, zucchette, porri, ed altre erbe simili, si passano con la sostanza senza allessare. Si avverta, che le purè, le quali si servono per salsa, devono essere più legate di quelle che servono per zuppa. Si può ancora per infittire certe purè, mettervi qualche crosta di pane fritto, o senza friggere ancora; come pure nelle purè di legumi prima di passarle, vi sta molto bene un odore di foglia di sellero, ma però nella lenticchia il sellero, nei piselli, e nella fava l’aneto, e così discorrendo, secondo il gusto di chi deve mangiare. Le purè ancora, si variano dal grasso al magro, come i culì.

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41. a) Si servono arrosto per entrée con foglia di vita e fetta di lardo. Fate un letto con poco butirro, fette di vitello, un mazzetto guarnito, fette di lardo, poco sale, mezzo bicchiere di vino bianco, un cucchiaio di brodo e unitevi le quaglie pulite e trusciate, fatele cuocere a lentissimo fuoco; cotte, ritiratele, sgrassate il fondo e ristringetele se abbisogna, montatele sul piatto e versate sopra la salsa con crostoni.

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Arrosto = Spennate, sventrate, e fiambate le Quaglie, e Quagliardi, copriteli con una fetta di lardo, e una foglia di vigna, in guisa che non si vegga della Quaglia, o Quagliardo, che le zampe, le quali averete pelate, e spuntate le dita, fate cuocere Arrosto, infilate ad uno spiedino, e questo ad uno grande: verso la fine della cottura spolverizzatele di mollica di pane grattato se volete, fate prendere un bel color d’oro, e servite subito. Potete infilare le Quaglie senza fiambarle, se non volete che si squagli il loro grasso.

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Le quaglie devono essere morte un giorno per l’altro.

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Le Rane si pescono in tutto l’Anno ne’ fiumi e ne’ laghi. Nella Lombardia sono grossissime e si mangiano da tutte le persone con desiderio e piacere. Se ne posson fare delle variate vivande sì fritte che in umido, simili a quelle de’ Pesci, che riescono gustose, come anche delle zuppe.

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93. Le rape si faranno cuocere al forno od alla bornice, che saranno di miglior gusto e si potranno servire colla basciamella o con formaggio e butirro.

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La bontà delle Rape consiste in questo, che sieno e dolci e tenere; così sono buone da grasso e da magro.

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Se ne fanno delle Sorbe, sapori e salse per vivande in arrosto e fritte. Nette dalla pelle e semi, se ne fanno Torte; mescolata la polpa delle Sorbe con latte ed uova, se ne posson fare Budin. Cotta in giulebbe la polpa di esse, se ne fa marmellata.

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Varie sono le specie di questi Crostacei, distinti secondo Rondelezio, Jostonio, ed altri Autori in Squilla lata, o Ursa, in Carangone, in Squilla gibba, in Squilla parva, e in Squilla mantes. Tutte queste Squille vengono denominate volgarmente Canocchie, e Gamberelli. Nella prima classe sonovi quattro specie di squille, indicate sotto la denominazione di Squilla lata, o Ursa, e le altre sono tutte una specie di Gamberelli. Vivono questi Crostacei in mare paludoso e sassoso, se ne trovano nell’oceano Germanico, e Gallico, nel mare Tirreno, e Adriatico. Si nutriscono di carne di ostriche, e di alga di mare. Giovenale nomina le Squille un pesce prezioso, e Apicio tanto le aveva in pregio, che navigò sino in Africa sulla supposizione, che colà fossero più grandi, che in Italia. Benché non si possa negare, che la carne di codesti Crostacei sia di un gratissimo e saporoso cibo; nulladimeno si digerisce difficilmente, nuoce allo stomaco, ed eccita desideri venerei. Vogliono peraltro, che il suo sugo sia dolcificante, utile al petto, e assai favorevole agli Etici.

