L'arte di ben cucinare, et instruire i men periti in questa lodevole professione


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L’ARTE DI BEN CUCINARE, ET INSTRUIRE
i men periti in questa lodevole professione.
Dove anco s’insegna a far pasticci, sapori, salse, gelatine, torte, e altro

DI BARTOLOMEO STEFANI
Cuoco bologneseAll’Illustrissimo, et Eccellentissimo Signor Marchese
OTTAVIO GONZAGA
Prencipe del Sacro Romano Imperio, de’ marchesi di Mantova, e signor di Vescovato, e c.In Mantova, appresso gli Osanna, stampatori ducali, 1662.
Con licenza de’ superiori


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ILLUSTRISSIMO ET ECCELLENTISSIMO SIGNORE

Ecco finalmente queste mie tesi d’imbrodata filosofia. Sono stolide, lo confesso, perché assuefatte al fumo della cucina s’abbagliano nella luce, alla quale temerariamente se n’escono. Furono stampate avanti di passarsene al torchio, perché fra gli unti hebbero la loro prima impressione. Sono povere, perché tale infortunio trassero dalla debolezza di quell’ingegno, che loro fu padre, e come tali vengono supplichevolmente a mendicarne il patrocinio dall’eccellenza vostra. Non isdegni, che a Lei consagri questo parto, come quella, che habilitandomi alla di Lei attuale servitù di cuoco, generosamente
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mi somministrò occasione di rendermi erudito in quest’arte, nella bassezza della quale pretendo farle conoscere il grado elevatissimo della mia divotione, e quanto viva.
Di Vostra Eccellenza lllustrissima
Divotissimo, e humilissimo
ServitoreBartolomeo Stefani


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Cortesissimi, e discreti lettori

Altro genitore, né altra genitrice conosce questo mio parto, che un zelantissimo desiderio, e un’ardentissima volontà d’instruire i men periti in una professione, nella quale non possono mancare encomii, ed applausi, come quella, che sa amicarsi le bocche, col renderle delicate nell’esquisitezza de’ cibi; onde, lettori discreti, da genitori così affettuosi vi potete promettere un figlio tutto amore. Qui con soavi maniere haverete instruttioni per distinguere ordini, disporre vivande, regalare, e adornare piatti, e con generosa spesa, e con mediocre; sì che ad ogni occorrenza, e ad ogni genio sodisfar potrete. Nel progresso de’ miei discorsi accenno qualche divario intorno all’altrui opinioni, e del mio diverso operare ne rendo le ragioni, non per questo m’inoltro a mordere alcuno, consapevole, che la diversità del clima, della complessione, e del capriccio di chi comanda, può somministrare le cagioni di procedere diversamente. Detesto altresì cert’uni, che non stampano senza imprimere ferite su l’altrui riputatione, né mandano alla luce, che non tentino di oscurare ad altri il nome; livore, che per essere sempre mordace, tanto più dall’umano s’allontana, quanto
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maggiormente al canino s’accosta; né le stampe, per mio credere, mai più ragionevolmente lagrimano, che quando imprimono queste maldicenze. Io non sono di simile natura. Lodo i buoni, compatisco i mediocri, non biasimo gl’infimi. Ma perché io tratto di conviti, in occorrenza di nozze molto frequenti, altri però potrebbe oppormi il Quomodo huc intrasti? Per acquietare chi che sia bastarebbe la sincerità del mio affetto, che in questo trattato mi serve per candida veste, acciò quindi rimosso non sia; anzi la stessa chiarezza de’ miei discorsi, sarebbe sufficiente ad esimermi dalle tenebre ivi minacciate. Ma per maggiormente appagare simile curiosità, dico, che havendo io appreso questa professione da quel Giulio Cesare Tirelli, che in questi affari non conosceva superiori, l’opera di cui ha così egregiamente, e con sua lode incomparabile, incontrato il delicato genio della Serenissima Repubblica Veneta, che non senza gran difficoltà di là si puote sbrigare, richiamato dall’amore della patria, per impiegare gli ultimi anni di sua vita in servigio dell’almo reggimento di Bologna, che con gratiose istanze, e magnanime offerte, a ripatriare, l’invitava. E per tralasciare hora gli encomi, che dalla regia corte di Londra, e da’ primi prencipi d’Italia, in occasione di maestosi conviti, e di sontuose nozze riportò ciò, che decantarà per mille secoli la fama; dico solamente, che questi in materia di rappresentare trionfi, formar statue, e vaghezze ne’ più pomposi apparati; e di condire, e ornare vivande d’ogni qualità, e beare col gusto la vista
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insieme de’ più sublimi eroi, si poteva veramente chiamare, in viroque Caesar. Sono allievo, e nipote d’un tanto maestro, che per essere insigne non gli mancò maniera di ben insegnarmi l’arte, di cui favello, e per essere meco congionto di sangue, a niuno resta luogo da dubitare, ch’egli non m’habbia fedelmente instrutto: e come tale anch’io qua entro; che se entrai nelle corti de’ più riguardevoli prencipi italiani, e uniformi alla mia diligenza ne riportai le lodi; perché non potrò io hora qua entrare? Bisogna, o lettori amorevoli, intenderla. La corte de’ grandi è scuola, ove alla pratica si riduce quanto si può apprendere, ove gl’intelletti si raffinano, ove in fine colla virtù risplende l’honore. Aviso per ultimo, che questo libretto non esce da una accademia, ma bensì da una cucina. Non propongo regole di ben dire, ma di ben condire. Se poi gl’ingegni più delicati forse incontraranno qualche scabroso detto, che non s’addatti all’udito loro, io a questi tali principalmente protesto, che qui non fu mia intentione di piacere all’orecchio, ma di sodisfare al gusto. Vivete longamente felici.


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SOPRA L’ARTE DI BEN CUCINARE
DI BARTOLAMEO STEFANI
SONETTO

Bartolameo questa ARTE tua gentile
Ha reso confusione infrà i palati,
Mentre, che con tuoi cibi delicati
Fatto hai, col’ARTE tua Natura vile.
Se l’Augel di Numidia, over simile,
O’ del Benaco i Pesci entro dorati,
Son senza il tuo condir da lor gustati,
Chiaman cibo volgar, non signorile.
L’ARTE tua lega in uno gli Elementi,
Li gusti restan paghi d’alte prove,
Che maraviglia apporti hoggi a le genti.
Nel Ciel son gli Elementi più, che altrove:
Tu signoreggi quei con tuoi talenti;
Ond’io ti chiamo il Cuciner di Giove.
Amstellio PastifaiChe si deve far stima maggiore della Cucina, che d’Amore.
Pronto a ferir’, a cucinar spedito,
Foco d’Amor’, e foco di cucina:
Le voglie accende, e i cibi al gusto affina,
Impiaga il Core, e sana l’appetito.
Forte l’uno mi vuol, l’altro ferito:
Solo a pelar foco amoroso inchina,
Pela il secondo pur, ma ancor cucina:
Quei m’invita a penar, questi a Convito.
Sono i colpi d’Amor sempre letali:
Dà la vita del Cuoco opra maestra:
Quinci nascon le gioie, e quindi i mali.
Pera il bastardo arcier, pera sua destra,
Più che tutti non vagliono i suoi strali
Del mio Stefani val’ una minestra.
Astolfo Bultrisio


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MANIERA,
che deve osservare il capo cuoco per ben servire il suo padrone.
DI BARTOLOMEO STEFANI
Cuoco bolognese

Deve il capo cuoco in tutto, e per tutto fedelmente servire il suo signore, e padrone in qual si sia modo, non trascurando il comando di quello, in ciò che porta il suo affare; e servendo in corte de’ prencipi, overo di cavalieri privati, alla servitù de’ quali, vi sia il maggiorduomo, quello deve, dopo il padrone, riconoscere per il primo; dopo di questo, il signor maestro di casa, che sarà il secondo, e lo scalco, per terzo, quale deve ubbidire per il semplice servitio delle vivande. Havendo il capo cuoco perfetta intelligenza nel dimandare i condimenti per le vivande, per ben operare, tenendo sempre a memoria, che il poco, fa poco buono, e il troppo, il più delle volte, guasta.
Il capo cuoco deve essere con i cuochi, garzoni, e guatteri, amorevolissimo, per eccitare li sodetti al buon servitio, ma avertire, di non lasciarsi perdere il rispetto, perché al tempo d’adesso, molti ve ne sono, che quando hanno schiumata la pignatta, si stimano essere assai maggiori del capo cuoco.
Non deve il capo cuoco appropriarsi alcuna, benché minima portione di buone mancie, o ragaglie, che fossero proprie de’ sodetti cuochi,
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garzoni, o guatteri, che facendolo, si farebbe perdere il rispetto, e poco l’ubbidirebbero, cosa di grandissimo pregiuditio al buon servitio, considerando, che un capo cuoco, per valent’huomo che sia, senza l’aiuto de’ sodetti, da sé solo non può ben operare, e ben servire.


AVVERTIMENTI
a’ sotto cuochi, garzoni, e guatteri

A’ sotto cuochi
Nel giorno d’hoggi, un sotto cuoco si suppone d’essere più esperto nella sua professione, mentre sappia fare un lesso, e un stuffato, di quello sia il capo cuoco, poiché in questi tempi li signori grandi si stuffano delle vivande, che loro si fanno, né ad altro pensano, che a nuove inventioni di far cucinare; onde è necessario, che i sotto cuochi stiano all’ubbidienza de’ capi cuochi, sin che da quelli habbiano pienamente imparato l’arte, se bene mai non si termina d’imparare, e si deve servire di quella sentenza, che dice: ancora imparo.A’ garzoni
Deve sapere il garzone, che per pelar bene un pollo, e poi non saper rimettere le coscie di quello al suo luogo, e se haverà rotta la schiena, o per la rottura l’osso del petto, dà fattica al trinciante, e niente comparisce sopra una tavola, mentre non sii bene preparato, né deve il garzone insuperbirsi, per haver d’ordine del cuoco impastata un poco di pasta, perché il cuoco tien quel luogo, e prima del garzone ha imparato, e al garzone tocca star sotto la disciplina del cuoco, per riuscire atto nel lavorare, tenendo polite, e nette le tavole; osservare, che i guatteri tenghino i vasi di cucina netti; farsi ben volere a’ capi cuochi, e sotto cuochi, per portarsi avanti, e avanzarsi a segno d’habilità, in servir qualunque cavaliere.
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A’ guatteri
Non è meraviglia, se nelle cucine de’ grandi non si possa allevare cuochi puliti, e netti, poiché li padroni ricevono al servitio persone, che sono sporche, lorde, e senza camicia, a segno che il capo cuoco, per vederli così mal in ordine, e sporchi, non applica a comandare loro; onde non è possibile, che chi non sa tener netta, e pulita la sua vita, sappia né anco applicare a lavorare nettamente; essendo anco necessario prohibire a’ guatteri il giuocare, perché nel tempo che giuocano, non possono scopare la cucina, e tener netti li vasi di quella.


DISCORSO
DI BARTOLOMEO STEFANI
Cuoco bolognese
Sopra il vitello, e sue parti, e il modo di ben cucinarlo, e c.

Mi par bene di discorrere prima sopra il vitello, perché fra gli animali quadrupedi, tiene il primo luogo, e della sua carne si fanno diversissime vivande.


Fegato del vitello

Pare, che sii mestiero d’ogn’uno il friggere il fegato di vitello, e perciò di questo non ne farò mentione; ma però dico, che il detto fegato è buono anco ripieno, pigliando il fegato intiero, cominciando con un coltello dalla parte ove è più grosso a suodarlo, e quello, che fuori se ne cavarà, si deve piccar minutamente, con oncie due di lardo battuto, un poco d’erbette odorifere, oncie tre di medolla, oncie tre di condito grattato, oncia una di pignoli, e oncia
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una, e meza d’uva passa, aggiongendovi un poco di zuccaro, e un poco di diverse spetiarie, sale, e due rossi d’ova freschi; e tutte queste cose componerle insieme, e di queste empire il fegato del vitello, e involgerlo in una rete, avertendo d’ontarla bene di butiro, e polverizarla con sale, canella, e un poco di zuccaro. Involto che l’haverai, mettilo in un tegame unto di butiro, e poi mettilo a sottestare, dandogli fuoco lento, avertendo d’untarlo, e cotto che sarà, lo servirai sopra con sugo di limoni. Si pone ancora il detto fegato lardato allo spiedo, e sia servito in un piatto con salsa di marinelle. Serve ancora il detto fegato per fare il primo corpo delle tomaselle, del che ne farò mentione, e di questo se ne può fare fegatelli involti in rete, con pane grattato, zuccaro, canella, sale, e pepe, e poi messo nello spiedo, tramezato di foglie di lauro, avertendo non dargli fuoco gagliardo: cotto che sarà, si metterà nel piatto servito con succo di naranci.


Testa del vitello

Testa del vitello

La testa del vitello ben pelata, e ben pulita, posta in una salvietta, cotta in bianco, regalata con fior di boragine, fette di limoncello, polverizata con sale bianco, intorno all’orlo del piatto una piccata di chiara d’ova, e erbe odorifere.


Testa in altro modo

Molti cuochi vi sono per fare una testa senz’osso, che la fanno involgere in canavaccio, e poi con un bastone li fanno rompere l’ossa, e molti ve ne sono, che lo fanno fare alli garzoni, e loro comandano, che non rompano la pelle, e a me pare impossibile, che prima non si rompa la pelle, e poi l’osso. Onde a mio giudicio direi, doversi pigliar la testa ben polita, e metterla sopra un canavaccio bianco, e con un coltello, che tagli bene in ponta, scorticarla da quella parte dove è troncata, roversciando la pelle verso il muso, e quando s’arriva appresso il muso con la pelle roversciata, troncar tutte l’ossa dure della detta testa, avertendo di lasciare tutto il muso intiero, e dipoi spezzare il cranio, levarle le cervella, e cavar gli occhi con le
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grasselle, per poterli ritornare al loro luogo: e cavarle la lingua, e poi empirla con questi condimenti.
Pigliarete due libre di polpa di vitello, ben battuta, oncie sei di lardo, avertendo che non sii rancido; erbe odorifere, cioè, mentuccia, maggiorana, serpollo, e altre erbette diverse, tutte ben battute insieme, cascio parmigiano, oncie tre di midolla di bue, libra una di ricotta fresca, libra una di pasta di marzapane, libra una di cedro condito, oncie sei pignoli, oncie tre uva passa, quarti tre canella pista, oncia meza di garofani pesti, un poco di pepe, noce moscata, e sale a discrettione; e poi si pigliano le cervella pelate, e rifatte, si tornano al suo luogo naturale, si piglia ova fresche quattro, tutto rotto incorporato insieme, e poi si piglia la pelle della detta testa, e si riempe con detta compositione, avertendo però di ritornare gli occhi al proprio luogo, e poi involta in salvietta, si cucina in brodo buono, facendovi sotto una suppa, fatta di fette di pane fritte in butiro, e bagnato con latte di pistacchi, panna di latte, e sugo di limoni, e adornato il piatto con fette di sopressata, e fette di pane indorato, avertendo d’inlardare la lingua di detta testa minutamente, e imbroccarla con stecchi di garofani, cotta arosto, e poi spaccata, metterla avanti la bocca di detta testa.


Testa in altro modo

Ben pelata che sarà la testa, e ben curata dentro della bocca, la metterai in un vaso a portione di detta testa, le metterai libre due di presciutto, libra una di ventresca di porco, code due di castrato, e anco le metterai un poco d’erba brusca, e altre erbe odorifere, quando sarà vicino alla cottura, vi buttarai tanti piselli, quanto fa bisogno per il piatto; vero è, che a fare questa vivanda, vuol essere un piatto sforzato; aggiongerai in detto vaso un piumazzolo con stecchi di canella, e brocchi di garofani, e dato che havrà l’odore, si potrà levare detto piumazzolo, accioché il brodo non resti oscuro, aggiungendovi una tazza d’uva spina a porzione: e di tutto questo ne formarai un piatto; avertendo però di tagliargli fette di pane sotto, e ben compartito quel presciutto sfillato con quelle code, e ventresca, adornando il piatto con formaggio lodegiano, e canella, regalato con sparagi fritti in butiro.


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Testa in altro modo

Devi pigliar la testa ben pulita, e darli mezza cottura in malvasia, e poi levarla da quel brodo, e metterla in un’altro vaso, con una libra di butiro fresco, oncie sei di midolla di bue, una noce moscata pestata, un quarto di garofano intiero, un poco di canella, e sale a giudicio; e poi aggiungerai tartuffole, e brugne di Marsilia, pistacchi mondi, code di gambari, condito grattato oncie sei, polvere di mostaccioli oncie quattro, e sugo di limoni; ponendo la testa in piatto sforzato, l’adornarai con tutta quella dosa, e regalarai il piatto con zampetti marinati di vitello, tramezzati con carcioffi fritti in butiro, servita calda.


Cervella del vitello

Cervella del vitello

Delle cervella è l’ordinario metterle nell’acqua calda alquanto, e ben levare quella pelle sottile, che hanno intorno, farle rifare, e poi tagliarle in fette, e per ogni paro di cervella, pigliar due ova, cascio grattato, un poco di farina, un poco di sale, canella pesta, battendo tutto insieme, ne formarai colla, avertendo, che non sia troppo fissa, e havendo la padella a fuoco con butiro ben caldo, e poi bagnare le dette fette di cervella nella colla, mettendole subito nella padella, e cotte a fuoco, saranno servite con zuccaro sopra.

Cervella in altro modo

Per fare le frittelline di cervella, pigliarai le cervella ben curate, come sopra, le piccarai minute, e poste dentro una cazzetta, vi metterai tre ova fresche; formaggio grattato, oncie quattro; condito, oncie quattro; polvere di mostaccioli, oncie due; canella, una dramma; un poco di sale, mezo bicchiere di panna di latte, e oncie tre di farina: mescolarai ogni cosa insieme, havendo la padella al fuoco con butiro ben caldo, con un cucchiaro andarai mettendo lette frittelline, dando loro cottura a fuoco lento, e siano servite calde con zuccaro sopra.


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Cervella in altro modo

Devi pigliar le cervella ben rifatte, tagliarle in bocconcini, e poi imburrachiate, friggerle in butiro; avertendo però che, che i bocconcini non si tocchino insieme; cotte che saranno, le metterai in una pignatta con un poco d’erbette battute, un poco di brodo di cappone, aggiungendovi un bicchiere di panna di latte, e ristringendola con un brodetto fatto con sei rossi d’ova freschi, e sugo di limoni, e questa sarà un’ottima minestra.


Lingua del vitello

Lingua del vitello

Si deve pigliar la lingua ben pelata, e poi bastonarla, inlardarla minuta, e metterla in un vaso con butiro fresco, e quando sarà ben sottestata aggiungervi un poco di pepe, garofani, e mastice, e poi quando sarà vicino alla cottura, mettervi mezo bicchiere di malvasia, un poco di tartuffole, oncie tre di condito, e un poco di polvere di mostaccioli, e posta che sarà nel piatto, tempestarla di cinamomo.


Lingua in altro modo

Alla lingua ben pelata, e polita, si deve dare meza cottura a lesso, avvertendo che non si cuoca troppo; poi cavarla fuori del brodo, fin che sia fredda, a segno che si possa maneggiare, e poi con un coltello incominciare dal capo grosso a suodarla a poco, a poco con ogni diligenza, acciò non si rompa, o trafori la lingua, e estratta la polpa, questa si deve piccare minuta, e poi aggiungervi un poco di midolla, tartuffole, un poco di pomo d’Adamo, quattro pistacchi, un poco di diverse spetiarie, sale, e due rossi d’ova, e di questa compositione si riempe la lingua, e poi si pone in un vaso, con sei oncie di lardo battuto, aggiungendole brodo sufficiente, con un paro di latticini di vitello, tagliati in bocconcini, e una libra di punte di sparagi, quattro fondi di carcioffi, e un poco d’uva spina, astringendola con un brodetto d’ova fresche.


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Lingua in altro modo

Pelata la lingua, rifatta, e ben battuta con un bastone, devi involgerla in polvere di mostaccioli, con polvere di garofani, poi tagliare una fetta di lardo, tanto che vi si possa involgere dentro la detta lingua, e detta fetta di lardo lavata in acqua rosa, polverizata con polvere di Cipro, e involta la lingua in detto lardo, con un poco di sale, il tutto infascia in foglio di carta reale, ben ontata di butiro, posta nello spiedo, legata bene da tutti i capi, lasciandola cuocere a fuoco lento, e quando sarà cotta, la servirai di sopra con una salsa di pomo granato.


Latti del vitello

Esquisiti saranno i latti di vitello, e un poco rifatti, nettandoli bene da quelli gargozzetti, che vi stanno intorno, lardati minuti, cotti allo spiedo; quando saranno vicini alla cottura, polverizati con un poco di sale, polvere di mostaccioli, e cotti, metterli in un piatto, e serviti con la salsa reale.
Si possono ancora mettere i detti latti ben bolliti in un tegame, con un poco di butiro, lardo battuto, mastice, e sale, indi metterli a sotestare, quando si conoscerà che siano a meza la cottura, se li può spremere due pomi granati, avertendo di levar fuori della scorza i grani, per metterli poi in una stamegna per spremere affatto il succo, aggiungendovi un poco di zuccaro, e questa sarà buona vivanda per i convalescenti.
Si possono in oltre tagliare in bocconcini i detti latti ben politi, e curati con un poco di midolla, un poco d’uva spina, quattro erbette battute, un poco di ponte di sparagi, facendo loro corpo con quattro rossi d’ova, che si farà una minestra delicatissima.
I latti, si possono, rifatti che saranno, tagliar in fette larghe, infarinare, e friggere in butiro gettato, e posti nel piatto, servirli con zuccaro, e sugo di limoni, che saranno ottimi.
Di essi latti si ponno anco fare bianchi mangiari, avertendo però, che di due latti che ha il vitello, non ve n’è se non un buono, che è quello, ch’è più tondo, e più bianco dell’altro; e quando è ben pulito, e ben rifatto, si pestarà nel mortaro con un poco di latte, passandolo
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per stamigna, mettendolo in un vaso pulito al fuoco, con un poco di farina di riso a portione, un poco di zuccaro a giudicio, un grano d’ambra, un poco d’acqua rosa, mischiando il tutto, e arrivare con la cucchiara nel fondo del vaso, perché è pericoloso d’attaccarvisi, e cotto che sarà, lo vuotarai in piatti, o tazze di maiolica, servendolo freddo.


trippa del vitello

Molti cuochi vi sono, che per ubbidire allo scalco, accommodano la trippa del vitello in diverse maniere, ma io dirò solo d’una minestra, e d’una vivanda.
La trippa ben pulita, e nettata con sale, e fiore di farina, e benissimo lavata, si deve metter a lessare in una pignata di pietra, acciò resti candidissima, e quando haverà havuto meza cottura, levarla da quel vaso, e tagliarla in pezzetti, e poi metterla nel brodo grasso, e aggiungervi oncie sei di presciutto sfilato, un poco di lardo battuto, un poco d’erbette, un poco di mentuccia, e un poco di pepe, e fare una suppa con pane fritto in butiro, e porvi sopra la detta trippa, e questa sarà una suppa buonissima, servita con cascio parmegiano, e polvere di canella intorno il piatto.
Pulita, e lavata, che sarà la trippa nel modo sodetto, piglia essa trippa piccata minuta, ponendola in brodo di cappone, aggiungendovi un poco di lardo battuto, un poco d’erbette, poi vi metterai oncie quattro di salame ben piccato, ma averti che sia salame di coppa, maritandola con cascio parmigiano, e ova fresche, che questa sarà una minestra molto gustosa; non volendo io discorrere di trippa arosto, o stuffato, né in pasticcio, poiché a me non sodisfanno.


