di messer Mattia Giegher bavaro di Mosburc, trinciante dell’illustrissima nazione alemanna in Padova.Nel primo si mostra con facilità grande il modo di piegare ogni sorta di panni lini, cioè, salviette, e tovaglie, e d’apparecchiare una tavola, con certe altre galanterie degne d’esser sapute; le quali cose tutte son rappresentate in figure di rame: e questa è invenzion del tutto nuova dell’autore, né mai più per addietro veduta.
Nel secondo, intitolato lo Scalco, s’insegna, oltr’al conoscer le stagioni di tutte le cose, che si mangiano, la maniera di mettere in tavola le vivande; il che, con tre differenti figure di tavole intagliate in rame, chiaramente si mostra.
Nel terzo, detto il Trinciante, s’insegna il modo di trinciare ogni sorta di vivande, con le sue figure medesimamente in rame; opera rinnovata, e di molte cose accresciuta.All’illustrissimo signor Burcardo Ranzovio signore in Sasdorf ecc.
Dignissimo consiglier dell’illustrissima Nazione Alemanna nell’Università de’ signori legisti in Padova; ed a tutta l’illustrissima Nazione de’ nobilissimi signori alemanni della detta Università.In Padova, appresso Guaresco Guareschi al Pozzo dipinto. 1629, con licenza de’ superiori
Dignissimo consiglier dell’illustrissima nazione alemanna, nell’Università de’ signori legisti in Padova; ed a tutta l’illustrissima nazion de’ nobilissimi signori alemanni della detta Università
Essendo stati in ogni tempo tutti i miei pensieri rivolti all’utile, e beneficio dell’illustrissima nazione alemanna, della quale io mi truovo da tredici anni in qua, se non degno, almen fedel servidore; ho voluto di questa mia ben disposta, e pronta volontà dar qualche segno, e testimonianza con cosa dal mio poco ingegno prodotta, per mostrare, ch’io non ci vivo, come fuco, o pecchione, del tutto infruttuoso, e disutile.
Or questa sarà una mia nuova, né mai da verun’altro di questa professione, ch’io sappia, in simil materia fatta operetta, la quale insegna con modo facilissimo piegare ogni sorta di tovagliuole, e tovaglie in molte, e leggiadre maniere, con non poche altre galanterie degne d’esser sapute da ogni spirito nobile, e gentile.
II
In compagnia di questa compariranno due altre mie opere intitolate una lo Scalco, l’altra il Trinciante, già alquanti anni addietro in diversi tempi date alla stampa, e ora rinnovate, e’n buona parte ampliate non meno di molti utili ricordi, e avvertimenti, che di vaghe figure intagliate in rame. Queste mie tre opere, non senza fatica, e spesa grande al termine presente ridotte, se ne vengono unita, e reverentemente ad inchinarsi a Vostra Signoria illustrissima e’nsieme a tutta l’illustrissima Nazione, della quale Ell’è capo dignissimo, con offerirsi a loro volontarie, e fedelissime serve; la cui servitù, quando da loro sarà benignamente, come spero, gradita, le rendo sicure, che non ne trarranno, se non utile, e onor grande.
Non isdegnino adunque le Signorie Loro illustrissime di dar loro benigno ricetto sotto’l nobilissimo tetto della lor desideratissima grazia. Alla quale me insieme con esso loro umilissimamente raccomandando auguro a tutti da sua divina Maestà corso di vita lunghissimo, e sempremai felice.
In Padova a’ 22 di settembre 1629.
Di V. S. illustrissima e di tutta l’illustrissima Nazione
Umilissimo e divotissimo servidore
Mattia Giegher
Essend’io stato più volte instantemente sollecitato dagl’illustri miei signori scolari a dar compiuta perfezione a’ miei libri del Trinciante, e dello Scalco; è paruto debito mio di soddisfar finalmente alla lor giusta, e ragionevol dimanda. Ho dunque a beneficio, ed util loro, aggiunte alcune cosette al Trinciante, ed accresciuto lo Scalco d’alcune figure, cioè di cedri, e di melance trinciate. Ho finalmente fatto intagliare in rame diverse maniere di piegature di tovagliolini, o salviette, con aggiugnervi una breve, e succinta, dichiarazione, per meglio intenderle, e per aiutare in parte la memoria di coloro ,che da me quest’arte avranno appresa.
Emmi paruta poi cosa non fuor di ragione il dare il primo luogo a questo trattato tra gli altri; essendo i tovagliolini le prime cose, che si conviene apprestar per la tavola. Il secondo luogo ho giudicato convenirsi
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a quello dello scalco, per esser lo scalco quegli, che mette le vivande in tavola. L’ultimo luogo finalmente ho voluto assegnare al trinciante, avendo egli a sigillare, per così dire, la tavola con la sua presenza, trinciando con pulitezza, e leggiadria i cibi stati dallo scalco posti in tavola: egli è ben vero, ch’all’usanza del nostro paese, tocca ancora al trinciante di far l’ufficio dello scalco nel metter le vivande in tavola.
Prima si mostra un modo facile, e spedito, di piegare, e stoccare ogni panno lino per servigio della tavola in occasion di convito, con molte altre galanterie, come le figure seguenti co’ lor numeri chiaramente additano. Segue poi la tavola apparecchiata con le sue credenze, e bottiglierie, delle quali se ne metton due, o più, quando’l convito è grande, a giudicio dello scalco, o di chi n’ha il comando. Più oltre seguita la dichiarazione, e maniera, come si debba cominciare a far le prime pieghe per tovaglie, e tovagliolini, e per formar fogliami, spinapesci: verbigrazia, le prime pieghe per li fogliami, la maggior parte in quattro, e’n sei; e le tovaglie similmente: lo spinapesce poi in tovagliolini si fa in quattro, in tre, in due, ed ancora scempi; il che si fa
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medesimamente di que’ tovagliolini, che hanno ad esser quadrangoli: delle quali cose tutte vedransi li nomi nelle suddette figure in rame intagliati.
Inoltre come s’abbiano a far le fiamme, o merli, non solo in ciascheduno animale, verbigrazia, nella salamandra, ed altri; ma ancora nelle tovaglie. Il principio rappresenta la figura delle mani; cioè, come si debba tor sù per far le prime pieghe, e l’altre mani insegnano il modo di far lo spinapesce, lasciando una parte di fogliame senza bastonarla sù, affinché si vegga, com’ella va piegata, e l’altra è bastonata sù; allato alla quale si vede poi una bastonata sù del tutto, per poterle ambedue distintamente discernere. Il che si farà parimente con lo spinapesce, del quale saran formati gli animali principali, di cui farassi, poco stante, menzione. Il medesimo sarà eziandio delle cose sopraddette, delle quali, per non esser tedioso, non occorre dirne altro; poiché mi fido della memoria di coloro, che da me impareranno. Vi sarà poi un castello, con le sue sentinelle, e pezzi d’artiglieria, come ancora una nave corredata. E queste cose si posson mettere in mezzo d’una tavola, o vero sopr’una credenziera, o bottiglieria, o dovunque
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piace; né solamente queste, ma ancora più altre; verbigrazia, piramidi, uccelli grandi, come struzzoli, paoni, ceceri, o cigni, forze d’Ercole, centauri, ed altre maniere ingegnose, e vaghe, come sarebbe una caccia in sù la tavola fatta di salviette, e molt’altre invenzioni, delle quali non ho fatto fare i disegni, giudicando, che basti averle in parte accennate a chi si diletta maggiormente onorare un magnifico, e solenne convito.
Nell’apparecchiar la tavola bisogna guardar bene, che le dette piegature sian compartite, e tramezzate giustamente; verbigrazia, se l’usanza del paese vuole, che’n capo di tavola stian due persone, bisogna mettervi due belli fogliami, o vero due spinapesci, se vi starà una sola persona, ancora una foggia sola delle dette piegature converrassi mettervi. Del resto poi si metterà di mano in mano scambievolmente uno spinapesce, ed un fogliame per tutta la tavola come mostra il principio della tavola apparecchiata col suo ordine cominciato.
E da notare ancora, che ci sono alcune sorte di fogliami, i quali quando sono aperti, si può mettergli in più maniere in sul pane; il che si può medesimamente fare in certi spinapesci. In somma il giudicio di ciascuno insegnerà di far l’opera in modo, che riesca bene, e con onore.
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I nomi delle figure, o disegni dell’opera presente
Il primo disegno delle mani mostra come s’abbia a tor sù le prime pieghe.
Il secondo disegno delle dette mani addita il modo di cominciar lo spinapesce.
Il terzo disegno delle stesse mani insegna in che modo appoggiar si debban le dita, per poter bene, e comodamente lavorare.
Seguitano i numeri
Il primo denota le tovaglie, come quelle, che son le prime ad esser poste, e distese in sù la tavola.
