L'apicio

Trascrizione, revisione e edizione digitale a cura di Giovanni Urraci

  • Sottotitolo: overo il Maestro de' conviti
  • Autore: Giovanni Francesco Vasselli
  • Tipo opera: Stampa
  • Tipologia testo: Ricettario + descrizione banchetti
  • Collocazione geografica: Bologna
  • Datazione: 1647
  • Luogo di edizione: Bologna
  • Collocazione (biblioteconomica o archivistica): Disponibile su Google Books
  • Pubblicata il: 06/01/2024
  • Condizioni accesso: Open Access
  • Licenza di utilizzo: https://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/4.0/deed.it
  • Copyright: AtLiTeG
  • DOI: 10.35948/ATLITEG/Corpus/107

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Breve prattica D’alcune minestre reali, di molta delicatezza, e sostanza

Piglierai un cigotto di castrato, e battendolo benissimo metterai allo spiede, e quando sarà mezo cotto, senza bagnarlo, l’anderai passando con un coltello, lasciandolo però nello spiede, e raccogliendo tutto il suo sugo, sino all’intiera sua cottura; levandolo poscia, picherai minutamente parte del medemo cigotto, e mettendolo nel proprio sugo, ch’avrai raccolto, alle brage a soffriggere, v’aggiugnerai panna di latte tanto, che lo copra, zucchero oncie due, polvere di mostacciolo oncie due, uova fresche battute numero trè con un poco d’acqua di fior di cedro, e lasciandolo bollir lentamente, vedrai, che comincierà a stringersi, lo servirai caldo con zucchero sopra, e poco sale.

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Piglierai le sodette cose, e prima lessate, le taglierai minute, e avendo preparato in una pignatta a bollire a fuoco lento oncie otto di pistacchi pesti stemperati con latte di mandorle, e oncie due di zucchero fino per ogni libra della sodetta materia, v’aggiungerai insieme con un poco di butiro fresco le crestoline, e granelli, un poco d’acqua rosa muschiata, con mezza libra di capo di latte, e un poco di sugo di limone; E volendola colorita potrai aggiugnervi cannella, e un poco di farina di pane di Spagna, e quando averà preso corpo, mettendovi alcuni pinocchi freschi confetti, ne farai minestra, e la servirai calda con assai zucchero sopra.

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Farai rifare i fegatelli in brodo, che per quattro minestre dovranno essere almeno dodeci; ma che siano benissimo netti dalla loro amarezza, e mettendogli a raffreddare, piglierai la pignatta con brodo di cappone, né troppo grasso, né troppo magro; e facendolo bollire sù le brage, vi metterai parte de’ fegatelli tagliati in pezzetti minuti; e l’altra parte pesterai benissimo nel mortaio con due oncie di mostaccioli di Napoli, due di pasta di marzapane, una di cedro condito grattugiato, e stemperandogli con il brodo dove saranno a bollire i medesimi fegatelli, gli aggiugnerai nella stessa pignatta; e quando incomincia a bollire, vi metterai due rossi d’uova fresche battute con un poco d’acqua rosa muschiata, e sugo di limone, lasciandola bollire per poco spazio; la servirai calda con polvere di Cipro sopra, e averai minestra delicatissima, e di molta sostanza.

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Piglierai le polpe de’ sudetti quattro capponi parte ne pesterai benissimo nel mortaio; parte ne taglierai a dadi minuti; Con la polpa pestata v’aggiugnerai sei oncie di pistacchi ben lavati in acqua rosa, con oncie tre di zucchero fino, e incorporando il tutto, stempererai questo pistume con brodo magro, passerai ogni cosa per stamigna, mettendolo in pignata a bollire a fuoco di carbone, e ne’ primi bollori v’aggiugnerai le polpe tagliate a dadi, un poco d’acqua rosa muschiata, oncie due pistacchi ammaccati, macerati in acqua di fior di cedro, due rossi d’uova fresche, un poco di cannella fina, con sugo di limone; devi poscia lasciarla bollire, maneggiandola col cucchiaio, e quando vedrai, che sarà vicina a certa spessezza, la servirai nei piatti, con pane di Spagna tagliato nel medesimo modo, ch’averai fatto quella delle pelli d’essi capponi con zucchero sopra.

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Devi pigliar le polpe de’ capponi lessati, batterle minutamente con coltelli, e avendo posto la pignata con brodo grasso degli istessi capponi a bollire su le brage, aggiugnerai alle polpe battute, una libra di capo di latte, maneggiandola sempre col cucchiaio, e lasciandola bollire per un poco lentamente v’aggiugnerai oncie due di semi di melone commune ammaccato, un poco di sugo di limone, un oncia di zucchero fino, e un poco d’acqua rosa ove sia stemperato un pochetto d’ambra, gionta poi a convenevole spessezza, l’imbandirai sopra, e volendola colorita, v’aggiugnerai mentre, che bolle un poco di polvere di mostacciolo, e cannella.

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Sfilerai sottilmente la polpa di cappone, e avendo preparato la pignatta con latte di mandorle, stemperato con brodo magro di cappone a bollire sù le brage di capacità convenevole alla quantità, vi metterai le polpe sfilate, e mescolando sempre col cucchiaio, v’aggiungnerai un oncia di capo di latte, il sugo d’un limone, tre oncie di zucchero fino, e un poco d’acqua rosa muschiata, e così facendolo bollire lentamente, vi anderai mettendo farina di pane di Spagna, tanto, che le dia corpo, e levandola dal fuoco, la servirai calda, con sotto biscotti reali, e sopra zucchero, e cannella.

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Per farne sei minestre metterai quattro starne allo spiede, e senza lardarle, anderai sempre untandole con butiro raccogliendo il loro sugo, e dopo esser cotte alquanto morbide, le smembrerai, mettendo le loro polpe in due parti, una delle quali pesterai finissimamente al mortaio, aggiungendovi oncie sei pinocchiata, due di semi di melone, e una di polvere di mostaccioli; l’altra parte della polpa batterai minuttisima col coltello, mettendola in un vaso a soffriggere con brodo, grasso di cappone, ma poco, di maniera, che la carne superi il brodo; allora stemperarai con brodo di cappone le polpe peste nel mortaio, e l’aggiugnerai nella pignata sodetta a fuoco di carbone, facendole bollir lentamente, v’accrescerai un poco di scorza d’aranci conditi pesta, quattro rossi d’uova fresche battute con acqua rosa, e ne farai poscia minestre, con fette di pan di Spagna ne’ piatti, con zucchero, e canella sopra.

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Piglierai la polpa di due capponi battuta sottilmente con coltelli, e la pesterai benissimo nel mortaio, con oncie sei di cacio fresco grasso, due di pasta di marzapane, qualche cimetta di maggiorana gentile, pepe, zucchero, farina di pane di Spagna, un poco di cannella, e di tutto quanto puoi stimar bastevole; e facendone pasta alquanto duretta, con due rossi d’uova fresche, mettendovi un poco di muschio, macinato nel zucchero, ne farai ravivoletti senza spoglia, alla grossezza d’un oliva, e avendo preparato sù le brage a bollire la stagnata con brodo di capponi, né troppo grasso né troppo magro, in cui sia stemperata pasta di marzapane, vi metterai i ravivoletti a bollire, aggiugnendo   due rossi d’uova fresche, stemperati con oncie sei di panna di latte, quale gionta che sarà a cottura conveniente, servirai calda con zucchero sopra.

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Procura d’aver libre due riso del più candido, e di buon odore, che sia possibile, nettalo deligentemente, e lavalo ben con acqua tepida, mettendolo in vaso vitriato a bollire con brodo grasso di cappone, ma avverti, che resti asciutto, e non brodoso; cotto che sarà, passalo per stamigna, e ritornarlo nell’istessa pignata con oncie sei di pinocchiata pesta, e oncie due di mostaccioli di Napoli stemperati con panna di latte, e aggiugnivi mentre bolle sopra le brage due uova fresche battute, con un poco d’acqua rosa muschiata, e volgendola col cucchiaio, incominciando a stringersi, la servirai calda con zucchero assai sopra.

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Piglierai quattro capponi grassi, ben netti, mettendogli a lessare con sale a sofficienza, ed avvertirai, che non si disfaccino nel bollire, levandogli dal fuoco allora, che saranno intieramente cotti, raffreddati gli spoglierai della loro pelle, e avendo preparato una pignatta di terra vetriata, con brodo grasso di cappone sù le bragie a bollire, vi metterai le pelli de’ capponi tagliate a modo di vermicelli, facendole bollire lentamente; in questo aggiugnerai a poco a poco pinocchiata pesta, con seme di melone senza zucchero, stemperata con brodo magro di peso di mezza libra ogni cosa, e mescolando sempre lentamente col cucchiaio d’argento, o di legno, v’aggiugnerai rossi due d’uova fresche battute, con acqua rosa, in cui sia stemprerata tanto d’ambra, quanto parerà al tuo giudicio. Averai poscia preparati dadi di pan di Spagna benissimo secchi nel piatto, nel quale servirai la minestra con zucchero sopra.

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Per far quattro minestre, piglierai quattro piccioni prima lessati, e gli spolperai con levargli tutte l’ossa, e la pelle, e pestando le polpe benissimo nel mortaio con oncie due mostaccioli di Napoli, e mezza libra di pinocchiata, gli stemperarai con brodo non molto salato, ponendogli a bollire lentamente sù le brage in pignatta vetriata, e maneggiandole sempre col cucchiaio, v’aggiugnerai due uova fresche battute con un poco d’acqua rosa muschiata, e oncie quattro di pistacchi ammaccati, prima macerati in acqua di fior di cedro; e vedendo, che si comincia a stringere, la leverai, servendola calda ne’ piatti con zucchero sopra.

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Devi pigliar una libra pistacchi più freschi che sia possibile, e dopo averli molto ben netti, gli metterai a macerare in acqua rosa muschiata, poscia gli pesterai molto bene nel mortaio con oncie sei scorza cedri conditi, e gli stemperarai con panna di latte, con mettergli nella pignatta, prima passati per stamigna a bollir lentamente sù le brage, e dopo v’aggiugnerai una libra di capo di latte, due uova fresche battute, due oncie zucchero fino in polvere, e acqua rosa ove sia stemperato un poco d’ambra, devi volgerla sempre col cucchiaio, e vedendo, che venghi a spessezza conveniente la servirai calda con zucchero sopra.

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Breve trattato del vitello lattante, e suoi condimenti à parte per parte

Il fegato di vitello, ordinariamente si frigge in distrutto, posto in fette con sale, pepe, e limoni. Evvi chi usa di friggerlo nell’olio e riesce conforme a’ gusti. Piglia il medesimo in fette longhe sottili, che siano state in adobbo, in latte, e zucchero per una notte, involgile dopo in pane di Spagna sottilmente grattugiato, e servile fritte in distrutto, con fette di limoni, e zucchero sopra. Se ne fanno varie sorti di mortadelle in budelli porcini con buona speziaria. Si pone all’alemanna tagliato in modo di vermicelli, cotto in brodo grasso,   maritato d’uova, cacio, e erbette odorose; e s’adopra in vari pastumi, riempir cocuzze, e altre cose. Posto in pezzetti lardati allo spiede, poi servito con salsa bastarda, riesce gradito. Ma molto più ti sarà grato, se lardato minuto, posto intiero allo spiede custodito con fuoco lento, lo portarai all’intiera cottura, con sale minuto, e limoncelli, servito caldo, avendo in altro piatto salsa reale, per servirne a ciascuno, conforme al gusto. Di questo, se ne fanno fegatelli piccoli, che involti in rete di porco, con noce moscata, sale, e pepe suol praticarsi non dispiacevole. Se ne fanno per servigio d’un piatto, tomaselle grosse a foggia di polpettoni, involte in rete porcina, con ingredienti di zucchero fino, midolla, cannella, pepe, garofani, cacio grasso in bocconi, cedro condito in fette, pinocchi, rossi d’uova, grasso di manzo minuto, polvere di mostaccioli di Napoli, cacio parmegiano grattugiato, il tutto incorporato insieme, in quella quantità, che può discerner sufficiente chi francamente opera in questa stimatissima professione.

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Il petto del vitello si serve in bianco con fiori di boragine, petroselli, e erbette odorose. Dopo esser cotto in bianco, si pone alla graticola con crostata di pane, sale, pepe, overo pane, zucchero, e cannella unto benissimo col grasso dalla leccarda, e similmente in tegame nel forno. Riesce ottimo stuffato con un poco di malvagia, e aromati,   aggiuntevi varie sorti di conditi, si riempie di cacio grasso grattugiato, polvere di mostaccioli, salame grattugiato, erbe odorose, grasso di porco battuto, pinocchi, uva passa, pepe, garofani, noce moscata, uova fresche, e un poco di sale, chiuso con filo, si pone a lessare in brodo grasso, e lessato si leva il filo infarinandolo molto bene con farina di pane di Spagna; si frigge in butiro servendolo caldo nella salsa reale. Così ripieno, si pone ancora allo spiede, dove ben percosso di grasso ardente, si serve con crostata sopra, e limoni tagliati. Di questo se ne possono cavar vari servigi, e oltre l’esser ottimo freddo, si può formarne vivanda in fette, regalata con cedri tagliati, pepe ammaccato, e erbette odorose. Se ne possono fare spezzate in fracassata, e pasticciotti brodosi, e la punta di esso petto, levata con proposito, fà uficio gentile in pasticci ordinari, e in altre occasioni, con accompagnamenti opportuni.

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Il rognone del vitello, oltre che riesce ottimamente servito caldo levato dallo spiede, può servire insieme col suo grasso a varietà di vivande. Servirà in fette per riempimento di pasticci, e grossi, e minuti, e parimenti battuto sottile in una tagliata di polpa. Accompagnerà per riempimento di pagnottine, ò pasticci con midolla in bocconi, oltre che levato caldo dallo spiede ben battuto, condito con pepe, e zucchero à sufficienza, con un rosso d’uovo, e un poco di cacio grattugiato, tirato sopra fette di pane rifatto, posto nella padella a fuoco lento, servirà per piatto, ò per regalo, che posto caldo con zucchero sopra, sarà vivanda gentile, e gustosa.

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La coscia del vitello per esser parte molto a proposito, e capace di varie vivande, farà altresì come segue in vari modi notata. Prima di essa coscia, oltre i lessi, arrosti, e stufati, che vi si possono cavare, si può la medesima tirare in una, battuta minuta, con uova, prune di Genova, pinocchi, midolla di manzo, tartuffoli, pezzetti di cedro condito, olive senz’osso, cacio parmegiano grattugiato, e chiudendo ogni cosa in rete di porco, cavarne il riempimento d’un piatto brodoso, che reso condito dalla varietà degl’ingredienti, potrà ottimamente servire. Della polpa di essa, possono farsi bragiolette battute, poi pasticciate; e delle medesime se ne fanno pasticci con grasso di manzo minuto, cannella, garofano intiero, e distrutto, in cassette di pasta, o lavori di mezzo, o tutto rilievo a beneplacito. Se ne fanno bragiolette battute, ripiene con uova, cacio, pepe, erbe odorose, e cannella, che condite in un tegame riescono servite calde. Se ne cavano bragiolette non battute, ripiene dello stesso, che applicate allo spiede, sono sofficienti. Si riempiono copiette della medesima, con petrosello, polvere di basilico, un poco di lardo, e aglio, ogni cosa battuto insieme, posti allo spiede, tramezzati, con fette di lardo sottile. Se ne fanno altre bragiolette battute, poste in adobbo, fritte, e servite con salsa bastarda, calde, e fredde conforme il gusto. Se ne fanno tagliate minutissime, che bollite in brodo grasso con bocconi di midolla, un poco di sale, pepe, e noce moscate, sono di nutrimento gentile. Se ne fanno piccate fredde, e calde, grosse, e minute, in vari modi, conforme i gusti, e le occasioni. Se ne cavano piccole polpettine, accompagnate con bragiolette dello stesso, fondi di carciofi, midolla, brodo grasso, noce moscata, un poco di pepe, agro di limone, e altri adatti ingredienti; Onde viene a farsi un piatto alla francese, che si può regalare con crostini di rognonata, pane fritto, e zucchero sopra. Se ne fanno torte buonissime dopo esser arrostito il vitello, e piccato minuto accompagnato con rossi d’uova, midolla di bue, zucchero fino, scorza di cedro condito battuta sottile, cotognata, capo di latte, polvere di mostacciolo, sale, pepe, e cannella, ogni cosa mista, e la loro pasta dovrà esser frolla, con butiro, e di sopra marzapanata. Di questa compositione se ne possono riempir parimente paste fine sfogliate, tanto da friggersi in butiro, quanto da ponersi in forno. Se ne possono riempire cannoncini sfogliati, e reali, e adattarla a tutte le cose: farne sino tortelli nella pasta bolliti, da condirsi poi con grasso di manzo, e polvere di mostacciolo.   Della medesima composizione se ne riempiono frittatine sottili d’un uovo, e fattone al compimento d’un piatto, acconcie in modo di cannoncini, può servirsi con brodo grasso di manzo, e zucchero sopra. Di questa pure si può fare il corpo al riempimento di pagnottine, prima scrostate, abbeverate nel latte, con accompagnamento di latti di vitello in bocconi, cacio grasso grattugiato, capo di latte, cervellette dello stesso, zucchero, cedro condito grattugiato, uova fresche battute, un poco di polpa della stessa pagnotta, agro di limone, poco sale, e cannella; tirandosi le dette pagnotte poste in tegame, cotte con butiro nel forno, servite con lustro di zucchero alla spagnuola. Di questa polpa gentilmente lardata, cotta allo spiede, minutamente piccata, se ne fanno capirotate, o zuppe spagnuole, accompagnate di cantucci di Pisa, abbeverati in moscato, tramezzati con cacio grasso in fette; rossi di uova toste, panna di latte, polvere di mostacciolo, cocuzza di Genova in fette sottili, profilate di cotognata, bollite nel piatto, con prugne damaschine silopate in zucchero, e altra quantità, e qualità proporzionate d’aromati, che si rimettono alla mano del cuoco prattico. Di questa, battuta in minuto, accompagnata con cocuzza bollita, passata, posta in piatto con ricotta grassa, panna di latte, poco sale, rossi d’uova, polvere di pane di Spagna, zucchero a sufficienza, pepe, e cannella tutto misto insieme, vien a fare un piatto, che unto con butiro fresco, spolverizato di cannella, e zucchero riuscirà mirabilmente. Della coscia del vitello in somma, cotta allo spiede, se bene non intieramente finita di cuocere, se ne cava un sugo sostanzioso, adattato al condimento di qual si voglia vivanda. Avverto io i seguenti ritrovamenti, per chiunque vorrà industriosamente disporre col semplice vitello, anzi con carne, senza carne un servigio reale, ove entrino i maggiori artifici della cucina, e i più rari bocconi che possano inghiottire i più curiosi palati. Piglia tre oncie di sugo di vitello, mezza libra di capo di latte, due oncie di zucchero fino in polvere, un tantino d’ambra stemperata con un rosso d’uovo fresco, unisci il tutto insieme, riempine globetti di pasta reale, mostragli per breve spazio al forno, servigli caldi, sentirai carne senza carne, col più adattato accompagnamento, che possa darsi. Piglia sottilissime bragiolette nette da’ nervi, e da grasso, coprile per lo spazio d’un’hora almeno con fortissimo aceto rosato, lavale, rasciugale, infarinale sottilmente, friggile in istrutto purgato, di modo, che più tosto restino morbide, che arse, mettile in tegame con salsa reale a fuoco lento, per mezz’ora, assaggiale, e troverai condimento incitativo al gusto, e valevole al rendimento dell’apetito.   Piglia la detta bragioletta stata in aceto forte per lo spazio di due hore, e più, se lo concede il tempo, mettila in ramina ben turata con butiro fresco, un poco di noce moscata, pepe, sale, e cannella, lasciala a fuoco lento per lo spazio d’un ora, e avrai vivanda mirabilmente gustosa. Piglia pistacchi mondi, macerati in acqua di fior di cedro, cavane latte, aggiugni per la quarta parte sugo di vitello, zucchero fino tanto, che basti, un bicchiero di panna di latte grasso, due rossi d’uova fresche battute con un poco d’acqua di fior di cedro, poni ogni cosa a levare una bollita sopra le bragie, e avrai una minestra nobilissima, e di grandissima sostanza. Ma passiamo ormai alle animelle del vitello, delle quali, ciò, che si possa fare è indicibile, per esser parte la più rara, e gentile di questo corpo. Per tanto toccherò qualche modo di condirle, per non restare dall’impresa propostami, se non d’arrivare a dire tutto il fattibile, d’accennare almeno la maggior parte di ciò, che possa farsi.

