Di
Giovanni Francesco Vasselli
Dedicato
All’illustrissimo Senato di BolognaIn Bologna, MDCXLVII
Per gli HH. del Dozza. Con licenza de’ Superiori
I prischi romani offrirono à loro Dei quelle primizie, che le feraci stagioni prodigamente gli tributavano; ed io, seguendo questo lodevole uso, dedico alle Signorie Vostre Illustrissime numi tutellari della Virtù, i primi parti del mio divotissimo talento. Sò, che puono dire con Demonace, che Minerva non hà de’ miei sacrificii: Mà le raccordo che questa, come figlia del capo di Giove, vuol per debito gli olocausti dell’intelletto. Comparisco però agli altari della loro maestà con queste vittime, che, se disposte in conviti, me le palesano per un bracmano, non presentandomele ministro, che di voce, avviene perché Diogine m’esclude da’ tempii, mentre vengo a profanargli colla viltà de’ cibi. Sò, che per farsi degna questa offerta delle loro qualità, non dovrebbe invidiare alla mensa di Giulio Cesare nel libico trionfo, overo al pranzo di Paulo Emilio nella vittoria di Perseo, o pure alle cene ebdomadarie di ottone; Ma se vedo un Numa a non temer d’offuscare lo splendore della propria grandezza, apprestando à nobili cittadini, plebei conviti, non devo dubitare di macchiar la mia divozione, comparendo a cotest’are, dove fatta ministra la benignità, ammette del pari l’ostie doviziose, ed i poveri incensi. Licurgo vuol, che con cose vili si sacrifichi, perché ad alcuno non manchi con che onorare le deità; Ond’io m’assicuro, che non ispezzerano questo mio fumo, che se per la mia debolezza
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è un nulla, sollevandosi nondimeno al cielo del loro aggradimento, sortisce la sua preziosità. Lucio Scilla dedicò ad Ercole la decima del patrimonio, e del rimanente, satiando l’ingordigia de’ popoli, fece scorrere i fiumi più colle sopravanzate vivande, che coll’acque naturali. Traggano le Signorie Vostre Illustrissime da questa facoltà del mio povero ingegno per decima la divozione, con che me le consagro, e poi permettino, che’l mondo sattollando la curiosità, dia pasto al fluvido corso delle mormorazioni. Questi sparsi inchiostri, che loro cadono à piedi, attestano d’haver’io qui colla penna svenati quei tributi, che hò mendicato dagli elementi, per accrescer il numero delle adorazioni alle loro maestà, se non hò fortuna d’arricchir di vittime le loro soglie. Nelle cene tiote de’ regi de’ persi, non si negavano le grazie; ed io supplico la bontà delle Signorie Vostre Illustrissime a non isdegnare, che in questo Apicio, che le presento, a guisa di votive tabelle, possa appendere a cotesto tempio di gloria questi miei fogli, per ottener di meritarle, se non hò merito per ottenerle; e qui m’inchino.
Di Bologna li 24 luglio 1647
Delle Signorie Vostre Illustrissime
Divotissimo e obligatissimo servitore
Giovanni Francesco Vasselli
Ha finalmente bisognato, ch’io ceda alle frequenti instanze fattemi, e dagli amici, e dai padroni, e che (doni alle stampe questo mio libro dopo averlo tenuto per molt’anni sepolto nelle tenebre de’ miei scritti) affidato più alla loro cortese opinione, che al verdadiero concetto, ch’abbia di me medesimo. Hò perciò stimato mio debito contradir à me stesso, per servire altrui, e espormi alla censura del mondo, con speranza di ritrovare in cadauna effetti cortesi, corrispondenti al mio sentimento d’esser giovevole a tutti. L’intendimento mio principale non fù di competere con veruno; ma di seguire gli altri, che collo scrivere altamente in questa materia, hanno illustrato le stampe. Hò di più preteso di facilitare, anche agli stessi, che non sono dell’arte, le maniere d’ordinar conviti, regalare piatti, distinguere gli ordini, e con poca, o assai spesa sodisfare al genio, e all’occasione. A tal uno, forse poco instrutto di questi affari, e dell’uso ne’ gagliardi maneggi, parerà strana, dispendiosa, e difficoltosa la pratica di qualche particolare, espresse negli ordini di questo libro; la mia età però, consumata nelle corti de’ principi, m’hà arricchito di fondamento, e il longo esercizio in questo genere, hà fatto, ch’io pratichi tutto ciò, che hò scritto, e che oltre gli ordini concertati, espressi nelle copie richiestemi, in varie, e grandi occasioni, abbia parimente mostrato di mia propria mano, a’ scalchi, a’ chuochi, e a’ credenzieri, che tutto ciò, che appresso di essi portava difficoltà, e mostrava (quasi dirò) faccia d’impossibile, abbino praticato con molta facilità. Le case de’ grandi sono scuole d’esperienza, dove s’apprende quel tanto, che umanamente si può ridurre in atto; dove concorrono continue occasioni, che affinano gl’ingegni, e dove colla virtù campeggia l’onore; Onde chi ne vive lontano, non può, ne deve con giudizio ottenebrato sententiare di simil materia. La pratica solo rende
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l’huomo provetto in questa nobilissima professione, tanto stimata da gli ateniesi, che professavano fosse non d’huomo mezzanamente introdotto l’esercizio di ben condire, e quei, ch’alla di lei sovranità aspiravano, facea di mestiere, che prima nella pittura, poscia nella geometria, indi nella medicina, e nell’astrologia, s’adottrinassero; erano presidenti alle nozze, e a’ sagrificii; e dove presso Omero l’istesso Agamenone, e il figlio di Nestore; e presso i romani il censore le vittime percoteano; in Atene così nobile ministerio a’ professori dell’arte di ben condire, come a persone più riguardevoli, si commettea. Per ultimo io sò molto bene (ò lettore) ch’avrei potuto con maggior ordine portar alla luce queste mie fatiche, e con l’ornamento di erudito discorso ampliare il volume, e farmi stimare non meno pratico de’ conviti, che avezzo frà le carte, ma conoscendo, ch’io rappresento una materia, che consiste in operazioni; che si tratta di farsi intendere da tutti, e che la mano, più, che l’intelletto hà da faticare, hò creduto disdicevole ogni altro freggio, e hò stimato più conveniente il mostrar nudo il mio senso, più tosto, che difondermi in ornamenti superflui; sicurissimo, che la vera lode consiste più nel toccar il punto della proposta materia, che in un grande, benché erudito, apparato di parole. Piacciati di non rifiutare quello, che ti può giovare, d’aggradire quello, che nulla ti costa, compatire a quello, che non ti piace, e vivi longamente felice.
Di ciò, che puote ne l’egizie cene,
trà conviti regali in ardua cura,
l’arte sudar, per commendar Natura,
l’Apicio tuo famoso in sé contiene.De l’aria, de la terra, e de l’arene
Le prede esponi in delicata arsura,
e con mensa superba oltre misura
del Ren ten corri, al limpido Ippocrene.Volano a’ tuoi precetti in dolci umori
I muti pesci, e di natar si gloria
L’augel condito in tepidi sapori;ond’è ragion, ch’Apollo, a tua memoria
t’approda nel gran mar de tuoi sudori,
per Vascel di virtù, carco di gloria.
Quanto a real palato
Corre il suol, rade il ciel, guizza ne l’onde,
Accogli in queste carte,
E i pregi immensi di Natura, e d’Arte.
Altri a’ regi sublimi
Tributario dispieghi
Ben mille sarti, e mille vele al vento,
L’onor d’ogni elemento
Teco ne viene a volo,
E’l porta un VASCEL solo.
Mostro inaudito, e degno
Dentro un mar di vivande
Spiega nave gentil, vele d’ingegno,
E per giunger del grido
A l’onorato lido,
Divien (mentre de’ cibi
L’esche confonde, e mesce)
Pescatore il VASCEL, la gloria un pesce.
Non qual condusse il predatore acheo
Argo famosa a l’apollinea soglia,
Mia debol Clio ad usurparsi invoglia,
Sopra un mare d’onor plettro dirceo;Ma quale ammiro con superba prora
Solcar legno dodono ogni elemento
Che mentre gira ad arrichirsi intento,
Sotto prodighe stelle il corso indora.Grandina Giuno da gli eterei grembi
Gli alati parti; e con lo scettro impera,
Ch’a dar volo di fama a mensa altera
Cadano a’ suoi desir pennuti i nembi.A lo spiegar de la ramosa chioma
Si fà fortuna a’ voti suoi la selva,
e resta volontaria ogn’aspra belva
sotto l’arco di Cintia oppressa, e doma.Se di fendere ambisce i salsi campi
Feconda hà Teti di squamosi armenti;
Ne con la forza de i veloci argenti,
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Dal tridente real mercan gli scampi.Fiumi d’incendi la tartarea dea
Da gli antri rapitor sporge fumanti;
poiché col valicar fiamme ondeggianti,
Goda flutti d’ardor pirausta Etnea.Quindi veggo abbondar nel faso scita
L’empie reliquie de l’odrisia mensa;
Mentre multiplicato Iti dispensa,
in raccordo mortal, cibo di vita.Corron d’Etolia, e d’Erimanto preste
Le fiere ad incontrar glorie omicide;
E ad oltraggiare Meleagro, e Alcide,
Nutron mostri maggior l’atre foreste.Sopra il margo spumante ambisce il Nilo
D’aver Tifeo a intimorir col ciglio;
perché Ciprigna, con il cieco figlio,
Sian muta preda di loquace filo.Cibò, quel, che rapì fiamma vitale
Sopra l’indica rupe un rostro eterno;
E chi strugge col foco io qui discerno
Render l’aquile piche oggi immortale.Isi non cura su gli egiti altari
Ch’avesse al suo periglio Argo in custode,
Ma ne la presa forma hà maggior lode,
ch’un briareo a lacerarla impari.Urgonsi eccelse sul gorgoneo Atlante
De’ cedri mauritan le pompe immense,
E volan per formar eterne mense
mille bipenni a consumar le piante.Filo ozioso l’abissino ignaro
A l’etiope suolo in van non fura,
Se intesto quì, di belgica testura;
oppresso in pieghe, si solleva al paro.L’egea Caristo sù gli argivi fini
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Si gloria di filar la pietra amianta;
E qui l’ingegno di scolpir si vanta,
per miracol maggior, gl’istesse lini.Figlie le sue pompe i marmi, e i favi,
Rende l’attico Imetto emulatori,
Ora, che l’ape col libar de fiori
de lo scalpello immita i colpi gravi.D’orientali umori il seno onusto
Nutrì conca erritrea tesoro illustre,
perché in regio convito Egizia industre
lo dividesse ad ingemmare il gusto.L’avanzo trionfal, gli altar latini
Non ebber già di preda del tempo, a schivo;
ma fatto sagra pompa a capo divo
la dea d’amor lo coronò co’ i crini.Tù, cui fà adorno ogni elemento il seno
Per usurpar la fama a l’oceano,
Corri per arricchir con dotta mano,
VASELLO altier, le saggie fauci al Reno.E’l mortal volo per schernir de gli anni
De mercati tesor prodigo il dono
Ergendo eterno de la gloria al trono
Appendi a’ piedi de i felsinei scanni.Arresta, ò Musa, or che ben mille voci
Si fan aure felici a queste vele,
Che mal potria d’intumidite tele,
Debol penna seguir corsi veloci.
De le mense regali i primi honori
Tù dissegni ò Vasselli, in dotte carte,
E ne le mense tue fai con grand’arte,
che dan’ luogo à gl’heroi solo i stupori.Di lauti cibi, e ricche fur d’odori
Le cene di Lucullo in ogni parte;
Pompeo le sdegnarà, se qui comparte
Penna più liberal gusti maggiori.Hor i conviti al gran Pelleo sian cari
E in ammirando così bel lavoro
Volger l’insania in maestade impari.Tavole de monarchi hor sì v’honoro,
poiché in virtù di saggi dogmi, e rari.
Sete campo al piacer, scola al decoro.
Il modo ordinario per valersi della testa del vitello, sarà questo. Si bolle in salvietta, servita calda con limoni, e petroselli. Si pone senz’osso ripiena, e il suo riempimento si fà in varie maniere; Fra le quali la seguente, a mio giudicio, sarà reale, e degna di qual si voglia convito. Che però piglierai la testa del vitello pelata, e netta con grandissima deligenza, e rivolgendola in un canavaccio bianco, le fracasserai con un pestello tutte l’ossa; ma con avvertenza di non rompere la pelle; le levarai le cervella, la lingua, e gli occhi, e roversciandola per l’apertura del collo, la renderai purgata, e monda da tutte l’ossa grandi, e piccole, lavandola a più acque con diligenza; poscia con filo le chiuderai
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i fori della bocca, e degli occhi, e la riempirai con la seguente composizione delle quali materie ti servirà il giudicio in proposito della quantità, secondo, che vorrai riempire una, o più teste.
Piglierai dunque panna di latte, cacio grasso grattugiato, provature fresche tagliate a dadi, midolla di bue, fette sottili di presciutto lesso, pezzetti di lingue di vitello, occhi, e cervella dello stesso bollite, grasso di rognonata, latti del medesimo, pepe, garofano, cannella, cedro condito grattugiato, pinocchiata pesta, un poco di sal bianco, acqua rosa muschiata, butiro, e uova fresche battute; E riempita, che l’avrai con i sudetti ingredienti, cucirai con filo l’apertura del collo, procurando gentilmente di dargli la propria forma, poscia la stringerai bene in salvietta bianca, e in una stagnata a proposito la metterai a bollire in brodo grasso di manzo. Devi poscia avvertire d’aver preparata in altra stagnata netta panna di latte grasso, acqua rosa, pinocchi pistacciati, pasta di marzapane stemperata con latte, cedro condito in fette, zuccata di Genova in fette sottili, pere moscatelle, condite in zucchero asciutte, prune di Genova, uova battute, butiro fresco, e zucchero, e facendo bollire il tutto a fuoco lento, avvertirai quando possi esser cotta la testa; e levandola dalla salvietta, l’aggiusterai nel mezzo del piatto reale, prima unto di butiro, spolverizato di zucchero, e cannella, con fette intorno di pane di Spagna, e levando le fila dalla bocca, occhi, e apertura del collo, le volgerai sopra la detta compositione, aggiugnendo intorno all’orlo del piatto un tortiglione di pasta fina sfogliata, aperto, e ripieno d’animelle, e varie sorti di conditi, ogni cosa con zucchero sopra, polvere di Cipro bianca, e cinamomi muschiati.
La medesima, divisa in due parti, dopo esser bollita, sarà gustevole posta alla graticola con crostata di sale, pane grattugiato, e pepe; overo pane, zucchero, e cannella, unta bene con grasso della leccarda. Similmente posta a friggere nella padella con sopra una salsa acetosa.
Di questa si possono cavar certi bocconcini di latti, e grassumi gentili, che con l’occhio dello stesso vitello servono per riempimento di pasticcietti col loro ordinario condimento, e accompagnamento adattato.
La medesima riempita di variata composizione, si può stuffare alla francese in buona malvagia, con speziarie convenienti, e quantità di conditi; poscia servirla col regalo delle lingue, e cervellette, condite come dirò a suo luogo, e formarne piatti reali, degni d’ogni lauto imbandimento. Dopo dico d’essere spaccata in due parti levatene l’ossa, indorata con uova, e polvere di mostacciolo, fritta in buon distrutto; si mette con zucchero sopra, e limoni tagliati.
Se ne fà parimente fracassata con erbette odorose, e frutti di tutte le sorti.
Similmente riesce perfetta dopo lessa, posta in pezzi fritta con odorifera marinatura.
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Spolpata gentilmente se ne fanno piatti alla francese con brodo grasso, aggiugnendovi qualche polpettina, o bragioletta, cervella, pinocchi pistacchiati, buona speziaria, e a suoi tempo con punte d’aspargi, o fondi di carciofi, che riescono di proposito.
Aggiugno per ultimo, che la detta testa divisa, cotta in bianco, levatene l’ossa, fritta nella padella con butiro, sale, pepe, e erbette odorose minute, servita con una frittata sopra all’imperiale, fatta con chiara d’uova, panna di latte, e zucchero, regalata intorno con biscotti reali, e sopra con fette di cocuzza di Genova; formerà un piatto, ch’oltre l’esser grato per il condimento, potrà per la nobiltà del regalo, servire ad ogni grande occasione.
Le cervella del vitello si possono accomodare in varie maniere. Servono calde in bianco, con petrosello, fritte in buon distrutto, dorate con uova; e in pasticci, tagliate in bocconi, con suoi dovuti ingredienti. Se ne cava un corpo per sapori sostanziosi, con rossi di uova toste, cedro condito, cotognate, sugo di limone, e polvere di mostacciolo.
Accompagnate con uova, cacio, e pane trito, erbette odorose, poco sale, pepe, e poca cannella, se ne fanno gnocchetti, i quali cotti in brodo grasso di cappone, servono per una gentile minestra. In pezzetti tagliati ben involti con cacio grattugiato, e uova, poi fritte in butiro, sono in luogo di frittelle molto saporose, le quali possono anche servire per regalo d’un piatto di qual si voglia natura.
Lessate le detta cervella, poste con capo di latte, zucchero, e uova battute, servono per far torte regalatissime con butiro in pasta frolla.
Servono pure in minestra, se con latte di pinocchio, butiro fresco, zucchero, cannella, acqua rosa, rossi d’uova si fanno cuocere a fuoco lento. Si tagliano in fette, s’involgono in rete di porco, con zucchero, cannella, e pepe, poi fritte si servono calde con zucchero sopra, e sugo di limone, prima lessate, battute minutissime con erbette odorose, uova, cacio, speziaria, e latte; se ne fanno frittate nel butiro molto gustose. Se ne cavano tartare dopo lesse le cervellette peste sottilmente con pinocchiata, miste con acqua rosa, zucchero, cannella, uova fresche, butiro, e panna di latte, che sono isquisite. Sono ottime per riempir cannoncini sfogliati da friggersi in butiro fresco, accompagnate, e peste con cedro condito, zucchero, cannella, e midolla di manzo. Se ne fanno ravivoli piccoli con pasta di marzapane, midolla, cacio grattugiato, erbette odorose, uova battute. Se ne riempiono cipolle, prima lessate, accompagnate le cervellette, con butiro, zucchero, e speziaria; e si cuocono in tegame con butiro. Servono finalmente per riempire
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paste sfogliate, con pinocchi ammaccati, rossi d’uova tosti, e conditi di tutte le sorti.
La lingua del vitello netta diligentemente lessata, lardata, involta in rete, insproccata con garofani, e cannella, si pone allo spiede, servita con salsa reale, e ciò puoi fare d’una, ò più lingue insieme, come ti piace.
Le dette insteccate per il longo, bollite poco meno, che cotte, raffreddate, che saranno, le condirai in una stagnata con butiro fresco, e lasciandole soffriggere, vi aggiugnerai un bicchiere di malvagia, sale, pepe, cannella, e noce moscata, e dopo alquanto bollite, v’aggiugnerai zucchero, arancini conditi, battuti col coltello, pezzi di cedro condito, capi d’aglio, prima lessi in rodo, mapetti di finocchio dolce, stecchi di garofano, e polvere di mostacciolo, con aver preparate tante cassette, quante saranno le lingue, che devono essere di pasta frolla, ben cotta, vi accomoderai dette lingue, con la compositione medesima sopra, ben compartita, e te ne servirai, tanto per regalo de’ piatti reali, quanto per sé stesse a formarne un piatto assai lodevole, e grato.
Le lingue vagliono in pasticci d’ogni sorte, e dopo esser lesse, spaccate, unte benissimo col grasso della leccarda, involte in pane grattugiato, sale, e pepe, poste alla graticola, si doveranno servire con sugo di limone sopra, e aranci spaccati. Dopo, dico, lesse stuffate in moscato con vari conditi, e speziaria, riescono rare. Lesse, e poi aperte, dorate con uova, e fritte con zucchero sopra, e limoni si servono calde. Pigliale ancora dopo tagliate sottili, ponile in lucerne di carta alla graticola con speziaria, butiro, erbette odorose, e servile, nelle medesime carte, col sugo di limone. Similmente n’avrai onore, poste in tegame nel forno, col medesimo condimento, spezzandole in fracassata doppo esser lesse, poste con pepe ammacato, erbette odorose, cipolle minute, e due melarancie tagliate in fette, con la loro scorza, metti il tutto nella padella con buon distrutto, e sale minuto, ch’avrai un servigio gradito, valevole in ogni caso con vari regali, adattando ogni cosa al suo condimento.
Il petto del vitello si serve in bianco con fiori di boragine, petroselli, e erbette odorose. Dopo esser cotto in bianco, si pone alla graticola con crostata di pane, sale, pepe, overo pane, zucchero, e cannella unto benissimo col grasso dalla leccarda, e similmente in tegame nel forno. Riesce ottimo stuffato con un poco di malvagia, e aromati,
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aggiuntevi varie sorti di conditi, si riempie di cacio grasso grattugiato, polvere di mostaccioli, salame grattugiato, erbe odorose, grasso di porco battuto, pinocchi, uva passa, pepe, garofani, noce moscata, uova fresche, e un poco di sale, chiuso con filo, si pone a lessare in brodo grasso, e lessato si leva il filo infarinandolo molto bene con farina di pane di Spagna; si frigge in butiro servendolo caldo nella salsa reale. Così ripieno, si pone ancora allo spiede, dove ben percosso di grasso ardente, si serve con crostata sopra, e limoni tagliati. Di questo se ne possono cavar vari servigi, e oltre l’esser ottimo freddo, si può formarne vivanda in fette, regalata con cedri tagliati, pepe ammaccato, e erbette odorose. Se ne possono fare spezzate in fracassata, e pasticciotti brodosi, e la punta di esso petto, levata con proposito, fà uficio gentile in pasticci ordinari, e in altre occasioni, con accompagnamenti opportuni.