Spalla del vitello

Si può mettere la spalla di vitello in diverse maniere, come sarebbe: stuffata con grasso di manzo, con bocconcini di pomi cotogni, brogne damaschine, aggiungendovi un poco di spetiarie diverse, e quando sarà vicino alla cottura, lo soffocarai con un poco d’aceto rosato, e doppo che sarà posta nel piatto, servirassi con fette di pane fritte in butiro.
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Si può fare detta spalla arosto, prima rifarla sopra la graticola, inlardarla minuta con angiove, poi polverizarla con sale, e polvere di mostaccioli, involgendola in una rete ben onta di butiro, mettendola nello spiedo, e cotta che sarà, ponerla nel piatto, servita col sugo, ch’haverà fatto nella leccarda, e naranci spremuti dentro.


Petto del vitello

resta buonissimo, e bellissimo il petto del vitello a lesso, avertendo d’usar diligenza acciò resti candido, cotto che sarà, messo nel piatto, polverizato con sale, e servito con fascette di limone d’intorno, tramezato con fiori di boragine.
Si può fare stuffato il petto di vitello con lardo battuto, e fare che pigli un bellissimo colore con quello, avertendo però di metterlo in un vaso che sia a portione, ponendovi noce moscata, garofani pesti, un poco di pepe, sale, un bicchiere di malvasia, quattr’oncie di tartuffole, oncie due di pignoli, oncie tre di brogne damaschine, e pomo d’Adamo in bocconcini.
Si può anco, lessato che sia il petto, servirlo alla gratella, infarinato con pane grattato, zuccaro, canella, un poco di polvere di garofani, e ben bagnato con sugo della leccarda, cotto che sarà, metterlo nel piatto, con polvere di basilico, e stuffarlo con aceto rosato.
Si può fare arosto, ben battuto che sia con una cannella, e poi involto in un foglio di carta reale, ben ontata di butiro, polverizata con sale, polvere di mastice, tempestata di moscardini, e polvere di persa, raccogliendolo poi nella carta ben stretto, messo allo spiedo, cotto a fuoco lento, e poi messo nel piatto, vuol essere servito con salsa reale.


Punta di schiena del vitello

La schiena del vitello si può fare in diverse vivande, e primieramente in bianco, posta nel piatto, e servita con sapor di noce.
Della schiena se ne possono fare brasuole, ammaccate con la pianta del coltello, insproccate con stecchi di garofani, polverizate con polvere d’erbe odorifere, noce moscata, e un poco di sale, mettendole in adobbo con aceto rosato, e poste sopra la gratella, le bagnarai
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spesse volte con butiro, overo oglio di Toscana, e poi cotte, e disposte nel piatto; averti, che se saranno condite con butiro, bisogna servirle con salsa reale, e se saranno con oglio, le servirai con salsa d’angiove.
Altra vivanda buona si può fare, mettendo detta schiena in un vaso con tanto vino bianco, quanto che stia coperta, poi messa a fuoco, consumato che sarà mezo quel vino, levarai via la metà di quello, che resta, e vi aggiungerai un quarto di mastice, un quarto di garofani, un’ottavo di zaffrano, oncie tre di zuccaro, un poco di tartuffole, pignoli, e brogne damaschine, e cotta messa nel piatto, la servirai con fette di pane dorato.
Può anco detta schiena servire per bisogno d’arosto, lardandola minuta, avertendo di levar l’osso dalla spalla, bagnandola di strutto spesse volte, e se vi si vuol fare crostata di pane, zuccaro, e canella, starà bene, servita con naranci spaccati.
Di questa se ne può fare ancora piccate calde, e fredde con butiro, e sugo di limone, con un poco di canella. A quella che si farà calda, metterai fette di pane sotto fritto in butiro, e polverizata di sopra.


Panzetta del vitello

La panzetta del vitello, dico, che sia per servire più tosto a regalar piatti, e rinforzar vivande, che per far vivanda da se sola, poiché pare una bisaccia piena di poca gratia; ma però, chi vuol fare in essa il pieno, e che sia delicato, pigli lardo battuto, petroscemolo, midolla di bue, un poco di pane bagnato con brodo bollente, cascio parmegiano trito, pignoli, uva passa, un poco di cedro condito, e ova, e di questa compositione riempia la detta panzetta; quando sarà cotta in buon brodo, così calda la tagli in fette, che così può servire, e fredda, e calda; raffredata che sia, può tagliarsi in fette, infarinandole, overo indorandole, come si fanno le cervella, frigendole poi nella padella con butiro, se saranno infarinate, sopra le dette fette, vi si deve mettere quattro rossi d’ova con succo di limoni ben stemprati, aggiungendovi un poco di noce moscata, e meza tazza di brodo, gettando ogni cosa nella padella, avertendo però di travagliarla con la mano; e se ne farà una vivanda delicatissima, e quelle saranno indorate a guisa di cervella, si servino in zuccaro sopra.


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Rognoni del vitello

Delli rognoni non se ne serve, se non da sé solo, come sarebbe a dire, per far piccata con zuccaro, e succo di limone polverizati con polvere di garofani, e di canella.
Di questi se ne può coprire fette di pane fritto in butiro, come sopra, aggiungendovi un poco di maggiorana, un poco di pasta di pistacchi, un poco d’acqua di fior di cedro, due rossi d’ova freschi, e un poco di pomo d’Adamo grattato, e poi ben incorporato, disteso sopra le fette del pane, le metterai in una padella onta di butiro con fuoco sotto, e sopra.
Di questi ancora se ne può mettere nelle pagnatelle ripiene, e ancora dentro a’ pasticci alla genovese, sono anco buoni nelle bische stuffati in un poco di butiro, noce moscata, e polvere di garofani; cotti che sono, ben piccati minuti, aggiungendovi succo di limoni, e poi ponendolo sopra la bisca, la renderà più gustosa.


Coscetto del vitello

Il coscetto del vitello, per essere la parte più ricca di carne se ne forma diverse vivande, di modo, che alle volte se ne cava banchetti intieri, senza salvatici, né tampoco animali domestici, come capponi, pavoncelli, polanche, pulcine, e piccioni, perché di questi a tutte le stagioni non se ne ritrova, come si fa del vitello.
Il coscetto ben spolpato, nettato bene da’ nervetti, e battuto bene con cannella, a pezzo per pezzo tagliato in bocconcini, rifatti in butiro, aggiungendovi mastice, garofani un quarto, canella, pepe, un poco di sale, grasso di manzo, e midolla, con oncie sei di lardo batutto, che lo rende gustoso, mettendovi fondi di carcioffi, un poco d’uva spina, e pignoli, forma una buonissima compositione da formare un pasticcio brodoso.
Levando al coscetto l’osso, e la pelle gentilmente di sopra, ben battuto con una cannella, lardato con lardoni grossi, polverizato con diverse spetiarie, e con un poco di sale, se ne farà un pasticcio freddo, e quanto più si lasciarà in adobbo, tanto più sarà buono.
Anco di questo se ne può far brasuole, che si chiamano coppettoni,
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ben lardati, messi nello spiedo, cotti a fuoco lento; avertendo di tener conto del succo, che faranno; e quando sarà vicino alla cottura, metterai in una pignatta di pietra, aggiungendovi il succo che sarà nella leccarda, noce moscata, garofani, sale, e altre diverse spetiarie, con mezo bicchiere di malvasia, un poco di polvere di mostaccioli, brogne, e pignoli, avertendo che stia ben coperta.
Di questo ancora se ne fa bragiolette ripene pigliando la polpa ben piccata, e poi stendendola sopra una tavola ben polita, se ne forma una fascia alla lunghezza di due braccia, e larghezza di tre dita, e polverizando detta fascia con polvere di basilicò, e sale, poi si piglia oncie sei di lardo ben battuto, un poco di petroscemolo, e incorporato con un poco di ricotta fresca, formaggio grattato, pignoli, uva passa, un poco di spetiarie diverse, sale, midolla oncie tre, due ova fresche, e di questa compositione si deve farne un sol corpo, poi stenderla bene sopra detta fascia con un coltello, tagliandola in quadretti, overo a mandola, ponendola in una padella onta di butiro, con fuoco sotto, e sopra; e quando sarà a meza cottura, vi si deve mettere un poco di panna, e succo di limone.
Si ponno anco far polpette alla romana, tenendo lo stile di sopra accennato, cioè; di fare quella fascietta di carne, ma il riempimento sarà questo: lardo battuto con erbe odorifere, come persa, mentuccia, fagrizzola, e altre diverse, con un poco d’aglio, midolla di bue, pasta di marzapane, pomo d’Adamo tagliato in bocconcini, pignoli, uva passa, un poco di garofani, pepe, e sale; un poco di formaggio grattato, e due ova, e tutto questo ben incorporato insieme, e messo su la fascietta, come di sopra, indi con un coltello sottile si va raccogliendo la detta fascietta, e tagliando le polpette a sodisfattione, poi metterle in una padella onta di butiro, con fuoco sotto, e sopra, overo nel forno, avertendo d’ontarle spesso, e cotte che siano, se gli può spremere sopra sugo di naranci.
Di questa polpa di coscetto ben piccata minuta, con grasso di manzo, midolla, polvere di zuccaro, noce moscata, polvere di garofani, pepe, canella, un poco di sale, pignoli, cedro condito, polverizata con un poco d’ambra, bocconi di latticini, pistacchi mondi, tartuffoli, un poco di pasta di Genova piccata minuta, rossi d’ova piccati minuti, e ogni cosa rifatta con butiro; se ne può riempire pasticci inglesi,
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aggiungendovi però dentro uccelletti, ortolani, beccafichi, o quaglie.
Di questo pieno ne potrai riempire pagnottelle, alle quali va ben battuta la crosta con coltello, e levato un coppoletto da dette pagnottelle, e da quel buco dovrai levar tutta la mollica, poi imbeverarle di latte, e riempirle di quel battuto, tornandole sopra il suo coppoletto, e ponendole in una padella onta di butiro, le metterai nel forno, e quando saranno vicino alla cottura, farai loro un ghiaccio di zuccaro sopra.
Si ponno ancora riempire pasticci sfogliati; se sarà d’estate, vi si può mettere un poco d’uva spina, e mandolette verdi, ammalvate nel butiro, con quattro visciole senz’osso.
Alla medesima polpa, essendo inverno, vi si potrà aggiungere un poco di cavoli fiori, rifatti in bonissimo brodo, e ancora sparagi bianchi di Venetia.
Diverse altre cosette si ponno fare di queste polpe battute con la costa del coltello, cotte in butiro, polverizate con polvere di pitardo, noce moscata, polvere di garofani, pepe, un poco di sale, e aglio pesto nel mortaro, distemperato con aceto rosato, aggiungendovi un poco di pignoli, e zuccaro.
Essendo questa polpa piccata ben minuta, stemperata con brodo di cappone, messa al fuoco, e consumata la metà, aggiungerai un poco di zuccaro, rosso d’ova fresche, e succo di limone, avertendo però di mettervi due stecchetti di canella fina a bollire dentro, e quella levare, quando havrà dato il gusto, e l’odore, servendola sotto con pane in fette brustolato gentilmente, se ne fa una piccada alla genovese, molto vaga, e delicata.
Di questo coscetto ancora se ne può cavare un succo di gran gusto, e sostanza, pigliando il detto coscetto mettendolo arosto, quando sarà vicino alla cottura, devi levarlo dallo spiedo, e metterlo in una salvietta, e spremerlo bene in un torchietto delle sopressate, che ne cavarai una tazzetta di sugo, pestando oncie tre pistacchi mondi, aggiungendovi un grano d’ambra, stemperandola con un bicchiere di panna di latte, un’oncia, e meza di zuccaro fino, spremendovi due limoni, e tutto poi messo in un pignattino ben polito, facendolo bollire a poco a poco, servito caldo, sarà un brodo di gran sapore, e sostanza.
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Si può ancor a svotare il coscetto, per empirlo, levandovi l’ossa con un coltello, che tagli bene in punta, cominciando da quella parte dove è stata dispiccata la lonza, quasi scorticando, e sempre roversciando la pelle verso lo stinco, e poi di quella polpa che se vi levarà, basta la metà, piccandola minuta, con lardo ben battuto, grasso di manzo, un poco di midolla, pasta di marzapane libra una, oncie quattro di tartuffoli, un quarto di mastice, un’ottavo di polvere di garofani, pepe, canella, sale, oncie sei di polvere di mostaccioli, pignoli, uva passa, un poco di coppa di salame ben piccata, bocconcini de lattecini, oncie sei di condito tagliato minuto, quattr’ova, incorporando tutto insieme, avertendo di dare spetiarie alla pelle del coscetto, e poi con detta compositione riempirlo, e cucirlo da quel lato più aperto, ontandolo bene sotto, e sopra di butiro, mettendolo in una padella a portione, poi nel forno, ontandolo spesse volte, servendolo poi con il succo, che da sé si fa, spremendovi sopra succo di naranci, che questa sarà una buona vivanda.
Riesce arosto, involto bene in carta, onta di butiro, polverizato con sale, insproccato con stecchi di garofani, e quando sarà vicino alla cottura, polverizarlo con polvere di mostaccioli, e levato, che sarà dallo spiedo, lo servirai con salsa reale.


Zampe del vitello

Riescono gustose le zampe del vitello ben pelate, e nette con tutta politia, mettendole a cuocere in brodo grasso, aggiungendovi un cervellato di Milano, overo un poco di salciccia odorifera, tagliandovi poi una suppa con pane, tramezando il pane con fette di formaggio tenero, polverizato con formaggio grattato, mescolato con canella, e poi levate le zampe fuori del brodo, ponendole sopra il pane tagliato, ammollando la suppa con detto brodo, regalato poi con quel cervellato, overo salciccia, servendola con formaggio grattato, col farla bollire per un’ottavo d’hora.
Le zampe possono servire per insalata, tramezate con capparini, fette di limoncello, e altre sorte di cose, conforme la commodità.
Si possono le zampe accommodare, ben polite, facendole cuocere in buon brodo, e cotte spaccandole per mezo, infarinandole, e friggerle
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nella padella con strutto, e poi si deve pestare nel mortaro un poco d’aglio, un poco di noce moscata, un quarto d’anisi, un poco di basilicò, due oncie di polvere di zuccaro, stemperando ogni cosa con aceto rosato, avertendo che sia poco più di mezzo bicchiere, e quando saranno fritte, levarai via il dileguato dalla padella, buttandovi dentro quella salsetta, ch’haverai fatta nel mortaro, dandoli un poco di fuoco lento, tanto che si possa pensare habbia pigliato il gusto, mettendole nel piatto ben coperto.
La salsa, che di sopra ho detto, si può fare in un’altra maniera. Piglia oncie sei di mostarda fina, aggiungendovi un’ottavo di bicchiere di malvasia, e un poco d’aceto, aromatizato con garofani, o canella; e di questa te ne servirai, come sopra.

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TRATTATO
Della maniera, e modo per fare diverse, esquisite, e gustose minestre.
Di Bartolomeo Stefani
Cuoco bolognese

Minestra di finocchio

Pigliarai il finocchio ben mondato, e lo lavarai in acqua fresca, e prima rifatto in brodo magro, tagliandolo in bocconcini, lo metterai in un vaso vitriato con un poco di brodo di cappone, e quando sarà alla cottura, vi metterai un poco d’uva spina, un bicchiere di panna di latte, due oncie di pignoli lavati in acqua rosa, ammaccati nel mortaro, e l’astringerai con un brodetto di quattro rossi d’ova, e succo di limone, e sotto li metterai fette di pane fritte in butiro, così ne farai minestra, che sarà molto delicata, servendola calda, polverizata con canella.


Minestra di pelle di capponi

Per fare tre minestre, pigliarai due capponi grassi ben lavati, e raspati con la punta del coltello, e levandoli quella pellicola, o pelle matta, li metterai a bollire, e quando saranno cotti non intieramente, li levarai dal brodo, scorticandoli, tagliarai la pelle come
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tagliolini, e la metterai in un pignattino con un poco di brodo di cappone, con quattr’oncie di pistacchi, stemperati con latte, passati per setaccio, e vi aggiungerai sei rossi d’ova, succo di limone, e il tutto buttarai nel pignattino, dandogli fuoco lento, e mescolandolo con un cucchiaro di legno, fino che si restringa in brodetto, e sotto gli metterai fette di pane bruscato; questa minestra vuol esser servita con zuccaro, e canella.


Minestra di torsi d’endivia, o lattuca

Pigliarai più torsi d’endivia, o lattuca romana, mondati benissimo, li lasciarai un poco in acqua fresca, e li farai rifare, mettendoli poi in un pignattino con una libra di punte di sparagi, ponendoli a bollire in brodo grasso nell’istessa maniera, aggiungendovi un poco d’uva spina, fegatelli di polli, soffocati in butiro, dodici mandole fresche, prima stufate in butiro; indi pigliarai quattr’ova fresche, succo d’agresta, stemperando il tutto a guisa di brodetto, farà una minestra molto gustosa, e ottima per li convalescenti.


Minestra di petto di fagiano

Pigliarai il fagiano non lardato, messo nello spiedo, bagnandolo spesso con butiro fresco, e terrai in conserva quel suo succo, che farà, e quando sarà vicino alla cottura, lo levarai dallo spiedo, e parte della sua polpa la piccarai con il coltello, e parte la pestarai nel mortaro, con sei oncie di seme di melone, un grano d’ambra, quattro mostaccioli di Napoli, il tutto stemperato con panna di latte, passandolo per setaccio, avertendo che non sia troppo fisso, e poi lo metterai in un pignattino, aggiungendo l’altra parte del fagiano piccato con tre oncie di pistacchi ammaccati, sei rossi d’ova fresche, oncie due di zuccaro fino, un poco di midolla minuta, il succo di due limoni, e sotto la minestra vi porrai biscottini savoiardi, servendola con polvere di canella, e sarà buona per li frigidi di stomaco, e per mancanza di calor naturale.


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Minestra di cime di zucca, lancini, e grani d’agresto insieme

Pigliarai le cime di zucca, e se vi saranno li zucchetti sarà meglio, li farai rifare nel brodo, e rifatti, li metterai in un pignattino con brodo di cappone, due latticini tagliati in bocconcini, e prima rifatti, pigliarai di quell’agresto, che suol fare la vite tre volte l’anno, perché li grani sono grossi, e duri, e hanno polpa, e mondati dalla pelle, li spaccarai, e li levarai il seme, mettendo due oncie di cascio parmegiano grattato, e due ova, e così maritarai la detta minestra.


Minestra di tre starne per quattro minestre

Pigliarai tre starne, e le metterai nello spiedo, bagnandole spesso con butiro, e quando saranno cotte, le cavarai dallo spiedo, e cavandole la polpa, la pestarai minuta come pan grattato, e poi piglarai l’ossa delle starne, e le pestarai nel mortaro, pigliarai quel succo, che haveranno fatto nella leccarda, aggiungendovi oncie sei di pignoli, oncie quattro di seme di melone, e il tutto stemperarai con brodo grasso, e così stemperato, lo passarai per stamegna, e con questo succo metterai le starne al fuoco, ma che il brodo sopravanzi due dita sopra le starne, e poi vi aggiungerai oncie tre di cedro condito, oncie due di zuccaro fino, oncie sei di capo di latte, quattro rossi d’ova, cucinandole a fuoco lento, e sempre mescolarai con un cucchiaro di legno, e per ultimo vi metterai un poco di noce moscata, succo di tre limoni, che farai una minestra gentilissima, e molto esquisita, servendola calda, con fette di pane di Spagna sotto, e sopra zuccaro, e canella.


Minestra di zucca

Pigliarai la zucca rifatta nel brodo, acciò sia più saporosa, passata per setaccio; pigliarai oncie sei di mandole peste nel mortaro, le stemperarai con un bicchiere di latte passato per stamegna, mettendo la zucca al fuoco con brodo grasso di cappone, e quando
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la zucca sarà vicino alla cottura, le metterai quattro rossi d’ova, e il succo di quattro naranci, e sarà gustosa.


Minestra di fondi di carcioffi

Pigliarai fondi di carcioffi, e levatogli il pelo, li farai rifare nel brodo, e tagliati in bocconcini, li metterai in una pignatta con brodo grasso, crestoline di polli, e granelli, un poco d’uva spina, oncie due di pistacchi mondi ammaccati, midolla, formaggio lodigiano, tre ova; e questa sarà una minestra ottima.


Minestra di piccioni

Pigliarai li piccioni sottobanca, e tagliarai la pelle sopra la schiena, senza romperla, scorticandogli affatto, lasciando attaccato alla pelle la testa col collo, e l’ali, pigliarai la polpa sopra l’ossatura, pestarai un poco di lardo, con persa tra mezo, petroscemolo, midolla, formaggio a discrettione, pignoli, oncie tre di pasta di marzapane, pepe, garofani, noce moscata, e canella: fatta che haverai la compositione, pigliarai le dette polpe, e le tramezarai con quel battuto, e le ritornarai nel luogo loro nelli piccioni, cucendovi con refe la schiena, ritornaranno nella sua propria forma, e così poi li metterai a bollire in brodo grasso, con fette di presciutto, cavoli fiori, bocconcini di cardo rifatto, pignoli ammaccati, quattro brognoli, e con il tutto conciarai la minestra, aggiungendo cascio parmegiano, quattr’ova fresche, e sotto la servirai con fette di pane fritte in butiro, e sopra l’adornarai con canella in polvere.


Minestra a bagno maria, da molti chiamata di paradiso

Pigliarai ova sei ben sbattute in una pignattina, oncie due di zuccaro fino in polvere, panna di latte una scudella, e meza: riempita che haverai la detta pignattina, la metterai in una cazza con tant’acqua, che arrivi all’orlo della pignattina, avertendo che l’acqua sia fredda, acciò riesca meglio, coprendo la pignattina con carta, e coperchio
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ben polito, le metterai meza pietra in cima, acciò non vacilli, dandole fuoco lento, sì che bolla adagio, e non vada sopra la pignattina, perché la minestra non riuscirebbe a perfettione di bontà; quando sarà alla cottura, la levarai da quel vaso, e con un cucchiaro le levarai la superficie, e poi a cucchiaro, a cucchiaro la metterai nel piatto, e quando non sarà congelata insieme, è segno che non sarà cotta; è ottima per gli ammalati, e convalescenti.