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La lingua del vitello netta diligentemente lessata, lardata, involta in rete, insproccata con garofani, e cannella, si pone allo spiede, servita con salsa reale, e ciò puoi fare d’una, ò più lingue insieme, come ti piace. Le dette insteccate per il longo, bollite poco meno, che cotte, raffreddate, che saranno, le condirai in una stagnata con butiro fresco, e lasciandole soffriggere, vi aggiugnerai un bicchiere di malvagia, sale, pepe, cannella, e noce moscata, e dopo alquanto bollite, v’aggiugnerai zucchero, arancini conditi, battuti col coltello, pezzi di cedro condito, capi d’aglio, prima lessi in rodo, mapetti di finocchio dolce, stecchi di garofano, e polvere di mostacciolo, con aver preparate tante cassette, quante saranno le lingue, che devono essere di pasta frolla, ben cotta, vi accomoderai dette lingue, con la compositione medesima sopra, ben compartita, e te ne servirai, tanto per regalo de’ piatti reali, quanto per sé stesse a formarne un piatto assai lodevole, e grato. Le lingue vagliono in pasticci d’ogni sorte, e dopo esser lesse, spaccate, unte benissimo col grasso della leccarda, involte in pane grattugiato, sale, e pepe, poste alla graticola, si doveranno servire con sugo di limone sopra, e aranci spaccati. Dopo, dico, lesse stuffate in moscato con vari conditi, e speziaria, riescono rare. Lesse, e poi aperte, dorate con uova, e fritte con zucchero sopra, e limoni si servono calde. Pigliale ancora dopo tagliate sottili, ponile in lucerne di carta alla graticola con speziaria, butiro, erbette odorose, e servile, nelle medesime carte, col sugo di limone. Similmente n’avrai onore, poste in tegame nel forno, col medesimo condimento, spezzandole in fracassata doppo esser lesse, poste con pepe ammacato, erbette odorose, cipolle minute, e due melarancie tagliate in fette, con la loro scorza, metti il tutto nella padella con buon distrutto, e sale minuto, ch’avrai un servigio gradito, valevole in ogni caso con vari regali, adattando ogni cosa al suo condimento.

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La panzetta del vitello, si può servire e lessa, e stuffata, e nello spiede, ripiena, come pur anche tagliata in fette per compimento d’un piatto, con pepe ammaccato, limoni, e erbette odorose, e similmente calda in occasione di regalare; le fette d’essa ripiene, dorate in uova, e cacio grattugiato, poi fritte in butiro, possono servire a tutte le forme; e una delle dette, posta nel fondo d’una minestra di cavoli, con due fette di presciutto, formerà cosa lodevole, e di gratissimo condimento.

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Della schiena del vitello se ne possono formar servigi in tutte le forme, come lessi, stuffati, arrosti, e lardati, e senza. Se ne fanno parimente bragiole fiaccate prima benissimo l’ossa, poste in adobbo con aceto rosato, aglio, salvia, ramerino, pepe ammaccato, garofani, e noce moscata; levate poscia dall’adobbo spolverizate con polvere di coriandri, poste alla graticola, servite con limone, e zucchero. Adatta nondimeno più ad essa lo spiede sottilmente lardata, insproccata con garofani, e pezzetti di cannella a fuoco proporzionato, con sale minuto nel fine del condimento; poi servita calda con limoni, e altri lavori, a giudicio di chi ordina, e conforme l’occasione. Della medesima fredda, se ne cavano insalate scartozzate, e piccate, delle quali darò buon conto a suo luogo. Si fanno ancora varie piccatiglie minute, con pezzetti di midolla in brodo grasso, e un poco di noce moscata.

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Il modo ordinario per valersi della testa del vitello, sarà questo. Si bolle in salvietta, servita calda con limoni, e petroselli. Si pone senz’osso ripiena, e il suo riempimento si fà in varie maniere; Fra le quali la seguente, a mio giudicio, sarà reale, e degna di qual si voglia convito. Che però piglierai la testa del vitello pelata, e netta con grandissima deligenza, e rivolgendola in un canavaccio bianco, le fracasserai con un pestello tutte l’ossa; ma con avvertenza di non rompere la pelle; le levarai le cervella, la lingua, e gli occhi, e roversciandola per l’apertura del collo, la renderai purgata, e monda da tutte l’ossa grandi, e piccole, lavandola a più acque con diligenza; poscia con filo le chiuderai   i fori della bocca, e degli occhi, e la riempirai con la seguente composizione delle quali materie ti servirà il giudicio in proposito della quantità, secondo, che vorrai riempire una, o più teste. Piglierai dunque panna di latte, cacio grasso grattugiato, provature fresche tagliate a dadi, midolla di bue, fette sottili di presciutto lesso, pezzetti di lingue di vitello, occhi, e cervella dello stesso bollite, grasso di rognonata, latti del medesimo, pepe, garofano, cannella, cedro condito grattugiato, pinocchiata pesta, un poco di sal bianco, acqua rosa muschiata, butiro, e uova fresche battute; E riempita, che l’avrai con i sudetti ingredienti, cucirai con filo l’apertura del collo, procurando gentilmente di dargli la propria forma, poscia la stringerai bene in salvietta bianca, e in una stagnata a proposito la metterai a bollire in brodo grasso di manzo. Devi poscia avvertire d’aver preparata in altra stagnata netta panna di latte grasso, acqua rosa, pinocchi pistacciati, pasta di marzapane stemperata con latte, cedro condito in fette, zuccata di Genova in fette sottili, pere moscatelle, condite in zucchero asciutte, prune di Genova, uova battute, butiro fresco, e zucchero, e facendo bollire il tutto a fuoco lento, avvertirai quando possi esser cotta la testa; e levandola dalla salvietta, l’aggiusterai nel mezzo del piatto reale, prima unto di butiro, spolverizato di zucchero, e cannella, con fette intorno di pane di Spagna, e levando le fila dalla bocca, occhi, e apertura del collo, le volgerai sopra la detta compositione, aggiugnendo intorno all’orlo del piatto un tortiglione di pasta fina sfogliata, aperto, e ripieno d’animelle, e varie sorti di conditi, ogni cosa con zucchero sopra, polvere di Cipro bianca, e cinamomi muschiati. La medesima, divisa in due parti, dopo esser bollita, sarà gustevole posta alla graticola con crostata di sale, pane grattugiato, e pepe; overo pane, zucchero, e cannella, unta bene con grasso della leccarda. Similmente posta a friggere nella padella con sopra una salsa acetosa. Di questa si possono cavar certi bocconcini di latti, e grassumi gentili, che con l’occhio dello stesso vitello servono per riempimento di pasticcietti col loro ordinario condimento, e accompagnamento adattato. La medesima riempita di variata composizione, si può stuffare alla francese in buona malvagia, con speziarie convenienti, e quantità di conditi; poscia servirla col regalo delle lingue, e cervellette, condite come dirò a suo luogo, e formarne piatti reali, degni d’ogni lauto imbandimento. Dopo dico d’essere spaccata in due parti levatene l’ossa, indorata con uova, e polvere di mostacciolo, fritta in buon distrutto; si mette con zucchero sopra, e limoni tagliati. Se ne fà parimente fracassata con erbette odorose, e frutti di tutte le sorti. Similmente riesce perfetta dopo lessa, posta in pezzi fritta con odorifera marinatura.   Spolpata gentilmente se ne fanno piatti alla francese con brodo grasso, aggiugnendovi qualche polpettina, o bragioletta, cervella, pinocchi pistacchiati, buona speziaria, e a suoi tempo con punte d’aspargi, o fondi di carciofi, che riescono di proposito. Aggiugno per ultimo, che la detta testa divisa, cotta in bianco, levatene l’ossa, fritta nella padella con butiro, sale, pepe, e erbette odorose minute, servita con una frittata sopra all’imperiale, fatta con chiara d’uova, panna di latte, e zucchero, regalata intorno con biscotti reali, e sopra con fette di cocuzza di Genova; formerà un piatto, ch’oltre l’esser grato per il condimento, potrà per la nobiltà del regalo, servire ad ogni grande occasione.

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La trippetta del vitello ridotta a perfezione di candidezza, e odore ben cotta in brodo grasso, posta in minuto, accompagnata con salame, e cacio grattugiato, pepe, e cannella, servirà per fare, una zuppa, che fatta con un fondo di essa composizione, e un altro di fette sottili di pane, e così sino al riempimento del piatto, in cui bollita con brodo grasso, riuscirà non in tutto spiacevole. Serve per minestra tagliata sottile, bollita, e cotta con erbe odorose poscia maritata con cacio, e uova. Riesce stuffata con sale, pepe, garofani, e noce moscata, con un poco di malvagia, e alcuni conditi in fette, servendola con pane fritto dorato in uovo, e melarancie tagliate. Lessata prima, poi tagliata nelle parti più grasse, serve in pasticci brodosi, accompagnata con polpa di   vitello tagliata, e polpettine dello stesso. Sarà ottima battuta in minuto, con accompagnamento convenevole per riempire la testa, e la panzetta del vitello; E la medesima composizione involta in rete, cotta allo spiede, servita calda, con melarancie intorno, sarà di molta sodisfazione. Ponila finalmente in pezzetti nelle parti più sode, dopo esser lessata, allo spiede nella carta, con fette sottili di lardo, sale, pepe, e polvere di basilico, sentirai quasi lo stesso delle animelle, e potrà servire comodamente per regalare i piatti, e per accompagnare fritture grasse di tutte le sorti.

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Le zampette sono buone, cotte in bianco, con petrosello, e servite calde. Si possono soffriggere nella padella con distrutto, e servirsi con forte aceto, e aglio ammaccato sopra. Si mettono similmente fritte, prima bollite, e con salsa sopra di zucchero, aceto, e aromati, e si riempiono di variate composizioni, a beneplacito. Sono buone nel mosto cotto, servite con aceto garofanato, e zucchero sopra. Se ne fanno gelatine di vari colori, facendo bollire, e consumar le zampe, ma che siano prima ben nette, e purgate, in vin bianco, e aceto, con zucchero, sino, che venghino a perfezzione di gelo, passando il detto gelo per calza, acciò divenghi chiaro dandogli il colore a beneplacito; o con zaffrano, o latte di mandole, o cannella, o con sugo di buoni erbaggi, quale aggiustato ne’ piatti, o con altre zampette sotto, o senza, si mettono a gelare in luogo freddo, e riescono molto grate, e gustose. Volendo il detto gelo aromatizato con speziarie, piglierai garofani, pepe, cannella, e noce moscata, delle quali farai in una pezza di tela un bottone, e lo farai bollire insieme con le zampette nel vino, e aceto; Servono anche fredde spaccate con aceto forte, e pepe ammaccato sopra. E dopo esser lessate poste alla graticola, con pepe, pane, e sale, servite calde con limoni, o salsa bastarda, riescono gratissime al gusto.

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Servonsi l’animelle di vitello nello spiede lardate, con salsa reale, o senza, conforme al gusto. Pongansi le dette, partite in bocconi, poste nella carta allo spiede con un poco di cannella, sale, pepe, e due lardelletti sottili. Friggansi nella padella gentilmente, e servansi con sale, pepe, e limoni. Stringile poste in bocconi in brodetto, con rossi d’uovo fresco, zucchero, e agro di limone. Accompagnale ad ogni vivanda composta, che per tutto saranno ottime, e gradite. Fanne pasticci, accompagnati con bocconi di midolla, tartuffoli, pinocchi, e speziaria conveniente. Mettile ne’ piatti in bocconi, con fondi di carciofi, di cardi, e altri adattamenti gentili, condite nel butiro. Questo in somma riesce a tutto, in tutte le forme, e nobilita qual si voglia pasticcio di carne.

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Le cervella del vitello si possono accomodare in varie maniere. Servono calde in bianco, con petrosello, fritte in buon distrutto, dorate con uova; e in pasticci, tagliate in bocconi, con suoi dovuti ingredienti. Se ne cava un corpo per sapori sostanziosi, con rossi di uova toste, cedro condito, cotognate, sugo di limone, e polvere di mostacciolo. Accompagnate con uova, cacio, e pane trito, erbette odorose, poco sale, pepe, e poca cannella, se ne fanno gnocchetti, i quali cotti in brodo grasso di cappone, servono per una gentile minestra. In pezzetti tagliati ben involti con cacio grattugiato, e uova, poi fritte in butiro, sono in luogo di frittelle molto saporose, le quali possono anche servire per regalo d’un piatto di qual si voglia natura. Lessate le detta cervella, poste con capo di latte, zucchero, e uova battute, servono per far torte regalatissime con butiro in pasta frolla. Servono pure in minestra, se con latte di pinocchio, butiro fresco, zucchero, cannella, acqua rosa, rossi d’uova si fanno cuocere a fuoco lento. Si tagliano in fette, s’involgono in rete di porco, con zucchero, cannella, e pepe, poi fritte si servono calde con zucchero sopra, e sugo di limone, prima lessate, battute minutissime con erbette odorose, uova, cacio, speziaria, e latte; se ne fanno frittate nel butiro molto gustose. Se ne cavano tartare dopo lesse le cervellette peste sottilmente con pinocchiata, miste con acqua rosa, zucchero, cannella, uova fresche, butiro, e panna di latte, che sono isquisite. Sono ottime per riempir cannoncini sfogliati da friggersi in butiro fresco, accompagnate, e peste con cedro condito, zucchero, cannella, e midolla di manzo. Se ne fanno ravivoli piccoli con pasta di marzapane, midolla, cacio grattugiato, erbette odorose, uova battute. Se ne riempiono cipolle, prima lessate, accompagnate le cervellette, con butiro, zucchero, e speziaria; e si cuocono in tegame con butiro. Servono finalmente per riempire   paste sfogliate, con pinocchi ammaccati, rossi d’uova tosti, e conditi di tutte le sorti.

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Insalate cotte coll’ordine de’ loro condimenti

Le foglie dell’endivia, ò suoi caspetti, vanno cotti come la lattuga, e l’istesso condimento dell’una, serve parimente per l’altra; devi solo avvertire, che l’endivia sia bianca, e benissimo purgata dalla terra, perché non è tanto sonnifera. L’indivia è aggradevole allo stomaco, e mangiata cotta alleggerisce gli ardori del medesimo. [Dioscoride li. 2 c. 131]

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Le radiche delle sodette bietole, si trovano in molta copia negli orti di Toscana. Vanno cotte lesse con acqua, vino dolce, sale, e aceto; cavatele dall’acqua, si mondano dalla loro prima pelle, e si fanno in fette sottili, mettendole in un tegame sù le brage, con olio, sale, e pepe ammaccato; soffritte, che saranno un pochetto vi si aggiugne aceto forte, mosto cotto, un poco d’uva passa, e si servono calde, regalandole intorno al piatto con zibibbo bollito in malvagia, e cedro condito asciutto grattugiato, con zucchero sopra. Queste dopo esser lesse in acqua schietta, tagliate in fette s’infarinano, si friggono in olio buonissimo, e si servono con pepe, cannella, e sugo di limone; regalandole con mezzi limoni, e zucchero grattugiato sopra. Questa radica genera sangue grosso, e flemmatico con dura digestione.

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Vanno i broccoli cotti come gli sparagi, e conditi né più, né meno, con aceto però d’anisi, e pepe mezzo ammaccato. Si fanno ancora friggere come gli sparagi, servendogli caldi con pepe sopra, e melarancie, ò limoni tagliati: non volendovi mettere aceto, gli servirai con sugo di melarancie, che saranno più dolci al gusto; ma saranno più nocivi allo stomaco. I cavoli tengono tutti una facoltà medesima, non vi essendo altra differenza, che i gusti.

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Sono buoni, e saporosi i cardi; si mondano benissimo, e si vanno gettando in acqua fresca; finiti di mondare, vanno lessati con sale, e poscia rimessi nell’acqua acciò deponghino ogni verdume, dopo gli asciugerai benissimo, e volendogli in insalata gli taglierai minuti, mettendogli in piatti con olio, pepe, e aceto garofanato. Il suo regalo saranno fette sottili di composta di melone, benissimo ritocche con oro, e volendogli tartuffolati, dopo lessi, gli taglierai come sopra, con ponergli in tegame insieme con olio, sale, e pepe a soffrigere sopra le brage; e volgendogli col cucchiaio, gli aggiugnerai sugo di limoni, ò melarancie; e gli servirai caldi sopra fette sottili di pane rifatto, posti in piatti con aranci spaccati intorno. Questi sono caldi nel fine del secondo, e nel principio del terzo ordine, e secchi nel secondo. [Galeno 8 della Facoltà de’ semplici] Disoppilano il fegato, provocano l’orina, riportano l’appetito presto, ma danno cattivo nutrimento.

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Si devono raccogliere le loro ombrelle, che fanno, e lessarle come l’altre insalate, con avvertenza di lasciarle bollire assai, cavandole poscia, e gettandole in acqua fresca, si pelano dalla loro scorza, si partiscono col coltello, e accommodandogli ne’ piatti, si condiscono con aceto muschiato, olio assai, sale, e pepe mezzo ammaccato. Si regalano intorno al piatto di scorze di aranci conditi ritocchi d’oro in caso di banchetti, come si deve usare in tutte l’altre insalate. Questi cavoli dopo lessi, si fanno friggere con olio, sale, pepe, e sugo di melarancie, servendogli caldi; e se ne fanno ancora minestre rarissime, e da grasso, e da magro. Cosi questi, come tutti gli altri cavoli, sono lubrici, e la loro natura è fredda, e secca nel primo grado, e perciò generano cattivo sangue, e nuocono a’ malenconici. [Dodoneo Ist. delle piante lib. primo par. 3]

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Piglierai cipolle delle più dolci, che sono ordinariamente piatte, e larghe, e cotte che saranno sotto le brage; le mondarai benissimo, e taglierai sottilmente, mettendole in una pignatta, con mosto cotto, aceto di fior di cedro, overo cannellato, con un poco di sale, e pepe mezzo ammaccato, le applicarai al fuoco, facendole bollire lentamente per breve spazio; Si servono calde ne’ piatti, regalate con prune secche damaschine bollite in vino, zucchero, e cannella, con sopra zucchero grattugiato. Delle cipolle se ne fanno buone minestre; Si riempiono; e condiscono in varie forme, come potrai vedere amplamente nell’ordine de’ conviti. Queste sono ventose, e commovono dolori di capo.

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Piglierai della lattuga capuccina la più stretta, che potrai avere, nettandola bene da quelle foglie cattive, con lavarla, e sgocciolarla diligentemente; devi poscia a foglia a foglia mettervi olio assai, un poco di sale, garofano pesto e noce moscata, e pigliando carta benissimo unta d’olio involgerai in essa i caspi della lattuga, intorno alla detta altre carte, e stringendola con legarla benissimo la seppelirai sotto le brage; e quando ti parerà, che sia cotta, la dovrai cavare con diligenza, e levandola netta dalla carta, la disporrai ne’ piatti, con cannella sopra, aceto garofanato, e zucchero assai, con alcuni granelli d’uva passa   bollita in vino. I suoi regali saranno, torsi di lattughe condite. Quest’erba rinfresca; provoca il sonno; genera assai latte, e è buona per quei, che non ritengono il cibo.

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I lupoli, sono buonissimi in insalata, si cuocono come gli sparagi, e nel medesimo modo si condiscono. Vi si aggiugne solo un poco di mosto cotto; si friggono in olio, con sopra sale, pepe, e melarancie; e se ne fanno torte, e minestre, che riescono molto buone, e da grasso, e da magro. Questa insalata è molto salutifera, e buona ai corpi umani, solve valorosamente le colere gialle, purifica, e chiarifica il sangue le sue infiammazioni, vale al trabocco del fiele; sana particolarmente i mali della cotica, e in somma non si può bastantemente lodare, onde consiglio a mangiarne, per la grande utilità, che ne rende. [Dodoneo nell’Ist. delle piante l. 3 par. 3]

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Le radiche di cicoria, vanno cavate dalla terra, e molto bene lavate, e nette, cavando loro la midolla, che è cosa durissima, cattiva, e cotta, e cruda. Si mettono poi in acqua fresca, acciò venghino molto più candide, e perdino affatto la loro amarezza. Volendole cuocere, ne farai mazzetti legati, e gli getterai a bollire in acqua nettissima; cotte che saranno, le rimetterai nuovamente in acqua fresca per un poco, acciò si conservino bianche; poscia le leverai disfacendo i mazzetti sopra panni bianchi, con lasciarli sgocciolar benissimo, e volendone   far insalata, potrai ne’ piatti formarne animali, imprese, figure di tutte le sorti, e capricci a tuo beneplacito; riempiendo i vacui con pistacchi lavati in acqua di fior di cedro, pinocchi in acqua rosa, uva passa bollita in vino malvatico. Interzerai detta insalata con profili di cedro condito asciutto, e con fette di persicata poste a proposito; regalando l’orlo del piatto con la medesima radica condita in zucchero, con acqua di fiori d’aranci, e muschio, condendola con aceto muschiato, e sale, avvertendo di toccar benissimo detta insalata d’oro, e d’argento; massime in occasione di banchetti.

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Gli sparagi si devono cogliere senza rugiada; e fattone mazzetti si gettano a cuocere in acqua bollente, salandogli a sofficienza, ma si deve avvertire, che non si cuochino troppo, perché vogliono essere un poco tenaci al dente, levati dall’acqua bollente, vanno gettati; in acqua fresca, a fine che perdino il lor odore di verdume, si sgocciolano, poscia molto bene, mettendogli ne’ piatti conditi con olio assai, pepe ammaccato, poco sale, con aceto garofanato. Il loro regalo sarà intorno al piatto fiori di borragine, ò di buglossa ( perché rallegrano il cuore, e la vista) con fette di cedro condite in zucchero asciutte. I veri sparagi sono quei, che nascono in Lombardia nel territorio della Mirandola, Mantova, e Verona; e oltre, se ne fanno   altre gustose vivande. Dopo lessi, si friggono in butiro, con sale e pepe, e sugo di melarancie sopra.