La panzetta del vitello, si può servire e lessa, e stuffata, e nello spiede, ripiena, come pur anche tagliata in fette per compimento d’un piatto, con pepe ammaccato, limoni, e erbette odorose, e similmente calda in occasione di regalare; le fette d’essa ripiene, dorate in uova, e cacio grattugiato, poi fritte in butiro, possono servire a tutte le forme; e una delle dette, posta nel fondo d’una minestra di cavoli, con due fette di presciutto, formerà cosa lodevole, e di gratissimo condimento.
Della schiena del vitello se ne possono formar servigi in tutte le forme, come lessi, stuffati, arrosti, e lardati, e senza. Se ne fanno parimente bragiole fiaccate prima benissimo l’ossa, poste in adobbo con aceto rosato, aglio, salvia, ramerino, pepe ammaccato, garofani, e noce moscata; levate poscia dall’adobbo spolverizate con polvere di coriandri, poste alla graticola, servite con limone, e zucchero. Adatta nondimeno più ad essa lo spiede sottilmente lardata, insproccata con garofani, e pezzetti di cannella a fuoco proporzionato, con sale minuto nel fine del condimento; poi servita calda con limoni, e altri lavori, a giudicio di chi ordina, e conforme l’occasione.
Della medesima fredda, se ne cavano insalate scartozzate, e piccate, delle quali darò buon conto a suo luogo. Si fanno ancora varie piccatiglie minute, con pezzetti di midolla in brodo grasso, e un poco di noce moscata.
La coscia del vitello per esser parte molto a proposito, e capace di varie vivande, farà altresì come segue in vari modi notata.
Prima di essa coscia, oltre i lessi, arrosti, e stufati, che vi si possono cavare, si può la medesima tirare in una, battuta minuta, con uova, prune di Genova, pinocchi, midolla di manzo, tartuffoli, pezzetti di cedro condito, olive senz’osso, cacio parmegiano grattugiato, e chiudendo ogni cosa in rete di porco, cavarne il riempimento d’un piatto brodoso, che reso condito dalla varietà degl’ingredienti, potrà ottimamente servire.
Della polpa di essa, possono farsi bragiolette battute, poi pasticciate; e delle medesime se ne fanno pasticci con grasso di manzo minuto, cannella, garofano intiero, e distrutto, in cassette di pasta, o lavori di mezzo, o tutto rilievo a beneplacito. Se ne fanno bragiolette battute, ripiene con uova, cacio, pepe, erbe odorose, e cannella, che condite in un tegame riescono servite calde. Se ne cavano bragiolette non battute, ripiene dello stesso, che applicate allo spiede, sono sofficienti.
Si riempiono copiette della medesima, con petrosello, polvere di basilico, un poco di lardo, e aglio, ogni cosa battuto insieme, posti allo spiede, tramezzati, con fette di lardo sottile.
Se ne fanno altre bragiolette battute, poste in adobbo, fritte, e servite con salsa bastarda, calde, e fredde conforme il gusto.
Se ne fanno tagliate minutissime, che bollite in brodo grasso con bocconi di midolla, un poco di sale, pepe, e noce moscate, sono di nutrimento gentile.
Se ne fanno piccate fredde, e calde, grosse, e minute, in vari modi, conforme i gusti, e le occasioni. Se ne cavano piccole polpettine, accompagnate con bragiolette dello stesso, fondi di carciofi, midolla, brodo grasso, noce moscata, un poco di pepe, agro di limone, e altri adatti ingredienti; Onde viene a farsi un piatto alla francese, che si può regalare con crostini di rognonata, pane fritto, e zucchero sopra.
Se ne fanno torte buonissime dopo esser arrostito il vitello, e piccato minuto accompagnato con rossi d’uova, midolla di bue, zucchero fino, scorza di cedro condito battuta sottile, cotognata, capo di latte, polvere di mostacciolo, sale, pepe, e cannella, ogni cosa mista, e la loro pasta dovrà esser frolla, con butiro, e di sopra marzapanata.
Di questa compositione se ne possono riempir parimente paste fine sfogliate, tanto da friggersi in butiro, quanto da ponersi in forno.
Se ne possono riempire cannoncini sfogliati, e reali, e adattarla a tutte le cose: farne sino tortelli nella pasta bolliti, da condirsi poi con grasso di manzo, e polvere di mostacciolo.
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Della medesima composizione se ne riempiono frittatine sottili d’un uovo, e fattone al compimento d’un piatto, acconcie in modo di cannoncini, può servirsi con brodo grasso di manzo, e zucchero sopra.
Di questa pure si può fare il corpo al riempimento di pagnottine, prima scrostate, abbeverate nel latte, con accompagnamento di latti di vitello in bocconi, cacio grasso grattugiato, capo di latte, cervellette dello stesso, zucchero, cedro condito grattugiato, uova fresche battute, un poco di polpa della stessa pagnotta, agro di limone, poco sale, e cannella; tirandosi le dette pagnotte poste in tegame, cotte con butiro nel forno, servite con lustro di zucchero alla spagnuola.
Di questa polpa gentilmente lardata, cotta allo spiede, minutamente piccata, se ne fanno capirotate, o zuppe spagnuole, accompagnate di cantucci di Pisa, abbeverati in moscato, tramezzati con cacio grasso in fette; rossi di uova toste, panna di latte, polvere di mostacciolo, cocuzza di Genova in fette sottili, profilate di cotognata, bollite nel piatto, con prugne damaschine silopate in zucchero, e altra quantità, e qualità proporzionate d’aromati, che si rimettono alla mano del cuoco prattico.
Di questa, battuta in minuto, accompagnata con cocuzza bollita, passata, posta in piatto con ricotta grassa, panna di latte, poco sale, rossi d’uova, polvere di pane di Spagna, zucchero a sufficienza, pepe, e cannella tutto misto insieme, vien a fare un piatto, che unto con butiro fresco, spolverizato di cannella, e zucchero riuscirà mirabilmente.
Della coscia del vitello in somma, cotta allo spiede, se bene non intieramente finita di cuocere, se ne cava un sugo sostanzioso, adattato al condimento di qual si voglia vivanda.
Avverto io i seguenti ritrovamenti, per chiunque vorrà industriosamente disporre col semplice vitello, anzi con carne, senza carne un servigio reale, ove entrino i maggiori artifici della cucina, e i più rari bocconi che possano inghiottire i più curiosi palati.
Piglia tre oncie di sugo di vitello, mezza libra di capo di latte, due oncie di zucchero fino in polvere, un tantino d’ambra stemperata con un rosso d’uovo fresco, unisci il tutto insieme, riempine globetti di pasta reale, mostragli per breve spazio al forno, servigli caldi, sentirai carne senza carne, col più adattato accompagnamento, che possa darsi.
Piglia sottilissime bragiolette nette da’ nervi, e da grasso, coprile per lo spazio d’un’hora almeno con fortissimo aceto rosato, lavale, rasciugale, infarinale sottilmente, friggile in istrutto purgato, di modo, che più tosto restino morbide, che arse, mettile in tegame con salsa reale a fuoco lento, per mezz’ora, assaggiale, e troverai condimento incitativo al gusto, e valevole al rendimento dell’apetito.
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Piglia la detta bragioletta stata in aceto forte per lo spazio di due hore, e più, se lo concede il tempo, mettila in ramina ben turata con butiro fresco, un poco di noce moscata, pepe, sale, e cannella, lasciala a fuoco lento per lo spazio d’un ora, e avrai vivanda mirabilmente gustosa.
Piglia pistacchi mondi, macerati in acqua di fior di cedro, cavane latte, aggiugni per la quarta parte sugo di vitello, zucchero fino tanto, che basti, un bicchiero di panna di latte grasso, due rossi d’uova fresche battute con un poco d’acqua di fior di cedro, poni ogni cosa a levare una bollita sopra le bragie, e avrai una minestra nobilissima, e di grandissima sostanza.
Ma passiamo ormai alle animelle del vitello, delle quali, ciò, che si possa fare è indicibile, per esser parte la più rara, e gentile di questo corpo. Per tanto toccherò qualche modo di condirle, per non restare dall’impresa propostami, se non d’arrivare a dire tutto il fattibile, d’accennare almeno la maggior parte di ciò, che possa farsi.
Servonsi l’animelle di vitello nello spiede lardate, con salsa reale, o senza, conforme al gusto. Pongansi le dette, partite in bocconi, poste nella carta allo spiede con un poco di cannella, sale, pepe, e due lardelletti sottili. Friggansi nella padella gentilmente, e servansi con sale, pepe, e limoni. Stringile poste in bocconi in brodetto, con rossi d’uovo fresco, zucchero, e agro di limone. Accompagnale ad ogni vivanda composta, che per tutto saranno ottime, e gradite.
Fanne pasticci, accompagnati con bocconi di midolla, tartuffoli, pinocchi, e speziaria conveniente. Mettile ne’ piatti in bocconi, con fondi di carciofi, di cardi, e altri adattamenti gentili, condite nel butiro.
Questo in somma riesce a tutto, in tutte le forme, e nobilita qual si voglia pasticcio di carne.
Il fegato di vitello, ordinariamente si frigge in distrutto, posto in fette con sale, pepe, e limoni. Evvi chi usa di friggerlo nell’olio e riesce conforme a’ gusti. Piglia il medesimo in fette longhe sottili, che siano state in adobbo, in latte, e zucchero per una notte, involgile dopo in pane di Spagna sottilmente grattugiato, e servile fritte in distrutto, con fette di limoni, e zucchero sopra. Se ne fanno varie sorti di mortadelle in budelli porcini con buona speziaria. Si pone all’alemanna tagliato in modo di vermicelli, cotto in brodo grasso,
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maritato d’uova, cacio, e erbette odorose; e s’adopra in vari pastumi, riempir cocuzze, e altre cose. Posto in pezzetti lardati allo spiede, poi servito con salsa bastarda, riesce gradito. Ma molto più ti sarà grato, se lardato minuto, posto intiero allo spiede custodito con fuoco lento, lo portarai all’intiera cottura, con sale minuto, e limoncelli, servito caldo, avendo in altro piatto salsa reale, per servirne a ciascuno, conforme al gusto.
Di questo, se ne fanno fegatelli piccoli, che involti in rete di porco, con noce moscata, sale, e pepe suol praticarsi non dispiacevole.
Se ne fanno per servigio d’un piatto, tomaselle grosse a foggia di polpettoni, involte in rete porcina, con ingredienti di zucchero fino, midolla, cannella, pepe, garofani, cacio grasso in bocconi, cedro condito in fette, pinocchi, rossi d’uova, grasso di manzo minuto, polvere di mostaccioli di Napoli, cacio parmegiano grattugiato, il tutto incorporato insieme, in quella quantità, che può discerner sufficiente chi francamente opera in questa stimatissima professione.
Il rognone del vitello, oltre che riesce ottimamente servito caldo levato dallo spiede, può servire insieme col suo grasso a varietà di vivande. Servirà in fette per riempimento di pasticci, e grossi, e minuti, e parimenti battuto sottile in una tagliata di polpa.
Accompagnerà per riempimento di pagnottine, ò pasticci con midolla in bocconi, oltre che levato caldo dallo spiede ben battuto, condito con pepe, e zucchero à sufficienza, con un rosso d’uovo, e un poco di cacio grattugiato, tirato sopra fette di pane rifatto, posto nella padella a fuoco lento, servirà per piatto, ò per regalo, che posto caldo con zucchero sopra, sarà vivanda gentile, e gustosa.
La trippetta del vitello ridotta a perfezione di candidezza, e odore ben cotta in brodo grasso, posta in minuto, accompagnata con salame, e cacio grattugiato, pepe, e cannella, servirà per fare, una zuppa, che fatta con un fondo di essa composizione, e un altro di fette sottili di pane, e così sino al riempimento del piatto, in cui bollita con brodo grasso, riuscirà non in tutto spiacevole. Serve per minestra tagliata sottile, bollita, e cotta con erbe odorose poscia maritata con cacio, e uova. Riesce stuffata con sale, pepe, garofani, e noce moscata, con un poco di malvagia, e alcuni conditi in fette, servendola con pane fritto dorato in uovo, e melarancie tagliate. Lessata prima, poi tagliata nelle parti più grasse, serve in pasticci brodosi, accompagnata con polpa di
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vitello tagliata, e polpettine dello stesso. Sarà ottima battuta in minuto, con accompagnamento convenevole per riempire la testa, e la panzetta del vitello; E la medesima composizione involta in rete, cotta allo spiede, servita calda, con melarancie intorno, sarà di molta sodisfazione.
Ponila finalmente in pezzetti nelle parti più sode, dopo esser lessata, allo spiede nella carta, con fette sottili di lardo, sale, pepe, e polvere di basilico, sentirai quasi lo stesso delle animelle, e potrà servire comodamente per regalare i piatti, e per accompagnare fritture grasse di tutte le sorti.
Le zampette sono buone, cotte in bianco, con petrosello, e servite calde. Si possono soffriggere nella padella con distrutto, e servirsi con forte aceto, e aglio ammaccato sopra. Si mettono similmente fritte, prima bollite, e con salsa sopra di zucchero, aceto, e aromati, e si riempiono di variate composizioni, a beneplacito. Sono buone nel mosto cotto, servite con aceto garofanato, e zucchero sopra.
Se ne fanno gelatine di vari colori, facendo bollire, e consumar le zampe, ma che siano prima ben nette, e purgate, in vin bianco, e aceto, con zucchero, sino, che venghino a perfezzione di gelo, passando il detto gelo per calza, acciò divenghi chiaro dandogli il colore a beneplacito; o con zaffrano, o latte di mandole, o cannella, o con sugo di buoni erbaggi, quale aggiustato ne’ piatti, o con altre zampette sotto, o senza, si mettono a gelare in luogo freddo, e riescono molto grate, e gustose. Volendo il detto gelo aromatizato con speziarie, piglierai garofani, pepe, cannella, e noce moscata, delle quali farai in una pezza di tela un bottone, e lo farai bollire insieme con le zampette nel vino, e aceto; Servono anche fredde spaccate con aceto forte, e pepe ammaccato sopra. E dopo esser lessate poste alla graticola, con pepe, pane, e sale, servite calde con limoni, o salsa bastarda, riescono gratissime al gusto.
Piglierai quattro capponi grassi, ben netti, mettendogli a lessare con sale a sofficienza, ed avvertirai, che non si disfaccino nel bollire, levandogli dal fuoco allora, che saranno intieramente cotti, raffreddati gli spoglierai della loro pelle, e avendo preparato una pignatta di terra vetriata, con brodo grasso di cappone sù le bragie a bollire, vi metterai le pelli de’ capponi tagliate a modo di vermicelli, facendole bollire lentamente; in questo aggiugnerai a poco a poco pinocchiata pesta, con seme di melone senza zucchero, stemperata con brodo magro di peso di mezza libra ogni cosa, e mescolando sempre lentamente col cucchiaio d’argento, o di legno, v’aggiugnerai rossi due d’uova fresche battute, con acqua rosa, in cui sia stemprerata tanto d’ambra, quanto parerà al tuo giudicio. Averai poscia preparati dadi di pan di spagna benissimo secchi nel piatto, nel quale servirai la minestra con zucchero sopra.
Piglierai le polpe de’ sudetti quattro capponi parte ne pesterai benissimo nel mortaio; parte ne taglierai a dadi minuti; Con la polpa pestata v’aggiugnerai sei oncie di pistacchi ben lavati in acqua rosa, con oncie tre di zucchero fino, e incorporando il tutto, stempererai questo pistume con brodo magro, passerai ogni cosa per stamigna, mettendolo in pignata a bollire a fuoco di carbone, e ne’ primi bollori v’aggiugnerai le polpe tagliate a dadi, un poco d’acqua rosa muschiata, oncie due pistacchi ammaccati, macerati in acqua di fior di cedro, due rossi d’uova fresche, un poco di cannella fina, con sugo di limone; devi poscia lasciarla bollire, maneggiandola col cucchiaio, e quando vedrai, che sarà vicina a certa spessezza, la servirai nei piatti, con pane di Spagna tagliato nel medesimo modo, ch’averai fatto quella delle pelli d’essi capponi con zucchero sopra.
Devi pigliar le polpe de’ capponi lessati, batterle minutamente con coltelli, e avendo posto la pignata con brodo grasso degli istessi capponi a bollire su le brage, aggiugnerai alle polpe battute, una libra di capo di latte, maneggiandola sempre col cucchiaio, e lasciandola bollire per un poco lentamente v’aggiugnerai oncie due di semi di melone commune ammaccato, un poco di sugo di limone, un oncia di zucchero fino, e un poco d’acqua rosa ove sia stemperato un pochetto d’ambra, gionta poi a convenevole spessezza, l’imbandirai sopra, e volendola colorita, v’aggiugnerai mentre, che bolle un poco di polvere di mostacciolo, e cannella.
Farai rifare i fegatelli in brodo, che per quattro minestre dovranno essere almeno dodeci; ma che siano benissimo netti dalla loro amarezza, e mettendogli a raffreddare, piglierai la pignatta con brodo di cappone, né troppo grasso, né troppo magro; e facendolo bollire sù le brage, vi metterai parte de’ fegatelli tagliati in pezzetti minuti; e l’altra parte pesterai benissimo nel mortaio con due oncie di mostaccioli di Napoli, due di pasta di marzapane, una di cedro condito grattugiato, e stemperandogli con il brodo dove saranno a bollire i medesimi fegatelli, gli aggiugnerai nella stessa pignatta; e quando incomincia a bollire, vi metterai due rossi d’uova fresche battute con un poco d’acqua rosa muschiata, e sugo di limone, lasciandola bollire per poco spazio; la servirai calda con polvere di Cipro sopra, e averai minestra delicatissima, e di molta sostanza.
Piglierai la polpa di due capponi battuta sottilmente con coltelli, e la pesterai benissimo nel mortaio, con oncie sei di cacio fresco grasso, due di pasta di marzapane, qualche cimetta di maggiorana gentile, pepe, zucchero, farina di pane di Spagna, un poco di cannella, e di tutto quanto puoi stimar bastevole; e facendone pasta alquanto duretta, con due rossi d’uova fresche, mettendovi un poco di muschio, macinato nel zucchero, ne farai ravivoletti senza spoglia, alla grossezza d’un oliva, e avendo preparato sù le brage a bollire la stagnata con brodo di capponi, né troppo grasso né troppo magro, in cui sia stemperata pasta di marzapane, vi metterai i ravivoletti a bollire, aggiugnendo
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due rossi d’uova fresche, stemperati con oncie sei di panna di latte, quale gionta che sarà a cottura conveniente, servirai calda con zucchero sopra.
Sfilerai sottilmente la polpa di cappone, e avendo preparato la pignatta con latte di mandorle, stemperato con brodo magro di cappone a bollire sù le brage di capacità convenevole alla quantità, vi metterai le polpe sfilate, e mescolando sempre col cucchiaio, v’aggiungnerai un oncia di capo di latte, il sugo d’un limone, tre oncie di zucchero fino, e un poco d’acqua rosa muschiata, e così facendolo bollire lentamente, vi anderai mettendo farina di pane di Spagna, tanto, che le dia corpo, e levandola dal fuoco, la servirai calda, con sotto biscotti reali, e sopra zucchero, e cannella.
Per far quattro minestre, piglierai quattro piccioni prima lessati, e gli spolperai con levargli tutte l’ossa, e la pelle, e pestando le polpe benissimo nel mortaio con oncie due mostaccioli di Napoli, e mezza libra di pinocchiata, gli stemperarai con brodo non molto salato, ponendogli a bollire lentamente sù le brage in pignatta vetriata, e maneggiandole sempre col cucchiaio, v’aggiugnerai due uova fresche battute con un poco d’acqua rosa muschiata, e oncie quattro di pistacchi ammaccati, prima macerati in acqua di fior di cedro; e vedendo, che si comincia a stringere, la leverai, servendola calda ne’ piatti con zucchero sopra.
Piglierai le sodette cose, e prima lessate, le taglierai minute, e avendo preparato in una pignatta a bollire a fuoco lento oncie otto di pistacchi pesti stemperati con latte di mandorle, e oncie due di zucchero fino per ogni libra della sodetta materia, v’aggiungerai insieme con un poco di butiro fresco le crestoline, e granelli, un poco d’acqua rosa muschiata, con mezza libra di capo di latte, e un poco di sugo di limone; E volendola colorita potrai aggiugnervi cannella, e un poco di farina di pane di Spagna, e quando averà preso corpo, mettendovi alcuni pinocchi freschi confetti, ne farai minestra, e la servirai calda con assai zucchero sopra.
Per farne sei minestre metterai quattro starne allo spiede, e senza lardarle, anderai sempre untandole con butiro raccogliendo il loro sugo, e dopo esser cotte alquanto morbide, le smembrerai, mettendo le loro polpe in due parti, una delle quali pesterai finissimamente al mortaio, aggiungendovi oncie sei pinocchiata, due di semi di melone, e una di polvere di mostaccioli; l’altra parte della polpa batterai minuttisima col coltello, mettendola in un vaso a soffriggere con brodo, grasso di cappone, ma poco, di maniera, che la carne superi il brodo; allora stemperarai con brodo di cappone le polpe peste nel mortaio, e l’aggiugnerai nella pignata sodetta a fuoco di carbone, facendole bollir lentamente, v’accrescerai un poco di scorza d’aranci conditi pesta, quattro rossi d’uova fresche battute con acqua rosa, e ne farai poscia minestre, con fette di pan di spagna ne’ piatti, con zucchero, e canella sopra.
Piglierai un cigotto di castrato, e battendolo benissimo metterai allo spiede, e quando sarà mezo cotto, senza bagnarlo, l’anderai passando con un coltello, lasciandolo però nello spiede, e raccogliendo tutto il suo sugo, sino all’intiera sua cottura; levandolo poscia, picherai minutamente parte del medemo cigotto, e mettendolo nel proprio sugo, ch’avrai raccolto, alle brage a soffriggere, v’aggiugnerai panna di latte tanto, che lo copra, zucchero oncie due, polvere di mostacciolo oncie due, uova fresche battute numero trè con un poco d’acqua di fior di cedro, e lasciandolo bollir lentamente, vedrai, che comincierà a stringersi, lo servirai caldo con zucchero sopra, e poco sale.