Minestra di cervello di vitello

Pigliarai le cervella pelate, e rifatte, le tagliarai in bocconcini, le metterai in una pignattella con brodo grasso, petroscemolo, basilicò, uva spina, fegatelli di pollo, piccati minuti, rossi d’ova, e succo di limoni, stringendo il tutto in forma di brodetto, havrai un’ottima minestra.


polenta di riso

Pigliarai due libre di farina di riso, vintiquattro bicchieri di latte, e meza libra di butiro fresco, metterai il latte, e il butiro in una cazza ben netta a fuoco lento, avertendo ch’è facil cosa pigli il fumo; quando sarà a bollire il latte, buttarai giù la farina, havendola prima stemperata con altro latte freddo, facendola colla fissa, e così poi la buttarai in quella cazza, che bolle, mescolandola sempre con una cannella da pasta, così menandola sempre, fin tanto che diventi tosta: quando vedrai che haverà del duro, la levarai dal fuoco, e con un cucchiaro d’argento, bagnato prima in latte, pigliarai bocconcini di polenta, accommodandola nel piatto con cascio parmegiano, butiro fresco, spruzzandola con acqua rosa, e per ogni solaro di polenta, mettervi formaggio, e butiro, polverizata con canella fina; e quando sarà fatta, subito servirsene.



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DISCORSO
di Bartolomeo Stefani
Cuoco bolognese.
Sopra gli animali quadrupedi, tanto domestici, quanto selvatici

Bue

Il bue dev’essere allevato alla fatica della campagna, giovine, e grosso, col suo pascolo ordinario: questo ho voluto dire, perché molti macellai ingrassano bovi vecchi con panelle di noce, lino, e altre cose simili, e questi, al mio parere, son quelli, le di cui carni non sono buone, e riescono di poco gusto, e li brodi similmente non sono buoni per far vivande, perché il medesimo brodo sempre odora della qualità, della quale viene ingrassato il bue, che riesce molto ingrata a’ gusti, massime delicati. All’incontro, i brodi di quei bovi, che non sono artificiosamente ingrassati con simili panelle, riescono a proposito per condire diverse vivande, che si confaranno al genio d’ogni gusto, benché delicato.


Vitello

Il vitello, che sia allattato della stessa giovenca, che l’haverà dato alla luce, e questa sia nodrita in buonissimo pascolo, che simile vitello riuscirà buono per formare diverse vivande, come ho detto
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sopra; avertendo che li vitelli molte volte sono verminosi: per conoscere questi, gli aprirai, mentre son vivi, la bocca, e odorando il loro fiato, se ti riesce puzzolente, il vitello è verminoso; si conoscono parimente agli occhi, che quando i vitelli haveranno i vermi, saranno bianchi, e torbidi, e la carne di così fatti vitelli, tanto cruda, quanto cotta, porta seco l’ingrato odore del verme. Qui avertisco le persone delicate, guardarsi non solo da simile carne, ma ancora da farne l’esperienza, perché gli farà perdere il gusto, benché per altre possa giovare.


Agnello

Deve l’agnello essere lattante; il suo vero tempo è da mezo marzo per tutto aprile, che così riesce d’esquisita bontà, e meglio, che non fa in altra stagione dell’anno; la sua cottura sia arosto, e alle volte nel forno riescono buoni: se ne possono fare vivande diverse in foggia di lepre.


Castrato

Deve il castrato essere allevato in ottimi pascoli, delle sue carni se ne fanno diverse vivande, in particolare de’ duoi coscetti, ò cigotti, come dicono altri. Approvo la cottura di questi nella seguente maniera, prima siano detti coscetti ben bastonati, insproccati con aglio, stecchi di garofani, e canella, messi nello spiedo, cotti a fuoco lento, si possono servire caldi, e freddi conforme il gusto. Si cuoce in altra maniera, cioè; si piglia il coscetto del castrato ben battuto, levandovi tutta la pellicola di sopra, sì che rimanga totalmente scortica, pigliando angiove, overo alici, lardandolo tutto minutamente, insproccandolo con stecchi di garofani, e canella, lo metterai nello spiedo, facendolo cuocere a fuoco lento, spesse volte ontandolo con strutto, overo butiro, e se gustasse, con oglio di Genova, o di Toscana: avertendo salarlo nel principio, e nel mezzo della cottura; nel fine farli una crostata di mostaccioli pesti, passati per setaccio, e così caldo, o freddo riuscirà ottimo.


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Capretto

Molte sono l’opinioni intorno al capretto, che fondano il loro parere intorno alla diversità de’ colori, la qual ragione non approvo. Vogliono questi, che un capretto negro, o rosso, sia migliore, che un bianco. Io stimo, che la diversità de’ colori non varii la bontà delle carni, mentre però le capre, che nodriscono detti capretti godano del medesimo pascolo, e siano della medesima età. Sono buoni per tutto il mese d’aprile, l’inverno sono buoni al principio di genaro, sino a mezo febraro: la sua cottura deve essere arosto, ontato di butiro, polverizato con sale, e polvere di garofani, cocendolo a fuoco lento, avertendo ontarlo spesso: va servito caldo.


Porco domestico

È quest’animale molto utile per le cucine, e gustoso per fare con le sue carni vivande, e col suo grasso condirne. Io qui non farò mentione di mortadelle, sopressate, salami diversi, salciccia di diverse qualità, ma parlarò solo d’una sorte di salciccia, di cui li mesi di luglio, e agosto me ne servo, per condire minestre, e suppe, all’hora quando gli stomachi per il gran calore, sono rilassati maggiormente.

Per far dunque la detta salciccia. Si pigliano libre sei di grasso del medesimo animale, qual grasso si deve pigliare d’un lardo di detto animale nelle parti più interne, cioè, che non sia vicino alla cotica, né meno nell’altra estremità, ma sia nel bel mezo di detto lardo, non si servendo delle parti estreme, qual grasso involto in un canevazzo, ben battuto con una cannella, lavato due volte con acqua rosa, acqua di fior di cedro, pestato sottilmente con le solite pestarole, posto in un vaso di pietra con oncie due di canella pesta, oncia una di garofani pesti, oncia meza di pepe, grana tre d’ambra macinata con zuccaro, aggiungendovi dentro una libra d’acqua di fior di cedro, e una libra d’acqua rosa; e volendo che faccia il succo rosso, vi si mettono due oncie di sandalo rosso, si mescola ogni cosa insieme, si lascia posare per un giorno continuo in detto vaso ben coperto, si pigliano le solite budella da salciccia ben lavate, e pulite, infuse nell’acqua rosa, e con detta compositione se ne facciano cavezzi
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di salciccia a piacere longhi mezo palmo, o poco più. Queste salciccie si devono custodire in luogo né freddo troppo, né troppo caldo, ma temperato, e nel fervore dell’estate in luogo più fresco, che sia possibile. Quando la minestra, o suppa sarà alla cottura, vi si ponga dentro una di queste salciccie, e quando sarà gonfia si trasfori con un coltello, che così ne uscirà un succo, che condirà suavemente la minestra, e suppa, e in un pasticcio fa il simile.


Porco selvatico, o cingiale

Porco selvatico, o cingiale

Sia il cingiale, o porco selvatico ferito da’ cacciatori, che così riesce più frollo, che pigliato in altra maniera. La carne di questo animale molto viene da gran signori apprezzata; di questo se ne fanno varie vivande.

Prima ben pelato, e pulito il capo, cotto in vino con brocche di garofani, e canella intiera, e cotto sia servito caldo. Le spalle davanti cotte in brodo lardiere; i lombi arosto; le punte di schiena se ne fanno bragiole alla gradella, state prima in adobbo con speciarie, e aceto rosato; dalle coscie se ne fanno pasticci freddi, prima ben battute con bastone, avertendo levar loro la cotica, e l’ossa, lavate in aceto rosato, lardate con lardoni di porco domestico, lasciando, che da sé stesse s’asciughino, e si polverizino con sale, e speciarie diverse, e poi mettendogli in pasta, se gli dà la forma di coscietti naturali. Di questi se ne possono far salami, salciccie, sopressate, e molte altre cose diverse.


Dosa per far salami di detto animale

Piglia libre dodici di polpa della coscia, lavata bene in malvasia, messa in soppressa in pezze bianche con peso sopra, acciò mandi fuora l’humidità; piglia libre sei grasso di porco domestico, e peste insieme dette carni; pigli un’oncia mastice pistato, oncie due pepe intiero, oncie due canella, mez’oncia di brocche di garofani ammaccate nel mortaro, e ben pistata la carne, e il grasso, vi metterai detti aromati con sale ben pesto oncie cinque, e meza, il tutto ben incorporato insieme, spruzzandola con nuova malvasia; stato in adobbo il tutto in vaso di pietra per dodici hore, e doppo le solite budella ben
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curate, e pulite, l’empirai di detta compositione, e se in mezo vi vorrai investiture di coppa, o d’orecchie di detto animale, ne farai a tuo piacere, prima state in adobbo, come sopra.


Per ultimo averto, che il dente del cingiale limato, e dato a bere o in brodo, o in vino, a chi patisce mal di costa, o puntura, giova grandemente, e questi denti mi sono stati ricercati da molti virtuosi, come medici, e speciali; però non si devono gettar via, ma farne conto.

Daino

L’Italia è poco ferace di questo animale. Quantità grande se ne trova nell’Inghilterra, e di questi se ne fanno pasticci assai grandi in forma d’un tavolino con pasta finissima, la cassa de’ quali si fa fino all’altezza d’un piede. In quel regno vi sono huomini nella professione valorosissimi: in simili pasticci pongono un suolo di daino con finissime speciarie, polverizato con le sue solite polvere odorifere, come colà si usa; e un suolo di butiro sopra, e così seguitano con daino, e butiro, fino che sia riempita detta cassa, e poi vi fanno la sua coperta di pasta, lo fanno stare nel forno tutta la notte, e mattina fino all’hora di pranso.
Nell’Italia (conforme il mio parere) si possono fare in questa forma. Si piglia la polpa del daino ben battuta, lavata in aceto, o malvasia, lardata con lardoni di porco con sue speciarie, cioè; mastice, pepe, garofani intieri, e schiacciati, polvere di canella, e sale; si faccia una pasta frolla, e al pasticcio si darà forma di daino, o rotonda, o in ottangolo, come più aggrada; stia nel forno tre hore, servito caldo, o freddo, che in tutte le maniere è buono.


Capriolo

Ne’ boschi italiani molti di questi animali si ritrovano. Questi predati da’ cacciatori in tempo d’inverno, prima si portino alla cucina, stiano quattro notti al sereno della notte, poi si batta detta carne con un bastone, s’imbrocchi con stecchi di garofani, e canella, si faccia arosto, tenendola morbida con strutto, o dileguato, e cotta, sia servita con salsa di ginepro.


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Comazzo, o capra selvatica

Io stimo, che questo animale sia poco buono, la maggior bontà di questi consiste nelle corna, servendosi di queste per cavare la palatina a’ cavalli. Gran quantità di questi animali trovasi alla Ripa di Trento.

Potrà un cuoco adoprarsi intorno alla carne di questo animale, per essere selvatico, nel formare varie vivande, pasticci freddi, stuffati con cipolle, mandole bruciate, pestate, stemprate con un poco di malvasia, i lombi arosto serviti con salsa reale: li quarti davanti cotti in brodo lardiero, e altre vivande a capriccio, e faccia quanto sa, che quest’animale, conforme al mio parere, riesce in tutte le forme poco di buono.


Lepre

Deve essere la lepre presa da’ cani, che così riesce assai megliore, e più frolla, che quando è presa con altri ingegni.

Di questa se ne formano molte vivande, come pasticci freddi, gelatina, fracassate, si rivestono per mettere ne’ rifreddi delle mense. Sono più lodate quelle, che sono prese nelli mesi di genaro, e febraro. Giova la sua pelle alle doglie frigide, e però ne viene dimandata molte volte a’ cuochi per simile effetto.


Coniglio

La stagione del coniglio è per decembre, e genaro: quando loro saranno levate l’interiora, stiano al sereno della notte con la pelle.

Si cuoce arosto, riempito di latticini, lardo battuto, con tartuffi, brogne, spetiarie, e altri ingredienti, avvolto in una rete di porco, si mette nello spiedo, si cuoce a fuoco lento, servito caldo, con salsa di rognone di vitello.


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DISCORSO
degli animali volatili, tanto domestici, quanto selvatici

Cappone

Sono lodevoli tutti i capponi, così di campagna, come rinchiusi in gabbia, mentre non manchi loro il pasto, come riso cotto, formentone di Puglia, mondature di formento, crusca, e altre cose, con altre diligenze, che fanno loro le donne: questi si fanno molto grassi, e grossi, e alle volte per la loro eccessiva calidezza, perdono le piume: ma io stimo più assai quelli di campagna, e mentre non manchi ad essi il cibo, riescono più gustosi, e di maggior sostanza degli altri, come in molte occasioni l’esperienza mi ha dimostrato.
La ragione puol essere, perché i capponi di campagna s’affaticano, caminando, e svolazzando qua, e là, ma però gli uni, e gli altri sono buoni, e fra gli animali i più sostantiosi.
Le loro polpe sono buone per far piccate, polpettine per i convalescenti, bragiolette, condite con erbette odorifere. La cottura ordinaria del cappone, è con acqua, e sale, cotto anco nello spiedo, e lardato, riesce molto buono.
Mi è stato ricercato da molti, che dovessi usar diligenza di ritrovare ne’ ventricoli de’ galli, o capponi vecchi una pietra chiamata, allettorio, che è di color di vetro bianco, o scuro, quale, dicono, sia
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di gran virtù, ho usata grandissima diligenza ne’ ventricoli de’ galli, e capponi vecchi di quattro, e cinque anni, e mai ho potuto ritrovarla, sì che è vanità, ho ben trovato altre pietre picciole, quali credo, siano quelle, che beccano per terra; e se fosse mai fatta tal richiesta, si risponda al sicuro tal pietra non trovarsi. Nel ventricolo del cappone v’è dentro una pellicola nella parte più interna, quale seccata, e fatta in polvere, data a bere con brodo, o in vino, alle donne che patiscono mal di madre, loro giova grandemente.


Pulcini

Li pulcini sono molto gustosi nelli mesi di maggio, e giugno, facendosi di quelli suppe, e potaggi con mandole fresche, uva spina, punte di sparagi, fondi di carcioffi, e non havendo a servire a’ convalescenti, se gli può mettere una fetta di presciutto, o ventresca.


Pollastri

Saranno buoni i pollastri, cominciando da luglio, per fino tutto decembre, essendo in quella stagione molto grassi: questi lardati, si mettono arosto, e se ne fa fracassata alla francese, come sopra, e gelatina per gli ammalati: delle loro creste, granelli, o testicoli, e fegatelli se ne fanno minestrine gustose; si cucinano in diverse maniere conforme al genio.


Piccioni grossi

A tutte le stagioni riescono buoni i piccioni di cui parliamo, e sono calidissimi.

Al mio parere, si devono subito ammazzati pelare, messi nello spiedo caldi del suo calor naturale; siano cotti a fuoco gagliardo, ontandoli spesso di butiro, e quando sono vicini alla cottura, si faccia ad essi una crostata di pane, zuccaro, e canella, e si servono caldi. Se ne fanno anco minestre da servirsene una per signore, fracassate, suppe reali, e delle loro polpe se ne fanno piccate, e torte, e in tutte le maniere riescono grati al gusto.


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Gallo d’India

La stagione più propria di questi animali è delli mesi di giugno, luglio, e agosto, riuscendo in questi tempi delicati, per essere piccioli, e teneri, vengono molto apprezzati nelle tavole de’ signori grandi.
Si cuocino allo spiedo lardati, che così riescono buoni al gusto d’ogn’uno. Quando poi sono ingrossati nelli mesi di genaro, e febraro, si devono lasciare cinque, o sei giorni morti nelle loro piume, e pelle, e nutricati, se gli dà una cottura alla svizera, con vino, stecchi di canella, e mastice, cotti che saranno, si levino dal detto succo, si polverizano con sale, e pepe ammaccato, si lascino raffreddare, riuscendo grati al gusto. Si fanno parimente arosto nello spiedo: riescono ancora buoni nel forno; delle loro polpe, e del petto se ne fanno bragiolette per regalar bische. Le coscie si possono mettere alla gradella, bagnate con aceto rosato, butiro, overo oglio di Toscana, o d’altra qualità, purché sia buono. Di più si fanno pasticci freddi in forma d’aquilone, lardandoli con lardoni grossi.


Anitra

L’anitra grassa ne’ tempi freddi, è molto delicata, e gustosa a tutti, benché nel mese d’agosto sii apprezzata assai più, che in altri tempi: dà assai buon nutrimento, ma riempie il corpo a chi troppo ne mangia di molta humidità. A quest’animale, si doverebbe tagliare la gola nella maniera, che fanno gli ebrei.
Si deve cuocere arosto, riempita d’erbe odorifere, lardo battuto, e altri ingredienti, come brogne, e c. che per brevità tralascio. È buono ancora stuffato con varii frutti; è buono a lesso coperto con agiolini, overo tortelletti ripieni di midolla, e speciarie diverse.
Questo sarà ottimo per i cuochi, che stanno all’ingiurie del fuoco) voglio dire, che chi non fa essercitio, ne mangi puoco.


Fagiano

Il fagiano sia grasso, e giovine, e ben affaticato da’ cacciatori nel tempo d’inverno; si lasci morto per quattro giorni.
Deve essere
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lardato minuto, cotto nello spiedo a fuoco lento con salsa reale. I rustici di campagna, che disgratiatamente si dilettano di simil caccia, siano avisati a cuocerlo con cavoli, o pasta. Le sue polpe sono buone per far minestre, piccate, polpettine, fracassate, e altre sorti di vivande.


Pernice

Nelli mesi di novembre, decembre, genaro, e febraro, è la vera stagione delle pernici. I loro figliuoli, chiamati pernigoncelli, sono buoni ne’ mesi d’agosto, settembre, e ottobre, e gli uni, e gli altri nelle loro stagioni sono molto delicati, e stimati. Sono di nutrimento esquisito, e presto si digeriscono: quando però sono vecchi, hanno carne durissima, e non sono del sapore, che sono i giovani.
La sua cottura sia arosto, lardata minuta, servita con salsa reale sopra: e buona ancora cotta con cavoli fiori, fette di presciutto, e altri ingredienti.


Quaglia

Due sono le stagioni delle quaglie, cioè nelli mesi di luglio, e agosto, nel qual tempo si castrano, tagliando, e levando loro duoi granelli, che hanno sopra la groppa, ove principiano le penne della coda, e poi si mettono in un camerino, o corritore ad ingrassare, e in quindici giorni s’ingrassaranno, come fossero li mesi di genaro, e febraro, e così riescono buone in quella stagione. Nell’altra stagione delli mesi di genaro, e febraro sono buone, ma non riescono così apprezzabili, per esser cosa commune.
Si cuocono arosto, abbardate con fette di lardo; usano alcuni inlardarle, ma a mio parere non è cosa buona, perché traforandole si squagliano, e rimangono molto spogliate, e asciutte, struggendosi dalla parte, ove sono scorticate, tutto il loro grasso, massime perché lardandole, bisogna farle gran quantità di forami. È questo un’animale molto calido, e se ne può servire nelle bische, nell’oglie, e per ornare piatti, regalar pasticci, e simili cose, conforme al piacere.


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Tortore

Le tortore siino pigliate nel mese di luglio, quando mangiano il grano, perché in quel tempo sono molto buone, e gustose.
Sia la loro cottura arosto abbardate con fette di lardo bagnato con oglio, o butiro, overo involte in carta, che molto riescono delicate; si devono cuocere a fuoco gagliardo, sono buone ne’ tempi freddi, e per i cuochi.
Avertano le persone, che tengono simili animali in gabbia, di far le loro cellette divise, ove per ciascuna ne capisca un paro, cioè maschio, e femina, e ammazzandole, le ammazzino a paro a paro, tal che mai restino scompagnate, perché in simil caso la tortora priva di compagnia talmente s’affligge, che resta smagrita: e tenendole tutte assieme, s’averta d’ammazzar i maschi, perché le femine si mantengono più grasse, che i maschi.


Tordo

Devono essere li tordi pigliati di genaro: ottimi sono quelli, che si nutriscono di bacche di ginepro, o mortella: cotti arosto, e bagnati con oglio, sono perfettissimi: stuffati in malvasia con suoi aromati sono buonissimi: sono buoni ancora nel tempo dell’uve de’ monti, che sono l’ultima a maturare, sono molto gustosi a’ convalescenti.


Beccafico

Agosto, e settembre è stagione a’ beccafichi proportionata. È questo un’animale molto delicato, e da’ grandi stimato. Cuocesi arosto a fuoco gagliardo, avertendo che lo spiedo sia girato con prestezza. Sogliono i scalchi servire questi uccelli negli arosti. Il mio parere è, che siino serviti negli antipasti, perché servendoli negli arosti, già il convitato haverà assaggiato quantità di vivande, che però meno riusciranno grati, quando la persona è più satia; ma negli antipasti saranno tanto più gustosi, quanto il convitato più si sente in appetito.


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Francolino

Il francolino è più delicato della pernice, e del cotorno. Sono uccelli molto apprezzati, se ne trova quantità alla Riva di Trento, vicino Arco. La loro piuma è berettina, e bianca, pentecchiata di nero.
La cottura di questo sia arosto, lardato minuto, servito con salsa di pomo granato, seco riportando le sue ale, e coda naturale.


Ortolano

Li mesi di settembre, ottobre, novembre, e decembre sono la vera stagione degli ortolani, perché in questi tempi sono grassi, e delicati, in specie quelli di Camerino. La sua delicatezza è così esquisita, che appena sul tondo vi restano i piedi, rostri, e artigli.
Molte cotture può haver quest’uccelletto; prima si cuoce arosto con fuoco gagliardo. In caraffe di vetro; in gusci d’ova, cotto a fuoco lento; cioè unendo insieme un guscio rotto, che viene a formar l’ovo, cucinandolo nell’istessa maniera, come si cambrasse un’ovo, che così s’haverà quel detto: tu sei cucinato nel tuo grasso. E in questo modo cucinati, si servono a’ convitati in quella forma istessa, che si servono l’ova fresche; cioè, in mezo alle salviette, avertendo di ontare il guscio con butiro, polverizando con sale, zuccaro, e canella. Sottestati in fette di pane, ontate di butiro sotto, e sopra, polverizati con zucaro, e canella, e fuoco sotto, e sopra, e così sono grati al gusto, restando il loro grasso attaccato al detto pane. Imburacchiati con chiara d’ova, ma è più per curiosità, che per altro; poiché la chiara è prima brusciata, che l’uccello sia caldo, che se pure loro volesse alcuno dare questa chiarata, sia data quando sono a perfettione cotti. Per far detta chiarata; si pigliano due chiare d’ova, o più, o meno, conforme la quantità degli ortolani, polvere di zuccaro fino, sbattuto il tutto insieme, e con un pennello bagnando detti ortolani, riescono galanti alla vista. Sono molto gratiosi gli ortolani per acquistar l’appetito.


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Gallo di monte

Le valli, monti, e colli da Arco seguendo verso Trento, e luoghi vicini sono abbondanti di questi uccelli, perché molti colà se ne trovano. Sono grandi poco meno dell’aquila, e per lo più di piuma nera, ve ne sono però alcuni macchiati di bianco. Hanno il contorno degli occhi rosso a guisa di fagiano; giovane è molto buono, ma vecchio assai meno gustoso.
Si cucina arosto, lardato di condito, e sopra il petto una fascia di lardo, e una fascia sopra da tutti i capi legata, servito con sapore di ginepro. Se ne possono far pasticci freddi, ma prima ben battuto il petto, lardato con lardelli mezani, e servito con le sue solite speciarie, che riesce delicato.