De’ tondi non istarò a far menzione; perciocché si sa, che non solo questi vi vanno; ma ancora saliere, coltelli, forcine, cucchiai, pane, salviette sopra’l pane, e stuzzicadenti.
Il secondo significa i fogliami per fare organi, gigli, e monti, che saranno principiati; e questi saranno in quattro.
Il terzo il ventaglio in due maniere, che sarà in sei, ed ancora in quattro. Il simile gli SS. Poi la corona doppia in sei.
Il quarto li cappami in quattro, e’n sei: s’intendon però tutti fogliami.
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Il quinto li dodici monti in quattro per lungo; perché li sopradetti vanno quasi tutti per traverso.
Il sesto li quadrangoli, il cui segno è questo.
Il settimo le colline in quattro.
L’ottavo la nave in due.
Il nono li copertoi da coprir le panatiere per signori grandi, e le trinciere in quattro.
Il decimo la mitra.
L’undecimo il gallo d’India.
Il dodecimo li draghi.
Il terzodecimo le rose, e’l rosmarino con la croce di Malta in quattro.
Il quartodecimo li pesci doppi.
Il quintodecimo la corona del papa.
E tutte queste mentovate chiamansi ancora in certi luoghi trionfi.
Per fare animali di spinapesce
1 L’aquila tolta sù scempia.
2. Il cane altresì scempio;
3. Il lione ancora scempio.
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4. Il castor va come’l cane; ma con la coda di pesce.
5. La testuggine, o tartaruca tolta sù scempia.
6. Un’orso, o altra sorta d’animale. Chi sa fare il cane, può fare ancora qual si voglia alta spezie d’animali quadrupedi.
7. Il pellicano va tolto sù doppio.
8. La salamandra va tolta sù doppia con la corona in testa.
9. La fenice va in quattro.
10. Il granciporo, e granchio di mare vanno tolti sù doppi.
11. Li pippioni in quattro, e dall’un lato si forma un solo, e dall’altro due.
12. Si toglie sù uno spinapesce, e si forma da un lato di due sorte, e dall’altro lato medesimamente di due sorte, e si può sempre farne quattro di quella ragione, perciocché tosto; e speditamente si fanno.
13. Per far l’uccello in sù la torre, come mostra il disegno.
14. Il gallo in sù la gallina va in quattro, e i due cantoni vanno piegati indentro per far la coda.
15. Il paone in quarto per lungo della salvietta. Si fa poi degli altri spinapesci in quattro, o doppi, o scempi, come si vuole, e di qualunque spezie d’animali, verbigrazia uno spinapesce doppio, cioè
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in due, di che si forma una gallina co’ suoi pulcini, che sarà il numero sedecimo.
17. Sarà un fagiano doppio, ma quadrangolo.
18. San Marco quadrangolo.
19. Il delfino, il qual va doppio per lungo; e la testa va piegata dentro due buone dita.
Apparecchio d’una merenda da farsi a dame in un giardino
1. S’addobba la tavola d’ogn’intorno di verdura.
2. Si mette attorno cestrelle, o canestrucci, alti quattro dita di piedi, pochi, o assai, secondo il numero delle persone, con mazzolini di fiori, e confezioni d’ogni sorte dentro.
3. Si mette in mezzo alla tavola ciambellette, bracciatelli, berlingozzi, confortini, bericuocoli, calicioni, cialdoni, biscottini di Spagna, cantucci di Pisa, nocciuole, vecchioni, ed altre cosette gentili.
4. Alla bottiglieria si mettono attorno, attorno vasi pieni di fiori odoriferi, con vini preziosi, e fini.
5. Si può far sotto la tavola grande un’artificiosa pescagione, per ricreazione, e passatempo delle dame convitate.
6. Finalmente carte da giucare in tavola.
IL FINE
Essend’io stato più volte da molti di voi, nobilissimi signori instantemente richiesto à voler dare alla stampa alcuni avvertimenti alla scalcheria pertinenti, come sarebbe a dire del fare una lista per un banchetto, del metter le vivande con bella, e regolata maniera in tavola, e di molte altre cose, le quali tutte nella tavola seguente si contengono, per aver, come dire, un memoriale di quanto avete da me apparato; non ho voluto, né potuto sì onesta, e giusta dimanda negarvi, massime, non avend’io desiderio al mondo maggiore, che di sempre con ogni mezzo possibile giovarvi. Sommi dunque posto à compor la presente operina delle cose all’arte suddetta appartenenti, la quale appunto vi servirà per un certo risvegliamento di memoria, caso, che per lunghezza di tempo, e poco uso i miei ricordi a viva voce dativi di mente usciti vi fossero. Prendetela dunque, e godetela per amor d’un vostro divotissimo servidore, pigliando in grado la sua buona, e pronta volontà, ch’egli hà di sempre servirvi. Con che facendo fine alle vostre signorie nobilissime di tutto cuor bacio le mani.
Di Padova ai 18 d’aprile 1623.
Delle VV. SS. Nobilissime affettionatissimo servidore Mattia Giegher
1. Le stagion degli animali quadrupedi domestichi, e salvatichi.
2. Le stagion de’ volatili domestichi, e salvatichi.
3. Le stagion de’ pesci si d’acqua salsa, come di dolce.
4. Le stagion de’ pesci armati, o senza sangue.
5. Le stagion d’alcuni frutti della terra.
6. Le liste delle quattro stagion dell’anno da far pasti in ogni tempo, ed occasione.
7. Lista d’un convito da fare in giorno di magro.
8. Lista d’un convito di carne, e pesce.
9. Tra le cose ordinarie dette nelle liste si posson talor mescolare ancora delle straordinarie, per far riuscir più onorevole il banchetto.
10. oglia putrida che cosa sia.
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11. Quanto debba esser lunga, e larga la tavola per un piatto, o piu, e quante persone stiano ad un piatto.
12. Un ricordo per adornar con varie figure la tavola.
13. Una collazion di varie sorti di frutti conditi per le dame.
14. Figure intagliate in rame, che mostrano il modo di mettere in tavola le vivande, e confettioni.
La carne della vitella di latte, benché sia buona per tutto l’anno, è nondimeno più grassa, e piu saporita dal mezzo mese d’aprile infin’al principio di luglio; e ciò procede dalla pastura della primavera, la quale, per essere in quel tempo buona, e delicata, genera nella madre latte parimente buono, e delicato. Le vitelle, che nascon di gennaio, e di febraio son buone di settembre, d’ottobre, e di novembre, se bene se n’ammazzano ancora prima, e dappoi. La vitella, che abbandonate le poppe della madre, comincia a pascere herba che
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suol’essere intorno all’ottavo mese, si chiama camporeccia; quando poi passa l’anno, annatina, e sopranella s’addimanda.
La stagion della vacca, e del bue. Cap. 2
La vaccina è bonissima da mezzo maggio infin’al mese di settembre, per essersi la vacca ingrassata dell’erba novella, e per non sentire stimolo d’amor; e quando ell’è tale, si chiama seccaticcia; ma passato agosto, indurendosi l’erba, ella va in amore; onde non è più buona; ma al mancamento suo supplisce l’annatina.
Della carne del bue non accade dire altro, se non ch’ella s’usa per tutto l’anno, se ben ne’ tempi freddi è sempre migliore.
La stagion del castrato. Cap. 3
La carne del castrato s’usa ben per tutto l’anno; ma pur’è la sua vera stagion il verno, essendo che’l freddo la conserva, l’asciuga, e la rende frolle, e tenera.
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La stagion dell’agnello, e del capretto. Cap. 4
Degli agnelli alcuni nascon nella primavera, altri nell’autunno; quei della primavera riescon più grandi, e più rigogliosi degli altri, e la carne loro è ancora in certi luoghi migliore. L’agnello d’un’anno è bonissimo, percioché quanto è più lontano dal latte, tanto riesce migliore, e più saporita la sua carne. Gli agnelli tolti da pascoli troppo grassi non son buoni, per la soverchia humidità, che in loro si trova. L’agnello lattonzo per riuscir nel mangiar buono, e saporito, vuol’essere arrostito, com’il porcellino di latte. Quelli poi, che saranno stati più tempo in pascolo, e tuttavia popperanno, saranno ancora buoni, cominciando dal mese, d’aprile fin’à mezzo maggio; e quando saran soprafatti, e grassi, saran buoni ancora per tutto luglio; e così fatti si chiamano plani, o folati; ma passato detto tempo sanno di lezzo.
I capretti son buoni per tutto’l tempo, che se ne truovano, e la carne loro essendo men’umida di quella degli agnelli, da bonissimo nutrimento.
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La stagion del porco, domestico, e salvatico. Cap. 5
La carne porcina tanto domestica, quanto salvatica è bonissima nel mese di decembre, e di gennaio; la salvatica è nondimeno migliore, per esser men’umida e più soda. I porcellini, e i gruforattoli di latte son buoni nel mese d’agosto, e di settembre.