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Antremè. Con la pasta sfoglia, mezza sfoglia, a vento, all’Inglese, frolla, croccante, di marzapane ec. si fanno le tartellette in più maniere, cioè coprite il di dentro delle piccole stampette con una sfoglia di quella pasta, che vorrete, riempitele di una crema fredda, o di una marmellata, o di qualunque composizione, che trovarete accennata nelle torte servite per antremè qui avanti descritte, copritele con l’istessa pasta, fatele cuocere al forno, e servitele. Potrete ancora fare delle tartellette scoperte con le paste suddette; onde per i ripieni a ciò adattati, vi regolarete dalle torte servite per antremè, qui avanti accennatevi. Si apprestano ancora le tartellette vol-o-vant, che si fanno con coprire il di dentro delle stampette con la pasta, che vi vuole; indi si fanno cuocere, e si servono ripiene al momento di dare in tavola con una crema, o con una gelatina, marmellata, sorbetto ec., e si servono scoperte; oppure coperte con coperchi cotti a parte dell’istessa pasta ben decorati, ed intagliati con galanteria, e buon gusto.

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Sarebbe qui veramente un ripetere le medesime cose, dopo avere descritto questo genere di pasticcieria alquanto diffusamente nel Tom. IV. Cap. IV., non variando una gran parte di dette Tartellette, che per la pasta di mandorle, o croccante, le quali paste le preferisco alla pasta frolla all’olio, benché quella alle mandorle non vi sia tanto male; ciò nonostante dirò qualche cosa in generale.

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Sono queste Conchiglie del genere delle bivalve molto abbondanti sulle spiagge del mare Tirreno, e segnatamente verso lo stato Pontificio; non meno, che nell’Adriatico dalla parte di Venezia, ove vengono appellate volgarmente Capperozzole. Se ne distinguono di varie grandezze, specie, e colori, che Ateneo, e Rondelezio restringono a due sole specie differenti, cioè Marine, e Fluviateli, ma queste ultime non sono punto stimate fra noi. Le prime si dilettano di stare in luoghi arenosi del mare, ove vengono prese. Le recenti, secondo Dioscoride, sono assai grate allo stomaco, specialmente il loro sugo: sono esse di un sapore dolce, appetitose, facili a digerirsi, somministrano ottimo alimento, e lubricano il ventre. Sono buone tutto l’anno, ma più nella Primavera. Si nutriscono di acqua marina, e di arena. In Roma si abbonda di questo frutto di mare, più, che in qualunque altro luogo, e segnatamente ne’ mesi di Marzo, e di Aprile. Le Telline sono eccellenti per brodi, e zuppe di magro, ed apprestate ancora in moltissime altre maniere. Si debbano scegliere freschissime, grosse, e pesanti. Per conservarle qualche poco di tempo si debbano tenere legate assai strette in un sacchetto, ed in luogo fresco.

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Antrè = Queste si apprestano nello stesso modo, che quelle di grasso, e solo variano, che non si cuoprono di fette di lardo, ma con un poco di butirro fresco, e si servono con una Salsa, o un Ragù di magro.

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Antrè = Fate un condimento, come quello de’ Pasticci di pesci di grasso pag. 221. ma con olio in luogo di butirro, e senza prosciutto, fateci sudare un istante il pesce quanto imbianchisca, condite di sale, e pepe schiacciato. Abbiate una pasta sfoglia all’olio pag. 219.; stendetene sopra una tiella, o piatto di rame, o di argento unto di olio, una sfoglia assai sottile, quindi ungetela bene sopra con un mazzetto di penne bagnato in olio fino, ponete sopra un’altra sfoglia, ungete di nuovo, e così continuate fino a sette o otto sfoglie; stendete sopra all’ultima mezzo dito di Farsa di Chenef di pesce fatta all’olio. Vedetela alla pag. 41. Tom. IV., aggiustateci sopra il pesce suddetto, ponete nei vani qualche picciola Chenef fatta colla medesima Farsa, e formata sopra la tavola della pasticcieria, con un poco di farina, aspergete ovunque con tutto il condimento del pesce, coprite con altrettante sfoglie di pasta unte nella stessa maniera, rifilate all’intorno, ungete bene sopra con olio, e dopo qualche poco dorate con bianco d’uovo sbattuto con un poco d’acqua di zafferano; fate cuocere al forno di bel colore. Nel momento di servire scoprite, levate il limone, e alloro, digrassate bene, e versateci una buona Salsa, o un Ragù di magro. I Frutti di mare, i Tartufi, i Prugnoli, le code de’ Gamberi, i Latti e fegati di pesce ec.; sono ottimi da mettere in Ragù per queste Torte. Le Salse migliori sono un Culì di Gamberi, di Pomidoro, alla Carpe ec., o una Salsa alla Spagnuola, o Italiana rossa, o Ascè ec.