DISCORSO DE’ PESCI,
tanto d’acqua dolce, quanto salsa

Carpione

Il carpione è poco conosciuto ne’ paesi lontani dal Benaco, che volgarmente si chiama il Lago di Garda, se bene se ne ritrovano alcuni nel Lago di Bolsina, e altri luoghi, ma sono piccioli. Li carpioni sono di color berettino, e macchiati di negro, i maggiori sono di quattro in cinque libre l’uno; questi, nel mangiarne non apportano alcun danno, benché la loro sostanza presto si corrompa. Si devono questi pesci cucinar presto, e il migliore è quello, che ha le polpe di color rosso: benché i carpioni siano
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gentili, e corruttibili, si conservano assai, e carpionati, s’infondono nell’oglio, che così duraranno per tutto l’anno. In Grignano terra sul Lago di Garda, si pescano certi carpioni, i quali dentro appaiono con certe macchiette bianche, come se fussero spruzzati di calcina, che però colà si addimandano calcinati, e questi sono migliori al gusto, e più stimati.

Questo pesce deve esser fritto in oglio, servito caldo, o freddo, conforme il gusto, benché freddo si serva spaccato, condito con oglio, succo di limone, e peppe ammaccato, avertendo nel dargli la cottura, che non se gli abbrugino le parti esterne, per essere molto delicate; e ci vuol oglio in abbondanza.


Trutta

Comincia la stagione della trutta di Garda, che si porta nelle città vicine, il mese d’ottobre, seguendo sino ad aprile, e è questa la più grossa, e però la più stimata ancora in questi paesi; e molto apprezzata parimente la trutta de’ luoghi, ove sono sassi in quantità, e gran cadute d’acque. Ve n’è di trenta in quaranta libre, è di colore argentino con alcune macchiette nere, nutrisce assai, è facile a digerire, non porta alcuna sorte di danno, ma il mangiarne in quantità, rende qualche noia.
In minestra sono esquisite le sue ova. Si cuoce in vino, e in butiro con sale a portione, e così intiera si serve in salvietta, con oglio, pepe, e succo de limoni. Se ne può far bragiole, messa in adobbo con aceto rosato, pasticci freddi, e altre vivande. In molti fiumi, e laghi se ne trovano, ma di grossissime nel Lago di Genevra.


Luccio

Deve il luccio esser di fiume, overo di lago buono, e non paludoso; fra tutti i pesci, questo dà buon nutrimento. Di questi i cuochi ne possono fare molte vivande: cotti in bianco, serviti con oglio, succo di limone, e verdure: nello spiedo lardati con angiove, serviti con salsa di capparini, code di gambari, zuccaro, e aceto rosato: se ne fanno bragiolette messe in adobbo, con polvere d’erbe odorifere cotte alla gradella, onte con oglio: se ne fanno
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polpette, e polpettoni con suoi ingredienti, aggiungendovi polpa d’anguilla, riescono migliori, e più tenere: se ne fanno piccate calde, e fredde; calde, si condiscono con butiro, noce moscata, e zuccaro sopra; fredde, si condiscono con oglio di mandole dolci, succo d’aranci, zuccaro, e pepe ammaccato, e altre vivande, conforme al genio.


Tenca

In tutto l’anno v’è abbondanza di tenche, ma le migliori sono quelle del mese di maggio per tutto giugno: avertendo però, che sono buone per tutta la luna di giugno, benché molto s’avanzi la stagione nel mese di luglio.
Deve la tenca esser fritta con oglio buono, servita calda, con sale, pepe, e succo d’aranci. Riesce buona marinata, ma deve stare almeno due giorni infusa in marinatura, avertendo che l’aceto sia forte. È parimente buona a lesso, con erbe odorifere, e succo d’aranci, overo in brodetto alla venetiana con sue solite speciarie. Di questa ne possono mangiare i giovani colerici, perché digerita la tenca, è consumata la colera.


Anguilla

Molte contese vi sono intorno all’anguilla, circa la preminenza. Comacchio vorrebbe la gloria di produrre le più delicate. Il Lago di Garda anch’egli gagliardamente s’oppone per portarne il vanto. Il Po anco esso contrasta per questa facenda. Io però non voglio hora decidere la lite, accioché queste acque quando havessero da me sentenza contraria, con l’orgoglio dell’onde loro non sommergessero le mie ragioni.
Dico solo per l’esperienza ne tengo, che tutte sono buone, in particolare arosto, polverizate con pane, polvere di canella, mastice, e zuccaro, servite calde. A lesso riescono buone, quando hanno havuto meza cottura nell’acqua, si mettono in piatto d’argento, overo di stagno, nel quale siano squagliate angiove, polvere di garofani, oglio buono, succo d’aranci, mezo bichiere di vin bianco, coperto con un’altro piatto, mettendolo sopra le bragie, sin che sia finita la cottura. Sono buone in brodetto, con cipollette, o aglio conforme al gusto, speciarie forti distemperate in aceto, che questo è il suo consueto.


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Persico

Questo pesce è buono in ogni tempo, benché sia migliore nell’inverno, ma nell’estate per i convalescenti è ottimo; è di carne molto saporita, facilmente si digerisce. La sua cottura deve esser all’acqua, e poi condito con sale a portione, con butiro, succo d’aranci, e un poco di pepe ammaccato: è molto gustoso fritto in oglio, servito caldo. Ha questo pesce certe spine sul dorso, in guisa d’un’aletta, avertano i cuochi nel maneggiarlo non pungersi, poiché le punture di queste spine sono velenose al maggior segno.


Dorata

Il Mincio è famoso, non solo per esser nido de’ cigni, ma parimente perché fra l’onde limpidissime di questo fiume, unico anco in questo, che l’acque sue mai non s’intorbidano, laonde patisce eccettione questa regola. Nota questa sentenza, e tienla cara: mai non ingrossa fiume d’acqua chiara. Ma è celebrato ancora, perché produce le dorate; queste sono di dupplicata grandezza delle dorate d’acqua salsa, parlo delle femine, perché i maschi sono di maggior grandezza. Il dorso di queste fu dalla natura ornato di cert’ossa fatte a punta di diamante di color candidissimo, il rimanente del dorso è di color d’oro. È buono questo pesce in ogni tempo, la sua stagione è nelli mesi di marzo, e aprile, e è di delicatezza incomparabile.
Si cuoca alla graticola, polverizzato con speciarie, tenuto morbido con oglio, succo di limoni, e servito caldo.
Non voglio approdare alla riva di questo fiume col mio discorso, senza notificare a’ men periti, come il Serenissimo Guglielmo duca di Mantova di gloriosa memoria, fece portare dall’acque salse grancipori maschi, e femine, e hoggi giorno se ne trova quantità, e se ne fa gran stima, perché sono più gustosi, che quelli di mare. La loro cottura è in acqua con sale, servite da’ credentieri.


Moniaga

Questo pesce non arriva al peso d’una libra, è di color bianco, ha il dorso macchiato d’oro purissimo. Se i prencipi ne potessero
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havere, permutarebbero il peso di questo in tant’oro. I convalescenti per questo tralasciarebbero ogn’altra vivanda.

La sua cottura deve essere in bianco, condito con butiro, noce moscata, e succo di limoni, fritto in oglio vergine, è più esquisito, e se ne può mangiare assai, perché a niuno nuoce. Si pesca in molti luoghi nelle cadute d’acque, che danno tributo al Lago di Garda, ma in specie tra Salò, e Maderno.


Lamprede

Buonissime sono le lamprede per tre mesi dell’anno; cioè, dal principio di marzo, per tutto maggio. Sono molto delicate, e fra gli altri pesci hanno questa lode singolare, che non pungono il palato nel masticarle.
Le lamprede sono simili all’anguille, ma però s’averta, che quelle hanno vicino alla testa dalle bande, sette spiragli, o buchi, che vogliam dire, a differenza dell’anguille. Quando questo pesce è ingrossato, a molti rende qualche renitenza, e orridezza nel mangiarlo, perché porta seco qualche similitudine di serpe, il che non succede quando sono piccioli, si devono servire fritte in oglio, polverizate con sale, succo di naranci, e calde.

Sturione

Lo sturione più apprezzabile, è quello, che si pesca nell’acque dolci, vicino al mare, perché sono assai più gustosi de’ maritimi, tra quali poi porta il vanto quello del Po, dell’ova loro se ne fanno caviali di tutta perfettione.
Si cuoce in diverse maniere, e se ne fanno diverse vivande; prima in bianco con suoi ingredienti; cioè, vino, mastice, sale, lauro, e butiro: cotto che sarà, si condisca con oglio, succo di limone, pepe ammaccato, e si serve caldo; se ne può fare in bragiuole, polverizate con sale, polvere di garofani, stato sotto oglio per hore quattro in circa: cotto alla gratticola, ontato di detto oglio, servito sopra con salsa di tarantello. Se ne fanno pasticci caldi in bocconcini, lardati con angiove, bocconcini di tarantello, code di gambari, brognoli, con sue solite speciarie, e altri ingredienti conforme le stagioni. Potransene fare polpettoni, e polpettini,
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piccando con esso polvere d’erbe odorifere, pasta di marzapane, pignoli ammaccati, uva passa, pan grattato, che sia spruzzato con oglio, quale in padella sia ben ferventato, e bollente, o con butiro simile. Parimente se ne fanno sfilate, piccate calde, e fredde; un pezzo grosso nello spiedo lardato di tarantello, cotto a fuoco lento, riesce assai gustoso, sopra servito con salsa d’angiove, e capparini.


Ombrina

L’ombrina in queste parti, è pesce forastiero, e però pellegrino, cioè di gran stima. Ne viene a Venetia, ma salato, tiene il primo luogo doppo lo sturione. Nelle tavole de’ magnati è molto apprezzata, per essere di gran gusto: né venendone in Italia di fresco, qui solo pongo la cottura del salato.
S’infonde in acqua fredda, come si fa il tarantello, mutandole l’acqua più volte, sin tanto vi si levi il sale, e poi si cuoce in acqua con malvasia, o vin bianco, conforme alla commodità, e si condisce con oglio, succo di limone, e pepe ammaccato. Si cuoce ancora con piselli, o ceci franti in una pignatta di terra, che riesce molto gustosa, messa in piatto capace, e coperto con detti piselli, o ceci, si serve con cascio parmigiano grattato, quando non è Vigilia, o Santa Chiesa nol prohibisce. Si puole ancora stuffare in malvasia con oglio, butiro, polvere di garofani, e pepe; e quando è vicino alla cottura, vi s’aggiungono code di gambari, pezzetti di cardi prima rifatti, tartuffi, pignoli, ostriche, e succo di limone, servita calda. Questo pesce è di color argentino sotto la pancia, nelle parti superiori di color uniforme all’onde, a chiaro oscuro, di modo, che con gran difficoltà li pescatori ne possono far preda per la gran similitudine, che con l’onde del mare conserva. La cottura dell’ombrina serve anco per la morona.


Dentale

Il dentale si piglia nelle costiere del mare, e in gran quantità ne’ tempi freddi: è pesce di farne grandissima stima, è più stimato il giovane, e grasso, che d’altra qualità, è di color d’argento, macchiato d’ombra berettina.
Si deve cuocere in bianco, con vino, e
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aceto temperato con acqua a portione, e sale, condito con oglio, o butiro, e succo di limoni; condito di butiro, se li fa la salsa di butiro con noce moscata; condito con oglio, si serve caldo con pepe, verdure intorno, e naranci, spremendovi il loro succo sopra. Si cucina arosto nello spiedo, lardato di tarantello, a fuoco lento, servito con sapor di tartuffi. In gelatina di malvasia con suoi aromati, riesce esquisito assai.


Tonno

Il tonno sia giovane pigliato nelli mesi di settembre, ottobre, e novembre, e è meglio salato, che fresco, che però se ne conserva per tutta Italia nei barili. Si cuoce a lesso in acqua, levandogli prima il sale con acqua, e raffreddato, se ne fanno salate: se ne piglia due libre, che sia grasso, e levatogli il sale, si cuoce con cavoli, e cotto, si tagli in fette intorno al piatto de’ cavoli, servito caldo. Si cuoce parimente avvolto in carta, e cotto sotto le bragie, servito con succo di limone, e pepe ammaccato, che riesce esquisito. Se ne fanno stuffati cotti in vin bianco, con un poco di zuccaro, regalato con altri ingredienti, conforme alla stagione, e cotto, se li spremono due limoni, e si serve caldo. Se ne fanno salami , con polpe d’altri pesci accompagnato, che riesce di tutta esquisitezza. Questo pesce non è molto grande, come molti pensano: la sua armatura è di color argentino, appardata di nero in molti luoghi.


Rombo

È il rombo delicatissimo ne’ tempi freddi: le parti di mezo, cioè interne, sono le migliori, e dev’esser grosso, acciò s’avveri il detto trito di Venetia a’ spenditori. Guardati non comprar rombo da Tolella.
È buonissimo in brodetto, è anco buono in potaggio, astretto con latte di mandole, e havendone un grande, che possa servire in un piatto sforzato, si pigliino cipollette, petroscemolo, e erbe odorifere, si ponga in un vaso, che sia capace, con oglio, butiro, e fuoco sotto, e soffritte che siano, gli porrai il rombo, aggiungendo doi bicchieri di vino bianco, il restro brodo di luccio, con un poco di specie di Venetia, prima infuse in aceto, e vi s’aggiungano
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fette di tarantello, a cui sia prima levato il sale, code di gambari, capparini, tartuffi, pignoli ammaccati, il tutto astretto con latte di pistacchi, servito in piatto reale, con fette di pane fritte in oglio, o butiro, che è meglio.


Orate

Di questi pesci se ne pescano in molti luoghi, e tutte sono buone, ma quelle, che portano la corona, veramente sono regine dell’altre; perché sono delicate oltre ogni credere. Non paia strano ad alcuno poco prattico, di sentire, che habbino la corona questi pesci, perché questo è verissimo, e è detta corona d’oro, situata dalla gran madre natura nel luogo opportuno della corona, cioè, sul capo.
Deve la cottura di questo pesce farsi di finocchio, sale, ontato con oglio d’oliva, servito caldo con succo di limone. È buona cucinata con malvasia, oglio, e zaffarano, speciarie; levata dal brodo, si condisce con oglio, polvere d’erbe odorifere, succo di naranci, servita calda. Si cuoce in butiro tra duoi piatti con noce moscata, e succo di limone. È molto grata allo stomaco per quelli, che sono di calda complessione.


Cefalo

Il cefalo di sua natura, è pesce maritimo, ma quando dal mare passa all’acqua dolce, o temperata fra’l salso, e dolce, come sono l’acque di Comacchio, è molto esquisito, e il più stimato.
Si cuoce alla gratticola, bagnato con oglio, salve, e polvere di finocchio, e s’averta levarli la pelle, perché molto aggrava lo stomaco. Quando questo pesce è pescato ne’ plenilunii nella pancia è di color negro a guisa d’inchiostro, onde a Venetia si chiamano cefali da ferro, a differenza degli altri, che sono pescati in altri tempi, che s’addimandano cefali da buon. La stagione più vera de’ cefali di Comacchio, sono li mesi di settembre, e ottobre. In Venetia poi è la loro stagione propria ne’ mesi di luglio, e agosto, e i migliori sono quelli de’ canali a quella città vicini.


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Pesce cipolla

Questo pesce si chiama, a mio credere, col nome di cipolla, perché porta sopra del capo due canne a guisa di cipolla, quando fa la semente. La natura di questo pesce consta di fascie negre, e argentine, a vicenda di mezo palmo l’una, più, o meno, secondo la grandezza del pesce.
Vuol’esser cotto in vino, e aceto, con brocche di garofani, sale a portione, e cotto, sia servito con salsa d’alici, e succo di naranci. In pasticcio freddo è buonissimo, lardato di tarantello, e stato in adobbo con sue solite speciarie, e nel metterlo fra fogli di pasta, si copra di butiro. Si fanno bragiole fritte prima in oglio, e messe in adobbo con polvere di tamaro, e di garofani, aggiungendovi un bicchiere d’aceto di malvasia, zuccaro, butiro, e oglio buono, si pongono in vaso di pietra sino all’hora di servirla; se ne fanno altre vivande, conforme il piacimento del cuoco.


Triglia

Della triglia non darò altra notitia, perché essendo rossa, tutti la conoscono. Ha questa una virtù, havendone vista l’esperienza; cioè, che pigliata viva, e messa nel vino, e ivi soffocata, pigliando detto vino, passato prima per stamegna, da chi ha lo stomaco aggravato, lo fa vomitare. La triglia picciola, è migliore della grossa, questa fa più bella vista ne’ piatti, ma quella dà maggior gusto. La sua cottura propria è alla gradella, bagnata con oglio, o butiro, polvere di pitartima, e succo di naranci: overo la più grossa involta in carta, ontata con oglio, cotta sotto le bragie, servita con pepe ammaccato, e succo di limoni: è questo pesce molto grave allo stomaco, e duro a digerire, però si mangi moderatamente.


Sfoglia

Le migliori sono quelle, che si pescano alla marina, vicino alle ripe, pescate in tempo di luca scema, perché quando la luna è in suo vigore, come in plenilunio, o vicino a quello, sono magre, con dentro una certa negrezza a guisa d’inchiostro. La sfoglia è desiderata
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molto nelle mense de’ signori, che habitano lontani dal mare, per la sua delicatezza esquisita.

Si deve friggere in oglio, e servire con sale, e succo di limoni. Per gli ammalati è buona cotta in acqua, servita con un poco di succo di naranci, oglio, o butiro, essendo di facile digestione. Si può marinare con aceto di malvasia, bollendola prima con stecchi di garofani, canella intiera, zaffarano, zuccaro, e fette di limone.


Passero

Poche parole farò di questo pesce, perché a me poco piace; riesce a’ convalescenti di gusto, cotto in bianco, e poi levato dall’acqua, soffocato con butiro, e succo di limone, overo in potaggio, astretto con latte di seme di melone, con un poco di zuccaro, e succo di limone. Per i sani si friggerà in oglio buono, o in brodetto alla venetiana.


Calamaro

Il calamaro si pesca nelle riviere del mare ordinariamente, e il picciolo è più gustoso ne’ tempi caldi, ne’ quali è molto stimato, perché accresce l’appetito. La cottura di questo è fritto in oglio, servito con sale, pepe, e succo di naranci. Il grasso è di grave digestione, si cuoce tartuffolato, ma condiscilo quanto sai, e quanto puoi, che sempre lo mangerai tenace, asciutto, e duro, e a pena si confà a’ stomachi gagliardi per la sua asprezza.


Ostriche

L’ostrica non è né maschio, né femina, e non ha capo, manda fuori dalle parti superiori gli escrementi: a certi punti di luna forma un’ovo da una parte, che si riempie, o un certo humor lattante, e spandendosi questo humore a suo tempo in luoghi ove siano legni, pali, pertiche, o cose simili; overo appresso navigli, delle goccie se ne formano ostriche, e nel tempo che l’ostriche sono lattanti, non sono buone; cioè, nelli mesi di luglio, e agosto, che se in questi tempi s’apre l’ostrica, si trova gialla, e il suo colore naturale smarrito.
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Si cuoce su la graticola, servita con oglio, pepe, e succo di limoni: infarinate, e fritte in oglio buono, sono esquisite: mangiate crude, sono molto dure alla digestione, e quelle persone, che ne mangiano in quantità, per poterle digerire, mangino pistacchi a proportione, verbi gratia, per cinquanta ostriche picciole, oncie quattro di pistacchi, e se le ostriche saranno più grandi, a portione accrescerai il peso de’ pistacchi. Nell’arsenale di Venetia ve ne sono di segnalata grandezza, e le più stimate, che si trovino, e anco nelle fosse di Livorno.


Granceole

Sono le granceole migliori nelli mesi di genaro, e febraro, nel qual tempo hanno i coralli. Devonsi cuocere in acqua, e sale, e raffreddate, si leva loro l’armatura, e si estraono fuori i coralli; cioè, l’ova, poi si rompe quella parte ove stanno congionte le branche, che ivi si trovarà una polpa bianca, quale posta col corallo, e poi ben polito il tutto, si piglia l’armatura, e messo dentro il corallo con le polpe, vi si metta oglio, pepe ammaccato, e succo di limoni, pongansi su la graticola, scaldate a fuoco lento, siano servite calde. Si cucinano parimente, pigliando erbette odorifere, e un spico d’aglio, soffritte in oglio buono, e si pone nell’armatura, ove sia il corallo, come sopra, e vi s’aggiunge un poco di specie di Venetia, stemperate in aceto. Alessate, e condite con speciarie, così fredde sono esquisite.


Cappe sante

Sono queste cappe molto grandi, ma si riducono in poca sostanza. Si cucinano aperte, ben lavate, levandoli certe pellicole, che li stanno intorno, si pongono sopra la graticola, con oglio, pepe, e succo di limoni. Si cucinano con erbette odorifere, oglio, speciarie, e succo di naranci, che sono assai delicate. Si possono friggere in oglio, servite con pepe ammaccato, e succo di limone.


Abstrio, o granchio marino

Questo gambaro è grande, e bellisimo di vista, ma di poca sostanza, la sua polpa è molto dura, e tenace, né per condirla quanto sai, haverai cosa buona. Le sue branche anteriori, o forfici conservano la miglior parte di questo pesce.


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TRATTATO
della maniera, e modo di far alcune salse di diversi sughi ottime

Salsa reale

Pigliarai un pignattino ben vitriato, un’oncia di stecchi di canella, meza di garofani, oncie tre di zuccaro, un bicchiere, e mezo d’aceto, coprendo bene il pignattino con carta, e coperchio, acciò sia ben stuffato, facendolo bollire a fuoco lento, consumata che sarà per metà, sarà a perfettione: questa salsa la potrai servire con tutte le sorti d’arosto, tanto domestici, quanto selvatici.

Salsa di presciutto

Pigliarai un presciutto di tutta bontà, ne tagliarai una libra in fette minute, pigliando tre oncie di butiro, mettendolo nella padella, lo cucinarai a fuoco lento, cotto che sarà, lo pestarai nel mortaro, lasciando nella padella quel succo, che haverà fatto, aggiungendo nel mortaro garofani, canella, zuccaro oncie quattro, mostaccioli oncie quattro, pestarai bene ogni cosa, pigliando quel succo che sarà nella padella, e gli metterai oncie sei di succo di limone, stemperando con quel succo la compositione, e fatta, la passarai per setaccio, tornandola poi in un pignattino vitriato ben coperto, la manterrai calda, e questa sarà una salsa gustosa per li mesi di giugno, luglio, e agosto, servendola sopra gli arosti.


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Salsa di pomo granato

Pigliarai pomi granati, li cavarai le grana ben monde, spremendoli in un vaso, tanto che possi havere una libra di quel suo vino, mettendolo in un pignattino a bollire con un grano d’ambra, oncie sei di zuccaro fino, lo farai consumare per metà, a fuoco lento, ben coperto, che questa sarà una salsa per latticini arosto, e uccelletti.