La stagion del cervio, daino, e cavriuolo. Cap. 6
La vera stagion de’ predetti animali è l’invernata; ma i giovani lattaiuoli cominciano ad esser buoni d’agosto, e durano infin’a novembre, i quali s’arrostiscono, com’i procellini di latte, e riescon meglio pelati, che scorticati.
La stagion della lepre, e del coniglio. Cap. 7
La lepre vecchia, se ben’è ragionevolmente buona in ogni tempo, pur’è la vera stagion di decembre infin’a quaresima. I leprati, o leproni
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son buoni d’agosto infin’ad ottobre. I conigli, con tutto che sien buoni anch’essi in ogni stagione, massimamente essendo giovani, e grasi, son tuttavia migliori nel mese di maggio, e di giugno.
La vera stagion del gallo, e gallina d’India è la più fredda parte dell’anno, ed essendo essi di carne molto dura, è ben lasciarli per alquanti giorni star morti, accioché divengan frolli.
Dei galli, e galline giovani d’India non accadrebbe quasi far quì mentione, poiché ordinariamente non se n’ammazzano nel nostro paese; ma pure, se alcuno avesse gusto di mangiarne, sappia, che i maschi vogliono essere almen di quattro mesi, e le femine, o pollanche di cinque, o sei.
De’ capponi, galline, pollastri, e pollastre. Cap. 2
Benché i capponi vecchi sien buoni in ogni stagione, son nondimeno migliori nel tempo del verno massime quando son gottosi, grassi, e non impastati.
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I giovani son buoni d’agosto, e di settembre. La stagion poi delle galline è da ottobre infin’a Quaresima. I polastri, benché sien buoni anch’essi in ogni tempo, quando se ne trovano; pur son migliori da maggio infin per tutto luglio; e quando poi son più grandicelli, massimamente le pollastre, saran migliori da agosto infin per tutto ottobre.
Le pollastre, quando passan quattro mesi, si chiamano pollanche infinché cominciano a fare uova; da indi in poi galline s’addimandano; il che non solo di queste, ma ancora di quelle d’India s’ha ad intendere.
De’ pippioni domestichi, salvatichi, e torraiuoli. Item de colombacci, o palombi di ghianda, e tortole. Cap 3
Con tutto che i pippioni domestichi, e salvatichi sien buoni tutto l’anno, è nondimeno la particolar loro stagion di luglio, e d’agosto.
I pippioni torraiuoli, o torrigiani, come chiamar li vogliamo, se ben’anch’essi son buoni in ogni mese dell’anno, pur di settembre, e d’ottobre è la loro stagion migliore.
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La stagion de’ colombacci, o palombi di ghianda, cioè colombi salvatichi comincia di novembre, e dura infin’a mezzo marzo, pur’al tempo della neve, e del maggior freddo riescon sempre migliori.
Finalmente la stagion delle tortole principia di luglio, e finisce di ottobre; pur quelle, che si tengon rinchiuse son buone ancora per tutta l’invernata.
Dell’oche domestiche, e salvatiche; e de’ paperi. Cap. 4
La stagion dell’ocche domestiche, e salvatiche comincia di novembre, e dura tutto’l verno, quella de’ paperi, cioè, dell’oche giovani, principia di luglio, e dura infin’al mese d’ottobre.
Dell’anitre domestiche, e salvatiche, e degli anitroccoli. Cap. 5
La stagion dell’anitre domestiche, e salvatiche comincia a mezz’ottobre, e dura infin per tutto gennaio.
Quella poi degli anitroccoli, o anitrotti, cioè, anitre giovani, comincia di maggio, e dura infin per tutt’agosto.
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De’ galli di montagna, de’ galloni di valle, e de’ gravoli. Cap. 6
La stagion del gallo di montagna, e del gallon di valle è di verno nel colmo del freddo, ed hanno ambedue a star molti giorni ad affrollarsi.
La stagion poi de’ gravoli comincia a mezz’agosto, e dura per tutto settembre.
Della grù, pavone, aghirone, e cigno. Cap. 7
La stagion della grù è il cuor del verno, la qual vuol’esser ben frolle, massime quando ell’è vecchia.
La stagion del pavone, il qual però è poco ne’ paesi nostri usato, è medesimamente la più fredda parte dell’anno, sì come ancora quella dell’aghirone, o aerone, che chiamar lo vogliamo, e del cigno, o cecero.
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Del fagiano, e fagianotto. Cap. 8
La stagion del fagiano comincia di mezzo novembre, e dura infin’a Quaresima: quella del fagianotto, cioè fagiano giovane principia di mezz’agosto, e dura infin’a mezz’ottobre in circa.
Della beccaccia, folica, cotornice, e francolino. Cap. 9
La stagione della beccaccia, ò acceggia principia di novembre, e dura sin’a Quaresima. Quella della folica è nel maggior freddo. Quella della cotornice, e francolino comincia di decembre e dura infin’a Quaresima.
Della starna, e starnotti, pernice, e perniconi. Cap. 10
La stagion della starna, e pernice è di novembre infin’a Quaresima.
Quella degli starnotti, e perniconi è d’agosto infin per tutt’ottobre.
Del tordo, merlo, e quaglia. Cap. 11
La stagion de’ tordi è d’ottobre infin’a Quaresima, sì come ancora quella de’ merli. Quella delle quaglie comincia di luglio, e dura per tutta l’invernata, massimamente essendo ingrassate.
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Del beccafico, lodola, ortolano, e uccelletti di Cipro. Cap. 12
La stagion del beccafico comincia, quando i fichi son maturi, cioè, a mezz’agosto, e dura quanto durano essi fichi, cioè, almeno infin’a mezz’ottobre, nel quale spazio di tempo porta quest’uccello solamente tal nome; percioché nel resto dell’anno capinera s’addimanda, per aver negra la cima del capo: ma qui è da notare, che secondo’l proverbio, ogni uccel d’agosto è beccafico: il che però s’ha ad intender solamente di que’ paesi, e luoghi, che producon de’ fichi.
La stagion della lodola è di novembre, e dura per tutto febraio.
La stagion degli ortolani, è quando se ne può avere.
La stagione degli uccelletti di Cipro, i quali vengon recati d’oltre mare in queste parti, acconci in aceto, è sempre buona, purché se ne possa havere.
Truovansi molti altri uccelli, e grandi, e piccoli, ma essendo di poca stima, non intendo di ragionarne, per non attediare il lettor con cose superflue.
Avend’io, per mio credere, ragionato a sufficienza degli animali quadrupedi, e volatili, parmi di dover dire ora quattro parole ancora de’ pesci cominciando dallo storione.
La stagion’adunque dello storione, il qual participa dell’acqua salsa, e della dolce, comincia nel mese di marzo, e dura infin per tutt’agosto.
Porcelletta
La porcelletta, la qual, per opinion commune, non è altro, che storion giovane, comincia la sua stagion nel mese di febraio, la qual dura altre sì per tutt’agosto.
Ombrina
L’ombrina, che participa medesimamente dell’una, e dell’altr’acqua, principia la sua stagion di maggio la qual poi dura parimente per tutt’agosto.
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Tonno
Il tonno, ch’è pesce marino, ha la sua stagion di maggio, come l’ombrina, la qual dura ancora sin’al fin d’agosto.
Palamida
La palamida, ch’è pesce di mare simile al tonno, ma molto più piccolo, ha la sua stagion di marzo infin per tutto giugno, o circa.
Trota
La trota è buona in qualunque tempo se ne truova pur nel verno è migliore.
Carpione
Il carpione, ch’è pesce di molta stima, assai somigliante alla trota, ha la sua
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stagion d’ottobre infin per tutt’aprile: egli è ben vero, ch’è ancora buono per tutto l’anno potendosene avere.
Carpana
La carpana, o carpina, che’n molti luoghi è detta raina, ha la sua stagion da febraio infin per tutt’agosto.
Squallo
Lo squallo principia la sua stagion d’aprile finendola a mezzo giugno.
Tinca
La stagion della tinca, o tenga comincia nel mese di marzo, e dura fin per tutt’agosto: quella de’ maschi principia di settembre, e dura infin per tutto febraio.
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Luccio
Il luccio ha la sua stagion di settembre infin per tutt’aprile.
Barbo
Il barbo, o barbio ha la sua stagion di maggio infin per tutto settembre, ch’allora è grasso; ma bisogna cavargli l’uova, perché son molto nocive; d’ottobre poi infin per tutto marzo, per essere in quel tempo senz’uova, è più sicuro, se ben’è al quanto magro.
Laccia
La laccia, che a Venetia chieppa si dimanda, comincia la sua stagion d’aprile, la qual dura infin per tutto’l mese d’agosto.
Lasca
La lasca ha la sua stagion di gennaio infin per tutto marzo.