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Antrè = Fate sudare un istante, quanto imbianchischino, delle ruladine, o rocchi di pesce lardati di filetti di alici, in una cazzarola sopra il fuoco, con un condimento, come quello de’ Pasticci caldi di pesce di grasso pag. 221., condite con sale, pepe schiacciato; quindi stendete una sfoglia di pasta sfoglia, ponetela sopra una tortiera, o piatto di rame, o di argento, stendeteci sopra un dito di farsa di Chenef di pesce fatta al butirro. Vedetela alla Tom. V. pag. 78., aggiustateci sopra il pesce, con tutto il condimento, e ponete nei vani qualche picciola Chenef fatta colla farsa suddetta, e formata sopra la tavola della pasticcieria, con un poco di farina; coprite con fette di lardo, due fette di limone senza scorza, e mezza foglia di alloro, bagnate su gli orli con uovo sbattuto, coprite la Torta con un’altra sfoglia di pasta sfoglia, e finitela, doratela, fatela cuocere come quella di grasso Tom. IV. pag. 168.; nel momento di servire scopritela, levate il lardo, limone, e alloro, digrassatela, ponetela nel suo piatto, e versateci una buona Salsa, o un Ragù di grasso, ricopritela, e servitela subito.

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Antremè. Abbiate un Vol-o-vant, o sia una torta vuota di pasta sfoglia, o di pasta a vento, o frolla, o di pane di Spagna, o di marzapane, o di pasta di mandole, o croccante, o di pasta delle echaudè al forno, o come quella dei piccoli choux, ed al momento di servirla, riempitela di uovi alla neve, o di una crema, o di frutti sciroppati, o di spuma di latte, o di un sorbetto gelato ec., e mandatela subito in tavola.

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Antrè = Fate una Torta Vol-o-vant, come è descritta nel Tom. IV. pag. 276. Nel momento di servire scopritela, vuotatela, e riempitela di un Ragù di pesce di grasso, o di magro; ovvero con una coda di Ragosta alla Pulette, alla Vestale, al Verd-prè ec. Vedetele alle pag. 105. e 106., oppure con baccalà apprestato alla Crema, al Pere-moene, alla Provenzale, al Fiore di latte, al Culì di pomidoro ec. Vedete all’Articolo del Baccalà.

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Comprende questo nome tutta quella Pasticcieria, che si serve nel secondo servizio della menza, come ho accennato nel Tom. IV. pag. 253.

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71. Le tortorelle si possono cucinare nella maniera che si è superiormente indicata per i piccioni, solo che le medesime, essendo un poco selvatiche, conviene farle perdere il selvaggiume imbianchendole nell’acqua bollente, lasciandole per pochi minuti; indi si leveranno e si asciugheranno con una salvietta, poi si untano di butirro e si rasciugheranno, cucinandole poi a piacere come sopra.

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Siccome gli uovi affogati nell’acqua, cioè rotti nell’acqua bollente non restano ben rotondi, quando non sono freschi, e che amano meglio di mangiarli al guscio che sagrificarli in questa maniera ecco ciò che supplirà in luogo. Mettete dell’acqua in una pignatta, fatela bollire, ed allora mettetevi la quantità d’uova che vorrete, fatele bollire cinque minuti ben giusti, e ritirateli presto nell’acqua fresca per pelarli dolcemente senza guastarli; in tal guisa il bianco sarà cotto, ed il giallo sarà molle; ve ne accorgerete toccandoli con le dita, che sono flessibili, e molli; e serviteli intieri. Queste sorta d’uova si servono d’ogni maniera, con una salsa bianca, salsa verde, salsa al sugo colato, salsa ai cappari, ed acciughe, salsa all’agresto in grana, salsa Robert, salsa alle cipolline. Coll’intingolo di funghi, di tartuffi, di animelle di vitello, di sparagi, di cardi, di porri, di scelleri, di lattuche, di cicoria; in grasso, ed in magro, e d’ogni maniera che più vi aggradirà.