Procura d’aver libre due riso del più candido, e di buon odore, che sia possibile, nettalo deligentemente, e lavalo ben con acqua tepida, mettendolo in vaso vitriato a bollire con brodo grasso di cappone, ma avverti, che resti asciutto, e non brodoso; cotto che sarà, passalo per stamigna, e ritornarlo nell’istessa pignata con oncie sei di pinocchiata pesta, e oncie due di mostaccioli di Napoli stemperati con panna di latte, e aggiugnivi mentre bolle sopra le brage due uova fresche battute, con un poco d’acqua rosa muschiata, e volgendola col cucchiaio, incominciando a stringersi, la servirai calda con zucchero assai sopra.
Devi pigliar una libra pistacchi più freschi che sia possibile, e dopo averli molto ben netti, gli metterai a macerare in acqua rosa muschiata, poscia gli pesterai molto bene nel mortaio con oncie sei scorza cedri conditi, e gli stemperarai con panna di latte, con mettergli nella pignatta, prima passati per stamigna a bollir lentamente sù le brage, e dopo v’aggiugnerai una libra di capo di latte, due uova fresche battute, due oncie zucchero fino in polvere, e acqua rosa ove sia stemperato un poco d’ambra, devi volgerla sempre col cucchiaio, e vedendo, che venghi a spessezza conveniente la servirai calda con zucchero sopra.
Sono varie le maniere, che si possono usare per far le torte di capo di latte, e infiniti ingredienti, che vi si possono adattare. Nobilissimo nodimeno per mio giudicio sarà il modo seguente, e proporzionato ad ogni convito reale.
Piglierai due libre di capo di latte, e mettendolo nel mortaio con oncie trè di cotognata, mezza libra di pasta di Genova, mezza libra di cacio grasso grattugiato, oncie trè di pasta di marzapane, oncie trè di zucchero fino muschiato, quattro rossi d’uova fresche, con il sugo di un limone; pesterai benissimo ogni cosa insieme, e avendo preparato lo sfoglio di pasta reale, unto benissimo con butiro fresco, componerai la torta, coprendola a gelosia, con butiro assai, e zucchero sopra, l’applicherai al forno con molta avvertenza, e la servirai calda, con zucchero, insieme con polvere di Cipro bianca.
Piglierai dodeci persici mondi, tagliati in fette, e dopo avergli perlessati in buona malvagia, con zucchero; gli metterai nel mortaio con oncie tre di pistacchiata, oncie due di cedro condito, mezza libra di provature fresche grattugiate, ò cacio grasso, oncie due di zucchero, mezza oncia di cannella pesta, quattro di butiro, e due rossi d’uova fresche; pesterai ogni cosa insieme, e ne farai torta con butiro, e pasta reale, coprendola con lanciette della medesima pasta, e la servirai calda, spolverizata di zucchero muschiato.
Piglia quattro piccioni ben grassi cotti allo spiede, col suo sale, levane l’ossa, e batti le loro carni con coltelli, e metteli poscia in adobbo in sugo di limone, un poco di mosto cotto, pepe, e cannella; levale dall’adobbo, e dalle una volta nella padella, con butiro fresco, e avendo preparato lo sfoglio reale, fatto con butiro, componi la torta di dette carni col loro sugo, e spolverizandole benissimo di polvere di mostaccioli, v’aggiugnerai trè oncie di cedro condito in fette, con un poco di pepe una libra di midolla di bue ben netta in bocconi, fettoline sottili di cacio grasso, trè rossi d’uova battuti con zucchero, e sugo di limone, e la componerai sopra foglio di pasta fina sfogliata, e mettendola
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al forno, la servirai calda con zucchero sopra.
Piglia due libre di mela rosa in fette, cotte sotto le brage, pestale nel mortaio, con mezza libra di pinocchiata, oncie due di cedro condito grattugiato, una scorza di melarancia condita, oncie due di zucchero, due di acqua rosa, due grani di muschio, mezza libra di butiro, e quattro rossi d’uova fresche; pestato, ch’avrai ogni cosa, componi la torta sopra foglio fatto di farina, zucchero, butiro, acqua rosa, e latte di pinocchi; untando benissimo con butiro fresco la tortiera, e spolverizando i fogli di zucchero, e cannella, l’applicherai al forno, e facendole la sua crosta di sopra con zucchero, la potrai servire, e calda, e fredda come ti piace.
Piglia da sei cotogni ben maturi cotti sotto le brage, levagli la polpa pestandola nel mortaio, con oncie due polvere di mostacciolo, oncie trè zucchero fino, mezz’oncia di cannella, e mezza di noce moscata, mezza libra di butiro, quattro rossi d’uova fresche, e mezza libra di biscotti reali, macerati in buona malvagia; incorporate ch’avrai tutte le sodette cose ne componerai la torta sopra fogli di pasta frolla fatta con butiro fresco, e la coprirai con stringhe della medesima pasta, untandola benissimo sotto, e sopra con butiro, applicandola al forno, la servirai con zucchero assai sopra, e calda, e fredda come ti piace.
Piglia libre due di polpa di nespole mature, ò della loro conserva, aggiugni oncie quattro di pasta di marzapane, oncie due di scorza di cedro condito grattugiato, un oncia, e mezza di polvere di mostacciolo con due ottavi di cannella fina; pesta ogni cosa insieme, aggiugnendovi oncie trè di butiro, quattro rossi d’uova fresche, con un sol chiaro, e mezz’oncia d’acqua rosa muschiata, accommodato ch’avrai il foglio di pasta reale sopra la tortiera, benissimo unta di butiro componi la torta, e mettila al forno; quando sarà vicino alla cottura le darai il suo lustro di sopra a modo di marzapane, e la servirai calda, e fredda come ti piace.
Piglia libre due di polpa di nespole, mezza libra di cacio grattugiato, mezz’oncia di cannella fina pesta, un ottavo di pepe ammaccato, due oncie di polvere di mostaccioli, oncie trè di scorze di melarancie condite ben peste, oncie trè di zucchero fino in polvere, quattro di butiro, con trè rossi d’uova fresche, e incorporate insieme tute le sodette cose, ne comporai la torta sopra fogli di pasta frolla, coperta con liste della medesima cotta in forno, la servirai calda con zucchero sopra.
Piglia libre trè di sparagi in mazzetti, ma nella parte più tenera, mettendogli a bollire in acqua un poco salata, e ridotti a conveniente cottura, levagli, con mettergli in acqua fresca, acciò perdino quel loro odore di verdume, poscia gli batterai sottilmente con coltello, e mettendogli dopo nel mortaio, gli pesterai insieme con due libre di ricotta grassa di pecora, mezza libra di cacio parmegiano, mezza libra di pasta di marzapane, oncie trè di scorza di cedro condito grattugiato, oncie due di polvere di mostacciolo, quattro rossi d’uova fresche, con un sol chiaro, poco sale, e pepe, e un’oncia d’acqua rosa muschiata. Avrai preparata la tortiera untata di buon butiro, con sfoglio di pasta reale, la coprirai dopo con liste composte della medesima pasta, e con butiro assai, e cotta nel forno, la servirai calda con zucchero.
Cotto, che sarà il cigotto allo spiede, ne piccherai benissimo una parte di libre due in circa, e v’aggiugnerai una libra di capo di latte, oncie quattro di scorze di cedro condite, oncie trè di pinocchiata pesta, oncie quattro di biscotti reali, macerati in sugo di limone, e zucchero, mezza libra di butiro fresco, un’oncia acqua rosa, ove sia stemperato un poco d’ambra, quattro rossi d’uova fresche, un’oncia polvere di mostaccioli, un’oncia di zucchero fino in polvere, con il sugo di limone, e incorporando benissimo il tutto, darai forma alla torta sopra fogli di pasta, fatta con farina, latte di pinocchi, uova, e zucchero, e la coprirai con liste della medesima pasta, l’applicherai al forno, unta benissimo di butiro, e la servirai calda con zucchero.
Piglia quattro, ò più capponi grassi conforme il bisogno, benissimo netti, e lessati che saranno, leva loro le pelli, e tagliandole in forma di vermicelli, quali incorporerai senza pestargli con due libre di capo di latte, mezza libra di zucchero fino, oncie trè di scorze di cedro condite grattugiate, due ottavi di cannella, poco pepe, quattro rossi d’uova fresche, oncie quattro di cacio parmegiano grattugiato, oncie quattro di butiro, e un poco d’ambra stemperata con acqua rosa; e componendo la torta tra fogli reali, la conserverai nel forno morbida di butiro, e la servirai calda con zucchero sopra, misto con polvere di Cipro bianca.
Pigliarai quattro cipolle, e levando loro tutte le scorze superflue, le taglierai minute, e metterai a bollire con panna di latte, e zucchero, in pignatta vitriata, tanto che stiano coperte. Avrai parimente preparato zucche tenere bollite nel latte, e passare per stamigna libre due, e le metterai nella medesima pignatta, con polvere di mostaccioli, un oncia cannella fina, sale, e pepe a sufficienza, uova fresche numero quattro, cacio parmegiano grattugiato oncie otto, ricotta grassa una libra, e incorporando ogni cosa benissimo insieme, ne componerai la torta sopra fogli di pasta frolla, quale applicando al forno con butiro assai, la servirai calda con zucchero sopra.
Piglierai formento del più bello, che potrai avere, e nettandolo con diligenza, lo metterai a bollire in latte grasso, e ridotto, che sarà a cottura, e conveniente spessezza, lo passerai per lo setaccio, e pigliando due libre della detta passatura, v’aggiugnerai oncie otto di cacio parmegiano grattugiato; una libra di ricotta grassa di pecora, oncie due di farina di pane di Spagna, pepe, sale, e cannella a sufficienza, oncie due di zucchero in polvere, mezza libra di pistacchi ammaccati, macerati in acqua rosa muschiata, oncie quattro di pasta di marzapane, strettamente stemperata con latte di pistacchi, e un poco d’ambra. Incorporerai tutte queste cose, e componerai la torta sopra fogli di pasta fina, coprendola con stringhe della medesima pasta, e mantenendola morbida nel forno con buon butiro, la servirai calda con zucchero sopra.
Il sapore del sudetto presciutto è buonissimo per coprir gli arrosti, e vale assai per ritornar l’appetito. Piglia dunque il presciutto crudo, netto da’ nervi, e dal grasso, taglialo minutissimo, e dopo averlo benissimo pesto nel mortaio, stempralo con un poco di malvagia, e aceto rosato, passandolo dopo per stamigna; Aggiugnivi, pepe, garofano, e cannella, polvere di mostaccioli, e un poco di polvere di basilico, e fallo bollire, coprendone poi arrosti di tutte le sorti.
Il presciutto è aperitivo, ma di grosso nutrimento. Il modo meno difettoso per valersene sarà in fette su la graticola, con polvere di basilico sopra.
L’inchiova è assai gustosa, e valevole all’appetito. Per farne sapore, piglierai di quelle di Genova salate, e dopo averle ben lavate, in aceto, e levata la loro spina, le pesterai nel mortaio con un poco di pepe, cannella, garofano, scorze di aranci conditi, e polvere di mostaccioli; Il tutto pesto, stempererai con aceto rosato, e passandolo per setaccio, gli farai dare una bollita nella pignatta, e potrai servirtene a coprire ogni sorte di pesce. Nel medesimo modo farai sapore di tarantello magro, di bottarghe, e di caviale; ma quello di caviale si deve stemperare con sugo di limone. Questi sapori sono veramente gustosi, e ritornano l’appetito perduto, tuttavia non è buono l’usarne spesso, e per lo sale, e per le speziarie, che v’entrano; poiché le cose troppo salate augumentano l’umore malinconico, sono vaporose, e offendono la bocca dello stomaco, e ben che il sale resista a’ veleni, assottigli l’umidità, e aiuti a liberar dalle feci il corpo; nientedimeno bisogna fuggirlo. Tra i sodetti sapori, non v’è il migliore di quello d’inchiove, e di queste, sono le migliori quelle di Genova, migliori assai di quelle di Schianonìa, e delle spiagge di Roma.
Si pigliano le prune dopo aver loro cavate l’ossa; Si pongono in pignatta vitriata a bollire con mosto cotto, che sia dolce, insieme con un bicchiero di malvagia; disfatte, che sono, si passano per stamigna; e si deve avvertire, che mentre bollono, si devono riempir sempre
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con mosto cotto, acciò non manchi il silopo. Dopo esser passate, si pongono nella stessa pignatta, con aggiugnervi, cannella, garofani, pepe, e noce moscata, si fanno bollire per breve spazio, e servirà poi questo sapore per coprire volatili, e quadrupedi salvatici di tutte le sorti, e riuscirà in tutti i tempi, ed in tutte le forme. Nel medesimo modo farai sapori di visciole, zibibo, e marene, quali riescono ne’ suoi tempi molto grati.
Per fare il sapore di moscatello, avvertirai prima, che sia perfettamente maturo, lo sgranerai, e ne piglierai venti libre, e mettendolo in vaso ben stagnato, lo farai bollire a fuoco lento, e chiaro, volgendolo con spatola di legno; v’aggiugnerai quattro cotogni ben maturi in fette sottili, nette della scorza, e sua durezza di dentro, con insieme quattro mele appie in fette, benissimo nette, e volgendo il tutto con la spatola, toccando sempre il fondo della caldaia, avvertirai, che i cotogni, e appie siano cotte, e volendo conoscer la lor cottura, ne pigliarai un poco sù la palma della mano, e con l’altra stringendo, e sentendo, che attacchino, potrai assicurarti essere à vera perfezione; levato dal fuoco, se vorrai cavarne il fioretto, colerai quel liquor più sottile in un vaso capace; quale s’aromatiza, con garofani, noce moscata, pepe, e cannella, e fassi lentamente bollire, a fin che venghi un poco più denso, e mettendovi un poco di polvere di Cipro, si conserva, servendolo con arrosti, e lessi, e sarà cosa molto gustosa. Il corpo di esso si passa per stamigna larga, e si aromatiza come di sopra, conservandolo in vasi all’occasione. Nella medesima forma si fanno tutti sapori d’uva nera, e bianca. Questo delicatissimo frutto fù veramente dato da Dio per nutrimento dell’huomo, col suo liquore così prezioso, e di tanti variati sapori. L’uva ingrassa, e particolarmente quella, che è stata per qualche spazio appiccata; Rinfresca il fegato infiammato; giova al polmone, al petto, e all’intestina, mangiandone però mediomente. [Dioscoride libro 5 ca. 3]
Per far il sapore di melagrani, si mettono i suoi granelli in un vaso di terra, si spremono con le mani cavandone il vino, e si lascia cosi chiarire; poscia si cola, e si mette in un vaso benissimo stagnato, e se il vino farà trè libre se gli ne mette due di zucchero fino, e si fà bollire a sossistenza di giuleppe, avvertendo di non dargli il fuoco gagliardo, poiché facilmente s’abbrucia; s’imbandisce senza zucchero sopra. I melagrani sono di molto utile al corpo, massime i più forti, i quali mangiati,
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giovano al fegato, e alle febri ardenti, levando la siccità della bocca; ha però dell’astrettivo, nuoce al petto, e è pessimo per gli asmatici.
Pigliansi le fragole, e si spremono benissimo in una stagnata, e se saranno trè libre, se n’aggiugne loro una, e mezza di zucchero fino pesto in polvere, con un mezzo bicchiero di malvagia, e si fà bollire sopra fuoco di carbone, voltandolo sempre con la pallettina di legno; quando si comincia a strignere, si passa per setaccio, e se dopo esser passato paresse troppo chiaro, e che non fosse intieramente cotto, si può rimetterlo al fuoco, aromatizandolo con acqua di fior di cedro. Questo sapore non è durabile, e però se ne deve fare in poca quantità.
La fragola ammorza l’ardore, e acutezza del sangue, giova agli occhi, al trabocco del fiele; modifica le reni; è però di poco nutrimento, e chi ne mangia in gran quantità, cade molte volte in febbre maligne. [Castor Durante nell’Erbario ulc. Della fragola]
Si pigliano i grani della mortella, e dopo avergli ben pesti, poni a parte quel loro poco sugo, e metti il corpo a bollire in un poco d’acqua; e quando si spolparàno da’ loro ossetti, allora gli devi passar per setaccio; e pigliando quattro libre di quella passatura, metterla in libre trè di zucchero di Madera, disfatto nel sugo di essi, e facendolo bollire a fuoco lento, lo volgerai spesso con la spatola. Gionto, che sarà vicino alla cottura, v’aggiugnerai mezza libra di sugo di limone, due oncie di polvere di cannella, e volgendo bene ogni cosa insieme, lo farai odorifero con un poco d’ambra stemperata in acqua di fior di cedro. Conoscerai la sua cottura nel vedere, che venghi tirato al nero; e che nel bollire alzi certe vescichette. In luogo del sugo di limone potrai mettervi sugo d’agresto chiaro, e resterà dolcissimo. Questo sapore si conserva longo tempo, si serve in tutti i modi, e particolarmente con gli arrosti di salvaticine, come di porco selvaggio, caprio, e altri. Questo, dico, è buonissimo al gusto, vale per quei, che sputano sangue; conferisce ai flussi disenteriali, e stomacali, e giova alla superfluità delle donne.
Il sapore di questi due frutti, non è altro che zucchero fino, e il sugo di loro medesimi; Devi dunque pigliare due libre di sugo di
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limone, ò melarancie, e una libra, e mezza di zucchero fino, e in un vaso ben stagnato, ò di creta, mettergli insieme a fuoco proporzionato, dandogli la cottura a spessezza di giuleppe, e lo devi aromatizare con muschio, ò con ambra. Veramente questi due sapori sono cordialissimi: alcuni gli amano con il corpo, e per darglielo, piglierai quattro libre del sodetto sapore, e trè libre di limoncelli conditi, quali devono esser prima pesti finissimamente; e mettendo prima a bollire, il sapore, v’aggiugnerai il pestume, e lasciandolo venire a spessezza, lo farai aromatico con muschio come di sopra.
Questi sapori si servono sopra arrostiti, e in piatti come più piace. De melaranci ve ne sono de’ dolci, e d’acidi, e di mezzo sapore, gli ultimi sono i più grati, e giovevoli, se ne danno agl’infermi; ma deve farsi con zucchero, e in poca quantità, perché genera crudezza. Il sugo de’ limoni ferma il vomito, risveglia l’appetito, e resiste alle febbri maligne, ma non bisogna mangiarne in gran quantità perché generano umori malinconici; cagionano dolori colici; stringono il ventre, e la loro acetosità è mordace allo stomaco; e quello, che si mangia deve essere con zucchero assai. [Antidotario bolognese tratta dei suoi silop.]
Piglia libre trè di sugo d’agresto ben chiaro, con una libra, e mezza di zucchero di Madera in polvere, e farai bollire il tutto in vaso ben stagnato, ò creta, e così lo lascierai sino all’intiera cottura, e ne farai prova sopra il cucchiaio, che scorrendo lentamente, sarà segno d’esser cotto. Volendolo con il corpo, piglierai libre trè d’agresto in due libre di zucchero chiarificato, avvertendo, che il vaso sia ben carico di stagno, e lo farai bollire a fuoco di carbone, sin che i grani siano disfatti; allora le leverai dal fuoco, e lasciandolo raffredare, lo passerai per il setaccio. Lo metterai poscia nuovamente al fuoco, sino all’intiera cottura, facendone il saggio come di sopra. L’agresto si deve cogliere avanti la levata del sole, che per esser il sol leone non è tanto maligno; e è di facoltà astringente, e perciò grato alla bocca dello stomaco, leva la nausea, eccita l’appetito; ristagna i flussi; e mitiga l’ardor delle viscere. [Dodne nell’Isto. delle piante par. 3]
Piglierai dieci libre di visciole, e levandole i picciuolo, e l’ossa, le metterai in una stagnata sopra il fuoco; e quando comminciano a crepare, le passerai per setaccio, colerai però prima il loro vino del quale farai pure un sapore, che sarà perfettissimo, aggiugnendovi se sarà due libre, una libra, e mezza di zucchero, mettendolo al fuoco, e
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lasciandolo longo di cottura. S’aromatiza con ambra, e si serve in tutti i modi; avvertendo, che i sapori quali non hanno corpo, si devono servir tutti senza zucchero sopra.
Della polpa delle visciole passate, se la polpa sarà otto libre, se le n’aggiugne quattro di zucchero fino in polvere, facendolo bollire a fuoco lento, e vedendo, ch’incominci a spiccarsi dal vaso, e che non scorra molto per la spatola, allora sarà perfettamente cotto. Avvertisci però di tenerlo sempre mosso dal fondo del vaso, perché facilmente s’abbrucia, e si aromatiza con cannella, garofano, e pepe; servendolo a suo tempo in piatti con zucchero sopra.
Le visciole spengono la sete, e sono buonissime negli ardori della febbre. [Dodoneo Ist. delle piante C. proprio]
Per far il sapore di persici, pigliarai la polpa di persici duraci libre dieci benissimo mondi, gli farai bollire in tanta acqua, e che gli copra, dopo, che saranno cotti gli caverai dal fuoco, e levandone il silopo, ò sua bollitura, gli metterai libre quattro di zucchero, e lo farai bollire sin che si veda quasi cotto. Devi pestar poi i persici nel mortaio, passargli per il setaccio, e mettere la passatura nel zucchero silopato, tirandolo a cottura assai lenta. S’aromatiza con ambra stemperata in acqua di gelsomini di Spagna, e se ne vale a tutte le occasioni. Questo frutto è frigido, e umido nel secondo grado; vogliono alcuni, ch’i persici duraci si possano mangiar dopo pranzo, ma corretti col vino, cotti sotto le brage involti in fronde di vite serviti con zucchero, e cosi sono cordiali. Le loro mandorle sono mirabili in ammazzare i vermi, in dissolvere la ventosità, in modificar lo stomaco, e aprire le opilazioni del fegato; e volendo mangiar persici crudi, sono meno nocivi avanti il pasto. [Dodoneo Ist. delle piante al suo cap.]