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Razza
La razza, o raggia è buona di marzo insin per tutto novembre.
Maccarello
Il maccarello, overo lucerta, che a Venetia si chiama sgombro, ha la sua stagion d’aprile insin per tutto settembre.
Morena
La morena, che a Venetia morona s’addimanda, è pesce di mare, e di stagno, ed ha la sua stagion da novembre infin per tutto marzo.
Orata, e passera
Amendue son pesci di mare, ed hanno una medesima stagione, cioè da novembre insin per tutt’aprile.
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Lampreda, e lampredozza
L’un’e l’altra ha la sua stagion da febraro insin per tutto maggio.
Sarda
La sarda è pesce di mare, e la sua stagion dura da ottobre insin per tutt’aprile
Pesce bastone
Il pesce bastone in ogni tempo è buono, essendo ben concio.
Aringa
La stagion dell’aringa è la Quaresima.
Anguilla
L’anguilla, che’è pesce d’acqua salsa, e di dolce, ha la sua stagion da ottobre infin per tutto febraro, se ben non è da sprezzar neanche in altri tempi dell’anno.
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Cefalo
Il cefalo, detto ancora muggine, è pesce di mare, ed ha la sua stagion da mezz’agosto infin per tutto febraro.
Guò, o gò
Il guò, o gò, in altro modo detto cavedine, ha la sua stagion da settembre infin per tutto maggio.
Dentale
Il dentale, ch’è pesce di mare, ha la sua stagion da ottobre infin per tutt’aprile.
Linguatta
La linguatta, o linguattola, overo suola, a Venetia detta sfoglio, è pesce di mare, ed ha la sua stagion da novembre infin per tutt’aprile.
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Salmone
Il salmone, pesce marino ha la sua stagion da maggio insin per tutto luglio.
Spicola
La spicola, o spigolo, che si chiama ancora varuola, e ragno, secondo la diversità de’ luoghi, è pesce marino, ed ha la sua stagion da novembre infin per tutto febraro.
Triglia
La triglia, a Venetia detta barbone, è pesce di mare, ed ha la sua stagion da luglio infin per tutto marzo.
Merluzzo
Il merluzzo, detto baccalai a Venetia, si mangia fresco, e salato; il fresco ha la sua stagion dal mese d’agosto infin per tutto marzo, il salato per tutto l’anno.
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Tiemolo
La stagion del tiemolo, ch’è pesce d’acqua dolce, comincia di maggio, e dura per tutt’agosto.
Astrice
L’astrice, o astese, o gambaro lione, il qual’è gambaro grosso marino, comincia la sua stagion del mese d’ottobre, la qual dura insin per tutt’aprile.
Gambero
Il gambero d’acqua dolce ha la sua stagione, il maschio dal mese di maggio infin per tutt’agosto, e la femina da settembre insin per tutt’aprile; e ambedue son sempre migliori a luna piena.
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Granceola
La granceola, ch’è specie di granchi marini, ha la sua vera stagion da marzo infin per tutto maggio.
Ostrica
L’ostriche han la loro stagion vera da decembre insin per tutt’aprile, se ben non son cattive ancora in altri tempi.
Chiocciole
La vera stagion delle chiocciole è tutto quel tempo, che stanno rinchiuse nel guscio; percioché, quando caminano attorno, non son troppo buone, anzi talvolta son velenose, massime, quando si ferman sopra la ginestra.
E tanto basti d’aver detto de’ pesci più principali, e che meritan d’haver luogo in su le tavole de’ gentill’huomini, e gran signori.
Tartuffole, o tartuffi
Delle tartuffole alcune son bianche, e son femine; altre nere, e son maschi, delle quali le nere son le migliori, massime, quando son fresche, grandi, con la buccia, o scorza granellosa, e dura, e nate in terra renosa: e tali son buone sempre che si possono havere.
Funghi
Tra i funghi, che son di varie sorti, come, prataiuoli, lingue, o recchielle, porcini, prugnuoli, rossignuoli di latte, spugnuoli, ed altri, tengono il primo luogo i prugnuoli, per essere affatto sicuri da ogni sospetto di veleno, e questi nascon d’aprile il secondo luogo in bontà tengono i rossignuoli di latte, e nascon di maggio: detti altramente vovali, il terzo gli spugnuoli, i quali nascon nel medesimo mese.
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Fragole
La stagion delle fragole, o fraghe è la state.
Melloni
I melloni comincian la loro stagion d’agosto, la quale dura per tutto settembre, e più ancora, secondo i luoghi, e clime.
Sparagi, e carciofi
Gli sparagi, e i carciofi vengon di maggio, e duran poco più d’un mese.
Io non ho voluto trattar nelle stagion suddette di certe sottigliezze, e particularità di ciascuna cosa, come sarebbe a dire, de’ gradi delle prime qualità, cioè del caldo, freddo, umido, e secco, parte per non metter le mani nella pasta d’altri; poiché non fisico, ma trinciante io mi sono: e parte ancora per averne già molti altri grand’huomini dotta, e diffusamente trattato ne’ libri loro, i quali a sua posta può leggere, chi di cose tali si diletta.
Io non ho voluto far liste per tutti i mesi dell’anno, e molto meno per ogni giorno, giudicandolo del tutto soverchio: posciaché queste quattro sole insegnano a bastanza il modo di far quanti banchetti si vuole, in ogni tempo mese, e giorno.
Per compiuta sodisfattion di tutti non ho voluto mancar d’aggiungere ancora due altre, l’una d’un convito da fare in giorno di magro, e l’altra d’un di carne e pesce, accioché si sappia ordinar banchetti a tutte le maniere.
Emmi piaciuto parimente di mescolare in tutte queste liste il modo italiano col nostro, per render con la varietà tanto più vaghi i conviti.
Or queste liste serviran per tutto l’anno; e’l modo, che mostran le liste del pranso, serberassi medesimamente nella cena, aggiugnendo solamente le’nsalate sottoscritte.
Borraggine, endivia, lattuga, carote rosse in composta, carne fredda di bue tagliata in fette con oglio, aceto, e pepe sopra, piedi di vitella acconciati nel medesimo modo; piatti due per sorte. Piatti 4
Io non farò qui mencion d’altre insalate, ma lascerò in liberta ciascuno, che si serva di quello, che si ritrova.
Tra le cose ordinarie dette nelle liste si posson talor mescolare ancora delle straordinarie, per far riuscir più onorevole il banchetto.
Ne’ mesi sopradetti s’andrà sempre dietro alle stagioni, e liste, con libertà però di potervi mescolar dentro delle cose seguenti, come lombo e gigotto di cervio, e di caprio, lonza, o testa di gruofrattolo, pasticci così di cinghiale, come
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di cavriolo: lo stesso si può far del cervio, e del daino. Del modo d’acconciar le teste de’ cinghiali, e de’ rufolatti si ragiona nel mio Trinciante. Si possono ancora mescolar nelle dette liste fagiani, galloni di montagna, o di valle, galli di collina, pernici, francolini, beccacce, grughe, pagoni, aghironi, ed altri volatili, che si possono avere: e ciò dico quì, perché sì fatte cose non sono state menzonate nelle liste, ma solo nelle stagioni; onde si può adoperarle ancora fuor di stagione, potendole avere, per onorar tanto maggiormente il convito di chi lo fà; percioché poca cosa spesse volte può fare onor grande. Ci son poi le teste di vitella la cui stagion’è, ben sempre buona, ma pur’è la miglior quella, che s’è detta al suo luogo. La porchetta di latte s’userà ancora, quando si la potrà avere. L’oglia podrida sarà parimente sempre buona particolarmente per metterla nel mezzo delle tavole ritonde. Può dunque ciascuno a gusto suo pigliare or una cosa, ed’or un’altra delle predette, e mescolarla, come s’è detto, con l’altre; il che s’osserverà medesimamente ne’ conviti de’ pesci.
Oglia podrida è una vivanda alla spagnuola, nella qual’entran diverse cose, come quaglie, tordi, pippioni, pernici, capponi, pollastri, carne di vitella, di castrato, e di porco salvatico, salsiccie, salsiccioni, presciutto, lingue, peducci, e grugni di porco, cavoli, rape, finocchi, fave, specierie, ed altri ingredienti. Or tutte queste cose, o parte d’esse, second’l gusto di chi vuol’usar detta vivanda, si fan cuocere insieme, e cotte si pongon nel mezzo della tavola in un piatto grande.
La tavola per un piatto ordinario ha da esser lunga palmi sei, e larga quattro, con un quarto, oltre al luogo del trinciante, che vuol’esser d’un palmo, e d’un quarto almeno, per potervi riporre i suoi coltelli, e i tondi. Al piatto si mettono ordinariamente quattro persone, di maniera, che se vi saranno otto, o dieci persone, si farà il piatto doppio: a sei persone basterà medesimamente un piatto solo, aggiugnendo però tre altri palmi di tavola, ma caso, che vi fossero venti persone, tre piatti necessariamente si ricercano, intendendo però piatti scempi, eccetera.