Salsa d’angiove

Pigliarai dodici angiove, le lavarai bene in vin bianco, facendole liquefare in oglio buono, o butiro, sopra il fuoco in un vasetto di pietra, aggiungendovi una libra d’aceto, oncie sei zuccaro, pignoli oncie quattro ammaccati, cappari mondi oncie sei, garofani in polvere un quarto, canella intiera oncia meza, levandola poi avanti che servi la salsa, cucinandola a fuoco lento, e ben coperta, e questa sarà per li pesci cotti alla graticola, e anco per li coscetti di castrato, e selvatici arosto.


Salsa di succo di limone

Pigliarai una libra di fior di cedro condito, ben pesto nel mortaro, stemperato con nove oncie di succo di limone, oncie tre di zuccaro, un quarto di canella in polvere, e la passarai per stamigna, e questa la servirai fredda sopra vivande arosto calde, quali siano o fagiani, o pernici, o piccioni sottobanca, o pollastrelli.


Salsa di butiro

Pigliarai una libra di butiro fresco, disfatto che sia in padella, v’aggiungerai meza noce moscata in polvere, un poco di polvere di garofani, oncie quattro di zuccaro fino, rossi d’ova sei, stemperati con tre oncie di succo di limone, se gli vorrai dare odore di muschio, o d’ambra, sarà a tuo piacere; questa servirà per stuffati, che non siano ben cotti, come sparagi, carcioffi, bragiolette, e altre diverse cose.


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Salsa di ginepro

Pigliarai oncie due di bacche di ginepro, lavate in vin bianco, e vi stiano in infusione due giorni, mutandole il vino due volte il giorno, e le metterai a bollire in vasetto vitriato, aggiungendovi una libra d’aceto di malvasia, meza libra di zuccaro, un’ottavo di garofani intieri, oncia meza di canella intiera, coperto benissimo con carta, e coperchio, mettendolo al fuoco, facendone consumare delle tre parte una, e questa sarà ottima per francolini, tordi, e altri uccelli simili.


Salsa di fegatelli di capponi

Pigliarai dodici fegatelli di capponi, fritti in butiro, pesti nel mortaro, aggiungendovi un’ottavo di polvere di garofani, un quarto di canella, tre oncie di zuccaro, un poco di noce moscata, e stemperarai detta compositione con mezo bicchiere di malvasia, due oncie di succo di naranci, passandola per setaccio, dandole fuoco lento, perché non ha bisogno di molta cottura; la servirai sopra selvatici arosto.


Salsa di fior di gelsomini

Pigliarai una libra di fiori di gelsomini, li pestarai nel mortaro, con mez’oncia di canella, due mostaccioli di Napoli, stemprati con una libra d’aceto rosato, e oncie due di zuccaro, mettendo la detta compositione a bollire in un vasetto di pietra vitriato coperto con carta, e coperchio, dandole fuoco lento: questa salsa servirà per fegati arosto, bragiolette, e altre cose.


Salsa di tarantello

Pigliarai una libra di tarantello grasso, ben lavato, cavatogli il sale, lo pestarai nel mortaro con polvere di garofani, noce moscata, canella, ott’oncie di zuccaro, quattr’oncie di cedro condito grattato, pesto il tutto insieme, lo stemprarai con aceto, avertendo di lasciarlo brodoso, ponendolo a bollire in pignattino vitriato, con tre oncie di pistacchi ammaccati, due oncie d’uva passa ben polita: questa servirà per varii pesci.


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Salsa di gambari

Pigliarai tre libre di gambari, cotti che saranno, li pestarai nel mortaro, stemprandoli con aceto rosato di malvasia, e li passarai per setaccio, e il loro sugo metterai in un pignattino con un’ottavo di polvere di garofani, un quarto di canella, sei oncie di zuccaro, sei oncie di cappari, meza libra di polpa d’olive, tre oncie di pignoli ammaccati, avertendo che’l sugo de’ gambari sia denso, e così la cucinarai a fuoco lento, meschiandola alcune volte con cucchiaro di legno, e vi spremerai il succo di quattro limoni: questa sarà buona, per trutte, bulbari, carpani, o raine, e altri pesci.


Salsa di rognoni di vitello

Quando sarà cotta la lonza del vitello, li levarai la rognonata piccandola bene, la metterai in un vasetto di terra con polvere di noce moscata, garofani, canella, due oncie di zuccaro, una cucchiarata di sugo d’arosto, che sarà nella leccarda, sei oncie di sugo di limoni, oncie quattro di cedro, o pomo d’Adamo condito, grattato, stemprando insieme, le darai pochissimo fuoco; e questa la servirai sopra gli arosti di vitello, pavoncini, pollastrelli, e altri; e riuscirà meglio con oncie sei di pistacchi mondi pestati nel mortaro, e stemprati con il detto sugo di limoni.


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MANIERA,
che si deve tenere per comporre alcune torte molto gustose, e praticate da capicuochi

Torta di pelle di capponi

Pigliarai sei capponi ben pelati, e puliti, cotti in bianco, levato loro la pelle, la tagliarai minuta come tagliolini, vi metterai mez’oncia di canella fina, sei oncie di cedro condito grattato, sei oncie di pistacchi ammaccati, una libra di capo di latte, una libra di seme di melone stemprato, con una libra di capo di latte, sei rossi d’ova fresche, e del tutto farai una compositione incorporata insieme, e haverai fogli di pasta marzapanata, pigliarai una padella a portione ben onta di butiro, e li metterai dentro un foglio, e sopra vi vuotarai detta compositione, e sopra vi porrai l’altro foglio, facendoli qualche ornamento intorno, e la cucinarai nel forno a fuoco lento, e sopra un ghiaccio di zuccaro, servita calda.


Torta di pomi cotogni

Pigliarai sei pomi cotogni non molto maturi, li cucinarai sotto le bragie, li scorzarai con diligenza, pigliando la sua polpa la pestarai nel mortaro, pigliarai ott’oncie di butiro, sei oncie di pasta di marzapane, tre quarti di canella, un’ottavo di pepe, un bicchiere di panna di latte, sei oncie di zuccaro, meza libra di cascio parmigiano,
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mescolarai il tutto insieme, e haverai due fogli di pasta sfogliata, pigliarai una padelletta a portione, sopra vi metterai il foglio, senza ongere di butiro la padella, vi porrai sopra la compositione, e sopra l’altro foglio con qualche ornamento sopra a capriccio, cotta in forno, servita calda con zuccaro sopra.


Torta di piselli

Pigliarai quattro libre di piselli teneri, rifatti che saranno, li pestarai nel mortaro, li passarai per setaccio, pigliarai oncie sei di condito, quattr’oncie di fior di cedro condito, e insieme vi metterai quella polpa di piselli passati per setaccio, aggiongendovi un quarto di canella fina, sei oncie di butiro fresco, sei rossi d’ova, cascio parmigiano una libra, panna di latte una libra, mescolarai il tutto insieme, facendo un foglio di pasta frolla, ontarai la padelletta proportionata con butiro, mettendovi il foglio, vi porrai sopra la preparata compositione, e la coprirai di sopra con un’altro foglio ben onto di butiro, e sia intagliato con vaghi fogliami; sia servita calda, con zuccaro sopra.


Torta di bocca di dama

Pigliarai una libra di pasta di marzapane, una libra di butiro fresco, sedeci rosso d’ova fresche indurate, e otto crude, pestarai il tutto nel mortaro, pestando tanto, che quella materia cresca, e si gonfi, aggiongendovi mez’oncia di canella, spruzzarai più volte con acqua di fior di cedro; quando conoscerai, che sia cresciuta, haverai preparato un foglio di pasta sfogliata in padella, mettendovi sopra la compositione, la coprirai con l’altro foglio, servita calda, con zuccaro sopra.


Torta reale di piccioni

Pigliarai la polpa, e grasso di sei piccioni casalenghi grassi, piccandola minuta, poi la pestarai nel mortaro, aggiongendovi sei oncie di pomi d’Adamo, midolla, pasta di marzapane libra una, e meza, dieci oncie di butiro, un quarto di canella, quattr’oncie di zuccaro, sei rossi d’ova, spruzzando la compositione con malvasia, aggiongendovi
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una libra di fior di cedro condito, il tutto ben pesto insieme, farai un foglio di pasta marzapanata, ontando bene la padella, riempita con detto battuto, la coprirai con l’altro foglio, e l’agghiacciarai con un ghiaccio di zuccaro sopra, servita calda.


Torta di fraghe

Pigliarai due libre di fraghe ben mondate, lavate nel latte, lasciandole ben asciugare, farai un foglio di pasta fina, e porrai le fraghe in un vaso di pietra, vi metterai sei oncie di butiro, polvere di mostaccioli, quattr’oncie di fior di gelsomini conditi, quattr’oncie di zuccaro fino, un’ottavo di canella, e con un cucchiaro d’argento mescolarai la detta compositione, ontando bene il tegame, le porrai il foglio, e poi la compositione, e sopra l’altro foglio, intagliato con qualche fogliame di capriccio, servita fredda con zuccaro.


Torta di sparagi

Pigliarai quattro libre di cime di sparagi rifatte in brodo, e gettate in acqua fredda, acciò perdano quel suo odore, le piccarai minute, aggiongendovi una libra di cedro condito grattato, sei mostaccioli in polvere, meza libra di butiro, un’ottavo di canella, quattr’oncie di zuccaro, sei rossi d’ova, una libra di panna di latte, il tutto ben mescolato insieme, con un poco d’acqua rosa muschiata, facendo un foglio di pasta sfogliata, ontando la padella proportionata, vi metterai dentro il foglio, e sopra il pieno, coperto con l’altro foglio di pasta, servita calda con zuccaro.


Torta di visciole

Pigliarai quattro libre di visciole, e le levarai l’ossa, spremendo il loro succo, perché troppo riuscirebbe morbida la torta, e facendo un foglio di pasta frolla, con butiro onterai bene la padelletta, polverizando il foglio con zuccaro, e canella, ponendogli le visciole sopra polverizate con zuccaro, e canella, ontate con un poco di butiro, la coprirai con l’altro foglio, ma che sia trasforato, non vi
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metterai altra compositione, perché in sé stessa è ottima, la servirai fredda con zuccaro.


Torta di pomi appii

Pigliarai quattro libre di pomi appii ben mondi, piccati minuti, li porrai al fuoco in un vaso di pietra con butiro, acciò si ammolliscano, o si malvino, con polvere di canella fina, sei oncie di zuccaro, sei oncie di pignoli ammaccati, li levarai subito dal fuoco, rifatti che siano, li lasciarai raffreddare, e poi pigliarai due scattole di cotognata piccata minuta col coltello, mescolando ogni cosa insieme, farai un foglio di pasta fina, ontandolo bene, e poi raddoppiandolo a portione della padella, avertendo che il butiro non sia troppo caldo, e metterai una di quelle pastelle nel tegame, e sopra la compositione, coprendo il tutto con l’altra pastella; e questa sarà una torta ottima per l’inverno, servendola calda.


Torta di nespole

Pigliarai tre libre di polpa di nespole, una libra, e meza di pasta di marzapane pesta nel mortaro, aggiongendovi sei oncie di butiro, un poco di noce moscata, sei oncie di formaggio grattato, sei rossi d’ova, libra una di cedro condito, overo altro condito, pur che non sii pomo d’Adamo, perché riuscirebbe troppo acetosa, mescolarai detta compositione bene, farai un foglio di pasta sfogliata, e acciò habbia miglior odore, e sapore, vi metterai polvere di mostaccioli, ontando bene la padelletta, compartendo il foglio tra sotto, e sopra, li metterai il pieno, e la farai cuocere nel forno a fuoco lento, servita calda con zuccaro sopra.


Tartara d’armille, detta torta senza foglio

Pigliarai sei libre d’armille mal mature, le mondarai, e levarai l’ossa, ponendole a cuocere nel zuccaro, e butiro, passandole per setaccio, aggiongendovi un poco di canella, lasciando raffreddare
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il pieno, vi metterai sei rossi d’ova ben mescolati, e battuti; farai un foglio di pasta marzapanata, e ontando bene la teglia, vi porrai sopra il suo foglio con la compositione, mettendola nel forno a fuoco lento, e sopra la servirai con un copertore fatto a cuppoletta dell’istessa pasta del foglio, servendola fredda con zuccaro sopra.


Torta di formaggio fresco

Pigliarai tre libre di formaggio, lo pestarai nel mortaro, avertendo che sia grasso assai, e vi aggiongerai una libra, e meza di ricotta grassa, una libra di pignoli, abbeverati in acqua rosa, e pesto ogni cosa insieme, v’aggiongerai una libra di capo di latte, dieci rossi d’ova, mez’oncia di canella, sei oncie di zuccaro, mescolato il tutto bene, farai un foglio di pasta fina, pigliarai la padelletta a portione, ontandola di butiro, vi metterai sopra il foglio, e poi la compositione, cucinandola nel forno, mettendola da quella banda dove sarà manco calore, servita calda, con un ghiaccio di zuccaro sopra.


Torta bianca alla bolognese

Pigliarai quattro libre di ricotta grassa pesta nel mortaro spruzzata con acqua rosa muschiata, aggiongendovi dodici ova fresche, ott’oncie di zuccaro, mez’oncia di canella, pestandola sin tanto che diverrà gonfia, e a portione cresciuta, ontarai un tegame con butiro senza foglio, vi porrai la compositione, ma che sia ben onta, e la cucinarai nel forno a fuoco lento, e la servirai calda con zuccaro sopra, e havendo bianco mangiare ve ne potrai aggiongere, che sarà buono.


Torta di condito

Pigliarai meza libra di pomi d’Adamo, meza di cedro condito, meza di lattuca condita, meza di zuccaro condito, li piccarai minuti col coltello tutti insieme, aggiongendovi sei oncie di pistacchi, oncie quattro di fior di cedro condito trito, tre quarti di canella fina, mescolato il tutto bene, farai un foglio di pasta marzapanata, e onterai la padelletta, mettendovi dentro la compositione, cotta nel forno a fuoco lento, e servita fredda con zuccaro sopra.


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REGOLA BREVE
per comporre diversi sapori

Sapore di bacche di mortella

Pigliarai le bacche della mortella pestate nel mortaro, le cuocerai in malvasia, e di quella polpa che haverai passato per setaccio, o per vaso d’ottone trasforato minuto, per ogni quattro libre vi metterai tre libre di zuccaro ben chiarificato, cotto in acqua di fior di gelsomini, quando sarà a meza cottura, vi metterai una libra di polpa de pomi d’Adamo grattati, un’oncia di canella fina, un’oncia di garofani in polvere, e quando haverai fatto bollire il tutto nel zuccaro, vi metterai la polpa di mortella, dandogli fuoco lento, e sempre lo mischierai, quando sarà alla cottura, vedrai che farà certi gonfietti, o vessichette, e all’hora sarà a perfettione, e sarà di color nero assai. Volendogli dare odore di muschio, o ambra, potrai far quello che vorrai, ma per me dico, che sta bene così semplice, per l’odore di malvasia.


Sapore di persiche

Pigliarai persichi duraci, li mondarai sottilmente, ma che non siano troppo maturi, senza macola alcuna, e levato loro l’ossa, li tagliarai in pezzetti, e ne cavarai otto libre di polpa, e haverai cinque libre di zuccaro cotto in acqua rosa, ben chiarificato che sarà, gli infonderai dentro la polpa con un’oncia, e meza di canella in polvere,
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e lo tirarai perfettamente alla cottura, avertendo, che sia ben cotto, perché il frutto è assai humido, e cotto, ne farai la prova sopra la carta, che quando l’humido non passarà sarà cotto; questo non vuol altro aromato, perché è odoroso, e soave da se medesimo, lo riporrai in vaso ben coperto.


Sapore di fraghe

Pigliarai quattro libre di fraghe monde, e pulite con diligenza, le lavarai in vin bianco, pigliarai una libra, e meza di zuccaro in polvere, e una libra d’acqua per bollire detto zuccaro, in cui metterai una chiara d’ovo ben sbattuta, e dentro v’infonderai il zuccaro, facendola bollire a fuoco lento: avertirai, che la cazzetta sia ben netta, e quando vedrai, che farà gran quantità di schiuma, vi metterai goccie d’acqua fresca più volte, acciò il zuccaro venga più chiarificato, e quando vedrai tutto il zuccaro scoperto, e quella schiuma da una banda, lo passarai per stamegna, e poi metterai le fraghe nel zuccaro, e con una spadola andarai sempre meschiando, avertendo d’andar nel fondo, acciò non s’attachi; e quando vorrai sapere se è alla cottura, ne farai la prova sopra la carta, come di sopra, e all’hora lo passarai per setaccio, e lo servirai in tavola freddo. Sopra questo sapore non porrai altra cosa, perché è necessario il sentire quel suo natural odore, e gusto. Di questo ne farai poco, perché dura poco.


Sapore di visciole

Pigliarai dieci libre di visciole, cavando l’osso, e la gamba, facendo che il succo vada in un vaso di pietra, acciò non pigli odore cattivo: pigliarai cinque libre di zuccaro chiarificato, come sopra, passandolo per stamigna, e poi vi metterai a bollire dentro le visciole, a fuoco lento, e con la spadola meschiarai sempre, acciò non s’abbrugi al fondo, perché è facile, e quando vorrai far la prova se sarà cotto, ne metterai un poco sopra un tondo, toccandolo con un dito, e se sarà vischioso, e che s’attachi, all’hora sarà a perfettione cotto: questo sapore non va immascarato con ingrediente alcuno, perché da sé stesso è gustosissimo; e di questo ne potrai fare per tutta l’invernata.


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Sapore d’uva passa

Pigliarai una libra d’uva passa ben monda, lavata con vin bianco, pigliarai due oncie d’anisi ben mondati, pesti nel mortaro con noce moscata, vi aggiongerai l’uva passa, e pestato benissimo il tutto, lo stemprarai con un bicchiere di vin bianco dolce, ma prima spremerai nel vino succo di limone: stemprarai il sapore in questo modo, avertendo che si vuol la discretione del più, e del meno; e questo sarà esquisito per le vivande arosto.


Sapore di peri moscatelli

Pigliarai quattro libre di pere moscatelle non troppo mature, ben mondate, cavato loro il seme, e quel poco di durezza, che hanno dentro, pigliando una libra, e meza di zuccaro fino, oncie nove d’acqua rosa, oncie sei di vin bianco, il tutto metterai con le pere a bollire, avertendo che il fuoco sia di carboni. Volendo fare questi sapori, loro darai sempre fuoco lento, quando saranno a meza cottura, vedrai che incominciaranno a ristringersi, all’hora cominciarai a mescolare, sin tanto che saranno perfettamente cotte: questo sapore durarà tutto l’inverno, mentre sarà cotto bene; lo passarai per setaccio, e lo servirai freddo, polverizato di canella.


Sapore d’erbe odorifere

Pigliarai persa, basilico, petroscemolo a portione, oncia una di anisi, oncie due di pistacchi mondi, quattro fette di pane abbeverate in aceto rosato, e spremuto da quell’aceto, lo pestarai nel mortaro con l’antedette cose, aggiongendovi due oncie di zuccaro fino, stemprato con un poco d’aceto, e il sugo di due limoni, e farai un saporetto molto grato, e gustoso.


Sapore di brugnoli freschi

Pigliarai due libre di brugnoli freschi lavati in vino bianco dolce, e una libra, e meza di zuccaro chiarificato con dentro sei oncie
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d’acqua di cedro stillata in vetro, un’ottavo di mastice pesto, e il tutto metterai a bollire col zuccaro; quando il zuccaro sarà a mezza cottura di giuleppe, levalo dal fuoco, e lascialo raffreddare, e poi aggiungerai i brugnoli, canella un’oncia, oncie sei condito grattato. Tornandolo sopra fuoco di carbone, lo cuocerai a perfettione, come sopra, e cotto, lo passarai per setaccio, e di questo te ne servirai per gli antipasti, riponendolo in qualche vasetto capace.


Sapore di brugne damascene

Pigliarai quattro libre di brogne, le lavarai in vin bianco, facendole stare così per lo spatio d’un’hora, mettendole al fuoco in detto vino, e quando haveranno levato il bollore, le farai passare per un vaso trasforato d’ottone, cavata che haverai tutta la polpa, la porrai in una cazzetta ben polita con un bicchiere di malvasia, oncie dieciotto di zuccaro fino, mez’oncia di polvere di garofani, un’oncia di canella, e il tutto ben perfettionato alla cottura, lo passarai per setaccio, che questo sarà un sapore da servirsene per gli arosti di pesce.


Sapore d’armellini, o moniache

Pigliarai otto libre d’armellini, li cavarai l’ossa, pigliarai quattro libre di zuccaro chiarificato con la sua portione d’acqua, ponendo li detti armellini nel zuccaro, cucinandoli a fuoco lento, meschiandoli sempre, con toccare il fondo del vaso, acciò non s’attacchino, perché è frutto humido assai, lasciando consumare due terzi della cottura, perché quando è mal cotto dura poco, e quando haverà buona cottura, durarà assai. Non è buono questo sapore per i malenconici.


Sapore di fiori di sambuco

Del fiore di sambuco sfiorato ne pigliarai una libra, o più, o meno, secondo la quantità che ne vorrai fare, lo pestarai bene nel mortaro, pigliarai una libra di zuccaro fino, oncie nove di malvasia, oncie nove d’acqua rosa, per infondervi il zuccaro, il tutto farai bollire
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insieme, mescolandolo sempre, darai fuoco lento, e quando sarà cotto a perfettione, lo passarai per setaccio, e questo sarà buono per l’idropesia, e per quelli ch’hanno il fiato grosso.


Sapore di bacche di ginepro

Pigliarai due libre di bacche di ginepro non troppo mature, lavandole in vin bianco, facendole stare infuse nel vino per lo spatio di quattro giorni, mutandoglielo due volte il giorno; pigliarai due libre di zuccaro, una libra, e meza vin bianco, per infondervi il zuccaro, e quando sarà chiarificato, vi metterai una libra, e meza di polpe di pomi appii, con dette polpe di bacche di ginepro, mettendo ogni cosa a bollire, e v’aggiongerai una libra d’uva passa ben levata, mescolando bene con la spadola, e quando saranno perfettamente cotte, le passarai per setaccio, che questo sarà un sapore buono per quelli ch’hanno lo stomaco indigesto: non lo farai di bacche schiette, accioché non sia troppo acuto.


Sapore di melangole, o naranci

Pigliarai quaranta melangole di mezano sapore, che habbiano polpa, e sugo assai, spremerai il loro sugo in un vaso di pietra, e vi metterai anco la polpa, ma ben mondata, pigliarai due libre, e meza di zuccaro chiarificato, due grani d’ambra, quattro libre di polpa di pomi appii, un’oncia di polvere di garofani, un’oncia di canella fina in polvere, metterai il tutto insieme a bollire; avertendo, che fra tutti li sapori, queste deve essere guardato, e custodito, mescolandolo nel fondo, perché è dubioso che s’abrugi, e attacchi, e quando sarà cotto a perfettione, lo passarai per setaccio. Questo sarà un sapore di durata, mentre haverà havuto buona cottura, e sarà suave al gusto; e buono per febrigitanti, e estingue la sete, e di questo se ne serve per beccafichi, ortolani, pernigoncelli, e arosti delicati.