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Antrè, o Antremè Rifreddo = Come ho già accennato in più luoghi, le diverse variazioni, e decorazioni di queste fredde vivande, che negli eccessivi calori dell’Estate sono di non picciolo refrigerio al nostro corpo, dipendono del tutto dal genio, deligenza, e buon gusto di chi lavora, mentre in simili piatti non si può dare alcuna regola fissa; ciò non ostante in quanto alle variazioni dirò: che tanto i Malbrè, che le Insalatine, come i piccioli Malbrè, e finalmente le Galantine, e tutte le vivande all’Aspic si possono variare come si vuole: eccone una succinta descrizione. Tutto ciò che è glassato, o piccato e glassato, come Fricandò, Granadine di ogni specie, Animelle di Mongana, e di Capretto, Code di Mongana, e di Castrato, tutta sorta di Coscie, e Petti di Polleria, qualunque Volatile domestico dissossato, o non dissossato, tutte sorta di Emensè di animale quadrupede, o volatile, domestico, o selvatico, tutte le vivande decorate, come alla Contì, alla Reale, alla Giardiniera, ovvero semplici all’Ivoare, ogni specie di Selvaggiume volatile, tutta sorta di Filetti alla Polacca, alla Pompadura, alli Gamberi, alla Sen Germen, alli Tartufi ec. ogni sorta de’ Pesci sì di mare, che di acqua dolce, e questi si possano anche apprestare all’Aspic sì di grasso, che di magro. Tutti questi Rifreddi si preparano in Malbrè nella cazzarola, o sopra il piatto, o in Galantina. In quanto alle decorazioni esterne di questi piatti ognuno le può variare come gli piace: cioè, quelli che si servano per una Pezza rifredda nel secondo servizio, o sono decorati in Galantina, o poco in una Cassa di butirro ben decorata, o in Malbrè in una cazzarola. Ma la più bella maniera di servire le Pezze Rifredde è la seguente. Abbiate un cerchio di legno sottile grande come la circonferenza del piatto che dovete servire, alto quattro dita traverse, e col fondo da una sola parte; copritelo con una salvietta, facendogli una increspatura all’intorno con aco e filo dalla parte di sotto dove non vi è fondo. Tagliate delle fascie di carta bianca alte quanto il bordo del cerchio, misuratene la lunghezza per averle giuste, stendeteci sopra da una sola parte un poco di butirro fresco, e sopra a questo butirro formateci un bel festone, o altri graziosi lavori con fiori freschi secondo la stagione, disposti con disegni e simetria, tramezzati con alcune delle loro foglie. Vi potete ancora servire delle foglie di alloro regio intagliate propriamente, e delle picciole ramette di mirto, secondo li differenti fiori che impiegate. Terminata che averete una fascia metteteci un pochino di butirro alle due estremità e nel mezzo, dalla parte di sotto, e attaccatela all’intorno del cerchio, formate l’altra, e attaccatela egualmente, finché averete coperto tutto il bordo del cerchio. Posatelo allora sul suo piatto, e collocateci sopra la Pezza Rifredda, o guarnita all’intorno con Aspic tremolante, o con fiori graziosamente disposti. Sopra a questi tondi cerchiati, e così ben decorati ci potete servire qualunque Pezza Rifredda, sia Guarnita, Glassata, Panata, in Malbrè, in Galantina, in Addobbo, un Pasticcio, ec. Questi piatti montati li potete fare anche ovati, secondo il modello del piatto sopra cui dovete servire il Rifreddo. Quelli poi che si servono per Antrè nel primo servizio, alcuni gli formano un picciolo bordino di butirro fresco alto un dito traverso, o poco più, che poi guarniscono con foglie di petrosemolo, di dragoncello, e qualche fioretto, o acino di granato: altri in luogo di questo, guarniscono all’intorno con olive dissossate, e code di gamberi cotte e mondate, altri vi pongono sopra un cerchio di latta alto due dita, e della circonferenza del fondo del piatto che poi levano: altri gli fanno un bordino con Aspic gelata alla grossezza di un dito, e tagliata quindi a mostaccioli, o rotelline; ed altri finalmente guarniscono il bordo del piatto, come ho descritto nel Tom. IV. pag. 56., ma lo ripete per l’ultima volta, tutto ciò dipende dal sapere, e buon gusto di chi lavora.

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Osservate che questo uccello è somigliante al dresso, la sola diversità è che è più grosso e la sua piumagione o piuma è meno grigia del dresso, e sotto la pancia è quasi bianco: cercatele giovane e che mandino odore di ginepro.