Or volendo far banchetti grandi, ognun si reggerà secondo questa regola.
Il modo di metter per ordine ciascuna cosa in tavola insegnan distinta, e chiaramente le figure.
Si può ancora mettere in tavola insieme con l’antipasto, parte per ornamento d’essa tavola, e grandezza del convito, e parte per potere scompartir giustamente, e con facilità i piatti, certe figure fatte di cera, o di pasta, o di tovagliuoli, come son piramidi, castelli, pagoni, aquile, igni, struzzoli, leoni, cervi, dragoni; statue di varie sorti, verbigratia, un satiro, un Marte, un’Ercole, che sbrana la bocca al lione.
Un’Europa sul toro con le mani alle corna.
Un’Elena troiana adornata di veste, e capelli d’oro.
Una Venere |
Una Pallade | ignuda, eccetera.
Una Giunone |
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Una collation di varie sorti di frutti conditi per le dame
Limoncelli conditi |
Pere condite |
Cedri conditi |
Radicchi conditi | ogni cosa asciutta.
Buglossa, e borraggine condite |
Mele rose piccole condite |
Carciofi conditi |
Pesche condite |Biricocoli |
Visciole | ogni cosa sciroppata
Pere |Pizza, o pasta di Genova.
Persicata di Genova.
Libretti di zucchero.
Confetto asciutto a beneplacito.
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Egli è da notare, che prima si mette in tavola un cavalluccio, ed altri animali fatti di zucchero, con tre altre statue di zucchero alte tre palmi di canna, verbigratia il cinghiale di Meleagro con la freccia nel petto; un cammello con un re moro sopra; un’elefante con un castello su la schiena pieno d’huomini armati, con archi, frezze, e sassi in mano.
Or seguon le figure intagliate in rame, che mostrano il modo di metter in tavola le vivande, e le confettioni, in tre differenciate maniere. Nella prima delle quali figure è da notare, che dove si veggon le lettere, s, s’intenda doversi mettervi le saliere; perché essend’il piatto doppio, è cosa ragionevole, ch’ancora doppia sia la saliera: nel luogo poi, ove si vede un certo vasetto, che par saliera, s’intende dovervisi porre una figura di cera, o di piegature, o vero qualche vaso pien di fiori, per ispartir l’un piatto dall’altro. Lo stesso ricordo delle saliere serve ancora per la figura della tavola ritonda, dove si veggon le due s.
Oltre à ciò è da avvertire, che ne’ vacui dell’una, e dell’altra tavola suddetta, dove son poste le lettere q, ed l, (delle quali la prima vuol dir quà, ela seconda là) può mettersi qualch’altra sorte di vivanda, a giudicio, e piacer di ciascuno.
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Finalmente è da sapere, ch’i numeri, che son posti innanzi a’ nomi delle vivande, e corrispondono in ogni parte nelle predette figure, mostrano il modo di mettere ciascuna cosa per ordine in tavola.
IL FINE
Il trinciante, il cui uficio è onoratissimo, poiché principi, ed altri personaggi se ne servon per grandezza loro, convien, che sia huomo ben nato, ben creato, avvenente, discreto, ed entrante; non però in maniera entrante, che, trapassando i termini del decoro, riesca presontuoso, e sfacciato. Egli è parimente necessario, ch’e’ sia dotato di buon giudicio, per saper giustamente imbroccar le vivande da trinciare, e le trinciate scompartir bene, e con soddisfazion di tutti, spezialmente del suo signore; al quale egli ha, per fine, ad esser nell’uficio suo, come ancora in ogni altra occasione, sempre fedele, e leal servidore.
Avantiché’l principe vada a tavola, dee il trinciante apprestar tutte le cose, che all’uficio suo si richieggono, e farle mettere in quella parte della mensa, dov’egli ha disegnato d’assettarsi a trinciare, cioè, o in capo di tavola, o di rincontro al suo signore; che questi due luoghi son propri di colui, che serve di coltello. Posto che si sarà a tavola il signore, se n’andrà anch’esso al suo luogo, e gittatasi la tovagliuola, che cuopre i coltelli da trinciare, sopra la spalla manca, piglierà un coltello piccolo, o grande, e con esso scoprirà le vivande, che sono state poste in tavola coperte. Dipoi torrà il coltello, e la forcina grande, o mezzana, e farà con una fetta di pane, la quale e’ dee insieme co’ suoi coltelli avere apparecchiata, garbatamente il saggio, o la credenza, secondoché l’uso, e’l costume del paese richiede. Fatto il saggio, piglierà la vivanda, che sta innanzi al principe, o ad altro gran signore, che tenga il primo luogo a tavola, e fattone un buon tondo,
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glielo presenterà, sì come farà medesimamente agli altri, che con esso lui mangiano; lasciando però sempre del buono nel piatto, per poterlo senza vergogna rimettere avanti al suo signore. Il resto poi, che s’ha a fare, intenderassi ne’ miei privati ragionamenti. Nel presentare i cibi serberassi quest’ordine; cioè, che le cose liquide, come guazzetti, potaggi, ed altre simili precedano all’arrostite: in somma, secondo l’ordine, ch’elle son dallo scalco recate in tavola, deonsi parimente trinciare, e presentare. In che modo poi s’abbia a tagliar ciascuna cosa, mostran chiaramente i numeri delle figure seguenti.
Dee stare il trinciante, nel servire il suo signore, diritto con la persona, e di lungi dalla mensa presso ad un sommesso; dipoi nell’operare, gli conviene stender ben le braccia, ma non però tenerle
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sempre rigide, e dure, quasi che fossero pali, o bastoni, ma bisogna snodarle tratto, tratto, e muoverle con bel garbo, e laggiadria. Deesi parimente astener di fare atti, o movimenti sconci, e difformi con la bocca, o con qual si voglia altra parte del corpo; imperocché sì fatti mendi son causa, che quantunque l’arte sua per altro sia rara, ed eccellente, poco, o niun conto di lui venga tenuto. Dee finalmente con ogni studio guardar di non lasciar cader dalla forcina la roba imbroccata, ne manco far volar qualche cosa in trinciando sotto la tavola, per non dare alle persone materia di ridere, ed a se stesso occasion d’arrossare, con danno, e pregiudicio espresso del suo onore, e riputazione: ma se pur per disgrazia, la qual sempremai è apparecchiata, tal cosa gli accadesse, non si dee perciò punto perder d’animo; ma coprendo con qualche bello, e leggiadro motto il difetto, continuare intrepidamente l’opera cominciata.
La carne vaccina vuole esser d’animal giovane, e della coscia, grassa, e frolla; e va trinciata con la forcina, e col coltello grande, o mezzano, per lo traverso, e non per dritto filo. Si dee ancora molto ben guardare, che’l pezzo d’essa carne, il qual vuole essere almen di sei libbre, sia imbroccato giusto, acciocché non penda più dall’una, che dall’altra banda, massimamente volendo trinciare in aria. Il che quando sarà fatto, se ne taglieranno tre, o quattro fette sottili per tondo, e si presenteranno di mano in mano, accompagnandole con un po’ di grasso, e di midollo, spezialmente quelle, che si vuol presentare a chi tiene il primo luogo a tavola.
I potaggi, che non sono altro, che diverse sorte di carne condita dal cuoco, per darle buon sapore, si fanno quando di roba intera, e quando di spezzata. Di questi, trinciati che sono con la forcina, e col coltello mezzano, se ne mette sopra tondi posti appresso’l piatto, quanto pare a chi trincia, aggiugnendovi alquanto del suo intingolo con un cucchiaio d’argento, e del sale in su l’orlo de’ tondi, e si distribuisce per ordine. Quì è da notare, che si dee metter sempre del sale in su l’orlo de’ tondi, non solo presentando potaggi; ma eziandio qual si voglia altra sorta di vivande, eccettuando però quelle, che per natura lo rifiutano.
Il cappone, che va imbroccato propriamente nelle reni; dico propriamente, potendosi imbroccare ancora altrove; ma non essendo ciò necessario,
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non giudico né anche necessario di dirne altro, si trincia secondo l’ordine mostrato per li numeri della sua figura: dov’è da avvertire, che, quando si taglia il codrione, convien sempre tenere a mezza aria non solo il cappone; ma eziandio ogni altro uccello, tanto piccolo, quanto grande; anzi qual si voglia roba grassa, e calda: imperocché tenendo le dette cose troppo alte, suol colar giù per lo manico della forcina il grasso, che cagiona poi, che non si possa tenerla in mano: e sopra tutto è da guardare, che non s’unga la man del coltello, per esser cosa molto schifa, e stomachevole a vedere. Inoltre è da sapere, che cappone, o altro volatilo, cotto in qual si voglia maniera, avendo deboli le reni, o la schiena, od essendo troppo frollo, non è da levare in trinciando molto in alto; perché ciò faccendosi, agevol cosa sarebbe, che cadesse dalla forcina, con non poca vergogna di chi serve di coltello.