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Sapore verde

Pigliarai quattro foglie di menta romana, un poco d’erba brusca, petroscemolo, basilico, il tutto ben pesto nel mortaro, e vi aggiongerai sei oncie di narancio condito, sei oncie di seme di melone, due fette di pane abbeverate in malvasia, e spremute, due oncie di zuccaro, il tutto pestato insieme, lo stemperarai con aceto; e questo sarà un sapore per il tempo d’estate: se in cambio di malvasia vi metterai sugo di limone, riesce migliore.

MANIERA, MODO, E DOSE
per far gelatine di varie sorti nobilissime

gelatina di piedi di vitello

Pigliarai otto zampetti delle gambe dinanzi del vitello, o più, o meno, secondo la quantità che ne vorrai fare, quali siano ben pelati, e puliti, posti a bollire in tre boccali d’acqua, tre di vino bianco, e uno d’aceto: avertendo che il vaso sia ben stagnato, e quando gli haverai levato la schiuma, li porrai dentro mez’oncia di brocche di garofani, mez’oncia di pepe intiero, un’oncia di canella intiera, e coprendo bene il vaso farai bollire questa compositione a fuoco lento, perché se la cucinassi in furia, la cottura non faria corpo per restringersi: quando sarà calata per metà, pigliarai il detto sugo, e lo passarai per stamigna in un’altro vaso, pigliarai un mazetto di penne, facendo stare il vaso pendente, levarai con quelle facilmente tutto quel grasso, che vi sarà sopra, e farai questo, quando
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non v’è tempo di lasciarla raffreddare, benché per chiarificarla, vorrebbe essere fredda affatto, ma purché non sia bollente, si può chiarificare bene, pigliarai sei ova fresche sbattute in un’altro vasetto, con il sugo di sei limoni, e stemperarai dette ova con un poco di gelatina, tanto che nel vasetto ve ne sia un boccale, gettandola poi nel vaso grande della gelatina, mescolandola con un cocchiaro, vi aggiongerai una libra di zuccaro, e ritornarai la gelatina al fuoco, e quando vedrai che sarà chiarificata, e che haverà fatto molta schiuma, le butterai dentro un grano d’ambra stemprata in acqua di fior di cedro, e un poco di zaffarano, e come haverà dato duoi altri bollori, la passarai per la calza, over sacchello, come dir vogliamo, facendola colare in vaso di pietra: e se ne vorrai fare di color cremesino, pigliarai un poco di cremese a portione, overo pezzetta di levante, avertendo che fatta con pezzetta, a chi troppo ne mangiasse, può nuocere notabilmente, per la venefica qualità, che ha in sé detta pezzetta. Se ne vorrai fare della turchina, pestarai nel mortaro le viole zoppe, e con quel loro sugo, le darai il colore, e sarà buona per mangiare. Se ne vorrai fare della verde, pigliarai sugo di petroscemolo. Se ne vorrai fare della scura, pigliarai sugo d’uva passa. Se ne vorrai fare della rossa, o color di fuoco, pigliarai il cinapro, ma per esser questo minerale, poco lo lodo. Se ne vorrai fare della turchina in altro modo, pigliarai endico a portione, e questa non serve se non per onda di mare, perché per mangiare non è buona. Se ne vorrai fare di color d’ambra, piglia zaffarano, e questa è la miglior, e più gustosa.


gelatina bianca

Pigliarai otto zampe di vitelli delle gambe dinanzi, le porrai in un vaso di pietra con acqua, e poco sale, mettendovi dentro un piumazzolo, nel qual vi sia un quarto di garofani, mez’oncia di pepe, e un’oncia di canella intiera: quando t’accorgerai, che il brodo habbia pigliato quell’odore, levarai il piumazzolo, acciò non gli dia il colore; quando sarà consumato per metà, lo passarai per stamigna, spremendo bene tutto il sugo, la chiarificarai con la solita diligenza, aggiongendovi una libra di zuccaro fino, un grano di muschio, o
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ambra, conforme al gusto, la passarai per calza tre, o quattro volte, sin che verrà chiara, e haverai apparecchiato il latte di due libre di mandole, più, o meno, e lo stemperarai con un poco d’acqua rosa, e brodo di detta gelatina, oprando sia fisso come latte, e lo votarai nella gelatina, che raffreddandosi, verrà come capo di latte, e così schietta sarà nobile, senz’altra sorte d’ornamento, perché molti s’ingannaranno, credendo che sia qualche lavoro di latte.


gelatina di piedi di capretto

Pigliarai piedi di capretto conforme alla quantità, che ne vorrai fare, li farai cucinare in mez’acqua, e mezo moscatello con aceto, conforme il tuo giuditio, cuocendoli in vaso di pietra, vi porrai dentro a bollire due oncie d’anisi con un poco di sale, un’oncia di canella intiera; cotta conforme il solito, passandola, come sopra, la chiarificarai con chiara d’ovo, e sugo di limoni: tornata al fuoco, vi aggiongerai il zuccaro a discretione, e in questa non occorre, che vi metti né muschio, né ambra, perché passandola per la solita calza, passarà con essa l’odore degli anisi, e sua soavità: se vi vorrai dare il colore d’ambra, vi metterai il zaffarano.


gelatina di corno di cervo

Pigliarai tre oncie di corno di cervo limato, fatto stare in infusione in libre sei d’acque cordiali, mettendola in pignata di terra ben vitriata, a fuoco lento, consumata che sarà due terzi, la passarai per stamigna, lasciandola raffreddare affatto, la chiarificarai con chiare d’ova fresche, e sugo di limone, le aggiongerai un poco d’agro di cedro, che quello li darà il colore d’ambra, e il gusto, e la passarai per la solita calza: questa serve per quelli che hanno il flusso, e che hanno vene rotte nello stomaco.
Le acque cordiali saranno, acqua di buragine, d’acetosa, di buglossa, e di scorzonera; questa dosa serve tanto per il corno di cervo, quanto di rinoceronte, e l’uno, e l’altro è cordiale.


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gelatina di pollastrelli, e piedi di capponi

Pigliarai pollastrelli ben puliti, e piedi ben governati, li farai bollire in acqua con poco sale, mettendovi alquanti stecchi di canella, consumata che sarà per metà, la passarai per stamigna, e se pesterai tutti li pollastrelli per far più sugo, è migliore, e sarà bene: sgrassato il brodo con le solite penne, lo chiarificarai con chiara d’ovo, e sugo di limoni; chiarificato, lo levarai dal fuoco, e v’aggiongerai un poco di zuccaro fino, conforme la quantità del sugo, e vi porrai dentro agro di cedro a portione, e poi lo passarai per la calza, e questa sarà una gelatina ottima per gli amalati, sustantiosa, e buona per estinguer loro la sete.


gelatina di pesce di mare

Pigliarai venti libre d’arzilla ben lavata in vino, talgiata in bocconcini, la porrai al fuoco in un vaso di pietra, con sei boccali di malvasia, un’oncia di garofani, un’oncia, e meza di canella, e un’oncia di pepe intiero, facendola cucinare a fuoco lento: quando sarà scemata per metà, la passarai per stamigna, spremendo bene il suo sugo, e la sgrassarai, perché haverà buttato oglio di sopra, la chiarificarai con sei chiare d’ova fresche, o più, o meno, a giudicio, e sugo di quattro limoni, tornandola al fuoco: quando sarà chiarificata, le levarai la schiuma, e le aggiongerai un’ottavo di zaffarano, e le spremerai il sugo di sei limoni. Questa gelatina vuol poco zuccaro, perché quando vuoi conservare i pesci longamente, che vanno in gelatina, all’hora vi metterai poco zuccaro: e se li vorrai dare odore di muschio, o ambra vi farà buono, passandola più volte per la calza.


gelatina di pesce d’acqua dolce

Pigliarai dodici libre d’anguille di Comacchio, e otto libre di tenche minute, curate, e lavate tutte in vin bianco poste al fuoco a cucinare con quattro boccali di vino, due d’acqua, e due d’aceto, le farai consumare a poco, a poco a fuoco lento, aggiongendovi un
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poco di sale, consumate che ne saranno duoi terzi, le passarai per stamigna, spremendo bene il sugo di detti pesci, e con penne li sgrassarai, perché haveranno fatto dell’oglio: raffreddata che sarà, la chiarificarai con otto chiare d’ova fresche, e sugo di sei limoni, tornandola al fuoco, e quando vedrai che levarà il bollore, vi metterai goccia una d’aceto, perché haverà più tempo a chiarificarsi, chiarificata, vi metterai un’ottavo di zaffarano, un grano di muschio, e una libra di zuccaro fino, avertendo, che se non sarà garba assai, vi metterai sugo di limone, e la passarai più volte per calza.


METODO,
e modo per far bianchi mangiari, e altre simili compositioni, con le loro dosi

Bianco mangiare più usitato

Pigliarai trenta bicchieri di latte fusco, mettendolo in un vaso di rame, vi stemperarai tre libre di farina di riso, un poco di fior di sale, e lo porrai al fuoco, ma fuoco di carbone acceso, e con una paletta di legno continuamente lo agitarai, toccando sempre il fondo, e quando si cominciarà a restringere, v’infonderai due libre, e meza di zuccaro in pezzetti, un grano di muschio macinato con un poco di zuccaro, aggiongendovi quattr’oncie di fior di cedro: quando sarà vicino alla cottura, vedrai che cominciarà a far gonfietti, e all’hora pigliarai un tondo bagnato in acqua rosa, e vi porrai un poco di bianco mangiare, se creparà, e non si staccarà dal tondo, sarà segno che non sarà a perfettione; e perfettionato, lo
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potrai votare in vasi, e stampe, o tazzette di maiolica, o vetro, o in piatti; avertendo di bagnare tutte le stampe, e vasi con acqua rosa; e quando farai bianco mangiare, lo cucinarai sempre fuori dal camino, acciò non vi cadan sporchezze.

Bianco mangiare alla spagnuola

Pigliarai il petto di sei capponi, non vi essendo altra sorte di carne a proposito, che non sia rossa, la pestarai nel mortaro, bagnando il pestone nel latte, e la passarai per setaccio, e passata, v’aggiongerai quattro bicchieri di panna di latte, e vi stemprarai dentro nove oncie di farina di riso, prima stemprata con nove bicchieri ordinarii di latte, cucinandola a fuoco di carbone; la mescolarai sempre al fondo, per il pericolo, che vi è, che non s’abbrugi, aggiongendovi una libra di zuccaro, un grano di muschio stemprato con un poco d’acqua rosa; quando sarà alla cottura, ne farai la prova con un coltello, che se sarà a perfettione, restarà attaccato al coltello, se no, cascarà da sua posta. Questo bianco mangiare lo servirai in piatti bagnati d’acqua rosa, e nelle stampe, e ne potrai empire torte, offelloni, e altri regali.


Bianco mangiare per li giorni di vigilia

Pigliarai quattro libre di mandole ambrosine, pelate, mollificate in acqua fresca, le pestarai nel mortaro, e se haverai una macinella per fare il latte, sarà meglio: pestate, le metterai in una cazza ben pulita, e ben stagnata, stemprate con venti bicchieri d’acqua, e vi stemprarai due libre, e meza di farina di riso, e un poco di fior di sale, le porrai al fuoco, sempre mescolando, e v’aggiongerai due libre di zuccaro, e quando sarà a meza cottura, vi metterai duoi grani d’ambra, macinati con quattr’oncie di fior di cedro: cotto che sarà, lo farai in varie forme: della cottura farai la prova, come sopra.


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Bianco mangiare di polpa di luccio

Haverai lucci grossi, cotti in bianco nell’acqua schietta, pigliando sei libre di quella polpa, cavatole tutte le spine, le pestarai nel mortaro, pesta che sarà, la stemprarai con una libra d’acqua rosa, e una de gelsomini, aggiongendovi due libre d’amido stemprate in quattro libre di latte, e s’è vigilia in libre tre d’acqua, metterai il tutto in un vaso ben pulito al fuoco, mescolando sempre con la spadola, perché è pericoloso; quando sarà a meza cottura, vi porrai una libra, e meza di zuccaro fino, con un grano di muschio macinato, cotto che sarà, lo levarai dal fuoco, gettandolo in piatti d’argento, o di maiolica, e non in stampe.


Latte alla spagnuola

Pigliarai otto bicchieri di latte, e uno di panna, ponendolo in una cazzetta ben netta, e vi sbatterai dentro dieci ova fresche, un grano di muschio, ott’oncie di zuccaro fino, mettendolo al fuoco a fiamma chiara, e avertirai non sia a fuoco lento, perché non riuscirebbe, ma s’attaccarebbe alla cazzetta, e lo meschiarai con spadoletta, o cannelletta, e quando vedrai che comincia a crescere per levare il bollore, lo levarai dal fuoco, e lo gettarai in un piatto in luogo fresco, e infocando la pala del fuoco, lo porrai sopra il latte, quale pigliarà il color di rosa, servendolo con zuccaro sopra.



Pigliarai dieci bicchieri di latte in una cazza, la porrai sopra il fuoco con una libra di butiro fresco, e un poco di sale: quando cominciarà a bollire, gli buttarai dentro una libra di farina di formento, sbattendo ott’ova in un vasetto, levando la chiara di quattro, avertendo che siano ben sbattute, e subito buttarai giù la farina, con due oncie d’acqua rosa muschiata, e dietro subito l’ova sbattute, mescolando sempre nel fondo con una cannella, aggiongendovi ott’oncie di zuccaro, una libra di fior di cedro condito: cotta che sarà, la
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gettarai in tegami larghi di fondo, ben stagnati, e bagnati d’acqua rosa: e di questa ne potrai far fritelline tagliate fuora con un cannoncino di latta, indorate, e fritte in butiro, ne potrai anco intagliar gigli, e fiori con la punta del coltello, servendosi anco di questa per li rifreddi.



Pigliarai foglie di salvia, le pestarai bene nel mortaro, spremendo il sugo per farne un piatto di sei bicchieri; vi aggiongerai sei bicchieri di latte, uno di panna, e mezo sugo di salvia stemprata con il caglio, e tutto ben meschiato insieme, lo metterai in luogo fresco, quando sarà congelato, lo servirai con zuccaro sopra: ne’ rifreddi serve per il mese di maggio. Di questo anco ne puoi fare in tazzette di pasta reale, lavorate, e impite di detta salviata, e servirne una per signore.



Pigliarai due libre di pistacchi mondi, e pelati, pesti nel mortaro, li stemprarai con vinti bicchieri di latte, mettendo il tutto in vaso ben pulito, havendolo prima passato per setaccio, gli stemprarai dentro due libre di farina di riso, mettendolo al fuoco in detto vaso, lo mescolarai sempre con la spadoletta, quando sarà a meza cottura, vi aggiongerai una libra di cedro condito piccato, una libra di uva passa bollita, una libra di pignoli abbeverati in acqua rosa, una libra, e tre oncie di zuccaro fino, con un grano d’ambra macinata, e stemprata con tre oncie d’acqua di fior di cedro: cotto che sarà ne farai la prova, come di sopra, e levandola dal fuoco, la potrai gettare in stampe, o in piatti, avertendo bagnarli prima con acqua di fiori di cedro.


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DISCORSO DEL MODO
che si deve osservare per comporre biscottini in diverse maniere

Biscottini alla savoiarda

Per farne meza cotta, pigliarai sei ova, una libra di zuccaro fino, avertendo che l’ova siano fresche, nate nell’istesso giorno, pigliarai un vaso ben pulito, e vi romperai dentro dette ova, e di quelle sei chiare ne getterai via una, il zuccaro sia ben pestato nel mortaro, e tamisato, di questa ne metterai quattr’oncie nel mortaro, e due ne serbarai per fargli sopra il ghiaccio; pigliarai un mazzetto di bacchette ben scorzate, e ben pulite, per mez’hora andrai sbattendo dette ova col zuccaro, e quando li vorrai fare, aggiongerai oncie sei di farina, li farai nella carta, o nelle cassette, overo nelle teggie ontate di butiro.


Biscottini di zuccaro

Pigliarai una libra di zuccaro ben pestato, e tamisato sottilmente, e in un’oncia di questo pestarai un grano d’ambra: pigliarai due chiare d’ova nel medesimo giorno nate, prima impastarai la detta oncia di zuccaro con l’ambra, e poi seguendo con una spadoletta,
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aggiongerai il restante del zuccaro, lavorandolo con una spadoletta di legno, sino che sarà ridotto a guisa di pasta, e quando sarà divenuto tenace, che assottigliato si tiri in longo senza rompersi, ne formarai su le carte bianche, fiori, frutti, biscottini, frondi, e altre galantarie, come ti piacerà, avertendo che il forno serva quando havrà cotto altre pasticcierie, perché sono troppo delicati.


Biscottini di pasta di mandole, e farina d’amido

Pigliarai due libre di mandole ambrosine pelate, e biscottate in una teglia a fuoco lento, acciò non piglino il color rosso, pestate nel mortaro, li aggiongerai quattr’oncie di fior di cedro, una libra di zuccaro fino, una libra, e meza d’amido tamisato, ben pestata ogni cosa insieme, li aggiongerai sei chiare d’ova; e se vorrai mettervi un grano di muschio, o d’ambra, sarà a beneplacito, e incorporando questi ingredienti, ne farai pasta, preparando una padella grande da forno, spolverizandola di farina, le disporrai dentro i biscottini, grandi come ducatoni, o a beneplacito, avertendo che il forno sia caldo a portione, lasciando alquanto mitigare (se farà bisogno) l’attività del calore.


Biscottini in altro modo

Piglia quattro libre di pane di tutta candidezza, biscottato bene nel forno, pestato nel mortaro, setacciato ben sottile, lo porrai in vaso di pietra con tre oncie di canella pesta, due libre di zuccaro chiarificato, e tirato a cottura, gettandolo sopra il detto pane, mescolando detti ingredienti con una spadoletta sino che siano bollenti, e haverai apparecchiato in altro vaso quattr’oncie di livieto, stemprato con nove oncie d’acqua rosa, una libra di zuccaro chiarificato, ma freddo, aggiongendovi due libre di farina, lo gettarai nel primo vaso, ove sarà il pane, avertendo che sia raffreddato, mescolando ogni cosa insieme, lo riporrai in luogo temperatamente caldo ben coperto, per ott’hore, e ogni due hore la mescolarai; fatto questo, infarinarai
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la padella, e di questa compositione ne formarai pasta per far biscotti piccioli a guisa di castagne, tondi, o longhi, come più aggradiscono: avertendo, che il forno sia caldo a proportione della compositione.


Navicelle di marzapane

Pigliarai due libre di mandole ambrosine ben pelate, pestandole nel mortaro, le andrai spruzzando d’acqua rosa: pestate che saranno, haverai una libra di zuccaro chiarificato, quale tirato alla cottura, lo metterai nel mortaro, e ogni cosa insieme incorporata, prenderai nevole, e sopra poste, ponendo questa compositione, formarai navicelle, stellette, e cose simili. Molti sono, che a queste navicelle danno il ghiaccio quando sono crude, ma io più lodo il darlo doppo che saranno a meza cottura, e raffreddate, tornandole poi nel forno senza più riscaldarle, e lasciandole tanto che se le faccia sopra il ghiaccio, riusciranno assai megliori.


Mostaccioli fini

Pigliarai tre libre di mandole ambrosine pelate, ben asciugate, pestale ben bene, spruzzandole con acqua di fior di cedro, aggiungerai quattr’oncie di canella pesta, e libre due di farina, avertendo d’aggiungerla a poco, a poco: piglia una libra, e meza di zuccaro chiarificato, e tirato a cottura, lo porrai nel mortaro sudetto, e il tutto posto in cazza sopra fuoco di carbone, con spadoletta mescolando, acciò non s’attacchi, macinati due grani di muschio con un poco di zuccaro, lo porrai in detto vaso, spolverizando la pasta, quale levata dal fuoco, quando sarà raffreddata, ne formarai mostaccioli nelle solite stampette.


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MODO GENTILE, E STRAORDINARIO
per formare vivande diverse molto delicate di varii erbaggi

Vivanda di cardi

Piglia il cardo bianco (ne’ mesi di novembre, decembre, e genaio) e ben mondato, devi avertire ove levi la scorza di fregarli sopra naranci, o limoni spaccati, con polso gagliardo, che così nel medesimo tempo penetra il sugo nell’interiori parti delle foglie scorzate, quali doppo infonderai in acqua commune, che diverranno candidissime: s’usa questa diligenza, acciò non ripiglino il verde loro colore naturale. In tanto habbi preparata una cazza di acqua al fuoco, e nel maggior fervore del bollore, getta il cardo in detta acqua, prima tagliato in pezzetti, tirato a cottura quasi perfetta, levalo dall’acqua, e mettilo in altro vaso di pietra, e spremivi sopra sugo di limoni, aggiongendo sale, pepe, e polvere di canella; in questo mentre habbi apparecchiata una padella sopra il fuoco, con butiro, e un poco di polvere di noce moscata, e posto il cardo in detta padella, per ogni due libre raggiongi meza libra di pistacchi pesti in mortaro con due oncie di zuccaro, stemprati con sugo di limoni, dandogli la cottura a fuoco lento: perfettionato, lo disporrai nel piatto, servendolo caldo con zuccaro sopra, e polvere di canella. Se li vorrai tartuffolare con oglio, usa l’istessa diligenza, come sopra, levandogli la scorza, e c.: ma perché è cosa comune, non ne discorro d’avantaggio.


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Vivanda di carcioffi teneri

Piglia il carcioffo tenero, lasciandogli mezo deto di longhezza del suo gambo, quale scorzato, e tagliate le punte delle foglie, spaccarai per mezo il carcioffo, spremerai sugo di limone nelle parti interne, ove sarà diviso, mettendolo così partito in vaso di pietra, e in questa guisa preparata la quantità sufficiente; fra tanto habbi in pronto una padella con butiro, un poco di polvere di garofani, e di noce moscata, porrai i carcioffi in detta padella, posta sopra fuoco lento, averti non s’accendi la fiamma nel butiro: quando saranno a perfetta cottura, per ogni dodici carcioffi piglia il rosso di sei ova fresche, stemperate con un poco di brodo, e sugo di limoni, e essendo giorno di magro, piglia vin bianco in vece di brodo, e il tutto vuotato in padella, ove saranno i carcioffi, la tornarai sopra il fuoco, scuotendola leggiermente con mano. Quando saranno a perfettione, li disporrai nel piatto, ornando l’ala con fette di pane fritte in butiro, tramezate con fette di lingua. Si possono fare tartuffolati con lardo battuto, erbette odorifere, sale, e pepe amaccato: alla graticola con oglio, o butiro. Invecchiati che siano, sono buoni i loro fondi fritti in oglio, o butiro, conditi con sale, pepe, e sugo di limoni.