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I torsi de’ carciofi, dopo esser netti dalle lor foglie, e dal pelo, e fatti lessi, si devono tagliare in fette sottili, condirgli con olio, sale, e aceto rosato; Si regalano delle loro gambe longhe lesse, unte in olio poste alla graticola, ò fritte come ti piace; Sono ottimi tartuffolati serviti caldi con melaranci e partite. Vagliono in pasticci, e minestre grasse, e magre, e in ogni occasione sono opportuni. Si riempiono di vari ,e gentili componimenti; E se ne regalano piatti. Questi sono caldi nel fin del secondo, e nel principio del terzo, e sono secchi nel secondo ordine. Sono duri nella digestione; il loro nutrimento non è buono, e generano umori melanconici. [Castor Durante nell’Erbario]

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Per far’insalata cotta di foglie di lattuga, avrai acqua netta preparata al fuoco; e quando incomincia a bollire, vi metterai le foglie sodette legate in mazzetti, e sentendo che sia cotta, la levarai, ponendola per un quarto d’ora in acqua fresca, levandola poscia dall’acqua, la stenderai sopra un panno bianco, stringendola con destrezza, a fine, che resti benissimo scolata; la metterai ne’ piatti, componendone armi, rose, stelle, ò altri capricci, conforme ti caderanno nella mente; e accompagnandola con uva passa bollita in vino, la condirai con poco olio, e con aceto di fior di cedro. Devi però salarla a sofficienza, mentre bolle nell’acqua. Il suo regalo saranno torsi di lattuga conditi, e zucchero sopra. La lattuga è freddissima, e sonnifera; nuoce alla vista, e genera cattivo sangue; ingrassa nondimeno il corpo, e resiste a’ veleni. In minestra riesce gustosa, e è meno nociva. [Castor Durante, cap. della lattuga]

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Insalate crude, e modo per condirle

Piglierai l’aglietto fresco piccolino, e tagliando via le frondi, le minuzzerai benissimo, mettendovi menta romana, e l’acconcierai con olio, sale, e aceto rosato. Quest’insalata si fà per curiosità; ma non già perché sia in uso; l’aglio è calido, e ventoso, turba il corpo, e nuoce grandemente alla vista; vale nondimeno a gl’idropici, e chiarifica la voce. La menta romana è calida, rallegra il cuore, conferisce al gusto, e fà buon sangue.

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Sono le olive delicatissime a mangiarle nella loro concia, senza frangerle. Ma perché usano alcuni quest’insalata d’olive senz’osso, non hò voluto mancare di porla in questo mio breve discorso. Piglierai dunque le olive, e le anderai ammaccando con diligenza fra due pietre vive; e cavatone l’ossa, le metterai in aceto, e ponendole ne’ piatti, le condirai con olio, aceto rosato, e pepe ammaccato, regalandole intorno con fettoline di cedro, o limone.

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Raccoglierai le foglie del basilico così intiere, e le metterai in acqua fresca, senza molto manegiarle, per esser tanto tenere, e fragili, e v’aggiugnerai mapette tenere di finocchio, lavando bene ogni cosa, le sgocciolerai dall’acqua, e ne farai insalata, accomodandola, con olio, aceto garofanato, e sale a bastanza, regalando il piatto di cime di cedro condite, con zucchero sopra, ritoccando d’oro le dette cime. Ama ancora quest’insalata la scalognetta verde, e per questo alcuni gliela servono di regalo, che veramente al gusto è buonissima; ma è tanto più nociva al corpo. La facoltà del basilico credo averla detta nell’insalata de’ suoi fiori; ma dirò ancora, che’l sugo del basilico misto con vino, disecca le caligini, e i flussi degli occhi; tirato per il naso, scarica la testa; e il suo seme bevuto in vino, giova a quei, nei quali si generano umori malinconici; Con tutto ciò ti consiglio ad astenerti di mangiarne, per esser cibo molto duro da digerire.

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Si raccoglie ne’ terreni lavorati la cicoria, quale nel mese di febraro, e di marzo è molto bianca. Devi dunque nettarla benissimo, e lavarla, lasciandola in acqua fresca per un ora, e asciugandola bene, accomodarla ne’ piatti, con olio assai, sale, aceto di fior di cedro, e zucchero sopra; v’aggiugnerai per regalo in tempo di foresteria radiche di cicorie condite dorate, con alcuni fioretti di boragine per di sopra, e cappari di Genova. La cicoria è refrigerativa negli ardori dello stomaco; Si può bere della sua acqua con zucchero rosato, overo agro di cedro la mattina a digiuno; essendo molto utile a quelle ardenti sete, che per catarri salsi, e adulti si generano.

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Si coglie la cicoria piccolina come l’antedetta lattuga, và tenuta nell’acqua fresca, e dopo benissimo sgocciolata, posta ne’ piatti con aglietti piccolini, tagliati un poco longhetti, e si deve condire con olio assai, sale quanto basti, e aceto di fiori di ramerino; và regalata con mapette di finocchio fresche; si può condir parimente senz’olio, con zucchero sopra assai, e regalarla con cime di detta cicoria, condite in zucchero asciutte. Quest’insalata è gustevole al pallato, e salubre al corpo. Non intendo però di lodarla, né tampoco di biasimarla per non aver in sè quella virtù, che le farebbe bisogno.

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Si colgono le cime del dragone, e lavate benissimo si mettono ne’ piatti, e si condiscono con olio, sale, e aceto comune, che per esser egli d’acetosissimo sapore, non occorre altro aceto aromatico; si serve con zucchero assai sopra, regalandolo con fetteline di cotognata dorata, toccando benissimo d’argento il dragone in tempo di foresteria. Quest’erba è calidissima, fà buonissimo stomaco, e accende l’appetito; ma è di dura digestione, riscalda le reni, e genera cattivo sangue.

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Della lattuga capuccina, farai elezione della più stretta, lavandola con deligenza, la partirai, in trè, ò quattro parti, e la metterai ne’ piatti col taglio volto di sopra, con olio, sale a sufficienza, con aceto rosato; regalerai quest’insalata con trapassarla di fettoline tagliate, e lardetti di tarantello, overo con aglietti teneri tagliati a misura, co i quali si possino trapassare da una banda all’altra i pezzi della lattuga. Potrai toccarla d’argento, e mettere intorno l’orlo del piatto fettoline di bottarga, tramezzate con altre di cacio parmegiano. Sono infinite le maniere per adoprar questa lattuga essendo molto valevole in minestre, in coprir piatti, in torte, con riempimenti, e accompagnamenti opportuni.

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Vuole esser colta quest’insalata con le sue radichette, quando commincia a spuntar dalla terra; si deve lavar benissimo, e sgocciolata gentilmente dell’acqua, si mette ne’ piatti con poco olio, poco sale, regalandola con fettoline di torsi di lattuga conditi in zucchero, con aceto di fior di cedro, e zucchero assai, quest’insalata è molto signorile, e gustosa, meno nociva della grande, e più saporita.

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Questi vogliono esser colti di fresco, e diligentemente mondi, e pelati, si fanno stare per un poco in acqua fresca. Devi avvertire, che siano teneri, e gli accommoderai intieri ne’ piatti, con olio, sale, e aceto di fior di salvia, overo di ramerino, con zucchero assai, mettendovi intorno all’orlo radiche di cicoria condite in zucchero; sono ottimi alla bocca, e tengono la medesima facoltà delle loro piante.

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Quest’insalata è cosa tanto nota, che tutti ormai la fanno raccogliere, e seminare ne’ loro orti. Il coglierla però fina, non è cosa tanto comune a tutti; ma solo de’ buoni giardinieri, che professano di mantenerla ne’ loro giardini. Piglierai dunque per comporla di tutti i seguenti erbaggi, e fiori: cicoria piccolina, pimpinella, dragonello, erba stella, ruccola, acetosa, melissa, borragine, lattughina piccola, cime di serpillo, menta romana, e basilico, foglie di fior d’ogni mese, di borragine, di buglosa, di ramerino, e di salvia, e cosi farai una mescoalnza bonissima, e in loco dove vi siano melarancie, e cedri, vi aggiugnerai de’ loro fiori, e cimette, onde farai un componimento soavissimo, e riducendo l’odore, il sapore, e la virtù di molte erbe insieme, la frigidità dell’une, stempererà la calidità dell’altre, di modo, che non sarà nociva, se non sarà utile. La devi molto ben lavare, e sgocciolarla dall’acqua, condirla ne’ piatti con sale, olio assai, e aceto rosato, con zucchero sopra, regalandola con aglietti piccoli, cipollette tenere, ò scalognette fresche. Non dirò altro della proprietà di quest’erbe, avendone detto della maggior parte a suo luogo.

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Le scalognette in erba, vogliono esser monde dalla loro prima pelle, e levandole quelle foglie cattive, c’hanno intorno, si tagliano minute, e si gettano in acqua fresca, con cime di serpillo, si mettono poscia nel piatto condendole con olio, sale, aceto cannellato, con un poco di pepe mezzo ammaccato, regalando il piatto con fiori di boragine. Quest’insalata è gustosa, ma si deve usar rare volte, per esser cibo dannoso alla testa, e di pessimo nutrimento.

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Devi cercar d’avere sempre endivia della più bella, fatta a forza di terreno, e non di stabbio, per esser quella molto più sana, saporosa, e al gusto delicata, netta, che l’avrai, se i capi d’essa fosero grandi, devi partirgli in due, ò trè parti, come più ti piace, e gettarla in acqua fresca, perché venghi e più netta, e più bianca; la sgocciolerai poscia benissimo, acciò meglio si senta il suo condimento, e la condirai ne’ piatti, con olio, e sale assai con aceto cannellato, overo di fiori d’aranci, potrai trapontare i suoi capi, con inchiove di Genova, e metterle pepe ammaccato sopra regalandole con zucchero assai, e qualche grannello di melagrano. Il suo regallo sopra l’orlo del piatto sarà di qualche fettolina di solmone cotto, ritoccando benissimo ogni cosa con oro in tempo di banchetti. Accompagnarai questo, con radiche tenere, ma in altro piatto, con le loro fogliette verdi dorate, servendole con sale intorno. Non dirò dell’endivia, avendone parlato a bastanza dell’insalata cotta.

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Insalate di pesci diversi, e vari modi per condirle

Se nè pigliano nel lago di Mantova di grosissimi, che sono buoni, grassi, e migliori di tutti gli altri, che si pescano negli stagni di Lombardia, e se bene nelle valli di Ferrara, ve nè sono de’ grossissimi, non sono però di tanta bontà, e si mettono alla graticola come il luccio, cavandogli prima le interiora con poca apertura, e nettandogli benissimo, dalle squame, si deve bagnare con bonissimo olio, spolverizare, con zucchero, fiore di finocchi, e sale, e cosi s’applica alla graticola, tenendolo morbido con olio, e malvagia insieme, voltandolo spesso. Cotto, che sarà, si mette in addobbo, fatto con aceto cannellato, zafrano, foglie di ramerino, salvia, e un poco d’aglio pesto benissimo, con pepe, noce moscata, e garofani. Raffreddato, che sarà in questo addobbo, metterai le sue polpe nel piatto, condendole come lo storione, e col medesimo regalo.

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Sono i carpioni delicatissimi, e frà gli altri pesci tengono a giudizio mio il primo luogo, essendo la lor polpa delicata, di grandissimo nutrimento, e meno nociva di quella degli altri pesci; oltre, che lascia in bocca a chi se ne mangia per lungo spazio il proprio odore, e fà buon fiato. Questi si pigliano solo nel Lago di Garda. Per farne insalata si devono friggere, e se saranno grossi dargli prima due tagli per il lungo della schiena con il coltello, dopo fritti in buono olio, si mettono sopra una tovaglia acciò si sgocciolino bene, e mentre sono cosi caldi; Se gli applica sopra sale trito, pepe, garofani, e noce moscata, coprendole con foglie di mirto, e di lauro, e raffreddati, che saranno, si tagliano le loro polpe in fette sottili, e si condiscono con aceto di fior di cedro, overo di mortella, e olio, con zucchero sopra, intorno fette di cedro, e di limoni sottili. Non occore imbrogliar questo pesce con regali, essendo che per se stesso è regalatissimo, infinitamente odoroso, gustoso, e gentile.

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Il dentale è nobilissimo pesce, e per farne insalata, vuole esser lessato in buono aceto; acqua, sale, un poco di gengiovo e zafrano. Dopo si cava, e s’accommodano le sue polpe, ne’ piatti come il luccio, usandovi aceto garofanato, e intorno al piatto per regallo, zibibo, e gengiovo conditi; il suo vero mangiare è in gelatina fatta alla   schiavona, con aceto, acqua, sale, e zafrano. In vari modi si condisce, e se ne fanno nelle cucine vivande molto gustose.

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Alle chieppe si cavano le interiora senza aprirle, dopo si pongono a lessare, acconciandole nella medesima maniera del luccio. Questa sorte di pesce è molto gustoso, sè bene contiene in sé un infinità di spine delle quali si deve guardare, sfilandole con diligenza; si pongono anco alla graticola, e si bagnano con olio, e mosto cotto, ove sia bollito un poco di garofano, e cannella, e parimente raffreddata si sfila, accomodandola ne’ piatti con poco olio, e aceto di fior di cedro, con pepe ammaccato sopra, e potrai regalarlo intorno con fettoline di bottarga, e altre di cedro sottile ritocche d’oro.

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Devi lessare il luccio con aceto, acqua, e sale, con una, ò due radiche di gengiovo, e cotto perfettamente, lo levarai dall’acqua, accommodandolo in quella maniera, che avrai fatto lo storione lesso, perché richiede la medesima concia; ma devi avvertire di metterlo netto con diligenza dalle spine.

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Si deve avvertire, che il cievalo sia fresco, si cuoce alla graticola, e volendone far insalata, si deve bagnare con olio, sale, gengiovo, fior di finocchio salvatico, noce moscata, e pepe, e dopo esser cotto, e raffreddato si dovrà spolpare, e metterlo ne’ piatti, con aceto garofanato, olio, ma poco, pepe ammaccato, e mosto cotto, ove sia bollita cannella intiera, con qualche granello d’uva passa, spargendogli sopra l’insalata, e regalando il piatto con datteri bolliti in malvagia, zucchero, e cannella, accompagnandoli con spighi d’aranci dolci, ritocchi d’oro, e d’argento.

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L’ombrina è pesce famoso, e di molto gusto. Il suo condimento si deve fare come allo storione arrostito; avvertendo, che per farne insalate, vuole esser sempre la parte più magra; e raffreddata, si potrà fare in fette, ò sfilarla sottilmente, condendola con olio di Toscana, aceto muschiato, pepe, noce moscata; ma in poca quantità, per esser caldissima. Si deve ancora spargervi sopra zibibo, con uva passa bollita in vino, con zucchero, e cannella; e per suo regalo si metteranno tartuffoli conservati sotto l’olio in fette, con melagrani, e olive senz’osso. Potrassi sopra l’insalata porre alcuni cappari inargentati; mettendovi ancora intorno al piatto per suo regallo, arancini conditi in zucchero, spaccati, e fiori di cedro conditi in aceto ritocche d’oro.

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Questi pesci si lessano con acqua, sale, e aceto; dopo si cavano lasciandogli raffreddare; avvertendo, che vogliono essere de’ più grossi. Si cavano le sue polpe, e fettandole sottilmente, si mettono ne’ piatti, con petroselli, olio, aceto garofanato, e pepe; intorno al piatto arancini dolci mondi, ritocchi d’argento; tramezzati con melagrani, e uva passa bollito in vino. Si possono anche condire, gettandovi sopra zibibo bollito in vino, e cannella, con aceto di fior di cedro, e olio di Toscana, regalando il piatto con fette di cotognata alla portughese, e tartuffoli conditi in zucchero, tocchi d’argento. Sono questi pesci molto buoni, Avicenna in un suo discorso gli dichiara essere i meno nocivi fra gli altri pesci, e vuole se ne possa dare à convalescenti cotti lessi in acqua semplice con sale, olio, e aceto, overo sugo di melarancie. Nelle cucine s’adoprano le sue polpe a far bianco mangiare, in minestre varie, e altre curiose vivande, che riescono esquisite.

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Il rombo si lessa come gli altri pesci, si sfila ne’ piatti, e si condisce con olio, aceto cannellato, e pepe ammaccato, con fronde di petrosello sopra, cappari di Genova, e uva passa bollita in vino; Quando sarà grosso, si può fare in pasticci, e raffreddato tagliarlo in fette sottile, condirlo col medesimo condimento, melagrani sopra, olive senz’osso, e fioretti di borragine ritocchi d’oro. Questo pesce è delicatissimo, e sè nè fanno nelle cucine, varie, e gustose vivande.

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Questo vuol esser lesso, con aceto, sale, acqua, gengiovo, e cannella. Dopo cavato si lascia raffreddare, tagliandolo sottile, e sfilandolo come si fanno gli altri pesci, condendolo con aceto garofanato, olio, e pepe ammacato, e si possono porvi per suoi regalli intorno l’orlo del   Piatto, cappari di Genova inargentati in tempo di banchetti. Il sulmone è pesce molto delicato, e si può ancora condire come il luccio lesso, regalato nella medesima maniera. Trovo, che tien luogo tra’ pesci nobili, e s’usa anche arrostito come lo storione; si serve in insalata sfilato con il medesimo condimento, ornando il piatto intorno con cedro condito grattugiato asciutto, e fiori d’aranci conditi ritocchi con oro.

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Nobilissima è la trota, e ciascheduno nè tiene cognizione. Per volerne insalatare, si deve cuocere lessa con aceto, acqua, vin bianco, e sale, raffreddata si piglia della sua polpa, e si taglia in fettoline, accomodandole ne’ piatti, con poco olio, aceto di gelsomini di Catalogna, e zucchero pesto. Si regala con cappari di Genova dorati, con fette sottili di cotogni, bolliti in vin dolce, con stecchi di garofano, e cannella, tramezzati con fette d’aranci conditi in zucchero, ritocche d’oro. Se nè pigliano di grosse nel Lago Maggiore, come anche nel lago di Como, quelle però del Lago di Garda sono molto gustose; Et io nè hò fatto servire di libre trenta l’una, prese di fresco, nette dagl’interiori, e loro squame, traforate in vari luoghi, poste in salamora, fatta con acqua, sale, e aceto per cinque ore, e me nè sono poi valso in tutte le maniere, che sono riuscite rarissime, e di molto gusto, con vari condimenti.

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Piglierai un pezzo di storione arrostito, e raffredato, lo sfilerai sottilmente nella parte della schiena, in quantità sufficiente al tuo bisogno, e sfilato lo metterai ne’ piatti con uva passa bollita in generoso vino, garofani, e cannella, quale renderà odore, e sapore molto gustoso, lo condirai con olio di Toscana, aceto garofanato, e sale, quando non sia intieramente salato allo spiede. Devi regalarlo con fettoline intorno l’orlo del piatto fatte del medesimo storione nelle parti più grasse in forma di gelosia, ritocca d’oro, mettendo ne’ vacui un oliva inargentata grossa, e potrai fare la medesima insalata, con storione lessato in acqua, aceto forte, e sale, regalandola in vece d’uva passa, di fettoline di cedro, e frondi di petrosello, ò di basilico nei suoi tempi gettandone anche sopra l’insalata, con pepe ammaccato.

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Insalate di vari fiori con i loro condimenti adattati

Il fiore di aranci si deve cogliere levato che sia il sole, e che alquanto sia stato da quello percosso, mettendolo frà due vasi, che non si smarrisca, e conservarà meglio l’odore. Si condisce come gli altri fiori, ma con aceto cannellato, zucchero, e sale. Il suo regalo sono arancini conditi, e scorze condite nel medesimo. Questo fiore conforta lo stomaco, fà odorifero il fiato, resiste alla putredine, e vale per li dolori della matrice.

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Il fiore di cedro và raccolto come d’aranci, e accommodato nello stesso modo. Il suo regalo, saranno le sue scorze condite in zucchero, delle quali se ne fanno figurine intorno al piatto, aggiugnendovi cime del medesimo cedro condite, e dorate, e devono esser acconci con aceto muschiato, e zucchero. Questi sono molto cordiali, se ne cava un olio preziosissimo, e il suo seme bevuto al peso d’una dramma in vino potente, supera i veleni, e muove valorosamente il corpo.

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Il fiore di mele rose, và raccolto di mezzo giorno, e molto ben netto. Si condisce con aceto rosato, e zucchero. E odorifero, e grato al gusto, e ventoso; Dà cattivo odore, e è duro da digerire, che però queste insalate si devono fuggire.

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Potrai raccogliere i sudetti fiori a tuo piacere, e conservagli come gli altri. Si condiscono con olio assai, e sale a bastanza, con aceto cannellato, overo d’anesi, perché tali fiori sono ventosi. Galeno nelle facoltà de’ semplici asserisce, che detti fiori sono caldi nel terz’ordine, e secchi nel secondo. Vagliono alla durezza della milza, e fanno altri buoni effetti. Questa insalata non è in uso, ma volendola usare è buona, e salutifera. La ritoccherai con oro in tempo di banchetti, e per suo regalo vi metterai radici condite in zucchero asciutto.

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Si raccolgono i fiori di ramerino nel mezzo giorno; avvertendo, che siano netti delle foglie, e da ogni altra cosa. Si pongono fra due piatti, perché si conservino freschi, né si lavano in modo alcuno, perché perdono la loro bontà. S’accomodano in piatti in varie forme, s’acconciano con poco olio, poco sale, aceto muschiato, e zucchero intorno. Si regalano con cimette di ramerino condito in zucchero, tocche d’argento, con zucchero sopra assai. Questi fiori sono caldi, e secchi, nel secondo grado, sono mollificativi, aperitivi, risolutivi, e corroborativi. [Castor Durante c. di ramerino]

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Si possono raccogliere i fiori di ruccola in qual hora del giorno più ti piace, e sono buonissimi in insalata, per essere aperitivi, si conservano come gli altri, e si condiscono con aceto garofanato. Il suo regalo sarà zucchero grattugiato nell’orlo del piatto. Questo fiore mangiato copiosamente, provoca l’orina, e conferisce agli stomachi frigidi. Alcune delle sudette insalate si mettono per compimento alla varietà. S’usano assai in Ispagna, e si devono particolarmente usare dove concorre il bisogno delle loro qualità.