Dell’altre sorte d’uccelli non accade dire altro, se non che nel trinciargli bisogna regolarsi secondo i numeri delle lor figure.
I pasticci, de’ quali alcuni son grandi, altri piccoli, si fanno di diverse sorte di carni, come di lepri, cervi, cavrioli, cinghiali, gruforattoli, e d’altri animali quadrupedi. Item d’anitre, e d’altre ragion d’uccelli: ed alcuni si danno in tavola caldi, alcuni freddi, e son bonissimi gli uni, e gli altri, quando son fatti di roba buona, e bene acconciata dal pasticciere. Or volendo trinciare un pasticcio grande, si piglia la forcina, e’l coltel mezzano, ponendosi esso pasticcio dalla banda manca, ed aprendolo d’ogn’intorno, caso che non fosse ancora aperto; e la coperta, che se ne taglia, si manda via. E inoltre da sapere, che, se per sorte li volatili non fossero spezzati, s’ha nello spezzargli a tener l’ordine de’ numeri delle lor figure. Il simile si fa della lepre. I pasticci piccoli, sian pieni di qual si voglia roba vogliono la forcina, e’l coltello terzo, e s’aprono, come degli altri è stato detto; e quando fosser pieni di carne di vitella, o d’altro animale,
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si taglia la carne per traverso dentro alla spoglia della pasta a fetta a fetta; ma ciò si vuol far con destrezza, acciocché la pasta non si sfondi, e se n’esca il brodo, del qual si metterà con un cucchiaio d’argento insieme con una fetta, o due di carne sopra ciascun tondo, e si presenterà di mano in mano; ma se ciò non facesse mestieri, basta aprirgli, e mettergli avanti al suo signore, o dove bisogna. De’ pasticci de’ pesci non dirò altro, se non, che nel trinciargli convien fare, come s’è detto di sopra, ed aperte che sono, e cavatene le lische con l’ordine delle lor figure, si presentano, come si dirà a suo luogo. Per fine, s’ad alcun venisse talento di mangiare un pasticcetto squisito, e raro, potrà farselo far degl’ingredienti, che seguono, cioè, di fegati d’anguille, e di lucci; item di latte d’altri pesci, quando son nella lor buona stagione, con aggiugnervi tartufi, oltr’agli altri necessari condimenti, e aromati.
La lepre si può imbroccare in due maniere, cioè, prima nel fil delle reni giusto nel midollo, tagliando prima due, o tre dita d’esso filo, per poter tanto meglio vedere, dove s’abbia ad imbroccare; dipoi, quando per mancamento della forcina appropriata alla lepre, bisognasse valersi di quella del cappone, si può imbroccarla nelle polpe de’ lombi, in modo, che’l fil delle reni resti appunto nel mezzo de’ rebbi, o denti d’essa forcina, alquanto di sopra però, come mostrano i due buchi della figura, dove si vede imbroccata l’altra forcina. La lepre poi, sia in questo, o in quell’altro modo imbroccata, si trincia come mostra la sua figura. Dappoich’io ho parlato della lepre, non resterò di dire ancora due parole del lepratto, ed insieme del coniglio. Questi dunque vanno arrostiti per lo più interi; e nel trinciargli si seguita il disegno del coltello, e della forcina, e i numeri della figura, e s’imbroccano, come mostro di sopra.
Un lombo di caprio, che s’intende tutto’l fil della schiena dal mezzo indietro, di lunghezza un palmo in circa, come mostra la figura, si cuoce arrosto nello schidone; e volendolo trinciare, si piglia la forcina da lepre, o vero la grande, assettandosi il piatto allato alla banda manca, per poterlo comodamente imbroccar nel buco del filo delle reni, come la lepre; ma essendovi poca carne intorno, fuorché in su la schiena, s’andrà tagliando delle fette di quella parte, con aggiugnere a ciascun tondo qualche costoletta per accompagnatura, se però si puote.
La testa del porco salvatico, che vuole esser d’animal giovane, spiccata dal busto con uno, o due dita di collo, e gola, nel che consiste
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la sua bontà, si fa bollire in vino, aceto, ramerino, salvia, e sale; e poiché più volte così fatte teste soglion tornare in tavola, si mangian fredde, come le grù. Or volendone una di queste trinciare, s’adopera la forcina, e’l coltello grande, e postata prima dal lato sinistro col grifo, o grugno volto in fuori verso lo stesso lato, e per fianco, come si può vedere alla figura, e forcina, se le da aiuto con la mano, e col tovagliolino; conciossiacosaché con la forcina, e col coltello solo, per la sua grandezza, e gravezza ciò non si possa fare in modo veruno; poi si lieva tutta la cotenna di sopra dalla banda dritta, cioè dalla parte volta in su, da alto a basso due dita verso’l collo, e le gote, levandone prima una fetta larga dalla parte di fuori, cioè quella prima parte negra, e poi si taglia dalle gote alcune fette sottili, ponendole con la punta del coltello ad una ad una in sul tondo; il che si va continuando infin tanto, che s’arriva insino all’osso della mascella; e se l’orecchia sarà buona, e tenera, si taglierà anch’essa. Dall’altra banda si farà il simile, lasciando però la testa nel sito di prima, dopo averla voltata nel modo predetto: quello, che poi n’avanza, si manda via.
I presciutti, che si soglion far di gigotti di porco salvatico, o di domestico, si trincian nel piatto con la forcina, e col coltello grande, come mostra la figura, appoggiando la forcina allato al ginocchietto, in questo modo. Si taglia via prima la cotenna con la carne rancida, e l’altre cose schife, che vi sogliono esser sotto, o dintorno; poi si taglian nel mezzo d’essi delle fette sottili a guisa di mezza luna, e dato loro un taglio in mezzo, se fosser troppo grandi, si presentan di mano in mano.
Le torte, e le crostate, che son di varie, e diverse ragioni, si posson trinciar con ogni forcina, e coltello, mettendo il piatto, nel qual sono, avanti a sé; e tagliate che sono con la punta del coltello in pezzi o piccoli, o grandi, secondo’l numero delle persone, che si truovano a tavola, si pongon sopra tondi, li quali deono esser sempre in pronto,
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e sotto la man del trinciante, e si danno, o si fanno dar di mano in mano alle persone, che sono a tavola: ma quando la torta fosse tenera in modo, che con la forcina, e col coltello non si potesse levare, si può con un cucchiaio andarla distribuendo sopra tondi.
La trota, ch’è pesce squisito, e raro, e che si cuoce, ed acconcia in varie maniere, si può trinciar con ogni forcina, e coltello; e quando ell’è grande, si taglia per traverso, cominciando dalla testa, alla qual si lascia attaccato un dito in circa di polpa; il che s’osserva per lo più in tutti gli altri pesci maggiori; ed essendo questa la miglior parte di questo pesce, si presenta sopra un tondo con un poco di sale al più principal della tavola: ma quando la trota è piccola, s’apre nel fianco, come ancora il luccio, e cavatene prima le spine, o lische con la punta del coltello, si riserra, e si presenta, come s’è detto di
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sopra. Dell’altre spezie di pesci non accade ragionar molto, poiché le figure loro, e i numeri da se chiaramente mostran quello, che s’abbia a fare. Il modo poi di presentargli non è punto diverso da quello della trota. Solo è da notare, che, quando’l pesce è fatto in guazzetto, si dee aggiugnere alla parte trinciata da presentare, un poco del suo intingolo con un cucchiaio d’argento. Inoltre essendo parer d’alcuni, che la coda di certi pesci sia non men buona, che la testa, anzi migliore, non sarà se non ben fatto, presentar l’una, e l’altra insieme al primo della tavola, s’egli fosse principe, o altro signor di grand’affare. Le lingue della reina, o carpana, e della tinca, essendo bocconi rari, si presentan con la mezza testa dell’una, e dell’altra medesimamente al più principale. E da saper finalmente, che, quando vien recato in tavola pesce di già fatto in pezzi dal cuoco, bisogna con pulitezza cavar le lische d’ogni pezzo, e poi presentarlo col suo intingolo.