Piglia nespole mature sei libre, passale per un colatoio di rame, ò stamigna larga, come più ti piace, e avendo preparato libre trè di zucchero di Madera purgato, e cotto a cottura un poco lenta, vi aggiugnerai le polpe delle nespole passate, lasciandole bollire a perfezione, che sarà quando non corra molto per il cucchiaio, col quale anderai sempre volgendo nel fondo, perché facilmente s’abbrucia; S’aromatiza, con mez’oncia di garofani, e meza di cannella fina, e trè oncie d’acqua muschiata, avvertendo di non lasciarlo molto bollire, perché s’indura assai, e lo servirai ne’ piatti con zucchero. La nespola è valorosamente constrettiva, grata al gusto, e allo stomaco. [Galeno I VI della facoltà de’ semplici]
Vanno raccolti i fior di borragine senza rugiada la sera nel tramontar del sole; Netti, e puliti si mettono frà due vasi di maiolica, overo d’argento, né si devono lavare mentre non fossero immondi di fango, ò d’altra cosa, e lavandogli; si deve fare con molta diligenza, acciò non venghino pesti; accommodati i detti fiori ne’ piatti, si condiscono con sale, poco aceto, olio, e zucchero intorno l’orlo del piatto, con lavori a beneplacito. Sono questi fiori cordiali, come afferma tutta la scuola medica; rallegrano il cuore; fanno buon sangue; e si possono dare ai convalescenti; ma in poca quantità.
Vanno raccolti i fiori della salvia in tempi caldi, con delicatezza, senza il guscio, che tengono intorno. Questi non si lavano, perché contengono in sé un liquor suave. Vanno acconci con olio, e aceto ordinario, perché da se stessi sono aromatici. Vogliono zucchero assai, e vanno regalati con tavole della loro conserva dorate. Questi fiori sono calidi, nel primo, e secchi, nel secondo grado; vagliono alla ventosità; aprono le oppilazioni flematiche, confortano lo stomaco, e vagliono a tutti i difetti, cagionati da causa frigida. [Dodoneo nell’Isto. delle piante libro 4 par. I]
Si raccolgono i fiori di ramerino nel mezzo giorno; avvertendo, che siano netti delle foglie, e da ogni altra cosa. Si pongono fra due piatti, perché si conservino freschi, né si lavano in modo alcuno, perché perdono la loro bontà. S’accomodano in piatti in varie forme, s’acconciano con poco olio, poco sale, aceto muschiato, e zucchero intorno. Si regalano con cimette di ramerino condito in zucchero, tocche d’argento, con zucchero sopra assai. Questi fiori sono caldi, e secchi, nel secondo grado, sono mollificativi, aperitivi, risolutivi, e corroborativi. [Castor Durante c. di ramerino]
I fiori di menta, e di basilico, vanno raccolti molto gentilmente nel mezzo giorno, perché temono assai la rugiada. Sono fiori molto delicati, e si conservano in mezzo a due piatti, come gli altri fiori. Se ne fanno insalate, e si condiscono con olio, poco sale, aceto muschiato, e zucchero. I fiori di menta sono cordiali, e usati in vari condimenti, quei di basilico, mollificano il corpo; commovono la ventosità, e aumentano il latte; se bene sono nocivi alla vista, e difficilmente si digeriscono: Questa però è un’insalata dilettevole, molto odorosa, e incitativa all’appetito. [Dioscoride 3 libro ca. 37. Dioscoride libro 2 ca. del basilico]
Il fiore di aranci si deve cogliere levato che sia il sole, e che alquanto sia stato da quello percosso, mettendolo frà due vasi, che non si smarrisca, e conservarà meglio l’odore. Si condisce come gli altri fiori, ma con aceto cannellato, zucchero, e sale. Il suo regalo sono arancini conditi, e scorze condite nel medesimo. Questo fiore conforta lo stomaco, fà odorifero il fiato, resiste alla putredine, e vale per li dolori della matrice.
Il fiore di cedro và raccolto come d’aranci, e accommodato nello stesso modo. Il suo regalo, saranno le sue scorze condite in zucchero, delle quali se ne fanno figurine intorno al piatto, aggiugnendovi cime del medesimo cedro condite, e dorate, e devono esser acconci con aceto muschiato, e zucchero. Questi sono molto cordiali, se ne cava un olio preziosissimo, e il suo seme bevuto al peso d’una dramma in vino potente, supera i veleni, e muove valorosamente il corpo.
Le ombrelle de’ fiori di sambuco, vogliono esser colte nel mezzo giorno, in un panno bianco, e scuotendole caderanno delicatamente i fiori, i quali si lavarano come gli altri, e vanno conditi con poco olio, poco sale, e con aceto dello stesso fiore, con zucchero sopra. Questi fiori sono duri da digerire; sono però grati al gusto, vagliono all’oppilazioni, mollificano la durezza della matrice; e la loro decozione è buona a i morsi delle vipere. [Castor Durante nel Erbario c. degli aranci]
I fiori di gelsomini sono molto delicati, e di soavissimo odore; Vanno raccolti nella mattina con molta destrezza. La loro insalata và condita nella stessa maniera degli altri fiori detti di sopra; ma con aceto muschiato, e zucchero. Questa è molto usevole in Ispagna; e da’ medesimi si cava un olio molto prezioso di qualità calda, convenevole ai dolori causati da umori grossi, e vischiosi, e aiuta assai la complessione frigida de’ vecchi, e adoperandone per i capegli, gli conserva, e accresce. I persiani lo tengono in grandissima estimazione, e l’hanno in uso per conservarsi mondi, e odorosi.
Per far insalata di garofani bianchi, s’adoperano le foglie solamente; si raccolgono la mattina nello spuntar del sole, e si conservano come gli altri. Vanno conditi con oglio, poco sale, e aceto garofanato. Questo fiore resiste alla putredine dello stomaco, fà buonissimo fiato; ma non se ne deve mangiar molto, perché sono dannosi per la superfluità degli umori, che fanno correre allo stomaco.
Il fiore di mele rose, và raccolto di mezzo giorno, e molto ben netto. Si condisce con aceto rosato, e zucchero. E odorifero, e grato al gusto, e ventoso; Dà cattivo odore, e è duro da digerire, che però queste insalate si devono fuggire.
Potrai raccogliere i sudetti fiori a tuo piacere, e conservagli come gli altri. Si condiscono con olio assai, e sale a bastanza, con aceto cannellato, overo d’anesi, perché tali fiori sono ventosi. Galeno nelle facoltà de’ semplici asserisce, che detti fiori sono caldi nel terz’ordine, e secchi nel secondo. Vagliono alla durezza della milza, e fanno altri buoni effetti. Questa insalata non è in uso, ma volendola usare è buona, e salutifera. La ritoccherai con oro in tempo di banchetti, e per suo regalo vi metterai radici condite in zucchero asciutto.
Si possono raccogliere i fiori di ruccola in qual hora del giorno più ti piace, e sono buonissimi in insalata, per essere aperitivi, si conservano come gli altri, e si condiscono con aceto garofanato.
Il suo regalo sarà zucchero grattugiato nell’orlo del piatto. Questo fiore mangiato copiosamente, provoca l’orina, e conferisce agli stomachi frigidi. Alcune delle sudette insalate si mettono per compimento alla varietà. S’usano assai in Ispagna, e si devono particolarmente usare dove concorre il bisogno delle loro qualità.
Per far’insalata cotta di foglie di lattuga, avrai acqua netta preparata al fuoco; e quando incomincia a bollire, vi metterai le foglie sodette legate in mazzetti, e sentendo che sia cotta, la levarai, ponendola per un quarto d’ora in acqua fresca, levandola poscia dall’acqua, la stenderai sopra un panno bianco, stringendola con destrezza, a fine, che resti benissimo scolata; la metterai ne’ piatti, componendone armi, rose, stelle, ò altri capricci, conforme ti caderanno nella mente; e accompagnandola con uva passa bollita in vino, la condirai con poco olio, e con aceto di fior di cedro. Devi però salarla a sofficienza, mentre bolle nell’acqua. Il suo regalo saranno torsi di lattuga conditi, e zucchero sopra. La lattuga è freddissima, e sonnifera; nuoce alla vista, e genera cattivo sangue; ingrassa nondimeno il corpo, e resiste a’ veleni. In minestra riesce gustosa, e è meno nociva. [Castor Durante, cap. della lattuga]
Le foglie dell’endivia, ò suoi caspetti, vanno cotti come la lattuga, e l’istesso condimento dell’una, serve parimente per l’altra; devi solo avvertire, che l’endivia sia bianca, e benissimo purgata dalla terra, perché non è tanto sonnifera.
L’indivia è aggradevole allo stomaco, e mangiata cotta alleggerisce gli ardori del medesimo. [Dioscoride li. 2 c. 131]
Gli sparagi si devono cogliere senza rugiada; e fattone mazzetti si gettano a cuocere in acqua bollente, salandogli a sofficienza, ma si deve avvertire, che non si cuochino troppo, perché vogliono essere un poco tenaci al dente, levati dall’acqua bollente, vanno gettati; in acqua fresca, a fine che perdino il lor odore di verdume, si sgocciolano, poscia molto bene, mettendogli ne’ piatti conditi con olio assai, pepe ammaccato, poco sale, con aceto garofanato. Il loro regalo sarà intorno al piatto fiori di borragine, ò di buglossa ( perché rallegrano il cuore, e la vista) con fette di cedro condite in zucchero asciutte. I veri sparagi sono quei, che nascono in Lombardia nel territorio della Mirandola, Mantova, e Verona; e oltre, se ne fanno
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altre gustose vivande. Dopo lessi, si friggono in butiro, con sale e pepe, e sugo di melarancie sopra.
I lupoli, sono buonissimi in insalata, si cuocono come gli sparagi, e nel medesimo modo si condiscono. Vi si aggiugne solo un poco di mosto cotto; si friggono in olio, con sopra sale, pepe, e melarancie; e se ne fanno torte, e minestre, che riescono molto buone, e da grasso, e da magro. Questa insalata è molto salutifera, e buona ai corpi umani, solve valorosamente le colere gialle, purifica, e chiarifica il sangue le sue infiammazioni, vale al trabocco del fiele; sana particolarmente i mali della cotica, e in somma non si può bastantemente lodare, onde consiglio a mangiarne, per la grande utilità, che ne rende. [Dodoneo nell’Ist. delle piante l. 3 par. 3]
Si devono raccogliere le loro ombrelle, che fanno, e lessarle come l’altre insalate, con avvertenza di lasciarle bollire assai, cavandole poscia, e gettandole in acqua fresca, si pelano dalla loro scorza, si partiscono col coltello, e accommodandogli ne’ piatti, si condiscono con aceto muschiato, olio assai, sale, e pepe mezzo ammaccato. Si regalano intorno al piatto di scorze di aranci conditi ritocchi d’oro in caso di banchetti, come si deve usare in tutte l’altre insalate. Questi cavoli dopo lessi, si fanno friggere con olio, sale, pepe, e sugo di melarancie, servendogli caldi; e se ne fanno ancora minestre rarissime, e da grasso, e da magro. Cosi questi, come tutti gli altri cavoli, sono lubrici, e la loro natura è fredda, e secca nel primo grado, e perciò generano cattivo sangue, e nuocono a’ malenconici. [Dodoneo Ist. delle piante lib. primo par. 3]
Vanno i broccoli cotti come gli sparagi, e conditi né più, né meno, con aceto però d’anisi, e pepe mezzo ammaccato. Si fanno ancora friggere come gli sparagi, servendogli caldi con pepe sopra, e melarancie, ò limoni tagliati: non volendovi mettere aceto, gli servirai con sugo di melarancie, che saranno più dolci al gusto; ma saranno più nocivi allo stomaco. I cavoli tengono tutti una facoltà medesima, non vi essendo altra differenza, che i gusti.
I torsi de’ carciofi, dopo esser netti dalle lor foglie, e dal pelo, e fatti lessi, si devono tagliare in fette sottili, condirgli con olio, sale, e aceto rosato; Si regalano delle loro gambe longhe lesse, unte in olio poste alla graticola, ò fritte come ti piace; Sono ottimi tartuffolati serviti caldi con melaranci e partite.
Vagliono in pasticci, e minestre grasse, e magre, e in ogni occasione sono opportuni. Si riempiono di vari ,e gentili componimenti; E se ne regalano piatti. Questi sono caldi nel fin del secondo, e nel principio del terzo, e sono secchi nel secondo ordine. Sono duri nella digestione; il loro nutrimento non è buono, e generano umori melanconici. [Castor Durante nell’Erbario]
Sono buoni, e saporosi i cardi; si mondano benissimo, e si vanno gettando in acqua fresca; finiti di mondare, vanno lessati con sale, e poscia rimessi nell’acqua acciò deponghino ogni verdume, dopo gli asciugerai benissimo, e volendogli in insalata gli taglierai minuti, mettendogli in piatti con olio, pepe, e aceto garofanato. Il suo regalo saranno fette sottili di composta di melone, benissimo ritocche con oro, e volendogli tartuffolati, dopo lessi, gli taglierai come sopra, con ponergli in tegame insieme con olio, sale, e pepe a soffrigere sopra le brage; e volgendogli col cucchiaio, gli aggiugnerai sugo di limoni, ò melarancie; e gli servirai caldi sopra fette sottili di pane rifatto, posti in piatti con aranci spaccati intorno. Questi sono caldi nel fine del secondo, e nel principio del terzo ordine, e secchi nel secondo. [Galeno 8 della Facoltà de’ semplici]
Disoppilano il fegato, provocano l’orina, riportano l’appetito presto, ma danno cattivo nutrimento.
Piglierai della lattuga capuccina la più stretta, che potrai avere, nettandola bene da quelle foglie cattive, con lavarla, e sgocciolarla diligentemente; devi poscia a foglia a foglia mettervi olio assai, un poco di sale, garofano pesto e noce moscata, e pigliando carta benissimo unta d’olio involgerai in essa i caspi della lattuga, intorno alla detta altre carte, e stringendola con legarla benissimo la seppelirai sotto le brage; e quando ti parerà, che sia cotta, la dovrai cavare con diligenza, e levandola netta dalla carta, la disporrai ne’ piatti, con cannella sopra, aceto garofanato, e zucchero assai, con alcuni granelli d’uva passa
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bollita in vino. I suoi regali saranno, torsi di lattughe condite. Quest’erba rinfresca; provoca il sonno; genera assai latte, e è buona per quei, che non ritengono il cibo.
Piglierai cipolle delle più dolci, che sono ordinariamente piatte, e larghe, e cotte che saranno sotto le brage; le mondarai benissimo, e taglierai sottilmente, mettendole in una pignatta, con mosto cotto, aceto di fior di cedro, overo cannellato, con un poco di sale, e pepe mezzo ammaccato, le applicarai al fuoco, facendole bollire lentamente per breve spazio; Si servono calde ne’ piatti, regalate con prune secche damaschine bollite in vino, zucchero, e cannella, con sopra zucchero grattugiato. Delle cipolle se ne fanno buone minestre; Si riempiono; e condiscono in varie forme, come potrai vedere amplamente nell’ordine de’ conviti. Queste sono ventose, e commovono dolori di capo.
Le radiche delle sodette bietole, si trovano in molta copia negli orti di Toscana. Vanno cotte lesse con acqua, vino dolce, sale, e aceto; cavatele dall’acqua, si mondano dalla loro prima pelle, e si fanno in fette sottili, mettendole in un tegame sù le brage, con olio, sale, e pepe ammaccato; soffritte, che saranno un pochetto vi si aggiugne aceto forte, mosto cotto, un poco d’uva passa, e si servono calde, regalandole intorno al piatto con zibibbo bollito in malvagia, e cedro condito asciutto grattugiato, con zucchero sopra. Queste dopo esser lesse in acqua schietta, tagliate in fette s’infarinano, si friggono in olio buonissimo, e si servono con pepe, cannella, e sugo di limone; regalandole con mezzi limoni, e zucchero grattugiato sopra. Questa radica genera sangue grosso, e flemmatico con dura digestione.
Le radiche di cicoria, vanno cavate dalla terra, e molto bene lavate, e nette, cavando loro la midolla, che è cosa durissima, cattiva, e cotta, e cruda. Si mettono poi in acqua fresca, acciò venghino molto più candide, e perdino affatto la loro amarezza. Volendole cuocere, ne farai mazzetti legati, e gli getterai a bollire in acqua nettissima; cotte che saranno, le rimetterai nuovamente in acqua fresca per un poco, acciò si conservino bianche; poscia le leverai disfacendo i mazzetti sopra panni bianchi, con lasciarli sgocciolar benissimo, e volendone
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far insalata, potrai ne’ piatti formarne animali, imprese, figure di tutte le sorti, e capricci a tuo beneplacito; riempiendo i vacui con pistacchi lavati in acqua di fior di cedro, pinocchi in acqua rosa, uva passa bollita in vino malvatico. Interzerai detta insalata con profili di cedro condito asciutto, e con fette di persicata poste a proposito; regalando l’orlo del piatto con la medesima radica condita in zucchero, con acqua di fiori d’aranci, e muschio, condendola con aceto muschiato, e sale, avvertendo di toccar benissimo detta insalata d’oro, e d’argento; massime in occasione di banchetti.
Devi cercar d’avere sempre endivia della più bella, fatta a forza di terreno, e non di stabbio, per esser quella molto più sana, saporosa, e al gusto delicata, netta, che l’avrai, se i capi d’essa fosero grandi, devi partirgli in due, ò trè parti, come più ti piace, e gettarla in acqua fresca, perché venghi e più netta, e più bianca; la sgocciolerai poscia benissimo, acciò meglio si senta il suo condimento, e la condirai ne’ piatti, con olio, e sale assai con aceto cannellato, overo di fiori d’aranci, potrai trapontare i suoi capi, con inchiove di Genova, e metterle pepe ammaccato sopra regalandole con zucchero assai, e qualche grannello di melagrano. Il suo regallo sopra l’orlo del piatto sarà di qualche fettolina di solmone cotto, ritoccando benissimo ogni cosa con oro in tempo di banchetti. Accompagnarai questo, con radiche tenere, ma in altro piatto, con le loro fogliette verdi dorate, servendole con sale intorno. Non dirò dell’endivia, avendone parlato a bastanza dell’insalata cotta.
Della lattuga capuccina, farai elezione della più stretta, lavandola con deligenza, la partirai, in trè, ò quattro parti, e la metterai ne’ piatti col taglio volto di sopra, con olio, sale a sufficienza, con aceto rosato; regalerai quest’insalata con trapassarla di fettoline tagliate, e lardetti di tarantello, overo con aglietti teneri tagliati a misura, co i quali si possino trapassare da una banda all’altra i pezzi della lattuga. Potrai toccarla d’argento, e mettere intorno l’orlo del piatto fettoline di bottarga, tramezzate con altre di cacio parmegiano. Sono infinite le maniere per adoprar questa lattuga essendo molto valevole in minestre, in coprir piatti, in torte, con riempimenti, e accompagnamenti opportuni.
Vuole esser colta quest’insalata con le sue radichette, quando commincia a spuntar dalla terra; si deve lavar benissimo, e sgocciolata gentilmente dell’acqua, si mette ne’ piatti con poco olio, poco sale, regalandola con fettoline di torsi di lattuga conditi in zucchero, con aceto di fior di cedro, e zucchero assai, quest’insalata è molto signorile, e gustosa, meno nociva della grande, e più saporita.
Si coglie la cicoria piccolina come l’antedetta lattuga, và tenuta nell’acqua fresca, e dopo benissimo sgocciolata, posta ne’ piatti con aglietti piccolini, tagliati un poco longhetti, e si deve condire con olio assai, sale quanto basti, e aceto di fiori di ramerino; và regalata con mapette di finocchio fresche; si può condir parimente senz’olio, con zucchero sopra assai, e regalarla con cime di detta cicoria, condite in zucchero asciutte. Quest’insalata è gustevole al pallato, e salubre al corpo. Non intendo però di lodarla, né tampoco di biasimarla per non aver in sè quella virtù, che le farebbe bisogno.
Questi vogliono esser colti di fresco, e diligentemente mondi, e pelati, si fanno stare per un poco in acqua fresca. Devi avvertire, che siano teneri, e gli accommoderai intieri ne’ piatti, con olio, sale, e aceto di fior di salvia, overo di ramerino, con zucchero assai, mettendovi intorno all’orlo radiche di cicoria condite in zucchero; sono ottimi alla bocca, e tengono la medesima facoltà delle loro piante.
Quest’insalata è cosa tanto nota, che tutti ormai la fanno raccogliere, e seminare ne’ loro orti. Il coglierla però fina, non è cosa tanto comune a tutti; ma solo de’ buoni giardinieri, che professano di mantenerla ne’ loro giardini. Piglierai dunque per comporla di tutti i seguenti erbaggi, e fiori: cicoria piccolina, pimpinella, dragonello, erba stella, ruccola, acetosa, melissa, borragine, lattughina piccola, cime di serpillo, menta romana, e basilico, foglie di fior d’ogni mese, di borragine, di buglosa, di ramerino, e di salvia, e cosi farai una mescoalnza bonissima, e in loco dove vi siano melarancie, e cedri, vi aggiugnerai de’ loro fiori, e cimette, onde farai un componimento soavissimo, e riducendo l’odore, il sapore, e la virtù di molte erbe insieme, la frigidità dell’une, stempererà la calidità dell’altre, di modo, che non sarà nociva, se non sarà utile. La devi molto ben lavare, e sgocciolarla dall’acqua, condirla ne’ piatti con sale, olio assai, e aceto rosato, con zucchero sopra, regalandola con aglietti piccoli, cipollette tenere, ò scalognette fresche. Non dirò altro della proprietà di quest’erbe, avendone detto della maggior parte a suo luogo.