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Vanno raccolti i fiori della salvia in tempi caldi, con delicatezza, senza il guscio, che tengono intorno. Questi non si lavano, perché contengono in sé un liquor suave. Vanno acconci con olio, e aceto ordinario, perché da se stessi sono aromatici. Vogliono zucchero assai, e vanno regalati con tavole della loro conserva dorate. Questi fiori sono calidi, nel primo, e secchi, nel secondo grado; vagliono alla ventosità; aprono le oppilazioni flematiche, confortano lo stomaco, e vagliono a tutti i difetti, cagionati da causa frigida. [Dodoneo nell’Isto. delle piante libro 4 par. I]

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Le ombrelle de’ fiori di sambuco, vogliono esser colte nel mezzo giorno, in un panno bianco, e scuotendole caderanno delicatamente i fiori, i quali si lavarano come gli altri, e vanno conditi con poco olio, poco sale, e con aceto dello stesso fiore, con zucchero sopra. Questi fiori sono duri da digerire; sono però grati al gusto, vagliono all’oppilazioni, mollificano la durezza della matrice; e la loro decozione è buona a i morsi delle vipere. [Castor Durante nel Erbario c. degli aranci]

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Per far insalata di garofani bianchi, s’adoperano le foglie solamente; si raccolgono la mattina nello spuntar del sole, e si conservano come gli altri. Vanno conditi con oglio, poco sale, e aceto garofanato. Questo fiore resiste alla putredine dello stomaco, fà buonissimo fiato; ma non se ne deve mangiar molto, perché sono dannosi per la superfluità degli umori, che fanno correre allo stomaco.

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I fiori di gelsomini sono molto delicati, e di soavissimo odore; Vanno raccolti nella mattina con molta destrezza. La loro insalata và condita nella stessa maniera degli altri fiori detti di sopra; ma con aceto muschiato, e zucchero. Questa è molto usevole in Ispagna; e da’ medesimi si cava un olio molto prezioso di qualità calda, convenevole ai dolori causati da umori grossi, e vischiosi, e aiuta assai la complessione frigida de’ vecchi, e adoperandone per i capegli, gli conserva, e accresce. I persiani lo tengono in grandissima estimazione, e l’hanno in uso per conservarsi mondi, e odorosi.

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I fiori di menta, e di basilico, vanno raccolti molto gentilmente nel mezzo giorno, perché temono assai la rugiada. Sono fiori molto delicati, e si conservano in mezzo a due piatti, come gli altri fiori. Se ne fanno insalate, e si condiscono con olio, poco sale, aceto muschiato, e zucchero. I fiori di menta sono cordiali, e usati in vari condimenti, quei di basilico, mollificano il corpo; commovono la ventosità, e aumentano il latte; se bene sono nocivi alla vista, e difficilmente si digeriscono: Questa però è un’insalata dilettevole, molto odorosa, e incitativa all’appetito. [Dioscoride 3 libro ca. 37. Dioscoride libro 2 ca. del basilico]

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Vanno raccolti i fior di borragine senza rugiada la sera nel tramontar del sole; Netti, e puliti si mettono frà due vasi di maiolica, overo d’argento, né si devono lavare mentre non fossero immondi di fango, ò d’altra cosa, e lavandogli; si deve fare con molta diligenza, acciò non venghino pesti; accommodati i detti fiori ne’ piatti, si condiscono con sale, poco aceto, olio, e zucchero intorno l’orlo del piatto, con lavori a beneplacito. Sono questi fiori cordiali, come afferma tutta la scuola medica; rallegrano il cuore; fanno buon sangue; e si possono dare ai convalescenti; ma in poca quantità.

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Modi diversi per aromatizare vari sorti d’aceto, e farlo odoroso

Piglierai de’ fiaschi la quantità, che ne vorrai, e gli farai un poco più, che mezzi d’aceto fortissimo, e chiaro, e cogliendo le rose la mattina, levato che sia il sole, di quelle mezze aperte, perché odorano assai più delle altre, lasciandole per mezza giornata impassire; levarai le foglie benissimo nette da quelle loro sementi, e nè riempirai i fiaschi, i quali racchiusi, metterai al sole per due giorni, avvertendo di non lasciargli di notte al sereno. In capo a due giorni, colerai l’aceto, e con fresche rose lo rimetterai ne’ fiaschi, perché conservano l’aceto, e lo tengono chiaro, e cosi potrai valertene alle occorenze. Il maggio la potrai rinfrescare di rose, e d’aceto, e cosi l’anderai mantenendo, e sarà più perfetta.

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Coglierai i fiori di gelsomini la mattina nel levar del sole, e avendo ammanati i fiaschi con aceto molto ben colato, perché sia più chiaro, poco più, che mezzi, gli riempirai con i fiori, e metterai al sole ben turati lasciandogli per due giorni, dopo i quali caverai i fiori, rimettendone de’ freschi, cosi facendo per otto giorni; poscia colerai l’aceto, e rimettendolo ne’ fiaschi con nuovi fiori ben turati, lo metterai nuovamente al sole, lasciandolo stare per tutto il mese d’agosto, levandolo in tempo di notte, e cosi potrai valertene, che sarà perfettissimo. Di questo aceto potrai servirti nelle cose più delicate, come a farne salse, che riusciranno di miracoloso odore.

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Fassi l’aceto d’ambra, nel medesimo modo di quello di muschio con la medesima quantità d’aceto, e peso degli otto grani per fiasco, mettendolo al sole, nel medesimo modo. L’ambra viene dall’Indie Orientali, e si tiene comunemente sia bitume, che sorga dalle fonti, che sono nel profondo del mare. Hà grandissime virtù, e serve nel mondo per molte cose. Ve ne sono di tre sorti, la prima è la colorita, è la migliore; la seconda è bianca, ed è di mediocre bontà; la terza è nera, e è di niun valore. L’ambra è calida, e secca in secondo grado, corrobora in odorarla il cuore; conforta i membri indeboliti; conferisce a’ dolori colici; giova al mal caduco; ma quei, che sono frigidi, e paralitici. [Monardes lib. 2 dell’ambra grisa]

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Pigliansi due fiaschi di due boccali l’uno, e si fanno pieni d’aceto, frà detti due fiaschi devi partirvi un oncia di cannella fina non pesta, ma fatta in pezzetti, facendola stare al sole per trè giorni, devi poscia aggiugnere per ciascheduno un quarto della medesima cannella, e turandogli molto bene, mettergli sotto lo stabbio per venti giorni, dopo i quali levarai i fiaschi, colarai l’aceto, e rimettendolo ne’ medesimi ben netti, aggiugnerai un altro quarto della medesima cannella per fiasco, e turandogli benissimo lo serbarai, adoprandolo a suoi tempi. Trovasi della cannella di più sorti, ma la vera è quella, che è frangibile, polita da un nodo all’altro, sottile, al gusto mordace, dolce, di soave odore, pungente alla lingua, di colore rossigno; ma non   molto acceso. La cannella nasce nell’Indie Orientali, la migliore viene dall’isola di Zeilan, il cui territorio è fertilissimo, e il più delizioso di tutt’il mondo. Dicono gl’indiani, che ivi sono i Campi Elisi. [Garzia dall’Orto ca. 15]

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Devi raccogliere il fior di cedro subito levato il sole, lasciandolo impassire all’ombra per mezzo giorno, avendo apparecchiati i fiaschi con bonissimo, e chiaro aceto, e facendogli più, che mezzi come gli altri gli riempirai con i fiori, e gli farai stare sotto lo stabbio per otto giorni, e dopo levandogli, con lavargli molto bene, scolerai l’aceto, e lo ritornerai ne’ fiaschi, con altri fiori, ma pochi, e turandogli benissimo, gli ritornerai al sole per venti giorni, dopo i quali, sarà ridotto a perfezione. Quest’aceto vale a molte vivande, dandone a bere a chi avesse mangiato de’ fonghi maligni; subito lo guarisce, e parimente dandone caldo a chi fosse stato dato del solimato, e sugo di napello, opera, e sana valorosamente.

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Si devono cogliere i fiori di melarancie, nel modo stesso, che si fanno quei di cedro, e cosi si riempono i fiaschi coll’aceto, come si fanno gli altri, mutandogli per otto volte, essendo questo fiore di natura, che lascia mal volontieri il suo odore, e perciò si deve far stare anche sotto lo stabbio per altri otto giorni. Dopò si cola l’aceto per feltro, rimettendolo ne’ fiaschi, con aggiugnervi nuovi fiori, e si mette al sole per venti giorni; conservandolo dopo benissimo turato. Quest’è un aceto molto odoroso, che ammazza i vermi, e tennendolo in bocca caldo leva il fetor de’ denti.

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Coglierai i fiori del ramerino nel mezzo giorno, e avendo preparati i fiaschi riempirai nel medesimo modo degli altri, e ripieni, che saranno con fiori, gli darai una mescolata con una verga di legno. Devi poscia turar benissimo i fiaschi, e mettergli sotto lo stabbio per   otto giorni; dopo i quali gli levarai, colando benissimo i fiaschi, e riempendogli l’un con l’altro sino alla bocca, vi ritroverai un olio, che averanno fatto que’ fiori, il quale devi raccogliere con diligenza, essendo molto precioso; devi aggiugnere ne’ fiaschi nuovi fiori, e turati, mettergli al sole per otto giorni, dopo i quali conserverai i fiaschi senza colar l’aceto, bastando solo a farlo quando vorai servirtene. L’olio sodetto è valevole a’ dolori di capo, untandosi la fronte, e le tempie. Untando il corpo ammazza i vermi, vale per gli stomachi frigidi, e a quei, che non possono ritener il cibo.

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Vanno raccolti i fiori di salvia come quei di ramerino, mettendogli nell’aceto, e mutandogli per trè volte, che cosi basta per l’acutezza di detto fiore, conservandola a’ tuoi bisogni. Molto vale a quei, che patiscono di milza, a quei, che sputano il sangue, e de’ sodetti fiori si fà conserva col zucchero, molto valido allo stomaco.

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Piglia l’ombrelle de’ fiori di sambuco levato, che sia il sole, e caduta la rugiada, e le scuoterai in una tovaglia bianca, ove caderanno i semplici fiori, avendo preparato i fiaschi poco più, che mezzi d’aceto, gli aggiugnerai detti fiori, riempendone benissimo i fiaschi, i quali ben racchiusi, devi mettere al sole, lasciandogli stare per quattro giorni, levarai poscia l’aceto, e mutarai i fiori, cosi facendo per sei volte; l’ultima volta gli ritornerai al sole, con lasciargli tutt’il mese d’agosto ben turati, avvertendo la notte di tenergli al coperto, dopò lo colerai benissimo per feltro, e mettendolo a conservar ne’ fiaschi, v’aggiugnerai due manipoli de’ medesimi fiori, secchi all’ombra, e turandogli benissimo, lo conserverai in luogo asciutto, avvertendo però di non lasciare mai aperti i fiaschi, perché perderebbero assai del suo odore; Quest’aceto vale grandemente a’ dolori di testa, e deve esser usato da gl’idropici.

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Devi pigliar due fiaschi d’aceto di due boccali l’uno, e un oncia, e mezza di buoni garofani, che non abbiano toccato l’acqua salsa, e gli metterai in un mortaio, con dargli due in trè ammaccature   col pistone, e gli compartirai de’ detti due fiaschi, turandogli con suvero, e carta pecora benissimo, e gli coprirai per dieci giorni in una massa di stabbio, con avvertenza, che non si rompino, passati i dieci giorni, levarai detti fiaschi, e nettandogli benissimo, gli metterai al sole per vinti giorni, facendogli star la notte al sereno. Passerai poscia l’aceto per calza di feltro, lavando i vasi diligentemente, e chiudendogli con turaci nuovi, nè servirai conforme al bisogno. Il vero garofano viene dalle molucche, serve in molte cose, tanto ne’ cibi, quanto ne’ medicamenti. [Garzia dall’orto tratta del garofano cap. 22]

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Coglierai i ginepri quando sono rossi, e ben maturi, dandogli un ammaccatura gentilmente gli metterai ne’ fiaschi con aceto, come si fanno gli altri; avvertendo, che per ogni fiasco di due boccali, vi sia mezza libra de’ sudetti ginepri, e benissimo turategli metterai sotto lo stabbio per otto giorni, in capo al qual tempo dovrai levargli, e colare diligentemente l’aceto, rimettendolo ne’ medesimi fiaschi benissimo netti, e con aggiugnervi altri granelli, senza ammaccargli, gli metterai per sei giorni al sole, conservandolo à tuoi bisogni. Hò voluto scrivere di questo aceto, avendolo ritrovato molto valoroso ne’ sospetti pestilenziali, riuscendo oltre modo salutifero, spargendone per le stanze. Si come usandolo ne’ cibi; giova à morsi de’ venenosi animali, e genera altri infiniti effetti di salute, ne’ corpi umani.

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Si pigliano i fiaschi, che tenghino un boccale, e mezzo per ciascheduno, e si riempono d’aceto ben colato, generoso, e passato per feltro, per ogni fiasco vi metterai otto grani di muschio di levante, macinato in mortaio di porfido, e turandogli benissimo, si mettono al sole per venticinque giorni, in capo de’ quali si leva, conservandolo all’occorrenze; avvertendo di non lasciargli mai scoperti. Il muschio è caldo nel secondo ordine, e secco nel terzo: fortifica il cuore, e dà vigore a tutti gl’intestini. [Mattiolo al primo di Diosc. cap. 20]

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Modo da osservarsi per comporre, e regalare varie insalate di carne

I ventricoli d’oca, dopo, che sono lessi, si fettano sottilmente, e le loro polpe si trinciano minutamente, e sè nè formano capricci, come del manzo, mettendo le fette de’ ventricoli intorno l’orlo del piatto, con fronde di petroselli, overo di menta romana, con pepe mezzo ammaccato, condendogli con aceto garofanato. Di questo animale non posso dir molto bene, perché non lo trovo lodato da’ medici, ne antichi, ne moderni per la sua grandissima umidità, e que’, che sono nodriti nelle case sono i peggiori per la loro poca fatica, altro in loro non trovo di buono, che il fegato, quale è di molto nodrimento, di buonissimo sapore, e hà facoltà di ristringere i flussi cagionati dal fegato, per la debelità sua; Marziale asserisce, che tal carne è calidissima, e che pigliando delle sue reni peste con pinocchi, zucchero, e sue polpe insieme con cannella, pepe, garofani; e rossi d’uova fresche, e facendone una pasta nel mortaio tirata in morselletti, cotti nel forno in tegame infarinati, riuscirà cosa mirabile per infiammare gli spiriti freddi. Io non saprei come lodare tal carne, sentendo Avicenna, e Galeno, che la condannano per umidissima, e i loro grassi per pessimo, alle cui ragioni, aggiugnendosi il testimonio delle faccie degli ebrei, che d’altro non si notriscono, e che si vedono per il più con bruttissima effigie, sempre di color di piombo, con sguardi biechi, di fetosissimo odore, e di pessimo costume, consilio in tutto, e per tutto a lasciarla agli ebrei.

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Sono perfettissime le polpe de’ galli d’India trinciate in insalata, e si fanno minutte come il vitello, regalando il piatto colle medesime polpe in fette, condendole con aceto di fior di gelsomini di Catalogna, e zucchero, con alcuni grani d’uva passa, di levante bollita in vino, mettendovi olive di Spagna dorate senz’osso intorno all’orlo, con pochi cappari di Genova, si puole aggiugnervi cedro grattugiato, regalando l’orlo del piatto, con cedro condito asciutto, ritocco d’oro in tempo di banchetti.

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Il cigotto di castrato arrostito, si sfila, ò si trincia sottilmente, e si mette ne’ piatti insieme con cappari di Genova, e si deve condire con aceto garofanato, regalandolo con olive senz’osso, melagrani, uva passa bollita in detto aceto, fronde di petrosello, ò di menta con cedro condito grattugiato intorno l’orlo del piatto. La carne del castrato, si usa nelle cucine in varie maniere, e da quella si cava un sugo molto sostanzievole, e odoroso, che vale al condimento di molti piatti, e particolarmente in varie minestre, e riescono molto grate.

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Devi nettare benissimo la lingua, pelarla trapuntarla con stecchi di garofani, e cannella, e metterla lessa, a perfetta cottura; poscia raffreddata, ne formerai col coltello delfini, vari pesci, e bizzarie conforme al genio, facendogli le testicciole con pasta di susinello, ò di cacio, ritoccando ogni cosa d’oro, ò d’argento, regalando il piatto, con fettoline sottili della stessa lingua, petroselli sfrondati, e pepe ammaccato, mettendovi intorno una corona dorata di pasta di susinelli, e la condirai con poco olio, sale, e aceto d’ambra. Potrai ancora, dopo tagliata la sodetta lingua in fette sottili, e formato il delfino sopra nomato, inargentarlo a squame, e porvi sopra un Nettuno fatto di pasta di marzapane, con fiori di borragine per il piatto, e intorno l’orlo fette sottili di cedro condito, poste con vari, e capricciosi disegni, dandogli il condimento come di sopra.

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Si piglia il lombo della lepre arrostita, si taglia in fette sottili, e si mette ne piatti con uva passa di levante, bollita in mosto cotto, cannella, e garofani, un poco di detta bollitura, e aceto rosato, regalando il piatto con prune cotte in malvagia con zucchero sopra, e un poco di polvere di Cipro bianca; aggiugnendovi cappari di Genova per tramezzamento delle prune, ogni cosa ritocca d’oro. Questa carne non è lodata, se bene è da tutti desiderata. Rasis asserisce, esser detta carne malinconica, e che genera sangue grosso, e secco. Vuole Avicenna, che la lepre, e il coniglio siano d’una stessa qualità, e che generino senza maschio.

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Si pelano con diligenza i sudetti piedi, si lavano, e si fanno lessi cavandogli poi dal brodo, lasciandogli raffreddare, sè nè serve in insalata spaccati, con pepe ammaccato, aceto garofanato, poco sale, fronde di petroselli, melagrani, e fette di limoni sottili, intorno all’orlo del piatto, e per suo regalo animelle, o latti de’ medesimi capretti, che sono un sol boccone, i quali tengono appresso il gozzo per una parte, l’altro attaccato al fegato appresso il cuore. E questi dopo esser cotti alla brage, si mettono in una pentola con poco sale, pepe, butiro, sugo di limone, e uva passa; delle quali cose calde si regala il piatto intorno, e si possono usar parimente fioretti di borragine ritocchi d’oro, con fette piccoline di cacio parmegiano.

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I piedi, e grugni di porco benissimo netti, si lessano con acqua, aceto, sale, e vino aromatico, e si cavano dal loro brodo, lasciandogli freddare, levandone poi l’ossa più grossi, e facendone pezzetti piccoli. Similmente si fà de’ grugni accommodandoli ne’ piatti, con spargergli sopra uva passa, e pepe ammaccato; regalandogli intorno all’orlo di prugne damaschine silopate in zucchero, ritocche d’oro, con aceto rosato sopra, cannella, e melagrani. Di queste se nè fanno perfettissime gelatine, e la carne del medesimo animale viene lodata assai da’ medici per le persone soggette alla fatica particolarmente; E si deve usare con assai aromati, perché la rendono meno nociva.

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Il cappone si dimanda ragionevolmente il fagiano domestico, che però le sue polpe, e lessate, e arrostite, si devono accomodare, e condir per apunto come le sodette del fagiano; anzi col medesimo regalo. La sua bontà, e perfezione è cosa molto notoria; la complessione di lui è temperata in tutte le quattro qualità; sommamente nutrisce, e genera perfetto sangue, i suoi consumati ristorano le membra lasse, ritornano le perdute forze, e valorosamente le aumentano; pigliando libre due delle sue polpe, una mezza di pinocchi lavati in acqua di fior di cedro, oncie tre di pistacchi pelati, macerati in detta acqua, e oncie tre di semi di meloni; si pesta ogni cosa insieme in mortaio di pietra, aggiugnendovi dopo pasta di marzapane due oncie, un mostacciolo, di Napoli, oncie due di farina d’amido, una libra, e mezza di zucchero fino, due pinocchiate, due rossi d’uova fresche benissimo battute, un poco di latte di mandorle fatto con acqua rosa, e due grani di muschio; Vedendo, che la pasta sia troppo morbida, si deve aggiugnere zucchero, e farina d’amido; facendone una pasta molle, ne formerai   morselletti longhi, quali dovrai mettere in una padella grande infarinata similmente di farina d’amido, e applicargli al forno; quando gli vedrai gonfi, e sentirai, che siano leggieri, e asciutti, allora saranno cotti. Questi s’indorano, e si mettono insieme col pane nelle panatiere, sendo valevoli per infiammar l’appetito di Venere, e invigorire di spiriti, provato per tale effetto, e perfettissimo.

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S’accomodano le polpe de’ fagiani, come quelle de galli d’India; non si trinciano però minute; ma si tagliano in fette longhe, e sottili, si condiscono con aceto muschiato, e pepe, mettendovi intorno al piatto conditi silopati gentili, come farebbono visciole, azaroli, pere moscatelle, marene, arancini, fiori di cedro condito, e sopra polvere bianca di Cipro, con zucchero pesto, ritoccando d’oro le frutta silopate. Devi pigliare ancora un pezzo di cedro condito asciuto, e con intagliarvi dentro qualche figura, metterla nel mezzo dell’insalata ritocca d’oro. Questo animale è nobilissimo, e lo trovo molto delicato, e amico de’ principi; poiché non rende verun nocumento à corpi umani, per esser la sua carne temperata, e nutrisce utilmente il corpo, ristaura prestissimo i convalescenti, conforta gli etici, prepara gli umori corrotti negli stomachi, e e di presta, e buonissima digestione, rinfranca gli spiriti deboli, acuisce l’appetito, e è utile agli asmatici. Ne’ solenni conviti, si deve portare in tavola trionfalmente arrostito, e se bene all’occasione ne hò descritte varie maniere, non voglio di presente restar di dire, come dopo cotto si veste delle sue penne, tutte profummate, regalate con oro, e perle, che ornando la coda con tremolanti d’oro, e d’argento accommodato in piedi, si mette ne’ piatti con boschetti sotto di mortelle dorate, e inargentate in vari modi, e che veramente è degno di molti regali per la sua perfezione.