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Sono queste conchiglie della classe delle univalve, e del genere delle Turbinate. Se ne distinguono non solo di varie grandezze, ma eziandio di varie specie, e colori: alcune sono picciole altre grandi, tutte bislunghe, e attorcigliate a foggia di una vite. Alcune si trovano fra i scogli, ed altre tra le pietre pomici del mare; di queste però se ne conoscono molte specie. La carne di codeste conchiglie è sugosa, e di buon sapore; ma alquanto dura, e difficile alla digestione. I Greci la mangiano cruda, ma cotta, è assai migliore. Si debbano scegliere recentemente sortite dal mare, e picciole. Sono freguenti sulle coste di Napoli, e si preparano esattamente nello stesso modo, che i Sconcigli.

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Conchiglie del genere delle univalve. Se ne distinguono di Grandi, di Orecchiute, di Tuberose, di Angolose, fatte a foggia di Morice, di Pentedattilo: oltre di ciò le Tuberose si dividono in lunghe, sottili, puntute, liscie, bianche, nere, e varie. Aldovrando ne cita quattordici specie. Parte di codesti testacei allignano attaccati ai sassi marini, ove vivono ricoperti della loro conchiglia turbinata, e parte nascono nelle pietre spugnose del mare. Si debbano scegliere recentemente prese dal mare; le picciole sono più tenere delle grandi, benché generalmente la carne di codesta sorta di conchiglie sia sempre dura, e indigesta; nulladimeno è di buon sapore, e di ottimo sugo. Si trovano molti di questi testacei all’intorno della scogliera del Porto di Napoli.

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Si fanno cuocere alla braise, come la lingua di bue, con un buon condimento. Quando sono cotte, e raffreddate immergetele nel grasso della loro cottura, coprendole con pane grattugiato, facendole colorire alla graticola, e servendole a secco per tramesso. Se volete farle friggere immergetele in uova sbattute, e coperte di pane grattugiato, fatele friggere, e colorire, servitele guernite di prezzemolo fritto; alcuni sogliono mettere una farsa d’intorno alle zampe prima di coprirle di pane.

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Le Zucche lunghe devono essere né troppo grosse né piccole.

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Le Zucche vernine sono di color giallo e di corteccia dura. Si possono servire l’Està mentre son tenere, ma meglio sono nell’Inverno, ch’è la loro stagione.

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Ricordatevi che in addietro vi ho descritto il modo di fare i lessi, sughi e colì di magro; questi debbono servire per zuppe, umidi ed intingoli secondo l’occasione che vi si darà.

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Prima di tutto osservate che il brodo o sugo per le zuppe dev’essere ben sgrassato; quando è tiepido o freddo, chiarificatelo con due o tre chiari d’ova sbattuti con poca acqua, mettetelo nella cassarola col brodo e chiarificate il tutto come si chiarifica la geladina; e ridotto a chiarificazione giusta, passatelo ad una salvietta bagnata con acqua fresca, di poi passate il brodo o sugo alla salvietta e servitevene per le zuppe e minestre. Ciò non solo rende le zuppe e le minestre di un buon gusto e di ottima qualità ma è anche di grande economia. Nei Cap. XXV e XXVI trovasi quanto è necessario per le minestre e zuppe di magro e d’olio.

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I Cappari, in aceto, servono di condimento alle vivande fredde, alle salse calde e fredde, dentro i ragù e ripieni da grasso e magro.

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Per cuocere i Carcioffi bisogna pulirli dalle foglie dure e dalla corteccia del torzo. In qualunque maniera si abbiano da preparare bisogna prima lessarli con acqua, sale e sugo di limone per toglier loro l’impurità e farli divenir bianchi.

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I Cecinelli sono certi pesciolini di Mare che non hanno né spina né squama, e sono così teneri che appena che si mettono sul fuoco son cotti. Si pescano nell’Inverno e nella Primavera, e per lo più si mangiano fritti.

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Con le foglie tenere di Fico se ne posson fare frittelle come quelle della vite. I Fichi mescolati, con cacio ed uova, se ne fanno frittate.

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I funghi sono di varie specie. I migliori sono i prugnoli, le racelle, le monitole, le spongole, le ovole, quei di pioppo e quei di ferola. In molti luoghi della Salentina Provincia vi sono dei finocchi salvatici, i quali dalle loro radici producono alquanti bianchi funghi che per il piacevole loro odore e gusto superano tutti gli altri. La stagione di tutti i funghi è propriamente nella Primavera e nell’Autunno, e l’uso e preparazione di essi è il seguente.