Si colgono le cime del dragone, e lavate benissimo si mettono ne’ piatti, e si condiscono con olio, sale, e aceto comune, che per esser egli d’acetosissimo sapore, non occorre altro aceto aromatico; si serve con zucchero assai sopra, regalandolo con fetteline di cotognata dorata, toccando benissimo d’argento il dragone in tempo di foresteria. Quest’erba è calidissima, fà buonissimo stomaco, e accende l’appetito; ma è di dura digestione, riscalda le reni, e genera cattivo sangue.
Piglierai l’aglietto fresco piccolino, e tagliando via le frondi, le minuzzerai benissimo, mettendovi menta romana, e l’acconcierai con olio, sale, e aceto rosato. Quest’insalata si fà per curiosità; ma non già perché sia in uso; l’aglio è calido, e ventoso, turba il corpo, e nuoce grandemente alla vista; vale nondimeno a gl’idropici, e chiarifica la voce. La menta romana è calida, rallegra il cuore, conferisce al gusto, e fà buon sangue.
Le scalognette in erba, vogliono esser monde dalla loro prima pelle, e levandole quelle foglie cattive, c’hanno intorno, si tagliano minute, e si gettano in acqua fresca, con cime di serpillo, si mettono poscia nel piatto condendole con olio, sale, aceto cannellato, con un poco di pepe mezzo ammaccato, regalando il piatto con fiori di boragine. Quest’insalata è gustosa, ma si deve usar rare volte, per esser cibo dannoso alla testa, e di pessimo nutrimento.
Si raccoglie ne’ terreni lavorati la cicoria, quale nel mese di febraro, e di marzo è molto bianca. Devi dunque nettarla benissimo, e lavarla, lasciandola in acqua fresca per un ora, e asciugandola bene, accomodarla ne’ piatti, con olio assai, sale, aceto di fior di cedro, e zucchero sopra; v’aggiugnerai per regalo in tempo di foresteria radiche di cicorie condite dorate, con alcuni fioretti di boragine per di sopra, e cappari di Genova. La cicoria è refrigerativa negli ardori dello stomaco; Si può bere della sua acqua con zucchero rosato, overo agro di cedro la mattina a digiuno; essendo molto utile a quelle ardenti sete, che per catarri salsi, e adulti si generano.
Raccoglierai le foglie del basilico così intiere, e le metterai in acqua fresca, senza molto manegiarle, per esser tanto tenere, e fragili, e v’aggiugnerai mapette tenere di finocchio, lavando bene ogni cosa, le sgocciolerai dall’acqua, e ne farai insalata, accomodandola, con olio, aceto garofanato, e sale a bastanza, regalando il piatto di cime di cedro condite, con zucchero sopra, ritoccando d’oro le dette cime.
Ama ancora quest’insalata la scalognetta verde, e per questo alcuni gliela servono di regalo, che veramente al gusto è buonissima; ma è tanto più nociva al corpo. La facoltà del basilico credo averla detta nell’insalata de’ suoi fiori; ma dirò ancora, che’l sugo del basilico misto con vino, disecca le caligini, e i flussi degli occhi; tirato per il naso, scarica la testa; e il suo seme bevuto in vino, giova a quei, nei quali si generano umori malinconici; Con tutto ciò ti consiglio ad astenerti di mangiarne, per esser cibo molto duro da digerire.
Sono le olive delicatissime a mangiarle nella loro concia, senza frangerle. Ma perché usano alcuni quest’insalata d’olive senz’osso, non hò voluto mancare di porla in questo mio breve discorso. Piglierai dunque le olive, e le anderai ammaccando con diligenza fra due pietre vive; e cavatone l’ossa, le metterai in aceto, e ponendole ne’ piatti, le condirai con olio, aceto rosato, e pepe ammaccato, regalandole intorno con fettoline di cedro, o limone.
Piglierai de’ fiaschi la quantità, che ne vorrai, e gli farai un poco più, che mezzi d’aceto fortissimo, e chiaro, e cogliendo le rose la mattina, levato che sia il sole, di quelle mezze aperte, perché odorano assai più delle altre, lasciandole per mezza giornata impassire; levarai le foglie benissimo nette da quelle loro sementi, e nè riempirai i fiaschi, i quali racchiusi, metterai al sole per due giorni, avvertendo di non lasciargli di notte al sereno. In capo a due giorni, colerai l’aceto, e con fresche rose lo rimetterai ne’ fiaschi, perché conservano l’aceto, e lo tengono chiaro, e cosi potrai valertene alle occorenze. Il maggio la potrai rinfrescare di rose, e d’aceto, e cosi l’anderai mantenendo, e sarà più perfetta.
Piglia l’ombrelle de’ fiori di sambuco levato, che sia il sole, e caduta la rugiada, e le scuoterai in una tovaglia bianca, ove caderanno i semplici fiori, avendo preparato i fiaschi poco più, che mezzi d’aceto, gli aggiugnerai detti fiori, riempendone benissimo i fiaschi, i quali ben racchiusi, devi mettere al sole, lasciandogli stare per quattro giorni, levarai poscia l’aceto, e mutarai i fiori, cosi facendo per sei volte; l’ultima volta gli ritornerai al sole, con lasciargli tutt’il mese d’agosto ben turati, avvertendo la notte di tenergli al coperto, dopò lo colerai benissimo per feltro, e mettendolo a conservar ne’ fiaschi, v’aggiugnerai due manipoli de’ medesimi fiori, secchi all’ombra, e turandogli benissimo, lo conserverai in luogo asciutto, avvertendo però di non lasciare mai aperti i fiaschi, perché perderebbero assai del suo odore; Quest’aceto vale grandemente a’ dolori di testa, e deve esser usato da gl’idropici.
Devi pigliar due fiaschi d’aceto di due boccali l’uno, e un oncia, e mezza di buoni garofani, che non abbiano toccato l’acqua salsa, e gli metterai in un mortaio, con dargli due in trè ammaccature
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col pistone, e gli compartirai de’ detti due fiaschi, turandogli con suvero, e carta pecora benissimo, e gli coprirai per dieci giorni in una massa di stabbio, con avvertenza, che non si rompino, passati i dieci giorni, levarai detti fiaschi, e nettandogli benissimo, gli metterai al sole per vinti giorni, facendogli star la notte al sereno. Passerai poscia l’aceto per calza di feltro, lavando i vasi diligentemente, e chiudendogli con turaci nuovi, nè servirai conforme al bisogno. Il vero garofano viene dalle molucche, serve in molte cose, tanto ne’ cibi, quanto ne’ medicamenti. [Garzia dall’orto tratta del garofano cap. 22]
Coglierai i fiori di gelsomini la mattina nel levar del sole, e avendo ammanati i fiaschi con aceto molto ben colato, perché sia più chiaro, poco più, che mezzi, gli riempirai con i fiori, e metterai al sole ben turati lasciandogli per due giorni, dopo i quali caverai i fiori, rimettendone de’ freschi, cosi facendo per otto giorni; poscia colerai l’aceto, e rimettendolo ne’ fiaschi con nuovi fiori ben turati, lo metterai nuovamente al sole, lasciandolo stare per tutto il mese d’agosto, levandolo in tempo di notte, e cosi potrai valertene, che sarà perfettissimo. Di questo aceto potrai servirti nelle cose più delicate, come a farne salse, che riusciranno di miracoloso odore.
Devi raccogliere il fior di cedro subito levato il sole, lasciandolo impassire all’ombra per mezzo giorno, avendo apparecchiati i fiaschi con bonissimo, e chiaro aceto, e facendogli più, che mezzi come gli altri gli riempirai con i fiori, e gli farai stare sotto lo stabbio per otto giorni, e dopo levandogli, con lavargli molto bene, scolerai l’aceto, e lo ritornerai ne’ fiaschi, con altri fiori, ma pochi, e turandogli benissimo, gli ritornerai al sole per venti giorni, dopo i quali, sarà ridotto a perfezione. Quest’aceto vale a molte vivande, dandone a bere a chi avesse mangiato de’ fonghi maligni; subito lo guarisce, e parimente dandone caldo a chi fosse stato dato del solimato, e sugo di napello, opera, e sana valorosamente.
Coglierai i fiori del ramerino nel mezzo giorno, e avendo preparati i fiaschi riempirai nel medesimo modo degli altri, e ripieni, che saranno con fiori, gli darai una mescolata con una verga di legno. Devi poscia turar benissimo i fiaschi, e mettergli sotto lo stabbio per
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otto giorni; dopo i quali gli levarai, colando benissimo i fiaschi, e riempendogli l’un con l’altro sino alla bocca, vi ritroverai un olio, che averanno fatto que’ fiori, il quale devi raccogliere con diligenza, essendo molto precioso; devi aggiugnere ne’ fiaschi nuovi fiori, e turati, mettergli al sole per otto giorni, dopo i quali conserverai i fiaschi senza colar l’aceto, bastando solo a farlo quando vorai servirtene. L’olio sodetto è valevole a’ dolori di capo, untandosi la fronte, e le tempie. Untando il corpo ammazza i vermi, vale per gli stomachi frigidi, e a quei, che non possono ritener il cibo.
Vanno raccolti i fiori di salvia come quei di ramerino, mettendogli nell’aceto, e mutandogli per trè volte, che cosi basta per l’acutezza di detto fiore, conservandola a’ tuoi bisogni. Molto vale a quei, che patiscono di milza, a quei, che sputano il sangue, e de’ sodetti fiori si fà conserva col zucchero, molto valido allo stomaco.
Si devono cogliere i fiori di melarancie, nel modo stesso, che si fanno quei di cedro, e cosi si riempono i fiaschi coll’aceto, come si fanno gli altri, mutandogli per otto volte, essendo questo fiore di natura, che lascia mal volontieri il suo odore, e perciò si deve far stare anche sotto lo stabbio per altri otto giorni. Dopò si cola l’aceto per feltro, rimettendolo ne’ fiaschi, con aggiugnervi nuovi fiori, e si mette al sole per venti giorni; conservandolo dopo benissimo turato. Quest’è un aceto molto odoroso, che ammazza i vermi, e tennendolo in bocca caldo leva il fetor de’ denti.
Pigliansi due fiaschi di due boccali l’uno, e si fanno pieni d’aceto, frà detti due fiaschi devi partirvi un oncia di cannella fina non pesta, ma fatta in pezzetti, facendola stare al sole per trè giorni, devi poscia aggiugnere per ciascheduno un quarto della medesima cannella, e turandogli molto bene, mettergli sotto lo stabbio per venti giorni, dopo i quali levarai i fiaschi, colarai l’aceto, e rimettendolo ne’ medesimi ben netti, aggiugnerai un altro quarto della medesima cannella per fiasco, e turandogli benissimo lo serbarai, adoprandolo a suoi tempi. Trovasi della cannella di più sorti, ma la vera è quella, che è frangibile, polita da un nodo all’altro, sottile, al gusto mordace, dolce, di soave odore, pungente alla lingua, di colore rossigno; ma non
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molto acceso. La cannella nasce nell’Indie Orientali, la migliore viene dall’isola di Zeilan, il cui territorio è fertilissimo, e il più delizioso di tutt’il mondo. Dicono gl’indiani, che ivi sono i Campi Elisi. [Garzia dall’Orto ca. 15]
Si pigliano i fiaschi, che tenghino un boccale, e mezzo per ciascheduno, e si riempono d’aceto ben colato, generoso, e passato per feltro, per ogni fiasco vi metterai otto grani di muschio di levante, macinato in mortaio di porfido, e turandogli benissimo, si mettono al sole per venticinque giorni, in capo de’ quali si leva, conservandolo all’occorrenze; avvertendo di non lasciargli mai scoperti. Il muschio è caldo nel secondo ordine, e secco nel terzo: fortifica il cuore, e dà vigore a tutti gl’intestini. [Mattiolo al primo di Diosc. cap. 20]
Fassi l’aceto d’ambra, nel medesimo modo di quello di muschio con la medesima quantità d’aceto, e peso degli otto grani per fiasco, mettendolo al sole, nel medesimo modo. L’ambra viene dall’Indie Orientali, e si tiene comunemente sia bitume, che sorga dalle fonti, che sono nel profondo del mare. Hà grandissime virtù, e serve nel mondo per molte cose. Ve ne sono di tre sorti, la prima è la colorita, è la migliore; la seconda è bianca, ed è di mediocre bontà; la terza è nera, e è di niun valore. L’ambra è calida, e secca in secondo grado, corrobora in odorarla il cuore; conforta i membri indeboliti; conferisce a’ dolori colici; giova al mal caduco; ma quei, che sono frigidi, e paralitici. [Monardes lib. 2 dell’ambra grisa]
Coglierai i ginepri quando sono rossi, e ben maturi, dandogli un ammaccatura gentilmente gli metterai ne’ fiaschi con aceto, come si fanno gli altri; avvertendo, che per ogni fiasco di due boccali, vi sia mezza libra de’ sudetti ginepri, e benissimo turategli metterai sotto lo stabbio per otto giorni, in capo al qual tempo dovrai levargli, e colare diligentemente l’aceto, rimettendolo ne’ medesimi fiaschi benissimo netti, e con aggiugnervi altri granelli, senza ammaccargli, gli metterai per sei giorni al sole, conservandolo à tuoi bisogni. Hò voluto scrivere di questo aceto, avendolo ritrovato molto valoroso ne’ sospetti pestilenziali, riuscendo oltre modo salutifero, spargendone per le stanze. Si come usandolo ne’ cibi; giova à morsi de’ venenosi animali, e genera altri infiniti effetti di salute, ne’ corpi umani.
Piglierai un pezzo di storione arrostito, e raffredato, lo sfilerai sottilmente nella parte della schiena, in quantità sufficiente al tuo bisogno, e sfilato lo metterai ne’ piatti con uva passa bollita in generoso vino, garofani, e cannella, quale renderà odore, e sapore molto gustoso, lo condirai con olio di Toscana, aceto garofanato, e sale, quando non sia intieramente salato allo spiede. Devi regalarlo con fettoline intorno l’orlo del piatto fatte del medesimo storione nelle parti più grasse in forma di gelosia, ritocca d’oro, mettendo ne’ vacui un oliva inargentata grossa, e potrai fare la medesima insalata, con storione lessato in acqua, aceto forte, e sale, regalandola in vece d’uva passa, di fettoline di cedro, e frondi di petrosello, ò di basilico nei suoi tempi gettandone anche sopra l’insalata, con pepe ammaccato.
Devi lessare il luccio con aceto, acqua, e sale, con una, ò due radiche di gengiovo, e cotto perfettamente, lo levarai dall’acqua, accommodandolo in quella maniera, che avrai fatto lo storione lesso, perché richiede la medesima concia; ma devi avvertire di metterlo netto con diligenza dalle spine.
Si deve avvertire, che il cievalo sia fresco, si cuoce alla graticola, e volendone far insalata, si deve bagnare con olio, sale, gengiovo, fior di finocchio salvatico, noce moscata, e pepe, e dopo esser cotto, e raffreddato si dovrà spolpare, e metterlo ne’ piatti, con aceto garofanato, olio, ma poco, pepe ammaccato, e mosto cotto, ove sia bollita cannella intiera, con qualche granello d’uva passa, spargendogli sopra l’insalata, e regalando il piatto con datteri bolliti in malvagia, zucchero, e cannella, accompagnandoli con spighi d’aranci dolci, ritocchi d’oro, e d’argento.
Alle chieppe si cavano le interiora senza aprirle, dopo si pongono a lessare, acconciandole nella medesima maniera del luccio. Questa sorte di pesce è molto gustoso, sè bene contiene in sé un infinità di spine delle quali si deve guardare, sfilandole con diligenza; si pongono anco alla graticola, e si bagnano con olio, e mosto cotto, ove sia bollito un poco di garofano, e cannella, e parimente raffreddata si sfila, accomodandola ne’ piatti con poco olio, e aceto di fior di cedro, con pepe ammaccato sopra, e potrai regalarlo intorno con fettoline di bottarga, e altre di cedro sottile ritocche d’oro.
Il rombo si lessa come gli altri pesci, si sfila ne’ piatti, e si condisce con olio, aceto cannellato, e pepe ammaccato, con fronde di petrosello sopra, cappari di Genova, e uva passa bollita in vino; Quando sarà grosso, si può fare in pasticci, e raffreddato tagliarlo in fette sottile, condirlo col medesimo condimento, melagrani sopra, olive senz’osso, e fioretti di borragine ritocchi d’oro. Questo pesce è delicatissimo, e sè nè fanno nelle cucine, varie, e gustose vivande.
Se nè pigliano nel lago di Mantova di grosissimi, che sono buoni, grassi, e migliori di tutti gli altri, che si pescano negli stagni di Lombardia, e se bene nelle valli di Ferrara, ve nè sono de’ grossissimi, non sono però di tanta bontà, e si mettono alla graticola come il luccio, cavandogli prima le interiora con poca apertura, e nettandogli benissimo, dalle squame, si deve bagnare con bonissimo olio, spolverizare, con zucchero, fiore di finocchi, e sale, e cosi s’applica alla graticola, tenendolo morbido con olio, e malvagia insieme, voltandolo spesso. Cotto, che sarà, si mette in addobbo, fatto con aceto cannellato, zafrano, foglie di ramerino, salvia, e un poco d’aglio pesto benissimo, con pepe, noce moscata, e garofani. Raffreddato, che sarà in questo addobbo, metterai le sue polpe nel piatto, condendole come lo storione, e col medesimo regalo.
Sono i carpioni delicatissimi, e frà gli altri pesci tengono a giudizio mio il primo luogo, essendo la lor polpa delicata, di grandissimo nutrimento, e meno nociva di quella degli altri pesci; oltre, che lascia in bocca a chi se ne mangia per lungo spazio il proprio odore, e fà buon fiato. Questi si pigliano solo nel Lago di Garda. Per farne insalata si devono friggere, e se saranno grossi dargli prima due tagli per il lungo della schiena con il coltello, dopo fritti in buono olio, si mettono sopra una tovaglia acciò si sgocciolino bene, e mentre sono cosi caldi; Se gli applica sopra sale trito, pepe, garofani, e noce moscata, coprendole con foglie di mirto, e di lauro, e raffreddati, che saranno, si tagliano le loro polpe in fette sottili, e si condiscono con aceto di fior di cedro, overo di mortella, e olio, con zucchero sopra, intorno fette di cedro, e di limoni sottili. Non occore imbrogliar questo pesce con regali, essendo che per se stesso è regalatissimo, infinitamente odoroso, gustoso, e gentile.
Nobilissima è la trota, e ciascheduno nè tiene cognizione. Per volerne insalatare, si deve cuocere lessa con aceto, acqua, vin bianco, e sale, raffreddata si piglia della sua polpa, e si taglia in fettoline, accomodandole ne’ piatti, con poco olio, aceto di gelsomini di Catalogna, e zucchero pesto. Si regala con cappari di Genova dorati, con fette sottili di cotogni, bolliti in vin dolce, con stecchi di garofano, e cannella, tramezzati con fette d’aranci conditi in zucchero, ritocche d’oro. Se nè pigliano di grosse nel Lago Maggiore, come anche nel lago di Como, quelle però del Lago di Garda sono molto gustose; Et io nè hò fatto servire di libre trenta l’una, prese di fresco, nette dagl’interiori, e loro squame, traforate in vari luoghi, poste in salamora, fatta con acqua, sale, e aceto per cinque ore, e me nè sono poi valso in tutte le maniere, che sono riuscite rarissime, e di molto gusto, con vari condimenti.
Il dentale è nobilissimo pesce, e per farne insalata, vuole esser lessato in buono aceto; acqua, sale, un poco di gengiovo e zafrano. Dopo si cava, e s’accommodano le sue polpe, ne’ piatti come il luccio, usandovi aceto garofanato, e intorno al piatto per regallo, zibibo, e gengiovo conditi; il suo vero mangiare è in gelatina fatta alla
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schiavona, con aceto, acqua, sale, e zafrano. In vari modi si condisce, e se ne fanno nelle cucine vivande molto gustose.
L’ombrina è pesce famoso, e di molto gusto. Il suo condimento si deve fare come allo storione arrostito; avvertendo, che per farne insalate, vuole esser sempre la parte più magra; e raffreddata, si potrà fare in fette, ò sfilarla sottilmente, condendola con olio di Toscana, aceto muschiato, pepe, noce moscata; ma in poca quantità, per esser caldissima. Si deve ancora spargervi sopra zibibo, con uva passa bollita in vino, con zucchero, e cannella; e per suo regalo si metteranno tartuffoli conservati sotto l’olio in fette, con melagrani, e olive senz’osso. Potrassi sopra l’insalata porre alcuni cappari inargentati; mettendovi ancora intorno al piatto per suo regallo, arancini conditi in zucchero, spaccati, e fiori di cedro conditi in aceto ritocche d’oro.
Questi pesci si lessano con acqua, sale, e aceto; dopo si cavano lasciandogli raffreddare; avvertendo, che vogliono essere de’ più grossi. Si cavano le sue polpe, e fettandole sottilmente, si mettono ne’ piatti, con petroselli, olio, aceto garofanato, e pepe; intorno al piatto arancini dolci mondi, ritocchi d’argento; tramezzati con melagrani, e uva passa bollito in vino. Si possono anche condire, gettandovi sopra zibibo bollito in vino, e cannella, con aceto di fior di cedro, e olio di Toscana, regalando il piatto con fette di cotognata alla portughese, e tartuffoli conditi in zucchero, tocchi d’argento. Sono questi pesci molto buoni, Avicenna in un suo discorso gli dichiara essere i meno nocivi fra gli altri pesci, e vuole se ne possa dare à convalescenti cotti lessi in acqua semplice con sale, olio, e aceto, overo sugo di melarancie. Nelle cucine s’adoprano le sue polpe a far bianco mangiare, in minestre varie, e altre curiose vivande, che riescono esquisite.