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Il presciutto di porco vuole esser cotto in vino, con garofani, salvia, ramerino, ruta, noce moscata, aceto, e acqua, cotto, e raffreddato, che sarà, gli leverai i suoi lardi, nettandolo benissimo da tutta la carne più nera; e tagliandolo in fette per il suo verso, lo sfilerai, mettendolo in un piatto reale in una massa, a guisa di montagna, condito con aceto rosato, melagrani, uva passa bollita in vino, e zucchero sopra. A questa insalata si convengono molti regali, cioè mettere in cima a quella montagna una figura di pasta di marzapane dorata, fatta a capriccio, ornandola intorno di cime di cedro condite, asciutte, con vari animaletti di zucchero, come cervi, daini, lepri, cani, che le   diano la fuga, cacciatori intorno, che facciano vari gesti, e forze, con spiedi in mano da cinghiali, e al piede di detta montagna, vi metterai porchetti spinosi intagliati di cedro condito con le spine dorate. Potrai mettervi alla cima ancora un satiro con sampogna in mano, e una Venere, con Amore composti della sudetta materia, che sagliano la montagna. Di questo presciutto possono farsi vari trionfi, come archi, carri trionfali, navi, galee, castelli, palagi, e altre fantasie, facendogli le sue casse di sotto di pasta di susinelli, e tutte queste cose, vogliono benissimo esser ritocche con oro. Non dirò in oltre di questa carne, avendone in altro luogo parlato per quanto occorre.

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Del vitello, devi pigliar la parte come del manzo, e nel medesimo modo trinciarlo, accommodandolo in insalata, come pure farai della loro carne arrostita, cioè del lombo freddo, fatto in fettoline nel piatto, insieme con limoni tagliati sottilmente con zucchero pesto sopra, regalando l’orlo del piatto d’olive senz’osso, ò d’agresto condito nell’aceto, ritocandola con oro in tempo di foresteria. Delle carni di questo animale, crederò averne in altro luogo discorso a bastanza, e però passo ad altro.

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Piglierai del manzo, che sia frollo nella parte più magra; e dopo d’averlo battuto, trapuntato con garofani, e menta romana, netto, e cotto lesso, lo lascierai raffreddare, piccandolo minutamente con forcina, e coltello, in quantità conforme al bisogno. L’accommodarai ne’ piatti, formandone vasi, animali, figure, e capricci, in conformità del tuo genio, riempendo i vacui, con uva passa bollita in vino; e cannella, con qualche capparo di Genova inargentato, e fioretti di boragine ritocchi d’oro, tramezzandogli con alcune fette suttili della medesima carne, con altre insieme di cacio parmegiano, condendo il tutto con poco olio, aceto rosato, e pepe ammaccato sopra. Di questa carne la migliore è più salutifera, e quella del bue grasso, che abbia affaticato: Migliore, più sana assai di quella del manzetto, e dell’altre carni del suo genere.

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Scielta d’alcune torte reali

Cotto, che sarà il cigotto allo spiede, ne piccherai benissimo una parte di libre due in circa, e v’aggiugnerai una libra di capo di latte, oncie quattro di scorze di cedro condite, oncie trè di pinocchiata pesta, oncie quattro di biscotti reali, macerati in sugo di limone, e zucchero, mezza libra di butiro fresco, un’oncia acqua rosa, ove sia stemperato un poco d’ambra, quattro rossi d’uova fresche, un’oncia polvere di mostaccioli, un’oncia di zucchero fino in polvere, con il sugo di limone, e incorporando benissimo il tutto, darai forma alla torta sopra fogli di pasta, fatta con farina, latte di pinocchi, uova, e zucchero, e la coprirai con liste della medesima pasta, l’applicherai al forno, unta benissimo di butiro, e la servirai calda con zucchero.

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Piglia da sei cotogni ben maturi cotti sotto le brage, levagli la polpa pestandola nel mortaio, con oncie due polvere di mostacciolo, oncie trè zucchero fino, mezz’oncia di cannella, e mezza di noce moscata, mezza libra di butiro, quattro rossi d’uova fresche, e mezza libra di biscotti reali, macerati in buona malvagia; incorporate ch’avrai tutte le sodette cose ne componerai la torta sopra fogli di pasta frolla fatta con butiro fresco, e la coprirai con stringhe della medesima pasta, untandola benissimo sotto, e sopra con butiro, applicandola al forno, la servirai con zucchero assai sopra, e calda, e fredda come ti piace.

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Piglierai formento del più bello, che potrai avere, e nettandolo con diligenza, lo metterai a bollire in latte grasso, e ridotto, che sarà a cottura, e conveniente spessezza, lo passerai per lo setaccio, e pigliando due libre della detta passatura, v’aggiugnerai oncie otto di cacio parmegiano grattugiato; una libra di ricotta grassa di pecora, oncie due di farina di pane di Spagna, pepe, sale, e cannella a sufficienza, oncie due di zucchero in polvere, mezza libra di pistacchi ammaccati, macerati in acqua rosa muschiata, oncie quattro di pasta di marzapane, strettamente stemperata con latte di pistacchi, e un poco d’ambra. Incorporerai tutte queste cose, e componerai la torta sopra fogli di pasta fina, coprendola con stringhe della medesima pasta, e mantenendola morbida nel forno con buon butiro, la servirai calda con zucchero sopra.

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Piglia due libre di mela rosa in fette, cotte sotto le brage, pestale nel mortaio, con mezza libra di pinocchiata, oncie due di cedro condito grattugiato, una scorza di melarancia condita, oncie due di zucchero, due di acqua rosa, due grani di muschio, mezza libra di butiro, e quattro rossi d’uova fresche; pestato, ch’avrai ogni cosa, componi la torta sopra foglio fatto di farina, zucchero, butiro, acqua rosa, e latte di pinocchi; untando benissimo con butiro fresco la tortiera, e spolverizando i fogli di zucchero, e cannella, l’applicherai al forno, e facendole la sua crosta di sopra con zucchero, la potrai servire, e calda, e fredda come ti piace.

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Piglia libre due di polpa di nespole mature, ò della loro conserva, aggiugni oncie quattro di pasta di marzapane, oncie due di scorza di cedro condito grattugiato, un oncia, e mezza di polvere di mostacciolo con due ottavi di cannella fina; pesta ogni cosa insieme, aggiugnendovi oncie trè di butiro, quattro rossi d’uova fresche, con un sol chiaro, e mezz’oncia d’acqua rosa muschiata, accommodato ch’avrai il foglio di pasta reale sopra la tortiera, benissimo unta di butiro componi la torta, e mettila al forno; quando sarà vicino alla cottura le darai il suo lustro di sopra a modo di marzapane, e la servirai calda, e fredda come ti piace.

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Piglia libre due di polpa di nespole, mezza libra di cacio grattugiato, mezz’oncia di cannella fina pesta, un ottavo di pepe ammaccato, due oncie di polvere di mostaccioli, oncie trè di scorze di melarancie condite ben peste, oncie trè di zucchero fino in polvere, quattro di butiro, con trè rossi d’uova fresche, e incorporate insieme tute le sodette cose, ne comporai la torta sopra fogli di pasta frolla, coperta con liste della medesima cotta in forno, la servirai calda con zucchero sopra.

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Piglia quattro, ò più capponi grassi conforme il bisogno, benissimo netti, e lessati che saranno, leva loro le pelli, e tagliandole in forma di vermicelli, quali incorporerai senza pestargli con due libre di capo di latte, mezza libra di zucchero fino, oncie trè di scorze di cedro condite grattugiate, due ottavi di cannella, poco pepe, quattro rossi d’uova fresche, oncie quattro di cacio parmegiano grattugiato, oncie quattro di butiro, e un poco d’ambra stemperata con acqua rosa; e componendo la torta tra fogli reali, la conserverai nel forno morbida di butiro, e la servirai calda con zucchero sopra, misto con polvere di Cipro bianca.

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Piglierai dodeci persici mondi, tagliati in fette, e dopo avergli perlessati in buona malvagia, con zucchero; gli metterai nel mortaio con oncie tre di pistacchiata, oncie due di cedro condito, mezza libra di provature fresche grattugiate, ò cacio grasso, oncie due di zucchero, mezza oncia di cannella pesta, quattro di butiro, e due rossi d’uova fresche; pesterai ogni cosa insieme, e ne farai torta con butiro, e pasta reale, coprendola con lanciette della medesima pasta, e la servirai calda, spolverizata di zucchero muschiato.

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Piglia quattro piccioni ben grassi cotti allo spiede, col suo sale, levane l’ossa, e batti le loro carni con coltelli, e metteli poscia in adobbo in sugo di limone, un poco di mosto cotto, pepe, e cannella; levale dall’adobbo, e dalle una volta nella padella, con butiro fresco, e avendo preparato lo sfoglio reale, fatto con butiro, componi la torta di dette carni col loro sugo, e spolverizandole benissimo di polvere di mostaccioli, v’aggiugnerai trè oncie di cedro condito in fette, con un poco di pepe una libra di midolla di bue ben netta in bocconi, fettoline sottili di cacio grasso, trè rossi d’uova battuti con zucchero, e sugo di limone, e la componerai sopra foglio di pasta fina sfogliata, e mettendola   al forno, la servirai calda con zucchero sopra.

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Piglia libre trè di sparagi in mazzetti, ma nella parte più tenera, mettendogli a bollire in acqua un poco salata, e ridotti a conveniente cottura, levagli, con mettergli in acqua fresca, acciò perdino quel loro odore di verdume, poscia gli batterai sottilmente con coltello, e mettendogli dopo nel mortaio, gli pesterai insieme con due libre di ricotta grassa di pecora, mezza libra di cacio parmegiano, mezza libra di pasta di marzapane, oncie trè di scorza di cedro condito grattugiato, oncie due di polvere di mostacciolo, quattro rossi d’uova fresche, con un sol chiaro, poco sale, e pepe, e un’oncia d’acqua rosa muschiata. Avrai preparata la tortiera untata di buon butiro, con sfoglio di pasta reale, la coprirai dopo con liste composte della medesima pasta, e con butiro assai, e cotta nel forno, la servirai calda con zucchero.

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Pigliarai quattro cipolle, e levando loro tutte le scorze superflue, le taglierai minute, e metterai a bollire con panna di latte, e zucchero, in pignatta vitriata, tanto che stiano coperte. Avrai parimente preparato zucche tenere bollite nel latte, e passare per stamigna libre due, e le metterai nella medesima pignatta, con polvere di mostaccioli, un oncia cannella fina, sale, e pepe a sufficienza, uova fresche numero quattro, cacio parmegiano grattugiato oncie otto, ricotta grassa una libra, e incorporando ogni cosa benissimo insieme, ne componerai la torta sopra fogli di pasta frolla, quale applicando al forno con butiro assai, la servirai calda con zucchero sopra.

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Sono varie le maniere, che si possono usare per far le torte di capo di latte, e infiniti ingredienti, che vi si possono adattare. Nobilissimo nodimeno per mio giudicio sarà il modo seguente, e proporzionato ad ogni convito reale. Piglierai due libre di capo di latte, e mettendolo nel mortaio con oncie trè di cotognata, mezza libra di pasta di Genova, mezza libra di cacio grasso grattugiato, oncie trè di pasta di marzapane, oncie trè di zucchero fino muschiato, quattro rossi d’uova fresche, con il sugo di un limone; pesterai benissimo ogni cosa insieme, e avendo preparato lo sfoglio di pasta reale, unto benissimo con butiro fresco, componerai la torta, coprendola a gelosia, con butiro assai, e zucchero sopra, l’applicherai al forno con molta avvertenza, e la servirai calda, con zucchero, insieme con polvere di Cipro bianca.

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Vari, e gustosi sapori, col modo di pratticargli

Piglia libre trè di sugo d’agresto ben chiaro, con una libra, e mezza di zucchero di Madera in polvere, e farai bollire il tutto in vaso ben stagnato, ò creta, e così lo lascierai sino all’intiera cottura, e ne farai prova sopra il cucchiaio, che scorrendo lentamente, sarà segno d’esser cotto. Volendolo con il corpo, piglierai libre trè d’agresto in due libre di zucchero chiarificato, avvertendo, che il vaso sia ben carico di stagno, e lo farai bollire a fuoco di carbone, sin che i grani siano disfatti; allora le leverai dal fuoco, e lasciandolo raffredare, lo passerai per il setaccio. Lo metterai poscia nuovamente al fuoco, sino all’intiera cottura, facendone il saggio come di sopra. L’agresto si deve cogliere avanti la levata del sole, che per esser il sol leone non è tanto maligno; e è di facoltà astringente, e perciò grato alla bocca dello stomaco, leva la nausea, eccita l’appetito; ristagna i flussi; e mitiga l’ardor delle viscere. [Dodne nell’Isto. delle piante par. 3]

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Per far il sapore di persici, pigliarai la polpa di persici duraci libre dieci benissimo mondi, gli farai bollire in tanta acqua, e che gli copra, dopo, che saranno cotti gli caverai dal fuoco, e levandone il silopo, ò sua bollitura, gli metterai libre quattro di zucchero, e lo farai bollire sin che si veda quasi cotto. Devi pestar poi i persici nel mortaio, passargli per il setaccio, e mettere la passatura nel zucchero silopato, tirandolo a cottura assai lenta. S’aromatiza con ambra stemperata in acqua di gelsomini di Spagna, e se ne vale a tutte le occasioni. Questo frutto è frigido, e umido nel secondo grado; vogliono alcuni, ch’i persici duraci si possano mangiar dopo pranzo, ma corretti col vino, cotti sotto le brage involti in fronde di vite serviti con zucchero, e cosi sono cordiali. Le loro mandorle sono mirabili in ammazzare i vermi, in dissolvere la ventosità, in modificar lo stomaco, e aprire le opilazioni del fegato; e volendo mangiar persici crudi, sono meno nocivi avanti il pasto. [Dodoneo Ist. delle piante al suo cap.]

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Pigliansi le fragole, e si spremono benissimo in una stagnata, e se saranno trè libre, se n’aggiugne loro una, e mezza di zucchero fino pesto in polvere, con un mezzo bicchiero di malvagia, e si fà bollire sopra fuoco di carbone, voltandolo sempre con la pallettina di legno; quando si comincia a strignere, si passa per setaccio, e se dopo esser passato paresse troppo chiaro, e che non fosse intieramente cotto, si può rimetterlo al fuoco, aromatizandolo con acqua di fior di cedro. Questo sapore non è durabile, e però se ne deve fare in poca quantità. La fragola ammorza l’ardore, e acutezza del sangue, giova agli occhi, al trabocco del fiele; modifica le reni; è però di poco nutrimento, e chi ne mangia in gran quantità, cade molte volte in febbre maligne. [Castor Durante nell’Erbario ulc. Della fragola]

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L’inchiova è assai gustosa, e valevole all’appetito. Per farne sapore, piglierai di quelle di Genova salate, e dopo averle ben lavate, in aceto, e levata la loro spina, le pesterai nel mortaio con un poco di pepe, cannella, garofano, scorze di aranci conditi, e polvere di mostaccioli; Il tutto pesto, stempererai con aceto rosato, e passandolo per setaccio, gli farai dare una bollita nella pignatta, e potrai servirtene a coprire ogni sorte di pesce. Nel medesimo modo farai sapore di tarantello magro, di bottarghe, e di caviale; ma quello di caviale si deve stemperare con sugo di limone. Questi sapori sono veramente gustosi, e ritornano l’appetito perduto, tuttavia non è buono l’usarne spesso, e per lo sale, e per le speziarie, che v’entrano; poiché le cose troppo salate augumentano l’umore malinconico, sono vaporose, e offendono la bocca dello stomaco, e ben che il sale resista a’ veleni, assottigli l’umidità, e aiuti a liberar dalle feci il corpo; nientedimeno bisogna fuggirlo. Tra i sodetti sapori, non v’è il migliore di quello d’inchiove, e di queste, sono le migliori quelle di Genova, migliori assai di quelle di Schianonìa, e delle spiagge di Roma.

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Il sapore di questi due frutti, non è altro che zucchero fino, e il sugo di loro medesimi; Devi dunque pigliare due libre di sugo di   limone, ò melarancie, e una libra, e mezza di zucchero fino, e in un vaso ben stagnato, ò di creta, mettergli insieme a fuoco proporzionato, dandogli la cottura a spessezza di giuleppe, e lo devi aromatizare con muschio, ò con ambra. Veramente questi due sapori sono cordialissimi: alcuni gli amano con il corpo, e per darglielo, piglierai quattro libre del sodetto sapore, e trè libre di limoncelli conditi, quali devono esser prima pesti finissimamente; e mettendo prima a bollire, il sapore, v’aggiugnerai il pestume, e lasciandolo venire a spessezza, lo farai aromatico con muschio come di sopra. Questi sapori si servono sopra arrostiti, e in piatti come più piace. De melaranci ve ne sono de’ dolci, e d’acidi, e di mezzo sapore, gli ultimi sono i più grati, e giovevoli, se ne danno agl’infermi; ma deve farsi con zucchero, e in poca quantità, perché genera crudezza. Il sugo de’ limoni ferma il vomito, risveglia l’appetito, e resiste alle febbri maligne, ma non bisogna mangiarne in gran quantità perché generano umori malinconici; cagionano dolori colici; stringono il ventre, e la loro acetosità è mordace allo stomaco; e quello, che si mangia deve essere con zucchero assai. [Antidotario bolognese tratta dei suoi silop.]

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Per far il sapore di melagrani, si mettono i suoi granelli in un vaso di terra, si spremono con le mani cavandone il vino, e si lascia cosi chiarire; poscia si cola, e si mette in un vaso benissimo stagnato, e se il vino farà trè libre se gli ne mette due di zucchero fino, e si fà bollire a sossistenza di giuleppe, avvertendo di non dargli il fuoco gagliardo, poiché facilmente s’abbrucia; s’imbandisce senza zucchero sopra. I melagrani sono di molto utile al corpo, massime i più forti, i quali mangiati,   giovano al fegato, e alle febri ardenti, levando la siccità della bocca; ha però dell’astrettivo, nuoce al petto, e è pessimo per gli asmatici.

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Si pigliano i grani della mortella, e dopo avergli ben pesti, poni a parte quel loro poco sugo, e metti il corpo a bollire in un poco d’acqua; e quando si spolparàno da’ loro ossetti, allora gli devi passar per setaccio; e pigliando quattro libre di quella passatura, metterla in libre trè di zucchero di Madera, disfatto nel sugo di essi, e facendolo bollire a fuoco lento, lo volgerai spesso con la spatola. Gionto, che sarà vicino alla cottura, v’aggiugnerai mezza libra di sugo di limone, due oncie di polvere di cannella, e volgendo bene ogni cosa insieme, lo farai odorifero con un poco d’ambra stemperata in acqua di fior di cedro. Conoscerai la sua cottura nel vedere, che venghi tirato al nero; e che nel bollire alzi certe vescichette. In luogo del sugo di limone potrai mettervi sugo d’agresto chiaro, e resterà dolcissimo. Questo sapore si conserva longo tempo, si serve in tutti i modi, e particolarmente con gli arrosti di salvaticine, come di porco selvaggio, caprio, e altri. Questo, dico, è buonissimo al gusto, vale per quei, che sputano sangue; conferisce ai flussi disenteriali, e stomacali, e giova alla superfluità delle donne.