Avend’io proposto di ragionare in questo luogo del presentare i cibi degli animali volatili, parmi dover cominciar dal cappone, come da quello, che ad ogni convito per l’ordinario si truova: hassi dunque a sapere, che si principia dall’ale, spartendo l’una dopo l’altra: ma caso, che si trovasse ad un banchetto principe, od altro personaggio, s’aggiugnerà all’una dell’ale un pezzo del codrione; ma fuori di questa occasione, si presenterà l’ala sola: poi un pezzo del codrione, con una particella di carne del petto, cioè, dove mostrano i numeri nell’anitra, e nel gallo d’India: appresso, si piglia la forcella del petto, con la terza parte del codiruzzo: poscia il petto intero, detto scaramasso, perciocché v’è ancora della carne sopra; e così saran sei tondi fatti del cappone, e con le cosce, le quali si presentan sempre in ultimo, per esser men pregiate, saran finalmente otto. Questo medesimo ordine si tien nel presentare una gallina lessa, o vero un’anitra grande, con questa differenza però, che dell’anitra si presentin prima
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le cosce, una per volta: il che si fa similmente nel fagiano, e nel gallo di monte, avvertendo di tagliar sempre fuora i due pezzi di carne del petto: e se per sorte lo scaramasso delle reni fosse buono, si può presentarlo ancora, secondo’l giudicio del trinciante, al qual tocca di scompartir sempre le robe, secondo la quantità delle persone, che sono a tavola: verbigrazia, del cappone non si posson far più di sei tondi buoni, e ricchi; pur quando la necessità il richiedesse, potrebbonsene fare ancora otto onoratamente. Del gallo d’India si fanno altrettante parti; ma è da avvertire, ch’essendo egli grande, e trovandosi alle volte poche persone a tavola, si trincia una banda sola d’esso, con quest’ordine, cioè: prima il collo: dappoi la punta dell’ala: terzo, la sopraccoscia: quarto, la coscia: quinto, l’ala: sesto, la polpa del petto, detto scaramasso, cioè: quattro, o cinque fette sottili, secondo’l giudicio di chi trincia. Quando poi egli si taglia tutto, s’osserva quello stesso, che si disse di sopra del cappone. Nello scompartir le parti è da notare, che sopra ogni tondo sia qualche poco di grasso della forcella del petto. Nel rimanente si seguita l’ordine del cappone, faccendone nondimeno molto più parti. Quando’l gallo d’India sarà piccolo, s’osserverà
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l’ordine del cappone nel presentare, e nel tagliarlo si seguiterà i numeri della sua figura. Il simile si farà del gallon di montagna, e di valle; egli è ben vero, ch’a questi manca il grasso della forcella. Il gallo di monte, o di collina, che chiamarlo vogliamo, presenterete a pezzo per pezzo nel modo, che v’è stato da me, nel trinciarlo, insegnato, cioè: prima, la coscia dritta: poi, l’ala manca: terzo, la coscia manca: quarto, l’ala dritta: quinto pigliarete la parte dritta del codrione insieme con la forcella del petto: poi l’altra parte del codrione co’ due pezzeti della polpa del petto; che fanno sei tondi. Del restante poi, cioè, dello scaramasso del petto, e delle due palette delle spalle farete il settimo tondo: ma se voi voleste fare il tondo più ricco, in occasion di personaggi grandi, che fossero a tavola, farete cinque parti sole: e così del fagiano medesimamente. Onde piglierete la prima coscia insieme con l’ala: poi l’altra coscia con l’altr’ala: terzo tutto’l codrione così spaccato in due parti, con la forcella del petto: quarto i due pezzetti del petto con la terza parte del codiruzzo: finalmente le due palette delle spalle con lo scaramasso del petto. Dell’oca si presenteran prima le costole insieme con la coscia: poi l’altra
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coscia con le costole, che saran due tondi: e se l’oca fosse ripiena di pere, mele, o castagne, metterete un cucchiaio di quel pieno sopra ogni tondo: poscia presenterete un pezzo di codrione con della polpa del petto: così medesimamente l’altra parte del detto codrione: dipoi la forcella del petto, con della detta polpa, e pieno. E così farete del restante seguentemente. Nell’oca salvatica farete il simile: ma non essendo costole in essa, per esser magra, darete una coscia per volta. Il rimanente andrete scompartendo secondoché si disse di sopra. Della grù, del paone, e di simili volatili non dirò altro, se non che vanno trinciati, e presentati al modo detto del gallo d’India. Le cose piccole poi, come pollastrelli, galletti, pippioni, pernici, francolini, gallinacci, o vogliam dire, beccacce, tortole, colombacci, colombelle, quaglie, tordi, merli, eccetera presenterete tutte intere, con la sua lezione, come vi mostrano i numeri: ma non volendo aver tanto fastidio, seguiterete l’anitra piccola co’ suoi numeri, faccendone cinque parti, le quali serviran per cinque persone; e per cerimonia smembrerete solamente le congiunture, come vi mostrano i numeri, e le presenterete così intere. Inoltre, essendo parer di molti, che le parti diretane de’
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volatili piccoli sian le migliori, voi però presenterete sempre a signori grandi le coscette d’essi; potete nondimeno aggiugnere a quelle un’aletta; perché, essendo gli appetiti delle persone differenti, potrebb’essere, ch’ad alcuno piacesse più questa, che quella. Il pippion potete presentare in due modi, cioè, intero, o mezzo per gentiluomo, secondoché vi torna comodo.
Essend’io per ragionar quì delle carni degli animali quadrupedi, non istarò a far molte parole de’ guazzetti, potaggi, o simili cose, poiché se n’è ragionato già altrove quanto basta: dirò adunque solamente dell’altre sorte di carnaggi acconci in vari modi dal cuoco, come sarebbe a dire con limoni, melarance, rafano marino, eccetera nelle quali cose tutte seguiterete l’ordine detto di sopra della carne vaccina, dando due, o tre fette per tondo con un cucchiaio d’intingolo sopra. La testa di vitella, tagliata nel modo, che da me v’è stato insegnato, e
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i numeri della figura sua dimostrano, scompartirete come segue, cioè: prima numero 17 18 una tempia: poi, l’altra: terzo, un’occhio con un dente lattiuolo: quarto, un’occhio, e un dente: quinto, un’orecchia: sesto l’altra orecchia: settimo la lingua in quattro pezzi, un pezzo per tondo, con un pochetto di quella carne, che sta attaccata alle mascelle di sotto. Del restante della carne farete parti a vostro senno, e le spartirete di mano in mano. Le cervella metterete innanzi a’ principali della mensa, acciocché ne togliano quanto lor piace. Alla fine è da sapere, che su per ogni tondo si mette un po’ del suo intingolo, e del sale. Della lonza di vitella, tagliata che l’avrete nel modo, ch’io v’ho mostrato, presenterete il pezzo, dove sta attaccato l’arnione, con un pezzetto d’esso arnione: e così andrete seguitando faccendone parti, che vogliono essere accompagnate sempre con un poco di grasso. In quanto al gigotto di caprio, ed altre cose simili, presenterete sempre i pezzi, che averete tagliati dalle bande, come meglio cotte, ed arrostite. Ne quì starò a dire, qual parte sia la miglior nel caprio, posciach’egli è tutto buono ugualmente. Nel gigotto del montone è nondimeno da notare,
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ch’al ginocchietto d’esso si truova attaccato un’ossetto, chiamato da’ tedeschi l’ossetto della madre, o lo sprone, e quello presenterete al più principale, per esser da lor tenuto in gran pregio. Avete ancora a sapere, che tutti gli arrosti vanno accompagnati sempre con certe galanterie, come cedri, melarance, ulive, capperi, e altre simili, dandone per ogni tondo insieme col suo sale. Della lepre presenterete prima le due gambette, o coscette della parte di dietro, che vanno spezzate in su la forcina, tagliata che ne sia prima la carne attorno attorno, una per volta, accompagnandole con un pezzetto della carne al numero 15 16 17 18 dico un pezzetto, per averne per tutti. Dipoi farete l’altre parti, e le presenterete per ordine. Del porcellin di latte presenterete prima la parte del collo, come la migliore, s’egli sarà ben cotto, caso che nò, piglierete le parti delle gambette, o cosce, una per volta: e s’egli sarà ripieno di qualche cosa, ne metterete un poco per ogni tondo, e così andrete seguitando di mano in mano. Se la testa sarà ancora bene arrostita, la spartirete in quattro pezzi, i quali poi presenterete, come farete ancora del rimanente d’esso porcellino. E così credo d’aver ragionato a sufficienza
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intorno al modo di presentare ogni sorta di vivande sì d’animali volatili, come di quadrupedi.
Il marzapane si può trinciar con ogni sorta di coltelli, e forcine per la poca fatica, che vi va, e’ l modo è questo. Si mette la forcina nel mezzo del tondo, o piatto, sopra’l quale sta esso marzapane, e faccendone, parti d’ugual grandezza tante, quante bastano, si presentano sopra tondi, aggiugnendovi prima con un cucchiaio d’argento di tutte l’altre confezioni, che si truovano in tavola. E quando vi fosse un principe, o altro gran signore, la creanza di chi trincia, vuole, che per onorar quel personaggio, gli sia dato un pezzo più grande, ch’agli altri. Appresso è da avvertire, che prima delle confezioni si dee separatamente presentar le frutte di qual si voglia sorta.