Questo vuol esser lesso, con aceto, sale, acqua, gengiovo, e cannella. Dopo cavato si lascia raffreddare, tagliandolo sottile, e sfilandolo come si fanno gli altri pesci, condendolo con aceto garofanato, olio, e pepe ammacato, e si possono porvi per suoi regalli intorno l’orlo del
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Piatto, cappari di Genova inargentati in tempo di banchetti. Il sulmone è pesce molto delicato, e si può ancora condire come il luccio lesso, regalato nella medesima maniera. Trovo, che tien luogo tra’ pesci nobili, e s’usa anche arrostito come lo storione; si serve in insalata sfilato con il medesimo condimento, ornando il piatto intorno con cedro condito grattugiato asciutto, e fiori d’aranci conditi ritocchi con oro.
Piglierai del manzo, che sia frollo nella parte più magra; e dopo d’averlo battuto, trapuntato con garofani, e menta romana, netto, e cotto lesso, lo lascierai raffreddare, piccandolo minutamente con forcina, e coltello, in quantità conforme al bisogno.
L’accommodarai ne’ piatti, formandone vasi, animali, figure, e capricci, in conformità del tuo genio, riempendo i vacui, con uva passa bollita in vino; e cannella, con qualche capparo di Genova inargentato, e fioretti di boragine ritocchi d’oro, tramezzandogli con alcune fette suttili della medesima carne, con altre insieme di cacio parmegiano, condendo il tutto con poco olio, aceto rosato, e pepe ammaccato sopra. Di questa carne la migliore è più salutifera, e quella del bue grasso, che abbia affaticato: Migliore, più sana assai di quella del manzetto, e dell’altre carni del suo genere.
Devi nettare benissimo la lingua, pelarla trapuntarla con stecchi di garofani, e cannella, e metterla lessa, a perfetta cottura; poscia raffreddata, ne formerai col coltello delfini, vari pesci, e bizzarie conforme al genio, facendogli le testicciole con pasta di susinello, ò di cacio, ritoccando ogni cosa d’oro, ò d’argento, regalando il piatto, con fettoline sottili della stessa lingua, petroselli sfrondati, e pepe ammaccato, mettendovi intorno una corona dorata di pasta di susinelli, e la condirai con poco olio, sale, e aceto d’ambra. Potrai ancora, dopo tagliata la sodetta lingua in fette sottili, e formato il delfino sopra nomato, inargentarlo a squame, e porvi sopra un Nettuno fatto di pasta di marzapane, con fiori di borragine per il piatto, e intorno l’orlo fette sottili di cedro condito, poste con vari, e capricciosi disegni, dandogli il condimento come di sopra.
Del vitello, devi pigliar la parte come del manzo, e nel medesimo modo trinciarlo, accommodandolo in insalata, come pure farai della loro carne arrostita, cioè del lombo freddo, fatto in fettoline nel piatto, insieme con limoni tagliati sottilmente con zucchero pesto sopra, regalando l’orlo del piatto d’olive senz’osso, ò d’agresto condito nell’aceto, ritocandola con oro in tempo di foresteria. Delle carni di questo animale, crederò averne in altro luogo discorso a bastanza, e però passo ad altro.
I ventricoli d’oca, dopo, che sono lessi, si fettano sottilmente, e le loro polpe si trinciano minutamente, e sè nè formano capricci, come del manzo, mettendo le fette de’ ventricoli intorno l’orlo del piatto, con fronde di petroselli, overo di menta romana, con pepe mezzo ammaccato, condendogli con aceto garofanato. Di questo animale non posso dir molto bene, perché non lo trovo lodato da’ medici, ne antichi, ne moderni per la sua grandissima umidità, e que’, che sono nodriti nelle case sono i peggiori per la loro poca fatica, altro in loro non trovo di buono, che il fegato, quale è di molto nodrimento, di buonissimo sapore, e hà facoltà di ristringere i flussi cagionati dal fegato, per la debelità sua; Marziale asserisce, che tal carne è calidissima, e che pigliando delle sue reni peste con pinocchi, zucchero, e sue polpe insieme con cannella, pepe, garofani; e rossi d’uova fresche, e facendone una pasta nel mortaio tirata in morselletti, cotti nel forno in tegame infarinati, riuscirà cosa mirabile per infiammare gli spiriti freddi. Io non saprei come lodare tal carne, sentendo Avicenna, e Galeno, che la condannano per umidissima, e i loro grassi per pessimo, alle cui ragioni, aggiugnendosi il testimonio delle faccie degli ebrei, che d’altro non si notriscono, e che si vedono per il più con bruttissima effigie, sempre di color di piombo, con sguardi biechi, di fetosissimo odore, e di pessimo costume, consilio in tutto, e per tutto a lasciarla agli ebrei.
Sono perfettissime le polpe de’ galli d’India trinciate in insalata, e si fanno minutte come il vitello, regalando il piatto colle medesime polpe in fette, condendole con aceto di fior di gelsomini di Catalogna, e zucchero, con alcuni grani d’uva passa, di levante bollita in vino, mettendovi olive di Spagna dorate senz’osso intorno all’orlo, con pochi cappari di Genova, si puole aggiugnervi cedro grattugiato, regalando l’orlo del piatto, con cedro condito asciutto, ritocco d’oro in tempo di banchetti.
Si pelano con diligenza i sudetti piedi, si lavano, e si fanno lessi cavandogli poi dal brodo, lasciandogli raffreddare, sè nè serve in insalata spaccati, con pepe ammaccato, aceto garofanato, poco sale, fronde di petroselli, melagrani, e fette di limoni sottili, intorno all’orlo del piatto, e per suo regalo animelle, o latti de’ medesimi capretti, che sono un sol boccone, i quali tengono appresso il gozzo per una parte, l’altro attaccato al fegato appresso il cuore. E questi dopo esser cotti alla brage, si mettono in una pentola con poco sale, pepe, butiro, sugo di limone, e uva passa; delle quali cose calde si regala il piatto intorno, e si possono usar parimente fioretti di borragine ritocchi d’oro, con fette piccoline di cacio parmegiano.
I piedi, e grugni di porco benissimo netti, si lessano con acqua, aceto, sale, e vino aromatico, e si cavano dal loro brodo, lasciandogli freddare, levandone poi l’ossa più grossi, e facendone pezzetti piccoli.
Similmente si fà de’ grugni accommodandoli ne’ piatti, con spargergli sopra uva passa, e pepe ammaccato; regalandogli intorno all’orlo di prugne damaschine silopate in zucchero, ritocche d’oro, con aceto rosato sopra, cannella, e melagrani.
Di queste se nè fanno perfettissime gelatine, e la carne del medesimo animale viene lodata assai da’ medici per le persone soggette alla fatica particolarmente; E si deve usare con assai aromati, perché la rendono meno nociva.
S’accomodano le polpe de’ fagiani, come quelle de galli d’India; non si trinciano però minute; ma si tagliano in fette longhe, e sottili, si condiscono con aceto muschiato, e pepe, mettendovi intorno al piatto conditi silopati gentili, come farebbono visciole, azaroli, pere moscatelle, marene, arancini, fiori di cedro condito, e sopra polvere bianca di Cipro, con zucchero pesto, ritoccando d’oro le frutta silopate. Devi pigliare ancora un pezzo di cedro condito asciuto, e con intagliarvi dentro qualche figura, metterla nel mezzo dell’insalata ritocca d’oro. Questo animale è nobilissimo, e lo trovo molto delicato, e amico de’ principi; poiché non rende verun nocumento à corpi umani, per esser la sua carne temperata, e nutrisce utilmente il corpo, ristaura prestissimo i convalescenti, conforta gli etici, prepara gli umori corrotti negli stomachi, e e di presta, e buonissima digestione, rinfranca gli spiriti deboli, acuisce l’appetito, e è utile agli asmatici. Ne’ solenni conviti, si deve portare in tavola trionfalmente arrostito, e se bene all’occasione ne hò descritte varie maniere, non voglio di presente restar di dire, come dopo cotto si veste delle sue penne, tutte profummate, regalate con oro, e perle, che ornando la coda con tremolanti d’oro, e d’argento accommodato in piedi, si mette ne’ piatti con boschetti sotto di mortelle dorate, e inargentate in vari modi, e che veramente è degno di molti regali per la sua perfezione.
Il cappone si dimanda ragionevolmente il fagiano domestico, che però le sue polpe, e lessate, e arrostite, si devono accomodare, e condir per apunto come le sodette del fagiano; anzi col medesimo regalo. La sua bontà, e perfezione è cosa molto notoria; la complessione di lui è temperata in tutte le quattro qualità; sommamente nutrisce, e genera perfetto sangue, i suoi consumati ristorano le membra lasse, ritornano le perdute forze, e valorosamente le aumentano; pigliando libre due delle sue polpe, una mezza di pinocchi lavati in acqua di fior di cedro, oncie tre di pistacchi pelati, macerati in detta acqua, e oncie tre di semi di meloni; si pesta ogni cosa insieme in mortaio di pietra, aggiugnendovi dopo pasta di marzapane due oncie, un mostacciolo, di Napoli, oncie due di farina d’amido, una libra, e mezza di zucchero fino, due pinocchiate, due rossi d’uova fresche benissimo battute, un poco di latte di mandorle fatto con acqua rosa, e due grani di muschio; Vedendo, che la pasta sia troppo morbida, si deve aggiugnere zucchero, e farina d’amido; facendone una pasta molle, ne formerai
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morselletti longhi, quali dovrai mettere in una padella grande infarinata similmente di farina d’amido, e applicargli al forno; quando gli vedrai gonfi, e sentirai, che siano leggieri, e asciutti, allora saranno cotti. Questi s’indorano, e si mettono insieme col pane nelle panatiere, sendo valevoli per infiammar l’appetito di Venere, e invigorire di spiriti, provato per tale effetto, e perfettissimo.
Si piglia il lombo della lepre arrostita, si taglia in fette sottili, e si mette ne piatti con uva passa di levante, bollita in mosto cotto, cannella, e garofani, un poco di detta bollitura, e aceto rosato, regalando il piatto con prune cotte in malvagia con zucchero sopra, e un poco di polvere di Cipro bianca; aggiugnendovi cappari di Genova per tramezzamento delle prune, ogni cosa ritocca d’oro. Questa carne non è lodata, se bene è da tutti desiderata.
Rasis asserisce, esser detta carne malinconica, e che genera sangue grosso, e secco. Vuole Avicenna, che la lepre, e il coniglio siano d’una stessa qualità, e che generino senza maschio.
Il cigotto di castrato arrostito, si sfila, ò si trincia sottilmente, e si mette ne’ piatti insieme con cappari di Genova, e si deve condire con aceto garofanato, regalandolo con olive senz’osso, melagrani, uva passa bollita in detto aceto, fronde di petrosello, ò di menta con cedro condito grattugiato intorno l’orlo del piatto. La carne del castrato, si usa nelle cucine in varie maniere, e da quella si cava un sugo molto sostanzievole, e odoroso, che vale al condimento di molti piatti, e particolarmente in varie minestre, e riescono molto grate.
Il presciutto di porco vuole esser cotto in vino, con garofani, salvia, ramerino, ruta, noce moscata, aceto, e acqua, cotto, e raffreddato, che sarà, gli leverai i suoi lardi, nettandolo benissimo da tutta la carne più nera; e tagliandolo in fette per il suo verso, lo sfilerai, mettendolo in un piatto reale in una massa, a guisa di montagna, condito con aceto rosato, melagrani, uva passa bollita in vino, e zucchero sopra. A questa insalata si convengono molti regali, cioè mettere in cima a quella montagna una figura di pasta di marzapane dorata, fatta a capriccio, ornandola intorno di cime di cedro condite, asciutte, con vari animaletti di zucchero, come cervi, daini, lepri, cani, che le
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diano la fuga, cacciatori intorno, che facciano vari gesti, e forze, con spiedi in mano da cinghiali, e al piede di detta montagna, vi metterai porchetti spinosi intagliati di cedro condito con le spine dorate. Potrai mettervi alla cima ancora un satiro con sampogna in mano, e una Venere, con Amore composti della sudetta materia, che sagliano la montagna. Di questo presciutto possono farsi vari trionfi, come archi, carri trionfali, navi, galee, castelli, palagi, e altre fantasie, facendogli le sue casse di sotto di pasta di susinelli, e tutte queste cose, vogliono benissimo esser ritocche con oro. Non dirò in oltre di questa carne, avendone in altro luogo parlato per quanto occorre.
Per conservar uva fresca
Devi raccogliere l’uva in tempo chiaro nel mezzo giorno, che almeno sii stata per otto giorni senza pioggia, e che sia ben mattura; e dopo averla lasciata al sole per quattro volte, avvertendo non impassisca, e avendo una caldaia al fuoco d’acqua piovente calda, devi pigliare il graspo dell’uva al roverscio, e legarla con filo a graspo, per graspo, e così attuffarla per tre volte prestamente in quell’acqua bollente, e dopo appenderla in loco arioso dove passi la tramontana, e così la devi lasciare, guardandola da’ tempi umidi, che la conserverai per lungo tempo; e volendola servire, devi prima metterla per poco spazio in acqua tepida; poscia lasciarla in acqua fresca, che resterà bellissima, e verde, come se venisse dalla vite. Si conserva parimente dopo levata dalla vite ben matura, avendola lasciata al sole per tre, o quattro giorni, al sole però non molto ardente; ma dove sia dominata dall’aria, e dal vento, mettendola dopo sopra paglia d’orzo, in un camerino benissimo chiuso, in cui non penetri l’aria, visitandola tal volta colle forficine per levarle qualche grano guasto, quando ve ne fosse, e così dura per lungo tempo. Vi sono altre maniere; ma le sodette sono le più facili, provate, e sicure. L’uva mangiata di tre giorni colta, e meno ventosa, e la bianca, è meno nociva.
Diverse maniere per conservar i persici, longo tempo
Volle Plinio, che il persino sia colto acerbetto, nel voltar del sole, e che non sia spiccatoio. Quando questi frutti avranno avuto due giorni di sole, si coprono benissimo con cera nuova dileguata, e si pongono in pignatte nuove con segatura di tavole, e coperte benissimo, e ingessala, si costodiscono in luogo freddo; ma asciutto. Palladio, e Columella, concorrono nella medesima opinione di Plinio, e io ne hò fatto prova, e mi sono riusciti per la maggior parte intatti, con sapore, odore, e colore, come se spiccassero dall’arbore. Si conservano parimente, raccogliendo i persici non molto maturi nel mezzo giorno, ponendogli al sole per quattro giorni, mettendovi della pece dileguata con un cucchiaio nella fossetta del picciuolo, e poscia accomodandogli in una cassetta con segatura d’elce, tramezzandogli successivamente; avvertendo, che i persici non si tocchino; e chiudendo poi la cassetta,
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la serberai in luogo fresco, e asciutto, e questo è il modo sicurissimo per conservargli.
Il persico si corrompe prestissimo, e è cosa mirabile a vederne del mese di febraio, e di marzo, come vedrai certissimo, osservando le sodette regole.
Per conservar prune di varie sorti
Vogliono le prune per conservarle esser sode, e non acquose, la damaschina, la marabolana, la pernigona, e certi prunoni tondi, c’hanno della polpa assai, si conservano benissimo, nell’infrascritto modo. Piglierai un barile nuovo, cavandogli il fondo da una parte, lo riempirai di chiodetti conficati nel barile per di dentro, con alcuni legnetti in croce per mezzo, e cogliendo delle sodette prune nel mezzo giorno con loro rametti, e fronde, dandogli sei giorni di sole, che non sia molto gagliardo, le legherai a quei chiodetti nel barile, che non si tocchino insieme, ritornerai poscia il fondo al suo luogo, chiudendolo molto bene, e infasciandolo strettamente di paglia, lo metterai ferrato in un monte d’arena, in una stanza, più tosto fredda, che umida, e così lo devi lasciare sino a quel tempo, che vorrai servirtene, e le ritroverai indubitatamente bellissime.
Per conservar mele cotogne
Levarai i cotogni dall’arbore nel maggior caldo del giorno, con i loro rametti, attaccandogli al sole per otto giorni; piglia dopo della terra da vasi, e stemprala benissimo con acqua; ma che resti alquanto sodetta, e con un pennello grosso, danne a tutti i cotogni, che siano benissimo coperti attaccandogli all’ombra in luogo ove rifletti il sole, e quando sarà secca, gli darai un altra mano della medesima terra; facendo lo stesso per quattro volte, e se per sorte cadesse detta terra, vi mescolerai pelo di lepre, avvertendo, che non vogliono in maniera alcuna sentire l’aria; secca, che sarà la terra gli attaccherai in una stanza dove sia paglia asciutta, la qual stanza sia fresca, ma non umida. Volendogli ad operare gli netterai molto bene; ma avverti, che vogliono esser attaccati ciascheduno da per sé ad un trave.
Si conservano ancora nell’orzo, che non si tocchino insieme, ma in luogo asciutto, e oscuro.
Si conservano parimente a mettergli nel mele crudo; ma vogliono esser di quei, che hanno del tondo, e che hanno la lanugine sopra, e veramente sono i veri, e più odorosi degli altri. Galeno nel trattato delle piante dice, che il vero cotogno è questo, che detto abbiamo, perché oltre l’odore è più soave al gusto, e più degli altri medicinale. Vi farebbono
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altre maniere per conservargli; ma perché le sudette regole sono infallibili, di queste voglio, che ti basti.
Per conservar peri di più sorti
Le pere si conservano in più maniere, ma vogliono essere delle sequenti quattro sorti, fiorentine, bergamotte, sementine, e buone cristiane, raccolte un poco acerbette, ne’ maggiori caldi del giorno, ponendole al sole per quattro volte; poscia con pece dileguata calda, se le bagna tutto il fiore, s’attaccano poi al solaro ogn’una da per sé nella stanza ove si fà il fuoco, e unicamente si mantengono. Si conservano ancora dopo raccolte, dandole il sole come di sopra, mettendole in luogo scuro sopra l’aliga marina asciutta, avvertendo, che non si tocchino, e chiuder benissimo la stanza, acciò non vi capiti l’aria, e in questo modo, si mantengono verdi, e belle. In altro modo le conserverai, potendo avere dell’acqua marina, facendola bollire, e pigliando le pere con fili attaccati picciuoli, gliele attufferai, per due volte senza fermarle, attaccandole dopo per asciugarle all’aria, e essendovi state per sei giorni, le levarai, e attaccherai nella stanza del fuoco, dove giornalmente si pratica, e le vedrai sempre verdi, e belle.
Per conservar nociole, overo avellane
Le nociole si raccolgono, e spogliandole di quella loro scorza verde, si lasciano stare per due giorni; poi se ne fanno de’ suoli sopra la sabbia in loco fresco, e non umido, dove non penetri l’aria, e così si conservano lungo tempo.
Alcuni le sepeliscono sotto l’arena con la medesima scorza; ma io non l’hò per ben fatto, stando, che quella le aiuta ad infracidire. Altri le mettono in vasi impeciati sotto l’acqua, e le conservano per tutto l’anno molto belle. Questo frutto non è molto perfetto per li corpi umani, perché genera dolor di capo, e spesse volte causa il vomito, per esser d’una qualità, che sempre nuota sopra il cibo, e difficilmente si digerisce.
Per conservar le azarole
Si devono raccogliere nel mezzo giorno, e si mettono sotto la sabbia in luogo asciutto, nella stessa maniera delle nociole, dandole il sole per due giorni, e riescono bellissime. Si conservano parimente coperte di cera nuova, come si fanno i persici, e nella stessa maniera si custodiscono. Questo frutto facilmente infracidisce; si deve però avvertire, che nel raccorlo non sia intieramente maturo, e che sia stato almeno sei giorni senza pioggia.
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Per conservar le melagrane
Si devono lasciar benissimo maturare questi frutti sopra i loro arbori; e avanti, che si raccolgano essendo da spiccare, se gli torce il picciuolo, e si lasciano per otto giorni cosi appesi all’arbore. Si levano ad uno ad uno attaccandogli con spago, acciò non si tocchino insieme, perché toccandosi prestamente si putrefano. Bisogna avvertire di spiccargli nel scemo della luna, e ne’ maggiori caldi, dandogli intorno da quindici giorni di sole, e dopo d’attaccano al soffitto, dove si abita con il fuoco. Si conservano in altro modo, levati dall’arbore, coperti della medesima antedetta terra dei cotogni, e secchi benissimo, s’attaccano in stanze ariose, e aciutte, avvertendo, che non si tocchino insieme. Si attuffano anche in acqua marina bollente, come pure hò detto delle pere, e mettendogli al sole per dieci giorni, s’attaccano in loco asciutto, e abitabile, e si mantengono per tutto l’anno. Di questo frutto non passo oltre, perché ne’ sapori ne hò sufficientemente discorso.
Per conservar i cedri
I cedri si conservano nell’orzo per longo tempo, e migliori sono quei del Lago di Garda, di quei di Genova; che se bene sono più grossi, e belli, sono però meno gustosi, e inferiori di sapore. Il parere è di Dioscoride libro primo, trattando de’ limoni, e cedri.
Per fare un profummo odoroso, da metter nelle profummiere d’argento, piglierai mezz’oncia di storace, tre ottave di belgiovino, un quarto di legno aloè, un ottavo di cannella, uno di garofani, e un altro di scorze di cedro, due di boccie di rose, trè di pastella di levante, e gli darai una pestata, mettendogli nel vaso con acqua rosa, dandogli fuoco, a poco, a poco, acciò getti maggior fummo, e più soave odore.
Lo farai ancora in altro modo pigliando la caldaiuola, overo pentola della profummiera, riempendola d’acqua rosa, overo di fiori di cedro, con due ottavi di pastella di levante, uno di legno aloè, uno di storace calamita, uno di belgiovino, con sei grani di muschio, e la farai bollire, che rende grandissimo odore, e fummo assai.