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Per fare il sapore di moscatello, avvertirai prima, che sia perfettamente maturo, lo sgranerai, e ne piglierai venti libre, e mettendolo in vaso ben stagnato, lo farai bollire a fuoco lento, e chiaro, volgendolo con spatola di legno; v’aggiugnerai quattro cotogni ben maturi in fette sottili, nette della scorza, e sua durezza di dentro, con insieme quattro mele appie in fette, benissimo nette, e volgendo il tutto con la spatola, toccando sempre il fondo della caldaia, avvertirai, che i cotogni, e appie siano cotte, e volendo conoscer la lor cottura, ne pigliarai un poco sù la palma della mano, e con l’altra stringendo, e sentendo, che attacchino, potrai assicurarti essere à vera perfezione; levato dal fuoco, se vorrai cavarne il fioretto, colerai quel liquor più sottile in un vaso capace; quale s’aromatiza, con garofani, noce moscata, pepe, e cannella, e fassi lentamente bollire, a fin che venghi un poco più denso, e mettendovi un poco di polvere di Cipro, si conserva, servendolo con arrosti, e lessi, e sarà cosa molto gustosa. Il corpo di esso si passa per stamigna larga, e si aromatiza come di sopra, conservandolo in vasi all’occasione. Nella medesima forma si fanno tutti sapori d’uva nera, e bianca. Questo delicatissimo frutto fù veramente dato da Dio per nutrimento dell’huomo, col suo liquore così prezioso, e di tanti variati sapori. L’uva ingrassa, e particolarmente quella, che è stata per qualche spazio appiccata; Rinfresca il fegato infiammato; giova al polmone, al petto, e all’intestina, mangiandone però mediomente. [Dioscoride libro 5 ca. 3]

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Piglia nespole mature sei libre, passale per un colatoio di rame, ò stamigna larga, come più ti piace, e avendo preparato libre trè di zucchero di Madera purgato, e cotto a cottura un poco lenta, vi aggiugnerai le polpe delle nespole passate, lasciandole bollire a perfezione, che sarà quando non corra molto per il cucchiaio, col quale anderai sempre volgendo nel fondo, perché facilmente s’abbrucia; S’aromatiza, con mez’oncia di garofani, e meza di cannella fina, e trè oncie d’acqua muschiata, avvertendo di non lasciarlo molto bollire, perché s’indura assai, e lo servirai ne’ piatti con zucchero. La nespola è valorosamente constrettiva, grata al gusto, e allo stomaco. [Galeno I VI della facoltà de’ semplici]

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Si pigliano le prune dopo aver loro cavate l’ossa; Si pongono in pignatta vitriata a bollire con mosto cotto, che sia dolce, insieme con un bicchiero di malvagia; disfatte, che sono, si passano per stamigna; e si deve avvertire, che mentre bollono, si devono riempir sempre   con mosto cotto, acciò non manchi il silopo. Dopo esser passate, si pongono nella stessa pignatta, con aggiugnervi, cannella, garofani, pepe, e noce moscata, si fanno bollire per breve spazio, e servirà poi questo sapore per coprire volatili, e quadrupedi salvatici di tutte le sorti, e riuscirà in tutti i tempi, ed in tutte le forme. Nel medesimo modo farai sapori di visciole, zibibo, e marene, quali riescono ne’ suoi tempi molto grati.

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Piglierai dieci libre di visciole, e levandole i picciuolo, e l’ossa, le metterai in una stagnata sopra il fuoco; e quando comminciano a crepare, le passerai per setaccio, colerai però prima il loro vino del quale farai pure un sapore, che sarà perfettissimo, aggiugnendovi se sarà due libre, una libra, e mezza di zucchero, mettendolo al fuoco, e   lasciandolo longo di cottura. S’aromatiza con ambra, e si serve in tutti i modi; avvertendo, che i sapori quali non hanno corpo, si devono servir tutti senza zucchero sopra. Della polpa delle visciole passate, se la polpa sarà otto libre, se le n’aggiugne quattro di zucchero fino in polvere, facendolo bollire a fuoco lento, e vedendo, ch’incominci a spiccarsi dal vaso, e che non scorra molto per la spatola, allora sarà perfettamente cotto. Avvertisci però di tenerlo sempre mosso dal fondo del vaso, perché facilmente s’abbrucia, e si aromatiza con cannella, garofano, e pepe; servendolo a suo tempo in piatti con zucchero sopra. Le visciole spengono la sete, e sono buonissime negli ardori della febbre. [Dodoneo Ist. delle piante C. proprio]

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Il sapore del sudetto presciutto è buonissimo per coprir gli arrosti, e vale assai per ritornar l’appetito. Piglia dunque il presciutto crudo, netto da’ nervi, e dal grasso, taglialo minutissimo, e dopo averlo benissimo pesto nel mortaio, stempralo con un poco di malvagia, e aceto rosato, passandolo dopo per stamigna; Aggiugnivi, pepe, garofano, e cannella, polvere di mostaccioli, e un poco di polvere di basilico, e fallo bollire, coprendone poi arrosti di tutte le sorti. Il presciutto è aperitivo, ma di grosso nutrimento. Il modo meno difettoso per valersene sarà in fette su la graticola, con polvere di basilico sopra.

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Fu la tavola di Sua Altezza regalata, con fogliami di sottilissima piega, con tovaglie doppie di cambraia, e merli intorno di Fiandra, il tutto fatto in ordine a quel servigio; sopra della quale stavano trè trionfi di piegatura, che rendevano stupore per la diligenza, e per la loro sottigliezza maravigliosa. Il primo rappresentava la favola di Andromeda, la quale si vedeva legata al sasso con il Mostro, Perseo, e ogni altra cosa concernente alla favola. Il secondo mostrava il Centauro, che rapì Dianira, Ercole, l’Idra, e il Leone. Il terzo era un pavone in piedi, con la coda aperta, fatto mirabilmente. Tramezzavano questi due trionfi di zucchero dorati, in uno de’ quali si vedevano le trè Grazie, che sostenevano una corona sopra un giglio turchino sollevato da un piedestallo dorato. Nell’altro trè amoretti, che parimente reggevano un altra corona sopra d’un aquila col medesimo piedestallo. Primo servigio di cucina Fu ciascheduno servito d’una minestra fatta con polpa di fagiano minutissima, con capo di latte, e zucchero, e ne seguivano piatti con l’ordine infrascritto. Ortolani allo spiede, coperti con uova miscida, limoncelli intorno, e fegatelli di cappone; tramezzati con paste tedesche. Polpettoni di vitello ripieni con cedro condito in fette, pistacchi i tartuffoli, e altri ingredienti, serviti intorno con animelle di vitello, lardate allo spiede, tramezzate con aranci partiti. Fegati di vitello intieri, lardati sottilmente, cotti allo spiede, con sopra salsa reale, intorno granelletti d’agnello, tramezzati con paste fine sfogliate. Secondo servigio di cucina Starne sottilmente lardate, non intieramente cotte allo spiede, poste dopo in brodo grasso, con cavoli fiori, e fettine di presciutto porcino; poscia con essi servite nel piatto, regalate con ostriche, e tartufoli. Capponi senz’osso, ripieni con polpa dello stesso cappone, uova, cacio, cedro condito grattugiati, pinocchi, tartuffoli, e speziaria conveniente, cotti in brodo grasso, regalati con salsicciotti alla milanese; tramezzati con lattughe ripiene. Capirotate di polpa di cappone, tramezzate con fette di cacio tomino, polvere di mostaccioli, midolla di bue, cotognata, rossi d’uova, e panna di latte, bollite con brodo grasso. Pollastrotti affogati, e cotti nel latte, serviti con zuppa sotto, coperti con uova fresche, disperse nello stesso latte, con sopra cacio parmegiano grattugiato, e cannella. Terzo servigio di cucina Pasticci all’inglese fatti in forma d’aquile, agghiacciati con zucchero; intorno l’orlo del piatto una corona di zucchero dorata. Starne lardate sottilmente, cotte allo spiede, tramezzate con paste alla francese, e limoncelli. Fagiani cotti allo spiede, lardati con cedro condito, con ale, teste, e   coda fatte di pasta di marzapane dorate, con intorno filate d’uova miscida. Torte sfogliate sotto, e sopra di mangiar bianco. Quarto servigio di cucina Tortore arrostite, con crostata di polvere di mostacciolo, intorno petroselli fritti; tramezzati con melarancie spaccate. Piccioni grossi cotti allo spiede, poi spaccati in più parti, fritti nella padella, con aranci in fette, un poco di sale, e pepe; posti nel mezzo del piatto; con intorno quaglie grasse arrostite, tramezzate di paste fine sfogliate. Porchette di latte, con fascie, e lavori di limone; coperte d’uccelletti grassi, tramezzate con pasticci piccoli, ripieni di capo di latte, con una fettolina d’aranci conditi nel mezzo. Crostate di conditi, con un fior di zucchero nel mezzo; regalate con prugne di Genova; serviti delle sodette cose. E gionto, che fù il tempo di mettere i frutti, fù con molta destrezza sgombrata la tavola, e cambiate salviette, con altre profumate, si posero in un subito le seguenti. Primo servigio di credenza Quattro grandissimi bacini, ogn’uno de’ quali rappresentava un compartito, e differente giardinetto, di pasta di marzapane dorato; i comparti del quale erano con ordine ben’aggiustato accommodati, di tutti i seguenti frutti, ritocchi d’oro. Peri di più sorti; cacio parmegiano in fette; finocchi mondi; marzolini tagliati; uva fresca, con fiori; pomi di più sorti; marroni, con zucchero, e pepe; cardi con sale, e pepe; sceleri accomodati; olivoni con fette di cedro; cavoli fioriti stuffati, con olio, e sugo di limone, sale, e pepe; tartuffoli con aranci tagliati; ostriche con limoni; prugnoli acconci; code di gambari grossi; bianco mangiare fatto con zucchero, e polpa di cappone. Si levarono finalmente i sodetti bacini; e date salviette bagnate in acqua di fior di cedro per le mani, fù levata la tovaglia, restandovi un tapeto di tela d’argento, sopra del quale furono in un subito rimesse posate profumatissime; con la seguente confettura. Secondo servigio di credenza Quattro bacini d’argento dorati, ripieni di variati conditi di tutte le sorti, ritocchi d’oro; nel mezzo di essi un aquila grande di zucchero in piedi coronata, che teneva nel rostro un giglio turchino, e intorno a’ detti bacini stavano pure varie corone di zucchero dorate. Dodeci fruttiere d’argento dorate, ripiene di variata confettura bianca muschiata, ritocca d’oro, delle quali cose dopo averne goduto le loro altezze a loro gusto, con allegrezza, e benignità indicibile, ne regalorono tutti i cavalieri, e dame, ch’erano presenti. Ma siami per grazia lecito, che levatomi dalla tavola, venga a narrare tutto ciò, che seguì in questa occasione, trattandosi d’avere servito al duca Francesco, a quel principe grande, la cui immensa benignità hà soggettato il mio cuore a perpetui ossequi; il servire a cui è un seguire il trionfo della maestà; un assistere al trono del valore; un trionfar frà le grazie; e partecipare in copia delle terrene felicità. Dirò, che oltre la tavola a quattro piatti reali de’ cavalieri, vi furono due tavole di dame, ciascheduna delle quali, fù servita con un piatto reale della stessa qualità, ch’erano quei di Sua Altezza con le medesime frutta, e confetture; oltre che tutte erano regalate d’un servigio raffreddo posto ad oro, con regali d’aquile, gigli, e statue di marzapane dorate. Che mangiarono le dame d’onore nel medesimo tempo di Sua Altezza che l’altre dame mangiarono alla lor tavola destinata, dopo aver servito a quella delle medesime altezze. Vi furono otto paggi, che col loro governatore, avanti arrivasse la corte; mangiarono alla tavola per loro preparata, con piatti reali conforme gli altri, con le loro frutta, e confetture. Che vi furono quattro aiutanti di camera, che mangiarono poi in altra tavola per loro destinata, avanti giugnesse il loro signore, che furono serviti lautamente, essendo tale il sentimento del signor Cornelio, che allora era gentilhuomo della camera segreta di quell’altezza. Che v’era la guardia de’ cavalli leggieri di Sua Altezza molto numero di staffieri; cacciatori d’ogni sorte; servidori de’ gentilhuomini, che furono tutti serviti con abbondanza di robba, e salvaticine, quali con reiterate voci d’allegrezza, applaudeano alla benignità, e grandezza del loro signore, e alla generosità incomparabile del signor Cornelio.   Che le dame d’onore furono regalate, ciascheduna d’una conchiglia tirata da due cavalli marini, ogni cosa di zucchero, ripiene di confettura, e conditi d’ogni sorte, con bandierola dorata di dafettà con arme di Sua Altezza e della serenissima casa Farnese. Che l’altre dame, ebbero due canestrelle dorate una sopra l’altra, con invenzione, sollevate, e ripiene di conditi, e confettura. E che i signori cavalieri ebbero ciascheduno di loro il medesimo regalo. Finito il pranzo; dopo un breve riposo, si scoperse in una sala una scena, con ricchissimi strati, e sedie per li padroni, e varie commodità per gli altri, nella quale dopo esser ogn’uno accommodato fù recitata una ridicolosa comedia dai primi comici di quel tempo; E scappino per una canzonetta d’improviso, cantata in onore delle serenissime case d’Este, e Farnese; fù regalato dalla magnanimità di quell’Altezza di quantità di doble di Spagna. Arrivarono in tanto dal Lago di Garda, trotte grossissime, tenconi, e carpioni, che non puotero giugnere in tempo del pranzo. Partiva Sua Altezza per la volta di Modana; quando in navazze d’argento le furono presentate, come cosa destinata a servirla, ed ella il tutto benignamente gradì, comandando che la mattina seguente le fossero portate a Modana come si fece.

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Era la tavola coperta d’una tovaglia sottilmente piegata, e le posate de’ principi stavano coperte di lavori fatti a forza di piegatura, che rappresentavano l’arme di ciascheduno di essi, tutte contornate d’oro, che riuscivano mirabilmente. Le altre posate erano ornate con fogliami capricciosi, e sottili, e sopra la tavola stavano due arbori, con loro frutti naturali, tutti di cambraia sottilmente piegata, che venivano a formar l’arma del signor duca di Ceri. Nel mezzo v’era un arco fiorito di piegatura, con festoncini fatti con artificio mirabile, nel mezzo del quale pendeva un arco di zucchero, che per una parte rappresentava l’arma di esso signor duca, unita a quella della signora principessa sua sposa, e dall’altra mostrava quella del signor principe della Mirandola, ogni cosa posta con oro a proporzione. Tramezzavano queste pieghe, Amore con arco, freccia, e turcasso, e Imeneo colla face, tutti di zucchero dorati. Primo servigio di credenza Aveva ogni posata un servigio di capo di latte, con zucchero, e un altro di fragole di montagna, levate dal vino, medesimamente con zucchero. Primo servigio di cucina Piccioni teneri coperti con un brodetto acetoso, con bocconi d’animelle, fegatelli di pollo, uva passa, e cime di petroselli; regalati   con cervellete dorate fritte; tramezzate con paste tedesche in forma di fonghi, ripiene con gelo di cotogni. Tomaselle grandi fatte con fegato di vitello, pinocchiato fresco, cedro condito minuto, cacio grasso grattugiato, rossi d’uova, cannella, zucchero, pepe, garofani, midolla, e butiro, incorporate tutte le dette cose, involte in rete, cotte in tegame al forno, poste nel mezzo del piatto, con zucchero sopra, regalate con cotogni silopati in zucchero, fette di pane dorato fritto tramezzate da vari uccelletti grassi. Capirotate fatte con petti di polli d’India, pane di Spagna, cacio grasso, tartuffoli, cotognata, polvere di mostaccioli, midolla, e panna di latte, con brodo grasso di manzo, bollite a fuoco lento, zucchero, e cannella sopra, regalate intorno con animelle di vitello lardate cotte allo spiedo, e fette di limoni. Paste fine fritte con una fettolina di cedro condito nel mezzo, e zucchero sopra, regalate intorno con fegato di vitello fritto in fette, con sopra, sale, pepe, e aranci spaccati. Secondo servigio di cucina Pollastri d’India senz’osso ripieni con sua polpa, uova, formaggio, scorcio di cedro condito minuto, cannella, pepe, midolla di bue, fegatelli delli stessi in bocconi, cotti in tegame con butiro fresco, posti nel piatto, regalati con pere silopate nel zucchero; tramezzati con lavori sfogliati, cotti in forno, e zucchero pesto sopra. Anitre domestiche stuffate con un bicchiere di malvagia, e zucchero, regalate con capi d’aglio intieri, cotognate, paste tedesche passate per siringa, e fritte, con sale, e pepe sopra. Piccioni grossi allo spiedo ripieni gentilmente tra carne, e pelle, con crostata di polvere di mostaccioli, regallati con pasticcini piccoli di pasta di marzapane, ripieni di capo di latte, zucchero, e uova. Lepre sfilata soffritta, in butiro, con punte di petrosello poste in tegame con aceto forte, zucchero, e cannella, bollita a fuoco lento, servita nel mezzo del piatto, con intorno crostini di rognonata di vitello, tramezzate d’ortolani grassi allo spiedo, con zucchero. Terzo servigio di cucina Una testa di storione cotta in bianco, servita con sale, pepe, e olio, con petroselli, e limoni spaccati intorno, con altri trè piatti di storione, accommodato come sopra. Pasticci scoperti ripieni con polpetine di storione, ostriche, prugnoli, tartuffoli, e pinocchi, sollevati nel mezzo del piatto, con uova miscida sotto detti pasticci, che pendevano a guisa di pioggia d’oro;   con intorno quaglie arrostite, tramezzate con fette di mangiar bianco dorato. Vasi di pasta, con orlo dorato, con dentro storione arrostito, e sopra salsa reale, intorno quattro fagianotti lardati di cedro condito parimente arrostito, tramezzati con cannoncini sfogliati fritti agghiacciati di zucchero, ripieni d’uova miscida. Torte di mangiar bianco, sotto, e sopra sfogliate, con intorno prugne damaschine condite. Quarto servigio di cucina Tortore nelle carte cotte allo spiedo, regalate intorno di porcellette piccole d’acqua dolce, fritte, servite con limoncelli spaccati, e petroselli fritti dorati. Lampredine piccole fritte in butiro, con paste tedesche fritte, tramezzate di cotogni conditi spaccati. Insalate in putrida, fatta con erbaggi odorosi, e gentili, tarantello, caviale di storione, inchiove di Genova, pistacchi, e tartuffoli, condite con aceto d’ambra, e olio di Toscana. Torte di pistacchi, ritocche d’oro, e foglie di lauro dorate. Secondo servigio di credenza Ostriche alla graticola. Tartuffoli, con zuppa. Prugnoli, con melarancie. Cavoli fiori tartuffolati. Bottarga in fette. Olivoni con fette di cedro. Uva fresca, con fiori. Sceleri, e cardi, con pepe. Pere di più sorti. Maroni con sale, e pepe. Cacio parmegiano. Finocchi in canna, e in grana. Ogni cosa delle sodette in salviette. Levate finalmente le frutta, colla prima tovaglia, se nè scoperse un altra piegata a quadretti, dentro de’ quali v’erano con piegature dorate, tutti i trionfi dell’arme de’ principi convitati, arbori di cerri, aquile, leoni, e scacchi dell’arma Pica, ogni cosa contornata d’oro sino a terra, che facea mirabil vista.   Terzo servigio di credenza Si posero salviette, e posate profumate, con otto bacini due ripieni con ogni sorte di conditi, due di confettura bianca, liscia, muschiata, due di varie cotognate, e paste di Genova, gli altri due con lavori di monache, e diversi fiori di zucchero. Uscì dopo il pranso la signora principessa sposa con numeroso corteggio di dame della città. L’illustrissimo senato si compiacque di far correre un palio di tella d’oro, a’ cavalli barbati, in onore delle sodette eccellenze. E da sei cavalieri fù fatto un incontro di lancie improviso, e gustoso, con amplissima licenza a chiunque di mascherarsi per quel giorno; Cose molto gradite da que’ principi, e di contento a tutta la città.

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V’erano sù la tavola tre statue di zucchero, che rappresentavano, Venere, Bacco, e Cerere. V’era Alcide, ch’al petto si stringeva Anteo. Orfeo con la lira, e vari animali, che gli stavano appresso intenti. Diana nel fonte, con Ateone converso in cervo, ogni cosa di sottilissima piega fioriti di cambraia, e seguivano gl’infrascritti raffreddi. Primo servigio di credenza Meloni bianchi, e rossi, regalati di vari fiori, ritocchi d’oro. Fichi diversi mondati, e freddi, con fiori. Torte di pere moscatelle, di sopra marzapanate, steccate di cannelloni confetti. Zuppe di sugo di limone, e zucchero, con acqua di fior di cedro, freddissima, in vasi d’argento dorati. Mangiar bianco in figure ritocche d’oro. Pasticci in forma di cornucopia dorati. Moscatello insieme con logliatico, e vari fiori. Lavori di pasta sfogliata in forma di rose con zucchero sopra. Olivoni, con sugo di limoni, e fette di cedro. Salami in fette, serviti con foglie di lauro dorate. Primo servigio di cucina Pezzi di fegato di vitello lardati, cotti nello spiedo, con sopra salsa reale, regalati con mangiar bianco fritto intorno, tramezzato con granelletti d’agnello fritti, e limoni. Tordi cotti non intieramente allo spiedo, finiti di cuocere in brodo grasso, con finocchietti, e salsicciotti alla milanese, posti nel piatto con lattughe ripiene; cotte in brodo grasso di bue, e intorno all’orlo salame grattugiato.   Capponi senz’osso, regalati con cipolle ripiene, cavoli fiori, e presciutto sfilato. Conigli stuffati, regalati con frutti silopati, e vari uccelletti grassi allo spiedo, con limoni in fette. Secondo servigio di cucina Piccioni grossi posti nelle carte, tortorati, cotti allo spiedo, regalati con animelle di vitello, tramezzati con aranci verdi, e paste tedesche fritte. Cassette di pasta reale della grandezza d’un tondo, ripiene con ostriche, cavoli fiori, e tartuffoli, coperte con pasta di marzapane, lavorato à fogliami, e le dette cassette venivano a cedere nel mezzo del piatto sopra navicelle tirate a foggia di baluardi, che uscivano sino all’orlo di esso piatto, ripieni con ortolani allo spiedo, tramezzati con piramidine di gelatina di color d’ambra. Pasticci di spezzata di lepre, in forma delle medesime, con intorno cervellette fritte, involte in uova, cacio grattugiato, polvere di pane di Spagna, fritte in butiro, tramezzate con lavori di pasta, passate per siringa, e fritte nel medesimo butiro. Pezzi di schiena di storione, lardati sottilmente di lardo porcino, con salsa sopra reale, regalati con varie figure di cedro, e aranci spaccati. Terzo servigio di cucina Polpettoni di vitello ripieni, con uova, cacio parmegiano grattugiato, pistacchi, fettoline di cedro condito, tartuffoli minuti intieri, cimette di menta romana, e pinocchi, con speziaria conveniente, col piatto servito intorno di tortore arrostite, con crostata di polvere di mostaccioli, tramezzati con pasticcini piccoli fatti con uova, farina, zucchero, e latte di pinocchi, ripieni con cedro condito, rossi d’uova, e cotognata, fritti nel butiro gentilmente. Trota del Bagno minuta fritta in olio, e butiro purgato insieme, servita con limoncelli, tartuffoli, e pinocchi sopra. Fagiani lardati con cedro condito, cotti allo spiedo, con ale, teste, e code di pasta di marzapane, con intorno una corona di dateri stuffati in buona malvagia, e zucchero. Pasticci sfogliati ripieni con polpa di galli d’India, fette di cocuzzata condita, agresto, midolla, grasso di manzo, pepe, noce moscata, pinocchi, tartuffoli, e altre cose, con zucchero sopra, regalato di rondoncini teneri cotti allo spiedo, con zucchero, e limoni tagliati.   Quarto servigio di cucina Pollastri d’India fagianati, regalati con mangiar bianco fritto in fette, tramezzati con pasticcini di pasta di marzapane, ripieni di cotognata. Porchette da latte, ripiene con vari ingredienti, coperte con uccelletti grassi arrostiti, regalati con lavori di cedro, intorno fogliami di pasta reale, ripieni di cervelletti di vitello, agro di cedro, zucchero, uova fresche, e un poco di panna di latte, cotte in forno con zucchero sopra. Pernigoni lardati alla francese, posti sopra uova miscida, con intorno prugne di Genova condite. Torte di conditi sopra marzapanate con vari amoretti di zucchero nel mezzo. Secondo servigio di credenza Si diedero salviette bianche, profummate, e si posero insieme. Ostriche alla graticola, tartuffoli con zuppa, e cavoli fiori, tutto in un piatto, uno per signore. Uva di più sorti. Finocchi in canna; e in grana. Persici bianchi, e rossi. Zuppe di persici in vasi dorati. Pere di più sorti. Azzaruole, con fiori diversi. Prugne varie. Olivoni con sugo di limoni, e fette di cedro. Terzo servigio di credenza Arpie di zucchero, ritocche con oro, che sostenevano cannestrelle dorate, ripiene con varie sorti di conditi. Dodeci confettiere di zucchero, ripiene di confetti lisci, e muschiati. Trè bacini con diverse cotognate, e lavori di monache. Fù data acqua odorifera alle mani, con regali a tutti d’odorosissimi fiori.