Delle frutte non ho voluto mettere altri disegni, che tredici, giudicando tanti esser bastanti a servir per un poco di ricordo; né manco ho voluto descriver partitamente tutte le maniere di trinciarle, poiché mi fido della memoria di ciascuno, che quelle da me avrà imparate. I disegni delle frutte son distinti per numeri. Il primo denota il modo di trinciar la mela, restando la buccia intera, ed essa mela va imbroccata nel fiore. Il secondo numero significa quello con le crocette. Il terzo la mezza pera, o mela. Il quarto è quello del cavare il torso dal mezzo della pera, o mela. Il quinto quello del mondar la pera, tagliando la buccia alla’ngiù. Il sesto dimostra la pera, o mela, o pesca, che si monda gentilmente attorno attorno. E da avvertire, che della pera, innanzi, ch’ella si trinci, si cava il fiore, e della mela il picciuolo, o gambo, secondoché mostran le due forcine, per le quali s’intende la levata num. 1, e 2 e per lo coltellino, che è a num. 5 s’intende a tagliar pera, o mela in quattro, in sei, o in otto pezzi nella buccia. Ci è poi il cigno num. 7 il turibole num. 8.
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Le stelle in due maniere, num. 9 eccetera. Poscia seguon varie maniere di trinciar cedri, limoni, e melarance per ornamento, ed accompagnamento degli arrosti, o vero degli antipasti. Del mellone io non vo’ dir nulla, poiché la natura stessa, senz’altro maestro, l’insegna ad ognuno a trinciare; né manco farò menzion di certe altre minutezze, come di cose da me non giudicate necessarie.
Le forcine son differenti, come si vede ne’ lor disegni, secondo la differenza delle cose, che si trinciano. La prima serve a trinciar lepri. La seconda, che è la più grande, serve per le cose grandi, come son galli d’India, oche, galloni di montagna, gigotti di caprio, teste di vitelle, e simili. La terza, la quale è la mezzana, serve per potaggi, capponi, galline, anitre tanto lesse, quanto arrostite, e per altre cose somiglianti. La quarta serve per pollastrini, e simili. La
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quinta per pernici, starne, francolini, e pippioni. Le sesta per quaglie, ed altri uccelli minori. Con la medesima si trinciano ancora le frutte. La settima, la quale è lunga, e sottile, col suo coltello medesimamente sottile, serve per pippioni, infilzando quattro per volta. Questa può servire ancora comodamente per porcellini di latte, e per infilzar tordi, merli, e quaglie dieci per volta, per servir con più prestezza. L’un de’ ferretti incavati serve per cavar li midolli dagli ossi, e l’altro per trinciar cedri, limoni, e melarance.
Il coltello largo, cioè, da credenza, serve non solo a raccorre, e tor su le brice, e i minuzzoli rimasi sopra la mensa; ma eziandio a presentare il pesce cotto in pezzi; item torte, e certe altre cose.
Quando i coltelli sono arrugginiti, e hanno perduto il filo, si piglia l’imbrunitore, e con la parte quadrangola d’esso se ne lieva la ruggine, e con l’altra si dà loro il filo: o vero si piglia un pezzo di legno dolce, verbigrazia di salicone, o saligastro, che dir vogliamo,
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lungo mezzo braccio, e largo due dita incirca, piallato da una banda, sopra la qual si mette di quella rena, che cade dalla ruota dell’arrotacoltelli, o altra simile, la qual vuole esser ben secca, e minuta, e vi si frega sopra con destrezza l’una, e l’altra banda del coltello infinattanto, che sia dirugginato, e netto. Nello stesso modo si ripuliscono ancora le forcine. Volendo poi affilare il coltello, vi si mette sopra di nuovo della detta rena, e si frega il detto coltello destramente dall’un’all’altra banda verso’l taglio, e ciò si dee fare ugualmente, acciocché quello non si ripieghi. Finalmente volendo provarlo, s’egli abbia preso il filo, si fa con esso un taglio sopra l’unghia del dito grosso della mano stanca, alla quale, s’egli subito resta appiccato, è segno chiaro, ch’egli è affilato a sufficienza.
Avend’io mostrato il modo di nettar le forcine, e i coltelli, e di dar loro il filo; ragionevol cosa parmi altresì di dover mostrar di qual tempera esser debbano. Le forcine adunque vogliono esser non d’acciaio; ma di ferro buono, e di tempera dolce, da’ rebbi, o denti infuori, li quali vogliono almeno un dito di larghezza essere acciaiate, acciocché nell’imbroccar non si rintuzzino: ma i coltelli, per lo contrario hanno ad esser d’acciaio finissimo, e di tempera mediocremente dolce; percciocché se la tempera lor fosse troppo cruda, si sgranerebbon di leggieri in ogni cosetta dura.
1. Il collo.
2. Il sommolo, o la punta dell’ala.
3. La sopraccoscia.
4. La coscia.
5. Il codrione, o vero groppone.
6. L’ala intera.
7. La forcella del petto.
8. Le due pallete delle spalle.
9. Lo scaramasso del petto.
10. Lo scaramasso delle reni.
IL FINE
Di che qualità debba essere il trinciante. Cap. I
Che cosa convenga fare al trinciante prima, che’l suo signor si ponga a tavola, e dopo l’esservisi posto. Cap. II
Quello, che debba osservare, e schifare intorno alla postura, atti, e movimenti del corpo nell’ora, ch’e’ trincia. Cap. III
Di che qualità debba esser la carne vaccina, e come si convenga imbroccare, e trinciare. Cap. IV
Che cosa sian potaggi, e come si debban trinciare, e spartire. Cap. V
Della maniera d’imbroccare, e di trinciare il cappone. Cap. VI
Di varie sorte di pasticci, di che cosa si facciano, e come si trincino. Cap. VII
Del modo d’imbroccare, e di trinciar la lepre. Cap. VIII
Che cosa sia un lombo di caprio, e come si debba cuocere, e trinciare. Cap. IX
In che modo si debba cuocere, e trinciare una testa di cinghiale, o porco salvatico. Cap. X
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Come si trinci un presciutto. Cap. XI
Del modo di trinciar le torte, e le crostate. Cap. XII
Come si trinci la trota, ed altri pesci. Cap. XIII
Del modo di presentare ogni spezie d’animal volatile. Cap. XIV
Del modo di presentar le cose degli animali quadrupedi. Cap. XV
Del modo di trinciare il marzapane, e di presentare ogni sorta di confezioni. Cap. XVI
Delle frutte. Cap. XVII
Della diversità delle forcine, e del vario uso loro; item di due ferretti incavati, e d’un coltello largo. Cap. XVIII
Del nettare, e affilare i coltelli. Cap. XIX
Di qual tempera abbiano ad esser le forcine, e i coltelli. Cap. XX
I nomi delle congiunture de’ volatili. Cap. XXI
Come si tenga in man la forcina, e’l coltello. Car. 1
Come si trinci il cappone. 2
Come si trinci la gallina lessa, e altri volatili. 3
Come si trinci il fagiano. 4
Come si trinci il gallo di montagna. 5
Come si trinci il gallo d’India. 6
Come si trinci il gallon di montagna. 7
Come si trinci l’anitra domestica, e salvatica grande. 8
Come si trinci l’oca domestica. 10
Come si trinci l’oca salvatica. 11
Come si trinci una lonza di vitella, e d’altri animali. 12
Come si trinci un lombo di caprio, e d’altri. 13
Come si trinci un gigotto di caprio, e d’altri. 14
Come si trinci un quarto d’un’agnello, e la spalla del montone, o castrato, e’l quarto deretano del detto agnello, e capretto. 15
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Come si trinci il presciutto di porco. Car. 16
Come si trinci una lepre. 17
Come si trinci un lepratto, e coniglio intero. 18
Come si trinci una testa di vitella. 19
Come si trinci una testa di cinghiale, o porco salvatico. 20
Come si trinci un porchetto di latte in due modi. 21
Come si trinci una pernice intera. 22
Come si trinci un francolino, o cotornice intera. 23
Come si trinci un’acceggia, o beccaccia intera. 24
Come si trinci un pollastro intero. 25
Come si trinci un pollastro in sette pezzi, e pollastri ripieni similmente. 26
Come si trinci un piccione intero. 27
Come si trinci un piccione, e tortola in due pezzi. 28
Come si trincino quaglie, tordi, tortole, ed altri uccelli di quella fatta interi. 29
Come si trinci in cinque pezzi un’anitroccolo, pernice, francolino, beccaccia e colombaccio salvatico: e se per sorte il fagiano, e’l gallo di collina, o monte si volesse romper nelle reni, o groppone, si farà il simile. 30
Come si trinci il pesce in due modi. 31
Come si trinci il gambero. 32
Come si trincino in più modi le frutte. 33
Come si trincino i cedri. 34
Come si trincin le melarance. 35