Vivanda di silari

Piglia li silari mondati diligentemente dalle foglie, e fusti verdi, che restino della longhezza di mezo palmo, quella parte cioè, che è più interna, e vicina al piede; indi gettati in acqua fresca, e lavati, sia pronta una cazza con brodo magro sopra il fuoco: quando sarà nel fervore del bollire, gettavi dentro detti silari, lasciali bollire sino a meza cottura, dipoi levati da quella, li metterai in vaso asciutto, spremendovi sopra sugo di limoni, aggiongendo pepe amaccato; habbi in tanto preparata al fuoco padella con butiro. E perché i silari, come molt’altre cose, si danno a numero, non a misura, o a peso, e stante, che ve ne sono de piccioli, e de grandi, di modo che in alcuni luoghi i mezani saranno più grandi, che i grandi altrove; e altri luoghi li producono così piccioli, che i maggiori saranno più
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piccioli, che non sono i mezani d’altri luoghi, sì che a giudicio bisogna pigliare quella quantità, che sarà di peso proportionato agli ingredienti, che qui assegno. Per ogni due libre de silari, dunque, preparati, come sopra: e posta in padella a fuoco lento una piccata di ventresca di porco, o panzetta, come dir vogliamo, questa cucinarai leggiermente, e quando sarà vicino alla cottura, all’hora aggiongi i detti silari, poscia sbatterai a parte in cazzetta sei rossi d’ova fresche, con sugo di limone, due oncie di zuccaro fino, sei oncie di cappari di Genova in aceto, levando loro il gambolo, tre oncie di pignoli amaccati, e il tutto getta in detta padella, messa prima sopra fuoco mite, quando vedrai questo composto astretto, come latte cagliato, habbi in pronto un piatto con fette di pane, sopra le quali siano prima spremuti, e stropicciati spighi d’aglio, e poi fritte in butiro, indi vuotarai sopra dette fette i predetti filati col loro sugo, ornando il piatto di cascio parmigiano grattato, e polvere di canella. Questa è vivanda gratiosa, e delicata, la servirai calda.


Vivanda di cavoli fiori

Il cavolo fiore ha diversi bottoncini, o boccoli, come dicono i venetiani, quali benché siano tutti uniti nel piede, e anco nella parte superiore ammassati, e compressi, nulladimeno quella massa ristretta si divide in molte particelle. Piglia dunque quei bottoncini, e dividendoli ad uno ad uno, leva loro la scorza del gambolo, e mettili in acqua fresca, intanto habbi pronta una cazza d’acqua al fuoco, se sarà giorno di magro; e se sarà di grasso, in vece d’acqua sia brodo, e nel maggior fervore del bollire, gettavi dentro detti bottoncini, avertendo star vigilante nella cottura, perché si cuocono molto presto, e quando sono troppo cotti, sono poco stimati. Levati dall’acqua, o dal brodo, li metterai a sciugare, e asciutti, habbi una padella con butiro caldo, e un poco di noce moscata, e mettivi dentro detti cavoli fiori, ponendoli sopra il fuoco, scuotendoli con mano, sin tanto habbino pigliato il sapor del butiro; in questo mentre per ogni tre libre di cavoli fiori, piglia una libra di pistacchi ben mondi pestati nel mortaro, aggiongendo quattro rossi d’ova, stemprato il tutto con una tazza di brodo, e sugo di limoni a portione, poi questa
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compositione vuota nella padella ove sono i cavoli fiori, e habbi preparate in un piatto fette di pane fritto in butiro, e sopra vi porrai detti cavoli fiori con tutto quel sugo, che sarà nella padella. Questi cavoli fiori cotti, come sopra, si servono caldi. In insalata conditi con oglio, sugo di limoni, sale, e pepe. Cotti in brodo, ne potrai far suppe tramezate con sfilate di presciutto, e polpettine, servendoli con cascio parmigiano sopra, avertendo bagnar detta suppa con brodo grasso, spremendovi un poco di sugo di limoni, la renderai grata. Adornarai l’ala del piatto con fette di ricotte, o povine grasse fritte in butiro.


Vivanda di cavoli torchiuti

Il cavolo torchiuto porta nella gamba non dissimile dagli altri cavoli, un nodo della grossezza d’un pomo, più, o meno, conforme alla grandezza del cavolo. Piglia quei nodi, e levata la loro scorza, tagliali in fette, come si tagliano le rape, gettali in acqua fresca, nella quale infusi, haverai al fuoco acqua che bolla, e se non sarà giorno proibito, sia brodo, nel quale rifatti, si ripongono in acqua fresca, dalla quale poi levati, e bene asciutti, haverai una pignatta ben vitriata con butiro caldo, nella quale porrai detti nodi in fette, e per ogni tre libre di torsi, habbi una libra di seme di zucca con la scorza, o meza libra senza scorza ben pesta, e stemprata con panna di latte, e in difetto di panna, con latte, il tutto passato per setaccio, lo porrai nel vaso ove sono detti torsi, o nodi, cotti che saranno, li porrai nel piatto con formaggio buono grattato, zuccaro, polvere di canella, e sugo di limone, serviti caldi.


Vivanda di spinaci in giorno di magro

Habbi spinaci scielti, e mondi, ben bene lavandoli, e essendo erba assai terrea, li lavarai tre, o quattro volte, rifatti in padella, avertendo che stiano nel contenuto d’essa, acciò non ardano, poiché così non riuscirebbero buoni, anzi più tosto farai in due volte quello, che potresti in una sol volta far male; fra tanto sia in pronto
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un’altra padella con oglio buono, e una piccata di tarantello grasso, a cui sia stato levato il sale, e oncie sei garigli di noce piccati col coltello, e prima pelati (fra poco insegnarò il modo di pelare detti garigli quando sono secchi) per ogni tre libre di spinaci verdi, detta piccata farai d’una libra, e poi in questa padella vuotarai detti spinaci con sale a portione, havendo riguardo, che il tarantello sempre porta seco sapor di sale; aggiongi polvere di garofani, pepe amaccato, uva passa ben lavata oncie tre, pignoli amaccati oncie tre; poni il tutto a fuoco lento, misciando, acciò s’incorpori bene, e cotti li disporrai in piatto con sugo sopra di naranci, servendoli caldi.


Suppa di finocchio cardato nel tempo d’inverno

Piglia il finocchio ben mondato dalla sua scorza, e così intiero infondilo in acqua, havendo in pronto una pignatta con brodo grasso di cappone, avertendo che sia proportionata alla quantità del finocchio, il quale cotto in debita forma, levato dal fuoco, lo metterai in vaso di pietra, e sopra vi polverizarai zuccaro fino, spremendovi sugo di limone, il tutto in debita portione a giudicio: in tanto habbi in pronto un piatto con fette di pane fritte in butiro, polverizate con cascio parmegiano, e polvere di canella, e aggiongi sopra dette fette una piccata di petto di cappone, e sopra a questo il finocchio compartito a giudicio; indi metti nel brodo, ove haverà bollito il finocchio, un bicchiere di panna di latte, con questo liquore bagnarai la suppa, polverizata con formaggio, come sopra, e polvere di canella. Ornarai il piatto con occhi di vitello fritti in butiro: metti detta suppa, così ornata, sopra un tripiè con bragie sotto per lo spatio di mez’hora, servita calda.


Suppa di piselli, o roviglia per i giorni di magro, e di grasso

Quando i piselli sono teneri, sì che il loro grano non è buono ancora per farne minestra, delle loro tavelle se ne fanno suppe, levandogli la punta, e il gambolo. Se sarà giorno di grasso, bollirai
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dette tavelle in buon brodo di cappone, o di manzo, cotte che saranno, habbi preparato un piatto con fette di pane fritte in butiro, polverizate con cascio lodigiano grattato, e sopra il pane vi porrai le tavelle ben compartite, imbeverando la suppa di detto brodo, sopra servita con cascio, e pepe amaccato. Se poi sarà giorno di magro, le cucinarai nell’acqua con un poco di sale, quando saranno poco meno che cotte, levale fuori dall’acqua, in tanto sia al fuoco una padella con butiro, e un poco di polvere di noce moscata, e vi porrai dentro le tavelle, leggiermente agitandole; quindi saranno state un poco sopra fuoco lento, vi aggiongerai un poco di quell’acqua, ove haveranno bollito, tanta che sia sofficiente con gli altri ingredienti a bagnar la suppa: dipoi apparecchiato il pane fritto, come sopra, con diligenza vi compartirai sopra le tavelle, aggiongendo cascio parmegiano, e canella. Se vuoi fare detta suppa con oglio, avertirai, che sia di Genova, o di Toscana, e farai la medesima operatione, eccettuatene le fette di pane, quali bruscarai al fuoco, e bagnarai con latte di pignoli, perfettionato con zuccaro, e sugo di limoni, servita calda con pepe amaccato, e polvere di canella.


Vivanda di rapebiete

Queste rapebiete portano seco le qualità della loro madre; cioè, benché lavate, e pulite, rendono sempre l’odor terreo nativo. Le cuocerai in acqua schietta sin tanto siano a meza cottura passate, avertendo farle longamente bollire, levate dall’acqua, raffreddate, con diligenza scorzate, tagliate in fette, o quadretti, poste in vaso di pietra vitriato, che possa resistere al fuoco; per ogni tre libre vi porrai sei oncie di lardo battuto, butiro, e sale a portione, aggiongendo una libra, e meza di cervellati di Milano, e in difetto di cervellati, salsiccia di Modena, o d’altro luogo, pur che sia buona: porrai il tutto sopra fuoco lento, levando la pignatta con mano leggiermente, la scuoterai, sì che si vada rivolgendo il tutto, e pigli il gusto de’ cervellati, o salciccia: quando sarà vicino alla cottura, vi aggiongerai un bicchiere di panna di latte con sugo di limone: perfettionata la vivanda, la vuotarai in un piatto, ornandolo con cascio, e polvere di canella, e la servirai calda.


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Vivanda d’aventani

Gli aventani sono certi frutti, che si nudriscono negli orti, e ne fanno professione in specie i religiosi, come capuccini, osservanti, e simili. Quando sono a perfettione di servirsene, divengono di color pavonazzo, e lisci a guisa d’avolio: sono della grossezza d’un pomo in circa, di figura ovata. Piglia questi, e leva loro la scorza con esatta diligenza, e spaccandoli, leva loro il seme, poi divisi in pezzetti, infondili in acqua fresca, quale mutarai due, o tre volte, questo farai per levar loro l’amarezza naturale: levati dall’acqua, e asciutti, li porrai in una pignatta, o in un vaso a portione, con oglio, sale, e pepe, e li metterai a fuoco di carbone, mescolandoli spesse volte. Quando saranno cotti, piglia mandole ambrosine tre oncie per ogni libra d’aventani, bruscate sopra la pala, avertendo non s’abbrugino, e pestate in mortaro, aggiongi un poco di noce moscata, e un poco di zuccaro a giudicio, il tutto stemprato con sugo di melangole, lo metterai nel vaso, ove saranno gli aventani, quali finalmente vuotarai in piatti, e servirai caldi. Volendo condire con butiro questa vivanda, osserva come sopra, ma in vece di salsa di mandole, li condirai con formaggio piacentino, e canella sopra.


Zucche tenere, o zuccoli da friggere

Piglia il zuccolo, mondato dalla sua scorza, tagliato in fette, macerato, e ammollito con sale, resa che haverà l’humidità, disponendo dette fette una sopra l’altra, metterai un peso, acciò bene si sprema l’humido, e diligentemente infarinate con fior di farina, porrai dette fette in padella approntata con butiro gettato; cotte, e levate dalla padella, vi farai l’infrascritta salsa. Piglia un poco di basilico, una foglia, o due d’erba amara, un poco di seme di finocchio, tutto ben pesto nel mortaro, e per ogni libra di zuccolo, piglia quattr’oncie di formaggio tenero, e ben pesto nel mortaro, ove saranno gli altri ingredienti, poi stemprato con sugo d’agresta, qual sugo se sarà stemperato prima con acqua, non aggiongerai altro, ma caso non sia stemprato, aggiongi due oncie di zuccaro con quattro
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rossi d’ova fresche ben sbattute, posto il tutto in cazzetta messa sopra il fuoco con oncie tre di butiro, meschiando in tanto con cocchiaro di legno, e quando scorgerai, che piglia cottura di brodetto, all’hora cuopri la vivanda con questa salsa, e la servirai fredda con polvere di canella. Se dette zucche si doveranno friggere in oglio, farai la salsa in questa guisa. In vece di formaggio vi porrai molliche di pane insuppate in agresta con le solite erbe odorifere, e in cambio di rossi d’ova, vi porrai latte di mandole con simile cottura. Ma quando le zucche saranno più mature, si possono tagliare in guisa di lardoni. Si possono anco riempire, come s’è detto di sopra. Se ne può fare casse da pasticci; e in fine se ne può fare tanta diversità di vivande, che formi una mensa intiera.


Vivanda di rape

Piglia rape grosse cotte sotto le bragie, e mondate dalla loro scorza, le tagliarai in pezzetti quadrati, in tanto vi sia padella con butiro caldo al fuoco, dentro la quale le gettarai con sale a portione, polvere di garofani, e pepe amaccato. Poi tornata la padella sopra il fuoco, rivolgerai molte volte con destrezza di mano le predette rape con suoi ingredienti, e quando haveranno pigliato il sapor del butiro, e la cottura a giudicio, le porrai in pignatta di pietra vitriata, aggiongendovi una piccata di fiori di cedro conditi d’oncie sei per ogni due libre di rape, e raggiongendo un bicchiere di panna di latte, torna detta pignatta in le bragie a fuoco lento. Le servirai calde, ornando l’ala del piatto con formaggio piacentino, e polvere di canella; dovendo servire detta vivanda per gran personaggi potrai tramezarle con pasta di Genova, gentilmente tagliata in fette.


Vivanda di cipolle

Benché ogni paese sia fertile di cipolle, nulla di meno la Romagna ne produce gran quantità di grossezza, e bontà straordinaria, bianche di colore, e di sapore che assai inchina al dolce; talché questa provincia non la cede ad altre nella produttione delle cipolle. Per farne dunque vivanda, piglia le cipolle cotte sotto le bragie, levali
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la seconda, e terza scorza; indi spaccate per mezo, l’infarinarai con fior di farina, e havendo allestita una padella con butiro caldo, vi porrai dentro dette cipolle spaccate, dando loro fuoco leggiero, rivolgendole da tutte le parti; cotte a portione, le levarai dalla padella, ponendole in un tegame di pietra, largo tanto in fondo, quanto sopra, in cui sia butiro fresco squagliato, e aggiongi polvere di garofani, e canella, con sale a portione: haverai sei oncie di pistacchi pesti in mortaro, sei oncie di garioli di noce, pelati nella forma, che dirò qui appresso, e oncie tre di zuccaro, il tutto stemprato con panna di latte, e un poco d’acqua rosa: pesta questa compositione, e stemprata, la vuotarai ove saranno le cipolle, quali porrai a fuoco lento di carbone, e col detto latte ristrette, le disporrai in piatto ornato con fette di pane fritto in butiro, tramezate con ova ripiene spaccate. Volendo pelare i garioli di noce in tempo d’inverno, o d’altro tempo, quando sono asciutte, e secche; prendi le noci, e con coltello aprile dalla parte inferiore destramente, di modo che stiano unite dall’altra parte, dipoi l’infonderai in acqua commune, quale mutarai ogni giorno, e in fine del terzo giorno farai la prova se si leva la pellicola de’ garigli, quale non potendosi levare, di novi l’infonderai, sin tanto, che si possi levare detta pellicola nell’istessa maniera, che si fa, quando le noci che sono fresche nel fine di luglio, e principio d’agosto.



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DOSE, E MANIERA,
che si deve tenere per fare conserve di varii fiori.

DI BARTOLOMEO STEFANI
Cuoco bolognese


Conserva di fiori di gelsomini

Piglia una libra di zuccaro fino, e una libra d’acqua commune, ponendo il tutto sopra fuoco di carbone, e tirato a meza cottura, lo levarai dal fuoco, raffreddato, vi infonderai fiori di gelsomini a poco a poco, sino al peso di quattr’oncie, e poi haverai apparecchiati vasetti per detta conserva, quali ben coperti serbarai. Al tempo del Natale piglia tre scatole di torrone fatto di mandole, e miele, pestandolo nel mortaro, vi aggiongerai quattr’oncie di conserva, e quattro chiare d’ova fresche, e di questa compositione ne farai un gentilissimo tortino per sei convitati. In progresso di discorso farò mentione come si debba adoprare questa conserva.


Conserva di fiori di cedro

Per ogni due libre di zuccaro piglia una libra di fiori di cedro, e a meza cottura del zuccaro vi gettarai detti fiori, che prima siano stati bagnati con acqua pur di fiori di cedro, che così infondendoli
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in quel zuccaro, non haverà forza di fargli restar trasformati, ma si conservaranno belli; finiti di cuocere, li porrai in tazzette di vetro, o porcellana. Di questa in tempo d’inverno te ne potrai servire per far torte con pomi appii, sarà esquisita nelle tomacelle; ne potrai far sapori con fegatelli di cappone, ne potrai porre ne’ pasticci sfogliati, che in ogni modo riuscirà esquisitamente buona. S’averta non ne usare di soverchio, perché molto è dura alla digestione.


Conserva di fiori di salvia

Piglia una libra di zuccaro bollendolo in una libra d’acqua commune, tirato a meza cottura, piglia quattr’oncie di fior di salvia, bagnati leggermente nell’acqua rosa, sì che non siano troppo insuppati, e questi getta a poco, a poco nella cazzetta, agitandola sopra il fuoco, sin che sia distrutto quell’umido ch’hanno i fiori, scuotendogli sempre sino tanto, che si possino vuotare in barattoli di maiolica. Il mese di maggio è la sua propria stagione, nel qual tempo ha maggior virtù. Vale questa conserva per far sapori, tortini piccioli, e torte grandi di persicata. È buona per i febricitanti di febre leggiera.


Conserva di giacinti autunnali, overo tuberosi

Piglia libre due di zuccacro, e infondilo in oncie venti d’acqua commune: quando sarà a meza cottura, levarai quel zuccaro dal fuoco, lasciandolo raffreddare, indi li porrai libre due de’ fiori predetti, ben mondati da qual si sia cosa, e tornarai il tutto sopra il fuoco a perfettionare la cottura. Si può servire di questa conserva ne’ conviti grandi un tondino per ogni convitato, così semplice; possi ancora usare nelle comestioni particolare de’ cibi.


Conserva di rose intiere

Piglia libre tre di zuccaro chiarificato, come sopra, libre due, e oncie sei di rose incarnate intiere con un dito di pipociuolo, avertendo di levargli la semente, e raspargli diligentemente tutto il
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pipociuolo, indi bagnate in acqua rosa, quando il zuccaro sarà a meza cottura, prima lavate, e legate in mazzetti a tre a tre, le attuffarai in detto zuccaro per spatio d’un’ottavo d’hora, o poco meno: dipoi le porrai in tazzette larghe egualmente di sotto, e di sopra, disponendo le dette rose dentro con il pipolo in su, e in guisa, che l’una non tocchi l’altra; quando il zuccaro sarà alla perfettione, come sopra, gettalo sopra le rose. Ne’ conviti se ne può servire una, o due per convitato, e sopra un sapore fatto di conserva di fiori di gelsomini: se ne può valere per far pasticcini con altre compositioni a giuditio: questa conserva mirabilmente conforta lo stomaco.


Conserva di fiori di rosmarino

Piglia una libra di zuccaro posto in cazzetta, come sopra, quando sarà a meza cottura, levalo dal fuoco, piglia tre oncie di fiori di rosmarino ben curati, e puliti, e essendo il zuccaro quasi raffreddato, gli porrai dentro quei fiori, che se bene paiono troppo, con la cottura, però restano a giusta portione, e a perfettione da servirsene conforme il nostro intento. Tirati alla debita cottura, vuotali in qual vaso più ti piace, purché non sia di rame. Se vuoi si conservi più in lungo, vi metterai solo doi oncie di fiori con detta quantità di zuccaro, così riuscirà più densa, e non tenace. Di questa conserva ne potrai far saporetti per convalescenti, e per chi è di stomaco frigido. Giova a chi patisce catarri pigliata la mattina a digiuno.


Conserva di fiori di naranci

Piglia una libra, e meza di zuccaro ben purgato, tirato a meza cottura, nella forma, come sopra; levato che sarà dal fuoco, gli infonderai sei oncie di fiori di naranci ben mondati, e se il tempo non ti concede lasciar raffreddare il zuccaro, bagnarai detti fiori in acqua di fiori di cedro, scuotendoli ben bene in un panno, o drappo bianco, e poi gl’infonderai in quel zuccaro, a cui dall’humido contrario, che seco portaranno detti fiori, così preparati, sarà levata la forza d’inaridirli, essendo questi tenaci più assai delli fiori di cedro, e più acuti d’odore. Indi a poco il tutto perfettionato a debbita cottura,
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lo riporrai in barattoli di maiolica. Questa conserva s’adopra in molte cose, come a dire, ne’ sapori, nelle torte, ne’ pasticci più delicati, nelle polpette arosto, e altre cose simili a beneplacito.


Conserva di fiori di garofani

Piglia sei oncie di zuccaro, tirato come sopra, un’oncia, e meza di foglie di fiori di garofani rossi, e cremesi, tagliandoli la parte inferiore, sì che resti solo il rosso, avertendo che il zuccaro sii tepido, e all’hora infondi dette foglie, tornando il tutto al fuoco, meschiarai, e volgerai con spadoletta a fuoco molto lento, che così ti riuscirà di color cremese. È buona questa conserva per i frigidi, e depravati nel calor naturale. Non se ne deve consumare nelle vivande, essendo di molta sostanza, e delicatezza: si conserva longo tempo.


Conserva di lilii convallii

Piglia sei oncie di zuccaro posto nella cazzetta con acqua di fiori di gelsomini, quando sarà vicino alla cottura, levato dal fuoco, come sopra, piglia due oncie di fiori di lilii convallii ben mondati, e puliti, fatto tepido il zuccaro, infondegli detti fiori, tornandoli al fuoco, ma che sii lento, volgendoli con spadoletta sino che siano a perfetta cottura. Questa conserva la disporrai in tazzette di maiolica, e te ne servirai per torte bianche, incorporandola con gli altri ingredienti nel mortaro; volendone far saporetti, aggiongerai fette di pane abbeverate in sugo di limoni, passate per setaccio; e le torte saranno molto delicate al gusto.


Conserva di viole pavonazze

Piglia una libra di zuccaro ben purgato, tirato a meza cottura, e oncie sei di foglie di viole ben mondate dal verde, avertendo pigliar il bianco, e non il pavonazzo: questo fiore è più unico degli altri; quando il zuccaro sarà raffreddato, li gettarai dentro dette foglie, tenendo il tutto sopra fuoco lento, e agitando tanto che sia consumata quell’humidità, e sia perfettionata la cottura. Fatta la conserva,
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la vuotarai in qual vaso più ti piacerà. Di questa conserva ne puoi fare tartarine schiette, aggiongendovi mandole monde; ne potrai far salse pestate insieme, come sopra, stemprate con sugo di limoni, e brodo magro di cappone.