Si fà in altro modo riempendo la caldaiuola d’acqua di gelsomini di Catalogna, con otto grani di ambra, sei di muschio, un ottavo di legno aloè, uno di sandali bianchi, e fassi fummare con lento fuoco, che rende prezioso odore.
Profummo in altro modo
Piglia tre ottave di garofani intieri, uno di belgiovino, uno di legno aloè, uno di cannella intiera; uno di scorze d’aranci, e un altro di sandali bianchi, con una noce moscata, e pesta ogni cosa insieme grossamente, e mettendola nella caldaiuola con acqua di fior d’aranci, e di lavanda, falla bollire lentamente, che sentirai odore molto gustoso.
In altro modo
Piglia un limone grattugiato intiero, e ponilo in vaso benissimo invetriato, con acqua di fior di cedro, aggiugneli mezz’oncia di legno aloè, due ottavi di canfora, quindeci grani di muschio, dieci d’ambra, sandali bianchi raspati tre ottavi, altri tre di visiche di muschio tagliate in pezzetti, sei grani di zibetto disfatto con la sodetta acqua, e turando il vaso molto bene, lo metterai al sole per otto giorni, e riempiendo la caldaiuola della profummiera d’acqua comune dandole fuoco, vi lascierai cadere tre ottavi del liquore del sodetto vaso, che spirerà soavissima fragranza.
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Altro fummo odoroso
Piglia due vesiche, che vi sia stato il muschio, tagliale minutissime in acqua di gelsomini di Catalogna, aggiugneli diciotto grani di zibetto, sei limmoncelli grattugiati, o tagliati in fette sottili, la scorza minuta di quattro mele appie, e lascia tutte queste cose nel vaso turato per otto giorni al sole, mettendo poi all’occasioni un poco di questa composizione nella profummiera, e sentirai veramente odore reale, e da gran principi.
Acqua nanfa molto odorosa
Devi preparare una caraffa grande senza piede, e mettervi dentro acqua rosa libre tre, e pigliando storace mezz’oncia, belgiovino un quarto, legno aloè mezz’oncia, sandoli citrini dramme quattro, e altre quattro di cannella; devi pestar ogni cosa insieme, e farne polvere, metterla poscia nella caraffa, applicandola al fuoco sopra la graticola a bollire, e mentre bolle, v’aggiugnerai quattro grani di zibetto, quattro di muschio, e altretanto d’ambra, e la farai ribollire tanto, che cali quattro dita, e poscia la levarai dal fuoco, e benissimo turata la metterai al sole per otto giorni; indi la colerai, e riponendola nel suo vaso l’adoprerai a’ tuoi bisogni, che sarà perfettissima; ma avverti di tenerla ben turata.
Acqua nanfa, d’un’altra sorte
Piglia acqua rosa un boccale, mezzo boccale di fior d’aranci, e un altro mezzo d’acqua di Tripoli di Soria; prepara dopo mezz’oncia di belgiovino, storace dramme tre, macis dramme tre, legno aloè dramme quattro, e pesta queste cose insieme, facendone un bottone in pezza rara di tela bianca, e lo metterai a bollire in una caraffa sufficiente insieme con le sodette acque, e avendo legato il detto bottone con un filo, mediante il quale lo andarai di quando in quando tirando al sommo, lo spremerai nella caraffa; e spremuto, che l’avrai più volte, v’aggiugnerai otto grani di muschio, che sarà ridotta, a perfezione.
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Altra acqua nanfa
Piglia acqua rosa libre dieci, di ramerino libre tre, di gelsomini una libra, di lavanda libre due, di fiori d’aranci uno libra, mezza di fiori di cedro, e una di fior di sambuco, scorze d’aranci secche mezza libra, mezz’oncia di belgiovino, storace calamita mezz’oncia, scorze di cedro oncie due, garofani mezz’oncia, cannella un oncia, una di noci di cipresso, e un’altra di sandali citrini raspati; e di tutte le seguenti cose un manipolo, cioè foglie di lauro giovane, fiori d’aranci, di cedro, e cime di limoni. Piglia insieme ambra grisa grani otto, muschio grani cinque, zibetto grani dieci, e pesta benissimo insieme tutte le cose da pestare; poscia tagliando minutamente l’erbe, e fiori, metti ogni cosa in un vaso vitriato di bocca stretta in infusione nelle sodette acque, e turando benissimo il vaso, sotterralo sotto lo stabio, per venti giorni, in capo de’ quali, lo devi pigliare senz’aprirlo, e metterlo in una caldaia d’acqua a bollire a bagno Maria, e bollito, ch’avrà per mezz’ora, levalo dal fuoco, lambiccalo a poco per volta, in una boccia a bagno Maria, e servalo dopo ben turato a tuoi bisogni, che avrai acqua perfettissima.
Per far acqua d’agnoli
Piglia sugo di rose libre quattro in una caraffa, e aggiugnevi polvere di garofani, di cinamomo eletto, di calamo aromatico, di sandali citrini, di legno aloè, di belgiovino, di mirra gommosa, di storace calamita, dramme quattro per sorte, muschi grani sei, zibetto grani otto, e metti ogni cosa in caraffa benissimo coperta con pasta, applicandola in forno caldo dopo levato il pane, e lasciatala così radeficare, levala, e passala per lambicco, ch’avrai acqua chiarissima, e di grandissimo odore.
In altro modo
Piglierai acqua di fiori d’aranci, acqua rosa, di fiori di cedri, di gelsomini una libra per sorte, e le metterai insieme a stillare con dieci grani di muschio, quindeci d’ambra, otto di zibetto, e sarà cosa mirabile. Si può mettere ancora nella caraffa al sole a radificare per venti giorni, che pure sarà perfettissima.
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Acqua d’agnoli in altro modo molto odorosa
Devi pigliar libre quattro acqua rosa, due di fiori d’aranci, due di mortella, una di trefoglio odorato, una di laudano; e in queste devi ponere oncie due di bolgiovino, quanto una fatta di laudano, due ottavi di macis, di garofani, di legno aloè, e di cannella, e una dramma di spigo nardo, e pesterai tutte queste cose insieme, e le aggiugnerai nel fiasco coll’acque sodette, turandolo benissimo con la pasta, e mettendolo nel forno a bollire lentamente per un ora intiera, lo levarai poscia, e lasciandolo raffreddare lo sgolerai rimettendolo in una caraffa, con mezzo bicchiere di malvagia, otto grani di muschio, otto d’ambra, e ben turata, l’esporai al sole per dieci giorni, adroprandola a tuo piacere.
Per far polvere di Cipro bianca
Devi preparare gusci d’uova, che siano fresche; e dopo avergli molto ben lavati prima con acqua comune, poscia con acqua rosa, gli asciuggherai benissimo, e ne farai sottilissima polvere nel mortaio di bronzo, passandola per setaccio fino, dalla qual polvere ne piglierai due oncie, e altre due oncie di zucchero candido pesto similmente a tutto potere nel medesimo mortaio, e mescolando queste due cose insieme, piglierai quindeci grani di muschio, e dieci grani d’ambra grisa, e fattone sottilissima polvere, gl’incorporerai colle sodette cose, il che fatto devi conservare in bocciette di vetro ben turate, servendone a tuoi bisogni.
Per far polvere di Cipro nera
Pigliansi mosco quercino d’ottobre, ò di novembre, e lavalo molt’, è molt’acque, dopo si mette al sole acciò benissimo s’asciughi, e poscia si lava per sei volte in acqua rosa, facendolo per ogni volta asciugare, e secco benissimo si pesta nel mortaio, e si passa per setaccio, stendendolo sottilmente sopra un velo di cambraia, quale s’accommoda sopra un crivello di rame ben coperto, mettendo il detto crivello sopra un tripiede di ferro alto, con una bragiera sotto, e una pignata con acqua nanfa, e acqua rosa, con garofani, e cannella, pasta di levante, boccie di rose, legno aloè, sandoli, storace calamita, e belgiovino. Quale pignata si fà bollire sopra la bragiera, de modo, che il crivello raccolga tutto l’odore, e se asciugasse la pignata vi si puole aggiugnere altr’acqua di fiori, ò nanfa; e quando vedrasi, ch’abbia preso assai odore, si deve levare, ponendola in una, ò due caraffe di vetro, secondo la quantità della robba. Per ogni libra della sodetta polvere, vi si deve mettere diciotto grani di muschio, e altrettanti d’ambra, benissimo pesti, mescolando ogni cosa insieme a poco a poco nel mortaio di bronzo, e si conserva in una boccia di bocca stretta, acciò meglio si possa turare.
Queste polvere, si fanno di più colori, ma queste sono le megliori.
Fù presentato alla maestà di Apollo, mentre sedea nel tribunale d’Elicona, un libro intitolato il Maestro de’ conviti di Giovanni Francesco Vasselli, il quale dopo essere stato con atto benevole ricevuto, anzi con qualche attenzione trascorso, fù dallo stesso Apolo consignato a due famosi scalchi, che furono al mondo moderno esemplari della loro nobilissima professione, uno, cioè Vittorio Lancellotti, e l’altro Matteo Belloni, ambi usciti dalla famosa scuola del grande Alessandro primo duca della Mirandola, e raffinati sotto la scorta del famoso Aldrobandino, oracolo degli oracoli, decoro del Vaticano, che hà lasciato al mondo inimitabili esempi di prudenza, e di generosità; e comise sua maestà al Belloni, che attentamente alla sua presenza esaminasse quel libro, e che dove ritrovasse difficultà, ne discoprisse i suoi sentimenti al Lancellotti, quale diede la cura della difesa.
Affaticosi il Belloni per mostrare alla presenza di sì gran giudice gli spiritosi motivi del suo ingegno, e dopo attentamente considerate tutte le cose, snodata la lingua alle parole riverentemente proruppe e disse.
Sire, anchorch’io sappia per la sperienza, che tengo di questa professione, le ragioni, e il fondamento, che tiene l’autore di questo libro di molte cose, ch’io sono per dire, nondimeno, perché gl’inesperti imparino, e non abbino occasione di restar sospesi, m’accingo di
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buona voglia alla parte impostami dalla maestà vostra e divisando insieme col signor Lancellotti (sommamente per tutti i rispetti da me riverito) sopra vari particolari di questo libro, ed inteligenza comune, primieramente dirò.
Come io desidero, che s’intenda chiaramente, per qual cagione nomini l’autore questi suoi banchetti, servigi reali, se in essi non v’intervengono le persone dei rè.
Volea il Lancellotti precedere alla risposta, con quattro parole da forbito cortegiano; Ma avvedutosi, che la maestà d’Apollo attendea la spedizione, inchinatosi con riverente silenzio, e volto al Belloni rispose.
Che non avea questa proporzione fondamento d’inteligenza, con la proposta dall’autore; poiché servigio reale, s’intende quello, che è compito di tutte le parti, cioè di trionfi, reffreddi, statue, invenzioni, regali, primi, secondi, terzi, e quarti servigi di cucina, tutti distinti con ordine, frutti, e confetture; che questi sono rappresentati in piatti reali, chiamati con tal nome, non perché servino solo alle persone de’ rè, ma perché sono capaci di corpo, di regali, e di tramezzamenti, per assodare, e amplificare la maestà de’ conviti, e però, ch’abbia adequatamente proposto, con chiamargli servigi reali.
E perché (soggionse il Belloni) nel discorso, che fà del vitello, hà egli fraposte certe cose ordinarissime, che sono note, non solo ad ogni persona, ch’abbia qualche inteligenza di condire; ma agli stessi sozzi di cucina?
Hà ciò egli fatto, rispose perché sendosi proposto di dire quanto si possa fare in un vitello, hà voluto porre le cose anche ordinarissime e note, accioche i poco pratici non abino occasione d’aggiugnere, ò dire, che le abbia tralasciate.
Dubitò similmente il Belloni, per qual cagione nel banchetto fatto a Panzano in occasione del serenissimo di Modana, mettesse l’autore, che le tavole delle dame fossero servite nella stessa qualità di piatti, come quei delle medesime altezze, intendendo, che se pur volea, che fossero servite in piatti reali, e regalati, che quei de’ principi padroni fossero piatti sopra reali, imperiali, con rapporti, regali, solevamenti; e intrecciamenti con maggiore magnificenza.
Ma dal Lancellotti ottimamente fù sciolto il dubbio, con dirgli, che non sono le qualità, ne le quantità delle vivande, che dichiarino le prerogative de’ principi; Ma ben sì i principi stessi, che con la loro presenza qualificano i banchetti, e maggiormente nobilitano quelle vivande, che sufficentemente dall’altre si distinguono, mentre all’uso de personaggi di si alta condizione ne sono destinate.
Non era l’uno cosi pronto alle risposte, che l’altro non fosse egualmente preparato con novi dubbi. Onde soggiungnendo, dimandò,
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perché non facesse espressa dichiarazione l’autore del numero delle cose da porsi ne’ piatti, standoche tanto pontualmente facea menzione di detti piatti.
E chi non sa gli fù risposto, che il numero de’ convitati, serve per norma a quello della quantità delle cose? E se bene questo libro serve d’ammaestramento alle persone non solo in questo servizio sperimentate, ma alle più semplici, e idiote, affermo, che qualunque persona inesperta pure quanto esser si possa, che applichi attentamente alle regole sopra accenate, non potrà in modo alcuno commettere errore.
Parmi, replicò il Belloni, che s’egli hà professato di scrivere dodeci sontuosi banchetti, dovea anche compartirgli fra tutti i mesi dell’anno, e fargli apparire con ordine, come hanno fatto altri con molta lode, che hanno scritto di questa professione, e mostrare gli ordini di condire le cose, conforme le vicende de’ tempi, onde giudico, ch’abbia in questo notoriamente mancato.
Quei (soggiunse i Lancellotti) che scrivono di questa, come d’altra materia, ò che sono inventori del racconto, ò che sono veri relatori dell’accaduto. Hà il nostro autore professato di non defraudare il racconto della total verità, e se bene avrà ordinati a suoi giorni, e fatti altri innumerabili banchetti, ha nondimeno fatto scelta di questi, che saranno forse i più aggiustati al suo genio, e arbitrio, non essendogli preceduta obbligazione di far altrimente; Il che basti per abolire quel titolo di mancamento, quale cosi facilmente avete pronunziato.
Qui prese il Belloni un tantino di modesta alterazione, e rivolto al Lancellotti gli disse. Voi, signor mio, prendete molto acramente le parti dell’autore con risolute risposte alle mie obiezioni; Mà ditemi in grazia, perché ne’ trattati dell’insalate, de’ sapori, e degl’aceti discritti in questo libro, se ne passa egli fuori di quello, che è sua parte, e di quello, che si è proposto nel principio? Per qual cagione fraporre dogmi, e precetti di medico, dove si tratta di scrivere regole di cucina, e di credenza? E che hanno a fare tante invenzioni di profummi, ed acque odorose con condimento delle vivande?
Se bene ò signor Matteo per la pratica, ch’io tengo del valor vostro (disse il Lancellotti) e per la dichiarazione, ch’avete fatta nell’ingresso del vostro discorso, io sò, che possedete meglio di mè tutte queste cose tutta via perché possi nutrirsi abastanza l’appetito de curiosi, dirò brevemente, che quello scalco, il quale non hà intiera cognizione delle cose tanto giovevoli al corpo umano, quanto delle nocive, pertinenti all’uso delle cucine, e credenze, non merita nome di scalco, per i gravi disordini che possono accadere in questo genere, e che però l’autore abbia ottimamente inteso quando ne hà trattato; Seguitando in questa parte il parere degli ateniesi, che voleano fossero gli scalchi medici provetti, come forse avrete notato nel principio del libro
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nella lettera a’ lettori, che in quanto poi all’acque, e profummi, queste sono cose, che non solo non pregiudicano; ma sono necessarie nelle credenze per render odorose, e profummate le biancherie; Onde parmi anche per questo degno di molta lode, e maggiormente per la varietà di tante cose proposte a beneficio comune.
Rimase sodisfatto il Belloni di questa risposta; ma di nuovo in cotal forma si fece sentire. E che noiosa moltiplicità di conditi, di zuccheri, e d’aromati, mi hanno nauseato l’udito, non che corrotto lo stomaco nella lettura di questo libro? A che proposito gettar i tesori in tante statue, in tante invenzioni, che finalmente ad altro non servono, che per un semplice apparato, essendo tutte cose superflue, inutili, fabbricate solo per nutrire la vista, per cibar gli occhi, e che non hanno altro fondamento, che uno spropositato dispendio.
Hò già detto rispose il difensore, esser quello convito reale, che è compito di tutte le parti, cioè d’invenzioni, e statue con ciò che segue, a questa proposta soggiungo, che essendo le operazioni di questo autore, consumate in occasioni di principi grandi, e di magnanimi cavalieri, doveano anche esser compite di tutte le sodette parti, per corrispondere alla grandezza, de’ convitati, e alla splendidezza de’ convitanti.
Mà vedo esser necessario, che con vostra pace, signor Matteo, io insegni come per trè cagioni si faccino le solenità de’ conviti, e è la prima per nobilitar l’occasione con isplendida invenzione, la seconda per godere la conversazione de’ convitati, e la terza per lautamente cibarsi; le quali cose supposte verissime come ne addità la ragione potete amplamente vedere, che non sono altrimente superflui quei ricchi ornamenti, che chiamate dispendi, poiché non si fanno i conviti solo per sodisfare al palato, e contentar l’appetito, ma insieme per ricrear l’occhio colla varietà, e pascere l’intelletto colle ricche, e sontuose maniere.
Udite con molta attenzione dalla maestà d’Apollo tutte le sopradette proposte, e risposte, lasciosi intendere, che tanto bastava, dichiarando, che passasse alla notizia del mondo questo libro, e se ne servisse ciascheduno conforme il bisogno, che lasciasse il superfluo, e grandisse il conveniente chi non avesse avuta occasione adattata al tutto, che s’udissero in Parnaso le consuete allegrezze, e si facessero i soliti trionfi in onore di questo autore, mentre egli in guiderdone d’opra si nobile, e laboriosa, gli consegnava per custodia del suo volume l’eternità.
Finiti di leggere i sodetti avisi, si levò ciascheduno dalla tavola, e con quella compagnia, che più gli aggradiva fece vari discorsi in proposito delle difficultà, proposte, e sciolte avanti la maestà d’Apollo, e restarono tutti con molta curiosità di veder simil’opra.
IL FINE
A
Abondanza in trionfo fatta di zucchero.
Aceto rosato come si faccia perfettissimo.
Aceto di fior di sambuco, e sue virtù.
Aceto di garofani, e modo di farlo.
Aceto di fiori di gelsomini di Spagna, e sue facoltà.
Aceto di fiori di cedro perfettissimo.
Aceto di fiori di ramerino, molto potente.
Aceto di fiori di salvia, e sue virtù.
Aceto di fiori di melarancie, e sue facoltà.
Aceto di cannella fina come si pratichi.
Aceto di muschio singolarissimo.
Aceto d’ambra, e sue rarissime virtù.
Aceto di ginepri come si faccia, e sue qualità.
Acqua nanfa molto odorosa.
Acqua nanfa d’una altra sorte.
Acqua nanfa in altro modo.
Acqua d’agnoli molto soave.
Acqua d’agnoli d’altra sorte.
Acqua d’agnoli in altro modo molto eccelente.
Africa, e sue fatezze.
tagliolini di pasta come si riempino.
Alessandro Magno fatto di butiro, sopra il Bucefallo.
Alessandro primo duca della Mirandola, e sue lodi.
America, e sue descritione.
Amoretti fatti di zucchero, che sosteneano una corona.
Amore in trionfo di zucchero artificioso.
Amoretti fatti di zucchero in atto di ferire.
Animelle di vitello regalatissime.
Antipasti, frutta, e confettura permanenti in tavolo, con invenzione.
Apollo in Elicona.
Aquila di pasta reale in piatto regalatissimo.
Aquila in piatto reale molto artificiosa.
Aquila di zucchero in confettura.
Aquilette di pasta tedesca fritte.
Aquile, che sosteneano cannestrelle di zucchero con fiori.
Arme della città di Bologna di marzapane.
Indice-2
Aranci dolci in rafreddi.
Arco celeste fatto di gelatina trasparente.
Armida, e Rinaldo in trionfo di piegatura.
Archi fioriti di cambraia, con arme di zucchero.
Arpie fatte di zucchero.
Arbori dell’arma del duca di Cerri.
Arbori fatti di zucchero, con vari cuori trafitti.
Asia, e sua descritione.
Atlante fatto di butiro, in trionfo.
Ateone cangiatto in cervo fatto di piegatura.
Azarole come si conservano lungo tempo.
B
Basilico, e sue facoltà.
Bacini d’argento, con varie confetture.
Bacco fatto di zucchero.
Balena fatta di pasta, con un storione sul dorso.
Battelli di pasta dorati con vivande.
Bacini in primo servigio caldo, come si regalano.
Bassotti, con pelle di cappone.
Bianco mangiare ottimamente regalato.
Bietole barberose, e suoi condimenti.
Broccole, e sue facoltà.
bragiolette di luccio come si condiscono.
bragiolette varie della polpa del vitello.
bragiolette di vitello in adobbo molto gustoso.
bragiolette dello stesso in altro modo.
Bulbari del lago di Mantova migliori degli altri.
Butiro finto grasso, in servigio magro.
Bulbari grossi come si condiscono.
Bulbari grossi cotti all’alemana.
Bulbaro in adobbo come si pratichi.
C
Cacciatori con loro arnesi fatti di pasta reale.
Camelli di zucchero con some di vari conditi.
Camelli fatti di pasta, carichi di vivande.
Canoncini ripieni con vitello molto regalati.
Canoncini fatti di pasta sfogliata, ripieni in altro modo.
Cannestrelle fatte di fiori.
Cannestrelle di zucchero ripiene di conditi.