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L’illustrissimo senato gli diede il pranzo la mattina a Castel S. Pietro, dove mangiò insieme con monsignore Spinola vicelegato, il padre Virgilio fratello di sua eminenza, i signori conti Alamanno Isolani, e Ercole Bonfioli senatori eletti per accompagnarlo, e servirlo a’ confini, e altri signori al numero di dodici; Onde si fece un servigio a due piatti reali nel seguente modo. V’erano prima alcuni trionfi di zucchero dorati, l’uno de’ quali rappresentava l’abbondanza, col cornucopia, e spiche alla mano. L’altro rappresentava la pace con un ramo d’olivo, e ambe alludevano allo stato, in che sua eminenza lasciava la città. Nel mezzo d’esse, v’era la statua fatta al naturale d’esso eminentissimo con una felsina prostrata, che in un bacino dorato le presentava i regni pontificii col motto che dicea augurium felsineum. Ogni cosa di purissimo zucchero. Era la tavola ripiena de seguenti raffreddi. Primo servigio di credenza Torte di cotogni ritocche d’oro. Zuppe di sugo di limone, e zucchero fredde, in vasi d’argento. Capo di latte, e fragole, con zucchero. Lavori di pasta ritocchi d’oro, riportati in banda, con suoi comparti, ripieni di vari frutti silopati. Melloni rossi, e bianchi con neve. Fichi mondi freddissimi. Mangiar bianco in forma di rilievo, coll’arma di esso eminentissimo dorata. Pasticci in forma di mostri marini, inargentati a squame. Carpioni carpionati, con limoni intorno.   Sfoglie carpionate grosse regalate, con lavori di cedro, e foglie di lauro dorate. Olivoni grossi, con limoni in fette. Moscatello, e lugliatica insieme con neve. Primo servigio di cucina Minestra di latte di pinocchio, con panna di latte, rossi d’uova, e zucchero. Zuppe di latte con uova fresche, sparse con zucchero purgato, regalate con gelo di cotogni. Pasticci brodosi scoperti, ripieni con latte di storione, tartuffoli, uova di trotta, code di gambari, e pinocchi, e altri debiti ingredienti, regalati intorno con fette di mangiar bianco dorato, tramezzate con rossi d’uova silopate. Trotta grossa con petroselli, e limoni, intorno coccuzze piccole partite, ripiene con code di gambari, vari frutti, pinocchi, rossi d’uova, cacio parmegiano grattugiato, e altri ingredienti, cotte in tegame con butiro, e agresto; tramezzate con paste fine sfogliate, fritte in butiro. Secondo servigio di cucina Bulbari grossi posti all’alemana con butiro, e vino generoso, regalati con lardoni di pane fritto, prima abbeverati in moscato, con latti dello stesso in bocconi: intorno navicelle piccole di pasta reale, ripiene di tartuffoli tramezzate con polpettine di panza di luccio, sopra fette di limoni. Frittate alla spagnuola, con polpa di cipolle minute, cotte in butiro purgato, e zucchero, miste con rossi d’uova fresche battute, cotte a fuoco di carbone; sollevata detta frittata nel mezzo del piatto, con zucchero sopra, sotto alla quale uscivano alcune porcellette fritte, ch’andavano a posarsi col capo sù l’orlo del piatto, tramezzate con melarancie partite, e paste vote sfogliate. Tartaruca grande a proporzione del piatto, formata di pasta, ritocca con oro, che sopra il dorso portava un pezzo di storione arrostito, servito con limoni, e intorno foglie di lauro. Tortelli alla lombarda, con butiro, cannella, cacio parmegiano grattugiato sopra, ripieni di fagiolini teneri ben pesti, misti con uova, cacio, pepe, e polvere di mostacciolo, su l’orlo del piatto, zucchero, e cannella.   Terzo servigio di cucina Bragiole di luccio grosso, cotte alla graticola, bagnate con olio, e aceto garofanato, poste nel mezzo del piatto; con intorno agresto silopato; tramezzate con paste tedesche fritte, passate per siringhe. Frittatine d’un uovo, involte a guisa di cannoncini, ripiene con code di gambari battute, cappari di Genova, pistacchi ammaccati, cotognata in filetti, e polvere di mostacciolo, poste in quantità sino al riempimento del piatto, servite sopra con zucchero, e cannella, bollite in butiro lentamente. Pasticci grandi in forma di lumaca serrata, ripieni con pezzi di meglioramenti, bocconi di storione, tartuffoli, interiori di luccio, code di gambari, pinocchi, e altri dovuti ingredienti, regalato intorno con lumachette piccole di pasta di marzapane in più forme, ripieni con cedrini, e mangiar bianco, tramezzate con tagliolini d’uova, e zucchero. Torte d’uova alla genovese, sotto, e sopra sfogliate, con zucchero sopra. Quarto servigio di cucina Sfoglie grosse fritte, servite con paste tedesche, e limoni. Pagnotte vote, abbeverate nel latte, ripiene con polpa della stessa pagnotta, panna di latte, polvere di mostacciolo, e bocconi di cotogno condito, serrate le dette pagnotte, poste con butiro in forno, servite col loro lustro di zucchero alla spagnola. Sei tritoncini di pasta di marzapane a sedere sopra delfini di pasta dorati, quali aveano in ispalla un govio, con diligenza fritto per ciascheduno, e un altro sotto al braccio, tramezzati con limoni, e salvie fritte dorate. Crostate di visciole, regalate con piramidine di mangiar bianco dorate. Primo servigio di credenza Salviette bianche profumate. Due bacini di ghiaccio ripieni di vari frutti. Pere di più sorti. Moscatello, con fiori. Finocchi mondi. Marzolini spaccati. Cacio parmegiano in salviette. Prugnoli.   Tartuffoli. Prugne di più sorti. Lugliatica con neve. Persici duraci. Bottarghe, con aranci. Caviale di storione. Gambari grossi. Terzo servigio di credenza Levata la prima tovaglia, furono posti in tavola sei bacini, due con lavori vari di monache, due di varie cotognate, e altri due con pistacchea, mostaccioli, e cerrini di monache. Fù ciascheduno regalato, con un piatto di zucchero dorato, ripieno di confettura bianca, e vari conditi, e si diede acqua odorifera alle mani. Subito dopo il pranzo, riprese il viaggio sua eminenza alla volta d’Imola, servito da’ sodetti signori ambasciadori, e da numerosa nobiltà sino a’ confini, con applauso dovuto a quelle pregiatissime virtù, ch’oltre il merito della regale, e sacra porpora, lo rendono al mondo prodigioso, e ammirabile.

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Era la tavola, oltre i sottilissimi copertori, e fogliami, ornata nel seguente modo. Primo servigio di credenza Si ergeva da un capo della tavola un trionfo di sottilissima piega, che rappresentava un fioritissimo giardino, in cui si vedeva Armida, che in aspetto dolente si lacerava i capegli, con Rinaldo, e compagni, che stavano in atto di partire. Dall’altro capo stava collocato un trionfo dello stesso, che rappresentava un verde prato, con selvetta di vari arbori intorno, e nel mezzo un arbore degli altri maggiore, che nell’orridezza del tronco, mostrava l’aspetto d’un briareo, con numerose braccia, che aveano impugnato, e spade, e scudi; al piede di esso stava Rinaldo col brando in atto di ferire. Lavori artificiosissimi, e maravigliosi. Nel mezzo della tavola, compariva un trionfo tutto di zucchero contornato d’oro, che rappresentava la Giustizia, la Pietà, e il Valore, che sosteneano ciascheduno con una mano in alto una grande aquila inargentata, e nel piedestallo di detto trionfo si leggevano in lettere d’oro le seguenti parole di quel poeta famoso. E cosi sia che vole L’aquile estense oltre le vie del sole. Avea ciascheduno un piatto coperto, con capo di latte, e zucchero   Primo servigio di cucina Pasticcini brodosi di pasta reale, ripieni con bocconi d’animelle, tartuffoli, pinocchi, midolla, fegatelli di pollo, con sua speziaria, posti in un piatto mezzano, con un copertoio sopra di pasta di marzapane fatto a fogliami, disegnato con oro, sollevato nel mezzo del piatto sopra code di leoncini, che venivano con la parte d’avanti, a posarsi sù l’orlo del piatto, tramezzati con piccioni grossi, ripieni gentilmente trà carne, e pelle, cotti in brodo grasso, con cavoli fiori, fette di persciutto, e tartuffoli. Un lavoro di pasta a guisa d’una gran sottocoppa, con piede alto, fatto con variati lavori dorati, posto nel mezzo del piatto, ripieno con quaglie grasse arrostite, tramezzate con uova miscida, e intorno al piatto, pollastrotti teneri aperti nel petto, e cavatene l’ossa, ripieni gentilmente, cotti in tegame con butiro, zucchero, e agresto, insproccati con pinocchi lavati in acqua rosa, tramezzati con polpettoni fatti di polpa di vitello, uova, cacio, pistacchi, fettine di cedro, erbette odorose, pepe, noce moscata, e cannella, con poco sale, quali mostravano nel mezzo animelle intiere di vitello. Capponi grossi senz’osso, ripieni con le stesse polpe, accompagnati da’ gentili ingredienti, posti con ordine nel piatto, e nel mezzo di essi un cavollo fiore intiero, cotto in brodo grasso, regalato con cipolle ripiene d’uova, cacio, zuccata condita in fette, midolla, panna di latte, zucchero, pepe, e cannella, cotte in tegame, con brodo grasso, tramezzate con navicelle di pasta di marzapane, ripiene con cotogni conditi. Aquilette di pasta reale, rapportate in banda ritocche d’oro, e nel mezzo di ciascheduna, una tortora stuffata, con sopra sapore d’agro di cedro, sollevate nel mezzo del piatto, con intorno figure di mangiar bianco, tramezzate con grannelli d’agnello, e fette di limoni. Secondo servigio di cucina Un lavoro di pasta reale in forma di rose con vari comparti, ripieni di vari sapori, alcuni fatti con cervelletti di vitello, rossi d’uova, panna di latte, e zucchero, parte di brugne damaschine, e convenienti aromati, altri con gelo di cotogni, altri in fine con finocchi, basilico, mostaccioli in polvere, e sugo d’aranci; sollevato ne mezzo del piatto, con intorno gigli di pasta di marzapane rapportati in banda, ripieni con latte di storione, fegato dello stesso, ostriche, tartuffoli, cappari di Genova, pinocchi con due speziarie adattate, tramezzate con figure di gelatina di vari colori.   Trotta grossa in bianco, in navicelle fatte con lavori di pasta dorati, olio di Toscana sopra, sugo di limone, e pepe, regalate intorno di corone di cedro lavorate, ripiene con tartuffoli, e cappari, tramezzate con fronde di petrosello verde ritocco d’oro. Balene fatte di pasta, grandi a proporzione del piatto, con squame inargentate, che portavano sul dorso uno storione cotto in bianco, con limoni da sugo spaccati intorno, e vari lavori di cedro. Insalate in putrida, che mostravano nel mezzo, sopra d’una conca marina, Venere, con Amore, ogni cosa di zucchero dorato, solevata sopra la coda di quattro delfini, intagliati di cedro, con teste di cacio parmegiano dorate, circondata da varie erbette odorose, bottarghe in fette sottili, inchiove, olive senz’osso, caviale di Lorèo, tartuffoli grossi in fette, radiche di più sorti, granelli di melagrani, e altri infiniti ingredienti, condite con olio di Toscana, sale, e aceto d’ambra. Terzo servigio di cucina Fagiani allo spiedo, lardati gentilmente con cedro condito, involti nelle carte, con fette larghe, e sottili di lardo di porco, con ale, teste, e code di zucchero dorate, regalate intorno con pasticcini di pasta di marzapane alla genovese, ripieni di bianco mangiare, rossi d’uova, e zucchero, coperte con castagnette fatte di zucchero muschiate, e dorate. Torrioni di pasta reale, con suoi merli intorno, armati alla cima di cannoncini di pasta sfogliata, ripieni d’uova miscida, con un recinto intorno di pasta di marzapane, e vari baloardini piccoli, posto il tutto con oro, ogn’uno de’ quali avea una starna nel mezzo lardata minutamente, e arrostita, tramezzati con altri cannoncini di pasta reale, ripieni di bianco mangiare, e intorno in tutti i vacui, uccelletti grossi con lavori di limone, coperto il fondo del piatto d’uova miscida. Ortolani grassi allo spiedo, cotti diligentemente, regalati con biscotti alla savoiarda, tramezzati con paste fine sfogliate, e fritte in butiro, ripiene con cedro condito, cotognata, e rossi d’uova, con un poco d’acqua di fior di cedro. Torte di polpe di vitello, prima arrostite, piccate minutamente, accompagnate con rossi d’uova, midolla di bue, cedro condito in fette, cotognata in filetti, e capo di latte, fatte di pasta frolla con butiro, e zucchero, servite calde, con un altro copertoio, fatto di cordoncini di pasta di marzapane, con lavori intrecciati d’aquile, fatte di zucchero il tutto dorato.   Quarto servigio di cucina Varoli grossi cotti in bianco con olio, sale, e pepe, accommodati in un batello fatto di pasta reale, contornato d’oro, acompagnato con lavori di limone, intorno granci marini di pasta di marzapane, ripieni con pistacchi macerati in acqua rosa, e zucchero, tramezzati con ostriche alla graticola, e tartuffoli insieme. Carpioni fritti carpionati, con fette di cedro intorno, tramezzati con cime di cedro condito dorate. Tritoni di pasta inargentati a squame, con lumache marine fatte di zucchero alla bocca, in atto di sonare, posti a sedere intorno d’una conca marina di pasta reale segnata con oro, nel mezzo della quale, stava collocato un pezzo grande di storione cotto allo spiedo, con salsa sopra reale, intorno sarda di lago alla graticola, tramezzata di vari lavori di cedro, e limoni spaccati. Torte di conditi di sopra marzapanate, con aquile di zucchero nel mezzo, regalate con tagliolini di pasta di zucchero muschiata. Secondo servigio di credenza Salviette profumate. Ostriche alla graticola. Tartuffoli con zuppa sotto. Cavoli fiori tartuffolati. Finocchi mondi. Finocchi in grana. Sceleri con sale, e pepe. Cardi col medesimo. Crostini di caviale di storione. Marzolini di Firenze. Cacio parmegiano. Persici bianchi, e rossi. Azaruoli, con vari fiori. Maroni mondi. Ogni cosa in salviette. Terzo servigio di credenza Quattro camelli fatti di zucchero, e amido, con some d’ogni sorte di conditi, prostratti in piatti pur di zucchero, ripieni con fiori dello stesso, fatti al naturale, il tutto con oro.   Otto piatti reali di confettura bianca, liscia, muschiata, cotognate di varie sorti, e lavori gentilissimi di monache. Si diede acqua alle mani con salviette bagnate in acqua di fior di gelsomini di Catalogna, elevate tutte le cose, cantò la sittimia musica famosissima nell’arpa, con infinita grazia il lamento d’Arriana.

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Erano nel salone solito de’ signori Anziani compartiti quattro cori di musica di voci, e di stromenti; tanto eccellenti, che molto bene spiccava, oltre la magnificenza di quell’eccelso maestrato, quanto importi il mantenere, e provigionare quel provido senato le scuole dell’una, e dell’altra professione, dalle quali sono usciti, e escono di continuo huomini d’infinita estimazione, che sono stati, e sono richiesti dai primi potentati d’Europa, e da essi in premio della loro virtù beneficati. Si facevano, dico, udire questi con accenti, e suoni tanto soavi, che svegliavano ne’ cuori di tutti allegrezza, e contento; quando comparvero quattro scalchi, che data acqua odorifera alle mani, assegnarono a ciascheduno i posti conferme l’usata anzianità, e si videro da’ capi della tavola tanto de’ signori anziani, quanto de’ signori Collegi, archi altissimi, fabbricati di sottilissima piega, da’ quali pendevano per ogni banda festoncini di frutti, e fiori fatti di zucchero, e nel mezzo di esse, due statue di zucchero dorate, una delle quali rappresentava la Giustizia, l’altra la Pietà, e ciascheduna sostenea con una mano arme della Libertà, pur di zucchero dorate; e ne seguiva l’ordine degli infrascritti raffreddi, quali benché fossero di magro, mostravano tutti di grasso. Primo servigio di credenza Torte di sopra marzapanate, con arme della città nel mezzo. Mangiar bianco in figure, tocco d’oro, fatto con latte di mandorle. Butiro passato con zucchero artificiato, con latte, e altri ingredienti. Capo di latte fatto con latte di pinocchio, e zucchero. Gelatina di vari colori, fatta con vari pesci. Presciutto in fette, regalato di vari fiori, fatto con pasta di marzapane.   Salame in fette, servito con foglie di lauro dorate, fatto dello stesso. Pasticci in forma di leoni dorati, regalati con fiori diversi. Mostaccioli in salviette, tramezzati con paste di Genova. Olivoni acconci, con cedro in fette. Primo servigio di cucina Latti, e fegati di storione fritti gentilmente, serviti con limoni, e petrosello fritto dorato. Miglioramenti grossi allo spiede, serviti con melarancie, e paste vote, fritte con zucchero sopra. Pasticci brodosi di bragiolette di storione, ostriche, tartuffoli, e code di gambari. Chieppe grosse in bianco, con olio, sale, pepe, e limoni. Secondo servigio di cucina Bulbari grossissimi, cotti nel forno, con sopra un sapore acetoso, regalato con fettoni di pane fritto, cappari di Genova, e pinocchi. Lavori di pasta in forma di fortezze tocche d’oro, ripiene con polpettine di storione; code di gambari, ostriche, tartuffoli, pinocchi, capparini di Genova, cardi in bocconi, regalati intorno con paste sfogliate, fatte con olio di mandorle dolci, ripiene con fette d’aranci conditi. Lucci grossissimi, in navazzette di pasta, lardati con inchiove, e tarantello, cotti allo spiede, con sopra salsa reale; regalati con fette di limoni; tramezzati con latte di bulbaro fritti gentilmente, e fette di tarantello. Sapore bianco fatto con pinocchi, e cantucci di Siena bagnati in sugo di limone, e zucchero, un piatto per ciascheduno. Terzo servigio di cucina Varoli grossi cotti in bianco, serviti sopra salviette candide, con petrosello dorato. Tenconi di lago rovesci alla graticola, ripieni gentilmente, regalati con melarancie spaccate, pinocchi, e cappari di Genova, e tartuffoli. Pezzi di storione arrostiti, con sopra salsa reale, serviti in lavori di pasta, in forma di tegami dorati, regalati intorno con limoni, e salvie fritte. Castagnette di pasta fritte in olio di mandorle dolci, ripiene di marzapane, e conditi, poste nel mezzo del piatto; con intorno govi d’una libra, fritti, tramezzati con altre paste, e cannoncini, ma voti.   Quarto servigio di cucina Sfoglie grosse fritte, regalate con limoni in fette; tramezzate con tagliolini di pasta fritti, e di vari colori. Insalate regalate, compite d’ogni proporzionato ingrediente. Figure fatte di pasta, che rappresentavano pescatori, con una rete fatta di candido cordoncino di seta; nella quale, due per piatto, sostenevano storioncini piccoli cotti in bianco, regalati con calamaretti piccoli fritti, code di gambari, tartuffoli, e cappari di Genova. Torte di conditi, fatte con olio di mandorle dolci, regalati con piccoli pasticcini di pasta di marzapane, con dentro aranci conditi in pezzetti. Secondo servigio di credenza Pere di più sorte. Finocchi cardati. Olivoni con cedro. Marroni in salviette. Sceleri, e cardi, con sale, e pepe. Uva fresca. Ostriche alla graticola. Pistacchi lavati in acqua rosa. Pinocchi con zucchero. Tartuffoli, con sotto zuppa. Caviale di Ferrara. Prugnoli, e cavoli fiori tartuffolati. Ogni cosa con ordine, in piatti regalatissimi. Levato in fine ogni cosa; si diede acqua odorifera alle mani; Si levò la prima tovaglia; furono poste nuove posate profumate di fiori, con la seguente confettura. Terzo servigio di credenza Galee fatte di zucchero, ritocche d’oro; piene di vari sorti di conditi, con dodeci batelli per ciascheduna pur di zucchero, carichi di varia confettura, cotognate, e lavori di monache.