Conserva d’anisi freschi

Piglia due libre di zuccaro, infondilo in due libre d’acqua rosa, questo chiarificato, come sopra, e ridotto a meza cottura, piglia gli anesi freschi (di questi se ne raccoglie gran quantità nella Romagna, e ha semente distinta in chiocche, a guisa di finocchio, benché assai più piccola) li troncarai lasciandogli tanto pipociuolo, quanto è la grossezza d’un deto in traverso, acciò si possino ligare con refe, o altro, facendone mazzetti di dieci, o dodici di queste chiocche per ciascun mazetto, e fattone al peso di sedici oncie, li porrai nel zuccaro, avertendo che i fili siano longhi, acciò tutti si possino levare in un tempo istesso: li lasciarai un’ottavo d’hora in cottura di giuleppe, sollevandoli, e abbassandoli in detta cottura, ma raffirmandoli più tempo dentro, che fuori della medesma cottura, e perfettionati, li porrai in barattoli di maiolica, o di vetro; avertendo che il pipolo stii di sopra: e finalmente data la cottura a perfettione al zuccaro, li porrai in detti barattoli. Questa conserva è ottima per i convalescenti, e per i stomachi indigesti, incita l’appetito, e è esquisita per far salse verdi.



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MODO GENTILISSIMO
per condire varie sorti di frutti

Ribes

Piglia libre due di sugo estratto dalle granelle rosse del ribes, a cui aggiungi libra una, e meza di zuccaro fino polverizato poni il tutto in un lavezo ben netto; è il lavezo un vaso di pietra molle di monte scavato sul torno: in difetto del quale, piglia un vaso di pietra vitriato, ben pulito, o di rame ancora, purché sia ben netto, e pulito, il che osservarai diligentemente nel condimento degli altri frutti, che diremo in questo breve discorso: pigliato dunque detto vaso, come t’ho detto, lo porrai sopra moderato fuoco con detti ingredienti, quali farai cuocere a consistenza di siropo, nel quale metterai una libra, e meza delle dette granelle ben mondate, seguendo la cottura sin tanto, che il siropo sia ben cotto. Possiede molte dotti questo condito. È efficacissimo nel refrigerare; eccita mirabilmente l’appetito; è buono nelle febri maligne, e pestilentiali, preserva i sani, e giova agli ammalati. In oltre è d’un color vaghissimo. Se vorrai far sapore di questo condito, lo stemprarai di sugo spremuto di fresco dal pomo granato.


Berberi

Nel condire il berberi, osserva in tutto, e per tutto la formola data poco fa nel condire il ribes. Spegne questo condimento mirabilmente la sete, e l’arsura della bocca: prohibisce, che i vapori maligni, e velenosi non così facilmente corrano al cuore, e occupino il cervello. Viene anco adoprato da’ sani ne’ conviti. Se di questo ne vorrai far sapori, lo stemprarai con sugo di naranci garbi.


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More celse

Piglia sugo di more celse libra una, zuccaro fino polverizato libre due, in lavezo, o altro vaso, come sopra, ben pulito, il tutto fa cuocere a fuoco leggiero sino alla cottura di siropo, in cui porrai libre due delle more celse predette, ben monde, e non perfettamente matura, segui la cottura sino alla vera consistenza di siropo, riponendoli in vasetti proportionati alla conservatione di simili frutti conditi. Questo condito mangiato avanti il cibo, presto scende dallo stomaco, facendo la via agli altri cibi. Inumidisce il corpo, e lo refrigera.

Persici

Piglia due libre di persici ben maturi, ben mondati di dentro, e di fuori, falli bollire in tre libre d’acqua commune sin che s’ammollischino, indi levati dall’acqua, e gettata via quella, metterai i persici sopra ad un setaccio, acciò si scoli quell’acqua, ch’haveranno attratta, della quale ne pigliarai una libra, e meza, e due libre di zuccaro fino polverizato, e gli darai la cottura in lavezo, o vaso vitriato di terra, pervenuto a meza cottura di siropo, v’infonderai detti persici, così ammolliti, e mezo cotti; dipoi continua a cuocerli sino alla cottura legittima di siropo, e perfettionati, li porrai in vasetti a tal effetto destinati. Questo condito conforta grandemente a maraviglia lo stomaco.

Agresta

Piglia libre due di zuccaro fino, e infuso in oncie dieciotto d’acqua commune, mettilo a bollire in lavezo, o vaso invitriato, sino alla densità di siropo; indi gettarai dentro due libre di grani d’uva acerba, il tutto bolla fino alla consistenza di siropo; in tanto averti, mentre si cuoce questo composto, d’andar levando con un cocchiaro d’argento la spuma, che apparirà, e gettar via gli acini, che verranno di sopra. Questo condito s’oppone a tutti i mali calidi, temperando l’infiammationi; resiste alla malitia di tutti gli humori vitiosi: estingue mirabilmente la sete, e finalmente conforta il cuore, lo stomaco, e il fegato.


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Brogne

Piglia libre tre di zuccaro fino, libre due, e meza d’acqua commune, nella quale infuso, bolla sino a tre quinti della giusta cottura di siropo; poi gettavi dentro tre libre di brogne acerbe, scorzate, seguendo la cottura sino, che siano ben condite; doppo levale dal fuoco, e per ventiquattr’hore lasciale nel siropo, poscia cavale, disponendole ne’ vasi a ciò apparechiati, in fine fa bollire detto siropo alla sua ordinaria consistenza, e con questo copri le brogne riposte ne’ detti vasi. Questo condito gentilmente lubrica il corpo, e ricrea lo stomaco col suo grato sapore.


Peri

Piglia due libre di zuccaro fino, messo in libre due d’acqua commune, fallo bollire un poco, poi gettali dentro due libre di peri scorzati in quattro parti divisi, e di dentro benissimo mondati, falli bollire sino alla consistenza di siropo, che saranno conditi. Conforta lo stomaco, pigliato doppo il cibo, aiuta la digestione.


Cerase acide, chiamate agriote da’ francesi

Piglia cerase mature di sapor acido, mondale dai suoi gamboli, e ossi, e da queste ne spremerai il sugo, ponendolo in vaso di terra ben vitriato, con oncie otto d’acqua commune, libre due di zuccaro fino, e bollito il tutto alla densità di siropo, aggiongi tre libre delle cerase predette, mondate da’ suoi gamboli, non dagli ossi, e continuarà la cottura pian piano, sino alla vera consistenza di siropo, e sarà perfettionato il condito, che si può concedere in qual si sia tempo, e morbo, e per il sapore accetto al palato, e per la sanità, perché tempera l’estremo calore, e fortifica il fegato.


Pomi lazaruoli

Piglia zuccaro fino libre tre, fallo cuocere con acqua rosa odoratissima, distillata a bagno maria alla cottura quasi di siropo, dentro
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al quale poni due libre di pomi lazaruoli traforati, seguendo il bollore sino alla vera cottura di siropo; questi riporrai in albarelli di maiolica, e ben coperti li serbarai. Questi sono gratissimi al gusto, confortano lo stomaco, e eccitano grandemente l’appetito.

Uva spina

Piglia libre due di zuccaro fino, acqua di fiori di cedro una libra, acqua commune libre due, e oncie sei, uva spina ben mondata da fiori, e gamboli, il tutto poni sopra il fuoco in cazzetta, levando in tanto con cocchiaro d’argento la spuma; e se servir dovrassene nel termine di duoi mesi, le darai meza cottura, che così resta con sapor più acido, e più gustoso; ma volendo conservare più longo tempo, dalli cottura più longa: data la cottura proportionata, levala dal zuccaro, disponendola in vasi di maiolica; indi siegui la cottura del zuccaro sino al termine detto manus christi, e poi lo vuotarai ne’ detti vasi sopra l’uva spina. Questo condito vale a maraviglia per estinguere la sete. E buono alle febri, e a’ convalescenti, risveglia l’appetito.


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TRATTATO NOBILISSIMO
per fare in diversi tempi dell’anno, tanto di grasso, quanto di magro
Banchetti esquisiti.

DI BARTOLOMEO STEFANI
Cuoco bolognese








AVVERTIMENTI ALLI SIGNORI LETTORI
circa alcune cose, appartenenti alli banchetti, descritti in questo presente libro

Perché in questi miei discorsi a certe occasioni ordino alcune cose, come per essempio, sparagi, carchioffi, roviglia, o piselli, che vogliam dire, ne’ mesi di genaro, e febraro, e cose simili, che a prima faccia paiono contro stagione, massime a chi non ha passato il fiume della patria, nominato bene spesso sotto nome di mare, e a chi troppo piace il pane della città natìa. Per tanto sappino costoro, che chi ha valorosi destrieri, e buona borsa, in ogni stagione trovarà tutte quelle cose, che io loro propongo, e ne’ medesimi tempi, che ne parlo. E per maggior notitia s’averta, che Napoli, e la Sicilia nelle loro riviere alla fredda stagione producono cedri, limoni, aranci, carchioffi, saparagi, cavoli fiori, fave fresche, lattuche ordinarie, e vaghi fiori, delle quali cose a tutto il regno ne fa parte. E la riviera di Gaeta negli stessi tempi serve dei
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medesimi frutti Roma, Genova con tutta la sua riviera abbonda delle medesime cose, e benché produca i cavoli fiori più piccioli di quelli, che si praticano a Roma, e a Fiorenza, supera però Napoli, Sicilia, e altri luoghi; e di tutte queste cose provede Milano, Fiorenza, Bologna, Turino, Piacenza, e le città a quelle vicine, con buona parte della Lombardia. La riviera di Salò procrea cedri, che di grossezza, e bontà non hanno pari; ma quanto a’ limoni, e naranci cede a’ luoghi già detti. Gli orti vicini a Venetia, come sono quelli di Lio, Palestrina, Chiozza, e altri sono fertili di sparagi bianchi, carchioffi, e piselli nelli mesi in particolare di genaro, e febraro, e in oltre sono copiosi di vaghissimi fiori. Ne’ tempi freddi si gode la tartuffola delle pianure, che si può conservare in oglio per i tempi caldi, ne’ quali ancora se ne può havere di fresca, estratta da monti, e colli, e in specie se ne ritrova vicino alla Volta, e Capriana, terre del serenissimo di Mantova. Bologna mia patria produce anch’ella nell’inverno finocchi cardati di tutta candidezza, e bontà, e cardi, che pesano trenta in quaranta libre l’uno; e l’uve colà si conservano per tutti i tempi freddi: In oltre abbonda d’olive di grossezza, e perfettione al pari di quelle di Spagna, e di queste cose ne comparte a tutta la Lombardia, Romagna, Fiorenza, e provincie vicine, per sino a Roma. Di più fabrica mortadelle d’esquisita bontà, che sono famose per tutta l’Italia. Fiorenza compone salami muschiati, e agliati, e formaggi detti marzolini, il tutto oltre modo gradito sino oltre gl’italiani confini. Chi habita Roma la trova dovitiosa di molte delicatezze, e è celebre per le sue provature. Milano nella perfettione de’ cervellati supera ogni città. Per la precedenza nella bontà de’ formaggi, fra loro contendono Piacenza, e Lodi, quanto a me, non saprei contro quale di queste città decidere la causa, senza farle un torto manifesto, perché il formaggio di Lodi non si può nominar, che non si lodi; né quello di Piacenza si può gustare, che non piaccia. Modena provede anch’ella le cucine delle sue delicate salciccie, esquisite per far suppe, e ornar vivande. Parerebbe Ferrara sola rimaner povera fra tante città, se non che co’ suoi delicati pesci (non parlo di quelli delle valli) sommerge l’honore delle altre città in un mare di delicatezze, oltre che con i suoi cinghiali, di quali è feracissima, loro dà non poche cingiate,
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come anco porta il vanto per il caviale perfettissimo di sturione. Mantova per molti, e molti secoli sempre gloriosissima, e ove di presente opero quest’arte, nudrisce ne’ suoi laghi pesci di segnalata grandezza, chiamati bulbari, e da tutti i tempi se ne pescano di sessanta, e di settanta libre, e quando si fa la pesca generale, di smisurata grandezza, nella qual pesca si procede in questa forma. Dalla fortezza di porto si calano alcune cassette di legno, dentro le quali sono piccioli pezzetti, nominati mortaletti pieni di polvere tormentaria col fuoco a tempo, e le cassette ben bene impeciate di fuori: queste s’infondono nell’acqua, e affondate ne’ luoghi da’ pescatori prefissi, da sé stessi s’accendono questi pezzetti, quali scoppiando sotto acqua, fanno un rimbombo così strano, che spaventati i bulbari escono fuori dalle loro tane, e se ne prendono di tal grandezza, che pesano cento venticinque, e cento cinquanta libre l’uno. Si fa questa pesca ordinariamente con occasione di qualche segnalato personaggio, benché sii ad arbitrio de’ serenissimi padroni: s’averta, che qui non parlo di quella pesca ordinaria, che è solita farsi, quando si tira il vaso di porto, essendo questa, di cui favello, una pesca straordinaria, e specialissima. Vivete felici.IL FINE

Indice-I
TAVOLA
di tutto quello, che si contiene nella presente opera

Avvertimenti a’ sottocuochi, garzoni, e guatteri. Facciata. 10
Avvertimenti a’ signori lettori circa li banchetti. 142
Agnello. 31
Anitra. 38
Anguilla. 44
Anguille del lago di Garda. 117
Agresta. 93
Bue. 30
Beccafico. 40
Bianco mangiare più usitato. 71
Bianco mangiare alla spagnuola. 72
Bianco mangiare per li giorni di vigilia. 72
Bianco mangiare di polpa di luccio. 73
Biscottini alla savoiarda. 75
Biscottini di zuccaro. 75
Biscottini di pasta di mandole, e farina d’amido. 76
Biscottini in altro modo. 76
Berberi. 92
Brogne. 94
bisca. 99
Boglione fatto di code di castrato. 109
bragiolette di sturione. 115
Banchetto per li mesi di genaro, e febraro, e tempi freddi. 96
Banchetto in giorno di magro, in tempo d’inverno. 103
Banchetto per li mesi d’aprile, e maggio. 108
Banchetto in giorno di magro per giugno, e luglio. 113
Indice-II
Banchetto grasso per agosto, settembre, e ottobre. 119
Banchetto grasso per novembre, e decembre. 127
Banchetto ordinato per la maestà della regina Christina di Svecia dal serenissimo di Mantova. 133
Cervella del vitello. 14
Cervella del vitello in altro modo. 14
Cervella del vitello in altro modo. 15
Coscetto del vitello. 20
Castrato. 31
Capretto. 32
Capriolo. 34
Comazzo, overo capra selvatica. 35
Coniglio. 35
Cappone. 36
Carpione. 42
Cefalo. 49
Cipolla pesce. 50
Calamaro. 51
Cappe sante. 52
crema. 73
Coscetto di cinghiale. 129
Coscia di cinghiale cotta in brodo lardiero. 138
Coscia di daino con la lonza. 140
Corone fatte di gelatina. 137
Conserva di fiori di gelsomini. 87
Conserva di fiori di cedro. 87
Conserva di fiori di salvia. 88
Conserva di giacinti autunnali, overo tuberosi. 88
Conserva di rose intiere. 88
Conserva di fiori di rosmarino. 89
Conserva di fiori di naranci. 89
Conserva di fiori di garofani. 90
Conserva di lilii convallii. 90
Conserva di viole pavonazze. 90
Conserva d’anisi freschi. 91
Cerase acide chiamate agriste da’ francesi. 94
Indice-III
Capponi cotti in vin bianco. 110
Capponi senz’osso cotti nel latte. 123
Capirotata di granelli di castrato. 123
Discorso de’ quadrupedi, tanto domestici, quanto selvatici. 30
Discorso de’ volatili, tanto domestici, quanto selvatici. 36
Discorso de’ pesci d’acqua dolce, e d’acqua salsa. 42
Daino. 34
Dorate. 45
Dentale. 47
Dose, e maniera, che si deve tenere per far conserva di varii fiori. 87
Discorso sopra il vitello, e sue parti. 11
Delfino in un piatto con spuma marina. 116
Fegato del vitello. 11
Fagiano. 38
Francolino. 41
Frittelle di fior di sambuco. 126
Fracassata all’italiana. 98
Frittelle di fichi secchi. 117
Fegati d’oche insuppati in panna di latte. 121
Garzoni. 10
Guatteri. 11
Gallo d’India. 38
Gallo di monte. 42
Granchio marino. 52
Granceole. 52
Gallinacci piccioli. 111
Gubellette sfogliate con butiro. 124
Galli di monte in altro modo. 137
Gatiò di pasta sfogliata. 140
gelatina di piedi di vitello. 67
gelatina di piedi di capretto. 69
gelatina bianca. 68
gelatina di corno di cervo. 69
gelatina di pollastrelli, e piedi di capponi. 70
gelatina di pesce di mare. 70
Indice-IV
gelatina di pesce d’acqua dolce. 70
gelatina, overo ginestrata. 74
Lingua del vitello. 15
Lingua del vitello in altro modo. 15
Lingua del vitello in altro modo. 16
Latti del vitello. 16
Lepre. 35
Luccio. 43
Lamprede. 46
Latte alla spagnuola. 73
Lonza di vitello. 112
Maniera, che deve osservare il capo cuoco per servir bene il suo padrone. 9
Modo gentile per formare diverse vivande. 78
Modo gentilissimo per condire varie sorti di frutti. 92
Modo, e dose per far diverse torte. 57
Modo, che si deve osservare per comporre biscottini. 75
Modo per fare alcune salse di diversi sughi. 53
Modo, e dose per far gelatine nobilissime. 67
Modo per far bianchi mangiari, e altro. 71
Mostaccioli fini. 77
Moniaga pesce. 45
More celse. 93
Minestra di finocchio. 25
Minestra di pelle di capponi. 25
Minestra di torsi d’endivia, o lattuca. 26
Minestra di petto di fagiano. 26
Minestra di polpe di fagiano in altro modo. 138
Minestra di cime di zucca, latticini, e agresta. 27
Minestra di tre starne per quattro minestre. 27
Minestra di zucca. 27
Minestra di fondi di carchioffi. 28
Minestra di rognoni, e latticini di vitello. 98
Minestra di cervella di vitello. 29
Minestra di piccioni. 28
Minestra di petto di fagiano in altro modo. 129
Indice-V
Minestra d’ova di trutta. 115
Minestra di granelli di pollastri. 121
Minestra a bagno maria, da molti chiamata di Paradiso. 28
Navicelle di marzapane. 77
Ortolano uccello. 41
Ortolani cotti arosto. 138
Ombrina. 47
Orate. 49
Ostriche. 51
Petto del vitello. 18
Punta di schiena del vitello. 18
Panzetta del vitello. 19
Petto del vitello cotto in latte. 129
Porco domestico. 32
Porco selvatico. 33
Pulcini. 37
Pollastri. 37
Piccioni grossi. 37
Pernice. 39
Pernici arosto. 140
Petto dorato del vitello. 124
Pollastri teneri lardati. 124
Pollastri riempiti tra carne, e pelle. 111
Piccioni sotto banca soffocati in butiro. 122
Polpettone fatto di petto di gallo d’India. 122
Presciutto grande cotto in vino. 120
Pernigoncini lardati gentilmente. 125
pasticcio brodoso. 99
pasticcio all’inglese. 99
pasticcio sfogliato. 100
pasticcio fatto in forma di nave. 116
pasticcio brodoso in forma di castello. 123
pasticcio brodoso fatto in forma di piedestallo. 130
pasticcio di fagiano fatto al naturale. 136
Pasticci sfogliati pieni di piccata di vitello. 125
Indice-VI
Pasticci di petto di pernici, e d’altro. 139
Pasticci alla spagnuola. 131
Pasticcetti dodici empiti di miglioramenti. 105
Pasticcetti ovati di pasta reale. 111
Pasticcetti in forma di cuore. 117
Pesce persico. 45
Pesce passero. 51
Persici. 93
Peri. 94
Pomi lazaruoli. 94
polenta di riso. 29
Quaglie. 39
Ribes. 92
Raine grasse, e grandi. 116
Rognone del vitello. 20
Rombo. 48
Regola breve per comporre diversi sapori. 62
Spalla del vitello. 17
Sturione. 46
Sfoglia. 50
Suppa di finocchio cardato nel tempo d’inverno. 82
Suppa di piselli per i giorni di magro, e grasso. 82
Suppa reale di piccioncini sotto banca. 129
Suppa di piccioni grossi sotto banca. 136
Suppa reale di cantucci di Pisa. 138
Suppa di pan di spagna. 115
Suppa di pan di spagna in altro modo. 122
Salsa reale. 53
Salsa di presciutto. 53
Salsa di pomo granato. 54
Salsa d’anghiove. 54
Salsa di sugo di limone. 54
Salsa di butiro. 54
Salsa di tarantello. 55
Salsa di gambari. 56
Indice-VII
Salsa di fegatelli di capponi. 55
Salsa di ginepro. 55
Salsa di fiori di gelsomini. 55
Salsa di rognoni di vitello. 56
Sapore di bacche di mortella. 62
Sapore di persiche. 62
Sapore di fraghe. 63
Sapore di visciole. 63
Sapore d’uva passa. 64
Sapore di pera moscatelle. 64
Sapore d’erbe odorifere. 64
Sapore di brugnoli freschi. 64
Sapore di brogne damascene. 65
Sapore d’armellini, o moniache. 65
Sapore di fior di sambuco. 65
Sapore di bacche di ginepro. 66
Sapore di melangole, o naranci. 66
Sapore verde. 67
salviata. 74
Trattato d’alcune minestre gustose. 25
Trattato del modo di fare alcune salse. 53
Trattato di diversi banchetti. 96
Testa di vitello. 12
Testa di vitello in altro modo. 12
Testa di vitello in altro modo. 13
Testa di vitello in altro modo. 14
Testa di vitello cotta nel latte. 139
Teste di capretto pelate senz’osso. 124
Testa di cinghiale. 137
trippa di vitello. 17
Tordi. 40
Tortore. 40
Tenca. 44
Trutta. 43
Tonno. 48
Triglia. 50
Tomacelle di fegatelli di capponi. 129
Indice-VIII
Tenche grosse del Lago di Garda. 106
Tenche grosse del Lago di Garda a potaggio. 115
Triglia grossa sopra la carta. 117
Tortelli fatti di pistacchi. 116
Torta marzapanata. 137
Torta di pelle di capponi. 57
Torta di pomi cotogni. 57
Torta di piselli. 58
Torta di bocca di dama. 58
Torta reale di piccioni. 58
Torta di fraghe. 59
Torta di sparagi. 59
Torta di visciole. 59
Torta di pomi appii. 60
Torta di nespoli. 60
Torta di formaggio fresco. 61
Torta di condito. 61
Torta bianca alla bolognese. 61
Tartara d’armille, detta torta senza foglio. 60
Vitello. 30
Varoli cotti in vino. 105
Varoli grossi sottestati in butiro. 116
Uva spina. 95
Vivanda di cardi. 78
Vivanda di carchioffi teneri. 79
Vivanda di silari. 79
Vivanda di cavoli fiori. 80
Vivanda di cavoli torchiuti. 81
Vivanda di spinaci in giorno di magro. 81
Vivanda di rape biete. 83
Vivanda d’aventani. 84
Vivanda di rape. 85
Vivanda di cipolle. 85
Zampe del vitello. 23
Zucche tenere, o zuccoli da friggere. 84
Zinna, o poccia di giovenca. 109