Indice-3
Cannella fina come si conosca.
Canestrelle fatte di fiori di cedro.
Capponi senz’osso come si riempino.
Capponi freddi con zuppa di moscato.
Capponi in piatti reali, coperti gentilmente.
Cappone in insalata, e suoi condimenti.
capo di latte finto, in servigio da magro.
capo di latte come s’accomodi.
Capirotate di cappone, come si facciano.
Capirotate fatte di vitello.
Carpioni in piatto reale regalati.
Cardi in vari modi, e sue facoltà.
Caronte con il remo nella barca fatto di marzapane.
Cassette di pasta reale, con frutti silopati.
Cassette di pasta in forma di rose ripiene.
Cavalieri, in abito di pastori.
Cavalieri, che servivano di sottocoppa.
Cavalieri mascherati in abito alla spagnola.
Cavalieri armati sopra una balena fatta di zucchero.
Cavalieri in maschera, vestiti da mattaccini.
Cavalli barbari corsero un palio.
Cavoli fiori in vari modi, e sue qualità.
Cedri, e modo di conservarli.
Cerbero legato ad un sasso, di marzapane.
Cerere fatta di zucchero, in trionfo.
Cervelli di vitello, in diverse maniere.
Cicoria di campagna, e sue qualità.
Chieppe, cioè lachie in insalata, e suoi condimenti.
Cievalo per farne insalata come si condisca.
Comparti di giardinetti fatti di marzapane.
Conca maritima con Venere, e Amore di zucchero.
Conchiglie di zucchero tiratte da cavalli marini.
Concia del vitello, e vari suoi condimenti.
Conche di zucchero ripiene di conditi.
confettura con invenzione.
Confetture fatte di zucchero.
Cigotto di castrato in insalata.
Colanna fatta di ghiaccio.
Copertoio armato di cannoncini.
Copertori di cordoncini di pasta reale, con arme.
Copertori di piegature con arme dorate.
Corteggio molto numerose di dame.
Cotogni conditi intieri per regalare.
Indice-4
Copertori di cordoncini di marzapane, con arme maravigliose.
Conca maritima con tritoni di pasta.
Cotogni quali siano i perfetti, e modo di conservarli.
Cocodrilli fatti di zucchero, in bacini di confettura.
Crostini di rognonata di vitello per regalare.
Crestoline, e granelletti di pollastri in minestra.
Crostate fatte con agro di cedro.
D
Dame, che servono cavalieri.
Dateri conditi per regalare.
Decreti d’Apollo a favore dell’autore.
Definizione del servigio reale.
Delfini di pasta ripieni di storione.
Dentale, a proposito par varie vivande.
Descrizione del tempio della dea Flora.
Descrizione di musica molto eccelente.
E
Elefante di zucchero in confettura.
Ercole, che sbrana il leone, in trionfo.
Esser necessaria la sontuosità ne’ banchetti.
Europa, e sua descrizione.
F
Fachini di pasta di marzapane carichi di persciutto.
Fagiani, e storione in un piatto medesimo.
Fagiani in minestra reale.
Fagiani lardali con cedro condito.
Fagianotti allo spiedo, con un trionfo molto ingegnoso.
Fagiani molto regalati.
Fagiani, e sue perfezioni.
Fagiani con ale, e code naturali, dorate.
Favola d’Andromeda fatta di piegatura.
Favola del centauro, che rapì Dianira.
Favola d’Alcide con Anteo, fatta di piegatura.
Fegato di vitello, e suoi condimenti.
Fegati di vitello lardati allo spiedo.
Fiori di boragine, e sue virtù.
Fiori di salvia come si devono raccogliere.
Indice-5
Fiori di ramerino, e sue facoltà.
Fiori di basilico come vadino raccolti, e sue qualita.
Fiori di aranci, e sue virtù.
Fiori di sambuco come vadino raccolti.
Fiori di gelsomini di Spagna, e sue perfettioni.
Fiori sparsi dalla dea Flora.
Fortezze di pasta ripiene di vitello.
Fortezze di pasta con riempimento di magro giustissime.
Fortezze di mangiar bianco ingegnose.
Fogliami di pasta reale ripieni di conditi.
Fontana fatta di conditi, che stilla aceto muschiato.
Foglie di lattuche, e sua virtù.
Fogliami di pasta reale gentilmente ripieni.
Fritate d’un uovo, ripiene con polpe di vitello.
Fravole, come si servono.
Fruttiere di confettura.
Francesco d’Este duca di Modana lodato.
Frittate alla spagnola esquisite.
Fummo fatto con liquori acquosi odoratissimi.
Fummo in altro modo molto soave.
Furie d’inferno fatte di marzapane.
G
Galli d’India senz’osso regalati.
Galere fatte di conditi.
Galere fabbricate con fiori ripiene di frutti.
Garofani bianchi in insalata, e sue virtù.
gelatina di vari colori.
gelatina fatta di pesce.
Giove in trionfo di piegatura.
Govi come si servono.
Guglia di ghiaccio con frutti, trasparenti.
Guglia di ghiaccio artificioso.
guanti d’ambra per regalo di confettura.
I
Imeneo fatto di zucchero con face accesa.
Imeneo fatto di zucchero.
Indice-6
Indivia fatta a forza di terreno esserla migliore.
insalata reale in forma d’onde marina.
insalata reale, con molti gustosi ingredienti.
insalata di fiori di boragine, come si condisce.
insalata di fiori di salvia, e modi di condirla.
insalata di fiori di ramerino, e suo condimento.
insalata di fiori di menta, e basilico insieme.
insalata di fiori d’aranci.
insalata di fiori di cedro.
insalata di fiori di sambuco, e sue virtù.
insalata di fiori di gelsomini di Catalogna.
insalata di fiori di melarose.
insalata di radiche, overo remolacci.
insalata di fiori di rucola, e sue virtù.
insalata di foglia di lattuga.
insalata cotta d’indivia, e suo condimento.
Indivia, e sue virtù.
insalata di sparagi, e suoi condimenti.
insalata di cavoli fiori.
insalata di broccoli come si condisce.
insalata di fondi di carciofi.
insalata di cardi, e suoi condimenti.
insalata di lattuga capuccina sotto le brage.
insalata di cipolle cotte, e suoi condimenti.
insalata di lattughina piccola, come si governa.
insalata di cipolle cotte, e suoi condimenti.
insalata di lattughina piccola, come si governa.
insalata di cicoria piccola, e suoi condimenti.
insalata di mazzochi di cicoria, come si condisca.
insalata di meschianza fina, come si raccolga, e suo condimento.
insalata di bietole barbarossa.
insalata di radiche di cicorea, e suoi regali.
insalata d’endivia come si condisca.
insalata di lattugha capuccina, e suoi condimenti.
insalata di cime di dragone, come si condisca.
insalata d’agliolini, e menta, suoi condimenti, e qualita.
insalata di cicoria di campagna, e suoi condimenti.
insalata di scalognette, e cime di serpillo.
insalata di basilico, e finocchio insieme.
insalata d’olive senz’osso, e suoi condimenti.
Insalate di storione arrostito, come si facciano.
insalata di rombi, e suoi condimenti.
insalata di bulbaro cotto alla graticola.
insalata di carpioni, e suoi condimenti.
insalata di trutta, e modo di conciarla.
Indice-7
insalata d’ombrina, e suoi regali.
insalata di salmone, e suo condimento.
insalata di petti di pavoni d’India.
insalata di piedi, e grugni di porco.
L
Lago di Garda produce trotte, migliori d’altri laghi.
Lampredi fritte in olio di mandorle dolci.
Latti, overo animelle di vitello, e vari modi per condirli.
Latti di vitello in pasticci.
Latti, e fegati di storione in piatti regalatissimi.
Lavori di zucchero ripieni con paste di Genova.
Lavoro di pasta, che forma un piatto di molta considerazione.
Leoni di zucchero in bacini, con vari conditi.
Leoncini di pasta, che sollevano un piatto regalatissimo.
Leoncini di ghiaccio per regalo di frutti.
Lepre, e suo raro condimento.
Lepre in insalata, e sue facoltà.
Lepre, come si serve in piatto regalato.
Lingua di vitello, e suoi condimenti.
Lingua di bue in insalata, e suoi capricciosi condimenti.
Lode del cardinale Bernardino Spada.
Lupoli in vari modi, e sue virtù.
Lucci grossi, e modo di condirli.
M
Machina in aria della dea Flora.
Mangiar bianco di pesce cappone.
Manzo in insalata, e suoi regali.
Marte in trionfo di zucchero.
Maschere, che suonano in concerto.
Maschere del mese d’ottobre in Bologna.
Matteo Belloni scalco pratichissimo.
Mazzetti di mortella con ortolani.
Meglioramenti grossi, e suo condimento.
Minestra molto gentile.
Minestra di latte di pistacchi.
Minestra reale di pelle di cappone.
Minestra reale di polpa di cappone.
Minestra di sugo di vitello, e pistacchi.
Minestra reale di polpa di cappone in altro modo.
Indice-8
Minestra reale di fegatelli di cappone.
Minestra reale di ravivoletti fatte di cappone.
Minestra reale di polpe di cappone sfilate.
Minestra reale di riso.
Modo di servire molto ridicoloso.
Monticelli di gelatina per regalare.
Moretti di pasta di marzapane.
N
Navicelle di pasta, con trotte regalatissime.
Navicelle di zucchero con vari conditi.
Navicelle di pasta di marzapane, con gelo di cotogni.
Nereide, e tritoni in onde marine.
Nettuno fatto di zucchero circondato da quattro fiumi.
Ninfe di zucchero ritocche d’oro.
Nocciole, come si conservono, e loro facoltà.
Numero de’ convitati, serve per saper la quantità delle cose.
O
Oca, e sue qualità.
Olio di ramerino, molte prezioso, e sue facoltà.
Olea alla spagnola regalatissima.
Ombrina, e suoi condimenti
Ordine mirabile esercitato in un banchetto.
Orfeo, con animali fatti di piega.
Ortolani, con mortelle verdi dorate.
Orsi fatti di pasta di marzapane.
Ostriche in piatti, con accompagnamenti gentili.
Ostriche in piatti, come s’accompagnano.
Ovato d’invenzione, che formava cinque tavole.
P
Pagnotte ripiene con vitello, e altri ingredienti nobili.
Partenza del cardinale Spada dalla legazione di Bologna.
Pavone di piegatura.
Pasticci in forma di porchette regalati.
Pasticciotti di pasta di marzapane.
Pasticci in forma d’aquile, sfogliati.
Pasticci magri in forma di leoni.
Pasticci di storione molto gustosi.
Indice-9
Pasticci in forma di mostri marini.
Pasticci di magro molto gustosi.
Pasticci in forma di lumaca.
Pasticci sfogliati come si riempono.
Pasticci in forma di cornucoppia.
Pasticci in forma di lepre.
Pasticci scoperti gentilmente ripieni.
Pasticci all’inglese, ripieni senza pasta.
Paste fine sfogliate, fritte.
Pavoni con loro coda regalati d’oro, e d’argento.
Pallade armata in trionfo di piega.
Panzetta di vitello, e suoi condimenti.
Pernigotti in piatti molto regalati.
Pernigotti come si regalano.
Persici, come si conservano lungo tempo.
Peri come si conservino.
Per qual cagione si facciano i conviti.
Petto di vitello, e vari modi per condirlo.
Pescatori fatti di pasta, con loro reti.
Pesce cappone in insalata.
Piatto reale, perché si chiami con tal nome.
Piatto molto regalato.
Piatto in raffreddo regalatissimo.
Piatto regalatissimo fatto a fortezza.
Piatto alla francese fatto dalla coscia del vitello.
Piatto d’antipasti regalatissimo.
Piatti di zucchero.
Piante di mortella, con sopra ortolani.
Pianti di cedri, con fagiani sopra del naturale.
Pietro cardinale Adrobandino di eminentissimo valore.
Piedi di capretti in insalata.
Piccioni ne’ suoi gabbiotti fatti di pasta reale.
Piccioni grossi riempiti frà carne, e pelle.
Piccioni in minestra.
Piccioni grossi in cassette di pasta.
Piramidi di mangiare bianco dorate.
Piramidi di ghiaccio.
Polpa di vitello, in paste sfogliate.
Polpa di starne in minestra.
Polpettoni reali: e suoi condimenti.
Polpettine di vitello molto gustose.
Polpe di luccio in insalata, e suo condimento.
Indice-10
Polpe di dentale in insalata.
Polpe d’occa, e suoi condimenti.
Polpettoni reali, e suoi ingredienti regalatissimi.
Polpettoni molto regalati.
Polvere di Cipro bianca, e nera.
Pollastri in vasi di pasta.
Pollastri nel latte, come si servono.
Pollastrotti senz’ossa, in piatto regalatissimo.
Pollastri d’India, con teste, e piedi dorati.
Pollastre di pasta reale, in atto di covare.
Pomi d’Adamo in salviette regalati.
Porchette regalati con ortolani, e come.
Porchette di zucchero dorate.
Presenza de’ principi illustrare tutte le cose.
Presciutto sfilato in insalata regalatissimo.
Presciutto fritto, fatto di pasta di marzapane.
Profummo molto odoroso.
Profummi diversi odoratissimi.
Prune, e modo della loro conservazione
Q
Quaglie in canestrelle di pasta dorate.
Quaglie regalatissime.
Quaglie coperte con rete di zucchero.
R
Radiche di cicoria, e sue virtù.
Ricotte di magro, che fingeano grasso.
Rognone di vitello in varie maniere.
S
Salviette bagnate in acqua di gelsomini.
Sapore di presciutto, e sue facolta.
Satiri di pasta con barella, carica di vivande.
Sapore d’inchiove, e sue qualità.
Sapore di prugne damaschine.
Sapore di mortella, e sua perfettione.
Sapore di melagrani.
Sapore di fragole.
Sapore di granelle di mortella
Indice-11
Sapore di limoni, e melarancie.
Sapore d’agresto.
Sapore di visciole.
Sapore di persici rossi, e bianchi.
Sapore di nespole.
Salame finto, di pasta di marzapane.
Salviette profummate.
Salviette con fiori diversi.
Salviette piene di gelsomini di Catalogna.
Scalco pratico dover aver inteligenza di medicina.
Scapino comico regalato di quaranta doble.
Scettri, e corone di zucchero calpestrate d’Amore.
Schiena di vitello come si condisce.
Senato di Bologna meritamente lodato.
Serpillo, e sue qualità.
Secreto mirabile per invigorire i spiriti.
Secreto gentilissimo al sodetto effetto.
Selva fatta di piegatura, con Rinaldo, e Armida.
Serpi fatti di zucchero per regalare un piatto nobilissimo.
Sfoglie, come si servono.
Stittimia musica eccelentissima.
Sombrieri alla spagnola molto nobili.
Sottocoppe fatte di zucchero, con varie confetture.
Sparagi in vari modi, e loro virtù.
Starne coperte, e modo di condirle.
Statua della giustizia fatta di zucchero.
Statua della pietà fatta di zucchero.
Statua di zucchero del cardinale Spada.
Starne intiere in minestra, come si cuocono.
Starne molto regalate.
Storione, in vaso di pasta regalato.
Storione arrostito in insalata, e suoi regali.
Storione intiero la metà in bianco, l’altra arrostita.
Storione, e fagiani insieme come si servono.
Storione allo spiedo lardato di grasso porcino.
sugo di castrato valevole in molte vivande.
sugo di vitello valevole per esquisitissime vivande.
T
Tagliate fatte di vitello.
tagliolini di zucchero muschiato per regalare.
tagliolini d’uova, e zucchero per regalare.
Indice-12
Tappeto cremesi ricchissimo.
Tartaruca fatta di pasta con storione sul dorso.
Tavola d’invenzione.
Tavole imbandite in forma di giardini.
Tavola descritta molto sontuosa.
Tazzoni di zucchero dorati con confettura.
Testa di vitello senz’osso, e suoi condimenti.
Testa di vitello in vari modi.
Testa di vitello in casseta.
Testa di vitello regalatissima.
Teste di storione come si servono.
Tempio di Nettuno fabbricato di conditi.
Tenconi di lago, come si condiscono.
Torri fatti di zucchero sopra bacini di confettura.
Tovaglia d’ermesino bianco, con trionfi d’oro.
Tovaglia d’ermesino verde con oro.
Tovaglie poste in fogliami dorate.
Tovaglia disegnata con oro in trionfo a proposito.
Tovaglie di tela d’argento.
Tomaselle, col modo di farle.
Tomaselle di fegato di vitello.
Torta di cigotto di castrato molto rara.
Torta di pistachea regalatissima.
Tortore stuffate, in piatto molto ingegnoso.
Tortore in navicelle di pasta reale.
Torre di pasta riguardevole.
Tordi coperti, e suo condimento.
Torte di pere moscatelle marzapanate.
Torte di conditi con amoretti di zucchero nel mezzo.
Torte d’uova alla genovese.
Torte di vitello.
Torta reale di capo di latte.
Torta reale di persici.
Torta reale di piccioni domestici.
Torta reale di melarose.
Torta reale di cotogni.
Torta reale di nespole.
Torta reale di nespole in altro modo.
Torta reale di sparagi.
Torta reale di castrato.
Torta reale di pelle di cappone.
Torta reale di zucchero, e cipolle.
Torta reale di formento.
Indice-13
Torta di conditi coll’arme di Toscana.
Torte di magro regalatissime.
Tomaselle di fegati di capponi, e suoi ingredienti.
Tortelli fatti alla lombarda.
Torsi di carsiofi in vari modi, e sue facoltà.
Tortore arrostite, e porcellette di mare insieme.
Tritoni di pasta di marzapane sopra delfini.
trionfo della pace fatto di zucchero.
trionfo dell’abondanza fatto di zucchero.
Trotte grosse come si servono.
Trotta grossa in bianco regalatissima.
Trotta grossa, e suo condimento.
V
Varoli come si servono.
Vari modi per regalare il presciutto.
Vasi di ghiaccio con frutti in altro modo.
Vasi di ghiaccio con frutti.
Uccello di rapina sopra d’un arco fatto di zucchero.
Ventricoli d’occa in insalata, e suo condimento.
Venere sdegnata per l’ucciso Adone.
Venere con Amore in trionfo di piega.
Venere di zucchero, che accarezza un leone.
Venere fatta di zucchero
Versi di Torquato Tasso, in onore di casa d’Este.
Vitello in insalata, e suo condimento.
Vittorio Lancellotti scalco celeberimo.
Uova di pasta frolla, con tortore racchiuse.
Uova sparse in zucchero.
Z
Zampette di vitello in varie maniere.
zuppa fatta di sugo di limone delicatissima.
zuppa armata con petti di cappone alla spagnola.
Avisi di Parnaso. Carta 114
Breve trattato del vitello, e suoi condimenti. 1
Banchetto a due piatti reali, fatto del mese di agosto, dall’eminentissimo signor cardinale Ubaldini, agli eminentissimi Capponi, Lodovisio, e Magalotti. 11
Breve pratica d’alcune minestre reali, di molta delicatezza, e sostanza. 15
Banchetto a due piatti reali fatto dal signor Cornelio Malvasia alla sua villa di Panzano al serenissimo signor duca Francesco d’Este di Modana, del mese d’ottobre. 20
Banchetto fatto nel principio di genaio in giorno di sabbato dagli signori Anziani di bologna, alli signori di Collegio, a cinque piatti reali. 39
Banchetto fatto nel fine di luglio dall’illustrissimo regimento di Bologna, a Castel San Pietro, all’eminentissimo signor cardinale Spada, che partiva da quella legazione. 46
Banchetto a quattro piatti reali fatto dal sig. Cornelio Malvasia, nel passaggio, che fece da Bologna il signor duca di Ceri nell’andare a Roma, colla signora principessa Giulia Pica sua sposa, del mese d’ottobre. 79
Banchetto fatto del mese di settembre, dall’eccelentissimo signor duca Alessandro Pico della Mirandola, al serenissimo signor duca Cesare di Modana, e altri principi. 89
Breve trattato del modo per conservare alcune sorti di frutti. 94
Banchetto fatto nel mese di decembre in Bologna dal signor Francesco Maria Zambeccari, per le nozze della signora Cattarina sua sorella. 98
Banchetto fatto per gl’illustrissimi e eccelsi signori Anziani di Bologna, nell’entrata de’ signori di Collegio, sotto il confalonierato dell’illustrissimo signor marchese Ferdinando Riario, nel principio di gennaio, a cinque piatti reali in giorno di sabbato. 39
Banchetto fatto il primo di settembre, per il signor conte Filippo Aldrovandi in Bologna, nell’uscita del suo confalonierato ai signori Anziani, e altri cavalieri al numero di venti, a trè piatti reali. 71
Banchetto per le nozze d’un gran signore coll’intervento di molti principi del mese di settembre a quattro piatti reali. 106
Cena fatta alla Concordia in fine di luglio, dall’eccelentissimo signor duca Alessandro primo della Mirandola nel passaggio, che fece madama serenissima Cattarina Medici duchessa di Mantova a due piatti reali. 29
Cena fatta di carnevale con invenzione, dal signor Cornelio Malvasia in
Indice-15
Bologna a ventequattro dame. 55
Cena fatta di carnevale dal signor conte Astore Orsi in Bologna, a duodeci dame servite da una mascherata. 63
insalata di vari fiori, con loro condimenti adattati. 42
Insalate cotte, coll’ordine de’ loro condimenti. 51
Insalate crude, e modo per condirle. 59
Insalate di pesci freschi, e modo per condirle. 74
Modi diversi per aromatizare gli aceti, e fargli odorosi. 67
Modi da osservarsi, per fare, e regalare varie insalate di carne. 83
Scielta d’alcune torte reali. 25
Vari fummi che si fanno con liquori acquosi, con alcune acqua d’agnoli, e nanfe, odorosissime, col modo di fabbricare la polvere di Cipro bianca e nera. 10
Vari è gustosi sapori col modo di pratticarli. 3