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I Gambari si prendono tutto l’Anno tanto nel Mare che nelle Acque dolci. Son buoni gli uni e gli altri, e quando son teneri di corteccia si mangiano fritti, abbeverati prima in latte.

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I Petronciani per usarli bisogna pulirli dalla corteccia e poi darli una lessata per toglierli una certa malignità che potrebbe nuocere, o pure polverati di sale per estrarre il cattivo umore. Bianchiti li Petronciani, si possono servire in tutte quelle maniere che sono esposte parlando delle Zucche, Pastinache e Pomidoro.

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I Piselli sono essi soli gustosissimi quando sono freschi e teneri; ma secchi sono di poco uso.

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I Sparagi o sono di giardino o salvatici: i secondi sono migliori. Sì gli uni che gli altri si servono dell’istessa maniera ed hanno bisogno di poca cottura.

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Molti pretendono, che questi Anfibi, chiamati in Francia Maceuse, e Poulette d’eau, ed in Italia Anitrella marina, e Fologa, partecipino della natura de’ pesci, e come tali poterli mangiare ne’ giorni di magro, come di fatto viene pratticato. Onde li ho posti alla fine dei pesci. La carne dell’Anitrella marina è dura, coriacea, di un sugo grossolano, e di un gusto marino, e selvatico; oltre di ciò è abbondante d’olio, e segnatamente il fegato. La nera passa per essere migliore della bigia, che è la femmina, appellata in Francia Bisette, ed è questa molto più coriacea dell’altra. La Fologa, quando è giovane, e molto grassa viene servita sulle migliori mense, ma non è sempre egualmente buona, poiché alcuna sente il gusto di matricume, e di pesce, ed altra al contrario è di un sapore esquisito; ma in generale la carne di questi uccelli è carica di sughi grossolani, e per conseguenza difficile a digerirsi. Questi sughi grossolani per altro la rendono propria a nutrire assai, e a produrre un Alimento sodo, e convenevole a quelle persone che digeriscono con facilità.

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Anche lo Scorfano è un pesce di mare, che mal trovasi in acque dolci; esso è eccellente per brodi di magro; la sua carne benché dura, soda, e difficile a digerirsi, ha un ottimo sapore, nutrisce molto, e si concede alcuna volta ai convalescenti, per essere di un sano alimento. Questo pesce vive ordinariamente vicino alli scogli; quello dell’Adriatico, è migliore di quello del Mediterraneo. Devesi scegliere non tanto grosso per essere delicato. La sua migliore stagione è la Primavera, e l’Estate.

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Si serve cotto allo spiedo; fatelo marinare per due, o tre ore in una marinata ordinaria, che farete mettendo in una casseruola un pezzo di butirro unito con farina, sale, pepe, prezzemolo, cipollette, aglio, erbe fine, garoffani, un quartino di acqua, un poco d’aceto: fate scaldare la marinata al fuoco volgendola; quando è tepida mettetevi dentro lo storione, lasciandolo finché sia abbastanza marinato, poscia fatelo cuocere allo spiedo, e servitelo con qualunque buona salsa magra. Si può altresì far cuocere in court boüillon, come il salmone, e servite con la medesima salsa magra.

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Lo Storione benché sia Pesce di mare si nutrisce di acqua dolce, e quando è picciolo chiamasi Porcelletta, la quale è molto più stimata, che lo Storione, essendo sommamente più delicata, e più facile alla digestione. Lo Storione si prende nell’imboccature de’ fiumi, ed in Italia specialmente nel Pò, Adige, e Tevere, i quali riescono di un sapore eccellente. Se ne prendono anche nel Volturno, ossia fiume di Capua. Lo Storione tiene il primo luogo fra i Pesci nobili, e colle sue uova fassi dell’ottimo Caviale sì liquido, che solido, ma il primo è assai migliore del secondo. Questo Pesce deve essere infrollito qualche giorno, ma più l’Inverno, che l’estate, onde avere la carne tenera, e delicata. La sua pesca principia nella Primavera, e dura tutta l’Estate, nel cui tempo partorisce d’onde ne abbiamo le Porcellette.

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La pernice et colombino si tagliano per mezzo, chi per traverso, et chi per longo. Pur tu lo taglierai per longo, cioè lo sfendi, et taglialo in quattro parti, o vero lo taglia in tagliature secondo il voler delle persone. Il simile farai de quaglie, tordi et altri uccelli volatili piccoli.

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