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Fù la tavola di maravigliose pieghe regalata, con trè archi sontuosi, le collone, capitelli, e basi de quali erano tutte di piegatura a spina di pesce, da cui pendevano festoncini fioriti di cambraia, accommodati con nastri di vari colori, ritocchi benissimo d’oro, i quali stavano disposti uno d’essi nel mezzo della tavola, e altri due da’ capi; Nel mezzo pendendogli scudi di zucchero, coll’arme degli eccelentissimi sposi, mirabilmente regalate. Furono i detti archi tramezzati coi seguenti trionfi, posti con ordine tale, che l’arte appariva mirabilmente, né trà la varietà de’ celesti, terrestri, acquatici, e infernali; Si vedea disordine, ò proporzione. Spicavano di sottilissima, e variata piegatura i seguenti, che di gran lunga superavano l’arte. Giunone sopra d’un carro, tirata da due pavoni. Pallade armata con asta alla mano, e elmetto in capo, circondata da una corona di cacciattori. Venere, con Amore sopra d’un carro, tirato da due colombe.   Seguivano composti da maestra mano, Atlante, che sopra il dorso sostenea il globo del mondo Due giganti, che faceano alla lotta. Et Alessandro sopra Buceffalo. Di perfettissimo lavoro di zucchero se vedeano, Nereidi in atto di danzare, con tritoni, in onde marine. Nettuno in piedi col tridente circondato da quattro fiumi; il Pò, il Reno, l’Arno, e il Tevere. Una balena con quattro cavalieri sul dorso, armati a squame d’argento, sopra cavalli marini, con lancie tese, due incontro agli altri. Et per ultimo di pasta di marzapane gentilmente composti. Caronte col remo nella barca. Cerbero legato con cattena ad un sasso. E le trè furie in orribile aspetto. Erano tramezzati i sodetti trionfi dagl’infrascritti raffreddi. Primo servigio di credenza Cedri conditi insteccati di cannelloni confetti, carichi d’uova miscida, in salviette bianche profummate, con persici intorno conditi asciutti ritocchi d’oro, tramezzati da varie coroncine di zucchero dorate, nel mezzo delle quali stavano aranci conditi, che nel loro mezzo mostravano un fiore di zucchero. Torte di vari conditi inquartate, segnate con oro, nel mezzo di esse, amoretti di zucchero, regalate intorno con gigli di pasta di marzapane portati in banda, ripieni con gelatine di monache, adorne di fiori di pinocchi. Bianco mangiare in varie figure dorate, regalate intorno di cotogni conditi spaccati, tramezzate con fogliette fine di monache, ripieni d’uova miscida. Pasticci reali sfogliati, con lustro a modo di marzapane, con intorno aquilette di pasta reale inargentate, ripiene di cedro grattugiato condito, e uova miscida. Gelatina di color d’ambra, armata con lanciette di polpa di fagiani regalata intorno con gigli di pasta di Genova, e un iride sopra medesimamente di gelatina di vari colori trasparenti, presa nello sua cassa fatta di pasta sottile, ritocca d’oro.   Un presciutto, cotto nel vino, acqua, aceto, e suoi necessari aromati, con ghiaccio di zucchero sopra regalato intorno con leoncini di citronata, e un arco sopra, fatto con pasta di marzapane, e conditi, posto con oro, sopra del quale stava, un uccello da rapina, che andava a cibarsi col capo nel piatto, con la coda sollevata; fatto di pasta di zucchero, miniato deligentemente, che sembrava naturale. Sombrieri alla spagnola, fatti con pasta di sfoglio sotto, alzati con variate composizioni di bianco mangiare, d’uova miscida, e cotognate, con vari conditi in fette, tramezzate sempre ogn’una d’esse con uno sfoglio di pasta sottile, prima posto in tegame grande con butiro, e pigliar solo un poco di fuoco in modo, che resti morbido, e gustevole, alzando sempre il detto sombriero nel mezzo, sino all’intiera perfezione, conforme il gusto di chi opera, tagliato intorno co’ suoi merletti della stessa pasta, poste nel forno, servito con ghiaccio di zucchero, e un cordone intorno fatto di uova miscida, e di zucchero dorato, con pennacchi naturali, e galle fatte di pasta di zucchero dorate, e naturali. Fagiani cotti allo spiedo, poi lardati per il lungo, con lardeloni longhi fatti di cocuzzata di Genova, ornati con le loro teste, ale, e code naturali, profummate, e accommodate con nastri, tremolanti d’oro, e vari fiori, regalati intorno con due serpi agroppate insieme fatte di pasta di zucchero segnate con oro, e argento. Salami in fette ritocchi d’oro, regalati con un festoncino intorno di pasta di marzapane, disegnato con varie frutta, e fiori ritocchi d’oro. Uova miscida, con una statuetta di zucchero nel mezzo, regalata con biscotti alla savoiarda. Olivoni acconci con sugo di limone, regalati con lavori di cedro, tramezzati di cappari di Genova inargentati, e prugne damaschine condite, dorate. Primo servigio di cucina Minestre di petti di starne prima arrostite, poi spolpate, e cotte in sugo di castrato, un poco di brodo grasso di bue, midolla in bocconi, animelle in fette, poi soffritte in butiro, un poco di pepe, e noce moscata, con fettoline di presciutto, con sotto dadi di pane di Spagna, e sopra un copertoio di zucchero ritocco d’oro, un piatto per ciascheduno. Piante grandi di mortella naturali sollevate sopra fusti finti di pasta, tutti profummati e dorati, sopra de’ quali stavano aggiustati alcuni ortolani grassi, cotti allo spiedo, e posti in piedi nel mezzo del piatto, con intorno tordi non intieramente cotti allo spiedo, ma finiti di cuocere   in brodo grasso, coperto con lattughe ripiene, tramezzati con polpettine piccole di vitello, e fette di provatura, e sù l’orlo del piatto, salame grattugiato. Gabbiottini fatti di pasta reale, ritocchi d’oro, disposti intorno del piatto, con dentro un piccione grosso per ciascheduno, cotto in bianco, coperto con cavoli fiori, e tartuffoli, col medesimo riempimento nel mezzo del piatto, tramezzati detti gabbionetti, con granelletti d’agnello è sopra fette intiere di cedro. Olie potrite disposte in forma di montagna, con petto di bue grasso in fette, due anitre grasse domestiche, polastri d’India, prima arrostiti, salame in fette, presciutto sfilato, capi d’aglio, cipolle ripiene, finocchi tagliati, rape in fette, cavoli ripieni, olive grosse senz’osso, salsicciotti alla milanese, cavoli fiori, tartuffoli, ostriche, pistacchi, lombi di lepre arrostita, cappari di Genova; marzolini in pezzi, ceci franti, e animelle di vitello lardate allo spiedo, ogni cosa separatamente cotte, con sale, e pepe conveniente, speziaria, e un poco di zafrano, poste nel piatto col maggior ordine possibile, con un aquila grande di pasta di marzapane sollevata nel mezzo del piatto ritocca d’oro, e intorno pasticcini da boccone fritti, ripiene di cedro condito, cotognata, e rossi d’uova toste. Quaglie grasse arrostite gentilmente, coperte d’un copertorino di zucchero a’ quattro angoli fatto a rete, tutto dorato, armato intorno con biscottini alla savoiarda profumati. Secondo servigio di credenza Salviette profummate. Gelatine di monache. Tortine sfogliate ripiene, con prugne damaschine, e zucchero. Ciambellette, con buttiro, e zucchero ogni cosa freddissima in porcellana, un piatto per signore. Secondo servigio di cucina Cacciatori fatti di pasta reale, posti nel mezzo del piatto, con una lepre di zucchero miniata al naturale, alle spalle i loro arnesi da caccia con due cani levrieri fatti dello stesso a lasso con un cordoncino d’oro, ed intorno ad essi, lepre sfilata soffritta in butiro, poscia bollita con zucchero, e aceto cannellato, armata intorno con pezzi di lombo di essa lepre allo spiedo, tramezzati con limoncelli, e animelle di vitello cotti con butiro, un poco d’agresto, e zucchero.   Una pollastra fatta di pasta reale, con ali, e coda dorate, posta nel mezzo del piatto in atto di covare, con intorno pollastrelli teneri, cotti allo spiedo, regalati con bianco mangiare, in figure piccole, tramezzate con varie paste tedesche, e lavori di cedro. Bassotti con lasagnette impastate di latte di pinocchi, fatte a vento, tramezzate con tagliolini di pelle di capponi bolliti in brodo grasso di bue, con cacio parmegiano grattugiato, pepe, e cannella, regalato il piatto, con pasticcini di pasta di marzapane ripieni, con polpe di capponi sfilate soffritte in butiro, con filetti di cotognata, e agro di limone. Starne ne’ propri nidi fatti di uova miscida, con un copertoio sopra tutto di tagliolini di pasta di zucchero, ritocchi d’oro. Terzo servigio di credenza Salviette coperte di fiori di cedro. Prugnoli con zuppa sotto. Tortoglioni piccoli fatti di pasta di sfoglio fina, ripieni con vari conditi, freddi, e zucchero sopra. Cavoli fiori tartuffolati, tutto in porcellana, un piatto per signore. Terzo servigio di cucina Pasticci all’inglese, fatti senza pasta nel piatto, con sopra una frittata grande quanto la capacità del piatto, con fette di cedro, polpa di vitello battuta, cervellette minute, animelle in bocconi, midolla, grasso di bue, piccioni spolpati; presciutto in fette sottili, tartuffoli intieri, rossi d’uova toste, speziaria conveniente, e sugo di limone, coperti con un altra frittada grande, con lustro a modo di marzapane, tempestada di pistacchi macerati in acqua di fior di cedro, serviti intorno l’orlo del piatto con una corona grande fatta di zucchero, ritocca d’oro. Una Venere fatta di pasta di marzapane in abito di ninfa, con due amoretti, che trà di loro stavano scherzando da parte, sopra un pavimento dorato fatto della stesa pasta, e una porchetta da latte arrostita a’ piedi della detta dea gentilmente ripiena, regalata con fascie di limoni, e paste fritte, avendo la dea un dardo in mano, col quale premeva la detta porchetta, alludendo allo sdegno dell’ucciso Adone. Tortore grasse allo spiedo con crostata di polvere di mostaccioli, ciascheduna serrata in un lavoro di pasta frolla, fatto in due parti, che veniva a formare un uovo grande quanto ricchiedea la capacità della tortora, col suo lustro di zucchero, poste nel piatto con proporzione, regalate intorno di bianco mangiare fritto, prima involto in farina di   biscotti reali, tramezzati con crostini di rognonata di vitello, e zucchero sopra. Cocuzzata tenera prima bollita, poi passata mista con capo di latte, zucchero, polvere di mostaccioli, cacio parmegiano grattugiato, uova fresche, sugo di polpa di vitello, pistacchi intieri, ogni cosa incorporata insieme, posta con butiro fresco nel piatto, cotta in forno, con sua crostata sopra di zucchero, cannella, e polvere di pane di Spagna, regalata sopra, e intorno, con pistacchi verdi, e pezzi di cocuzzata condita dorati. Quarto servigio di credenza Salviette bianche cariche di gelsomini di Catalogna. Zuppe di biscotti reali freddissime fatte in sugo di limoni, e zucchero. Paste fine sfogliate fredde, fritte in butiro. Tartuffoli conditi con aranci spaccati sopra, ogni cosa in porcellana un piatto per signore. Quarto servigio di cucina Polpettoni reali di polpa di vitello battuta sottile, butiro, midolla di bue, pepe, cannella, noce moscata, polvere di mostacciolo, pasta di marzapane grattugiata, poco cacio, pane grattugiato, uova fresche, un bicchiere di latte, sale, erbette odorose battute, pinocchiata tagliata in pezzi, zucchero, acqua di fior di cedro, e sugo di limone, unita detta composizione, divisa in più parti, tirata ciascheduna a modo di pastelle, e postovi nel mezzo capo di latte con zucchero, rivolta, e formatone tanti polpettoni, unti con butiro, imborachiati in chiara d’uova, involti in farina di pane di Spagna, posti nel stuffatoio con butiro, con fuoco sotto, e sopra deligentemente custodite: vicini alla loro cottura levato il butiro, aggiugnendovi brodo di cappone, un poco d’agresto, dateri senz’ossa, pezzi di cedro, e fegatelli di pollo, facendogli bollire a bell’agio; serviti dopo nel piatto, con sotto fette di pane dorato, e poi fritto, con sotto la loro composizione, e aggionta d’un saporetto di cotognata stemperata con latte di mandorle, e muschio, con rossi d’uova crude, bocconi di cervellette, e un poco di noce moscata, fattogli dare una bollita, e battuto poi sopra i polpettoni, serviti con una frittata sopra, fatta di capo di latte, chiara d’uova battute, un poco di polvere di pane di Spagna, zucchero, e panna di latte, la quale vada a coprire tutti i polpettoni, regalata sopra di tagliolini di zucchero muschiati, e di vari lavori di cocuzza condita. Tronchi fatti di pasta in forma di piante di cedro, con sue foglie naturali   dorate, sopra di esse un falcone in piedi fatto di pasta di marzapane, colorito al naturale, posto nel mezzo del piatto; con intorno fagianotti allo spiedo, lardati sottilmente di cedro condito, regalati con paste fine sfogliate, ripiene di rossi d’uova toste, bianco mangiare, e aranci conditi, uniti con un poco d’acqua di fiori di cedro muschiata, fritte in butiro, con vari fiori di zucchero, fatti al naturale. Insalate reali, compartite in forma di giardini, con lavori di cedro ripiene di varie cose, come inchiove di Genova, tarantello grasso, caviale di storione, varie erbette odorose, radiche di molte sorti, botarghe, olivoni senz’osso, pezzetti di cedro, capari di Genova, pistacchi macerati in acqua di fior di cedro, fiori di cedri acconci, e melagrane, nel mezzo del piatto una fonte intagliata in un cedro, ritocca d’oro, con una figurina nel mezzo, che stillava gocie d’aceto muschiato, condita con sale, olio di Toscana, zucchero, e polvere di Cipro sopra. Torte di cigotto di castrato, prima arrostito, piccato minutamente, accompagnato con capo di latte, cotognata, butiro, cedro condito in fette, polvere di mostacciolo; uova fresche, sale, e poca speziaria, fatte con pasta frolla, impastata d’uova, zucchero, e latte di pinocchi, marzapanata di sopra, regalata intorno con festoncini di zucchero dorati, tramezzati con gigli della stesso, rapportati in banda, ripiene con varie, e odorose gelatine. Quinto servigio di credenza Levata che fù la tovaglia, restò la tavola coperta d’un ricchissimo drappo di seta verde, segnato variamento d’oro, e posto altre panatiere con salviette profummate, si videro in tavola subito. Tartuffoli intieri cotti sotto le brage, in salviette con sale, e pepe. Pasticciotti di cotogni silopati coperti, tempestati di cannelloni confetti, regalati con tagliolini di zucchero. Lavori di pasta reale, fatti in forma dell’arme de’ sodetti principi, tutte raportate, ripiene di ostriche, e tartuffoli caldi, insieme con limoncelli spaccati; di questi un piatto per signore. Marzolini di Firenze, provature di Pisa, e cacio parmegiano in salviette. Finocchi, scelleri, pere di più sorti in salviette. Cannestrelle tutte fatte di fiori di cedro, garofani, e aranci, con varie sorti d’uve, regalate con gelsomini di Catalogna. Galere fatte con fiori diversi, cariche d’altra quantità di frutti di tutte le sorti. Servito ciascheduno delle sodette cose, se gli diedero salviette bagnate in acqua profumatissima, e levate finalmente tutte le cose, restò   la tavola coperta con un altro drappo di tela d’argento, contornato di merli intagliati nel medesimo drappo, e poste altre panatiere con salviette odorose; In un subito comparvero in tavola l’Europa, l’Asia, l’Africa, e l’America, tutte di zucchero, reppresentate nelle seguente forme. Era l’Europa adorna d’un ambito pomposo, con capegli d’oro sciolti, posta in sedere sopra d’un toro, e nel grembo portavi un regno pontificio, con due corone una imperiale, l’altra regale, e una spada, con varie collane d’oro. L’Asia, era di carnagione bruna, vestita con abito vario, sedeva sopra d’un cocodrillo, e sopra del capo tenea un turbante azzuro. L’Africa giovane mezza nuda; con molti monili d’oro alle braccia, e al collo stava a sedere sopra d’un leone, tenea sopra il capo una corona turrita, con capegli legati d’alcune bende di color giallo, e cilestre, nella destra uno scettro, e nel grembo, corone, scettri, e gioie diverse, avea da un lato un turcasso con saette, un arco, e scimitara, e a’ piedi vari scrigni aperti, ripieni di monete d’oro. L’America bellissima giovane ignuda, ma decentemente coperta, con alcune bende, fabbricate di capegli d’oro; avea alle braccia, alle coscie, e al petto, monili d’oro tempestati di gemme, e al collo una collana di grossissime perle, e corali; tenea nella destra un ventaglio di piume di pavone, nella sinistra un ricchissimo tosone; Sedea sopra d’un elefante in dovizioso tappeto, e avea inanti a se molti vasi d’oro, e d’argento ripieni di molte monete d’oro, de’ quali, altri erano versati, e altri in piedi con alcuni papagalli vicini. Era il tutto contesto di zucchero, ritocco d’oro, e colori conforme il bisogno, che a tutti rese gran maraviglia. Riempivano la tavola, e tremezzavano le sodette cose quattro bacini reali carichi di cedri, torsi di lattuche, e pere condite, ogn’uno de’ quali avea nel mezzo un toro fatto di zucchero ritocco d’oro. Altri quattro ripieni con pomi d’Adamo, paste di Genova divisi, e aranci conditi, ogn’uno d’essi avea nel mezzo un cocodrillo di zucchero fregiato d’oro. Altri quattro simili, ripieni con persici, carciofi, e pere, e prugne di Genova condite, quali portavano nel mezzo un leone pure di zucchero per ciascheduno, ritocchi d’oro. Altri quattro come sopra, ripieni con pistacchiate, mostaccioli diversi, e varie sorte di cotognate, nel cui mezzo s’ergeano elefanti di zucchero dorati. Tramezzavano i sodetti bacini, sedeci gran fruttiere d’argento dorate, ripiene di variata confettura bianca muschiata, ritocca d’oro, regalata di fiori diversi di zucchero. S’udirono per ogni lato concerti di vari stromenti, e voci tanto eccelenti,   che sembravano di paradiso, quivi la gravità ne’ dolcissimi lamenti, l’allegria nelle delicate ariette, la varietà, negli ordinati concerti, mirabilmente spiccavano: quivi se l’altrui pene amorose ti somministravano le lagrime agli occhi, erano in un subito richiamate dagli altrui diletti: quivi s’imparava in un punto, come si muoia, e rinaschi; come si goda penando, e in fine, come tramonti il dolore, in grembo al gioire. Si levarono tutte le portate, restando la tavola riccamente coperta d’un tappeto cremesi ricamato con oro, e fiori al naturale. Mentre all’incentivo di sì dolce melodia, non v’era trà questi principi, dame, e signori, che non dipingesse nel proprio volto una variata moltitudine d’affetti, altre tanto numerosi, quanto diversi. Ecco giugnere un paggio, che portando nella destra una sottocoppa con un piego chiuso, presentollo al maggiore di que’ principi, che subito l’aperse, e ritrovandovi dentro gli avisi di Parnaso, fe cenno, che si quietassero le musiche, la qual cosa intesa dagli altri giubilarono, per l’arrivo di materia tanto curiosa; onde con attenzione volontaria diedero campo, che il contenuto di essi fosse udito in questo tenore.

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Servigio a due piatti reali Oltre la quantità de’ vasellamenti d’argento bianchi, e dorati, le sottilissime pieghe, gli artificiosi fogliami, e capricciosi cristalli, ch’ornavano le sontuose credenze, e bottiglierie. Comparirono sù la tavola due archi fioriti di cambraia; sotto l’uno de’ quali, si vedea Giove portato dall’aquila in aria, che fulminava i giganti di Flegra, tutto di maravigliosa piegatura. Sotto dell’altro, stava Ercole, che sbranava il leone, con un paesetto, e arbori pure di piega, che reggevano poma d’oro, e era la tavola compita co’ seguenti raffreddi. Primo servigio di credenza Torte inquartate di vari conditi, con una statuetta di zucchero, nel mezzo ritocca d’oro. Presciutti di porco intieri, cotti nel vino, posti poscia nel forno, con ghiaccio fatto di zucchero, regalati con vari fiori di zucchero dorati, sollevati ne’ piatti da quattro figure di pasta di marzapane, che sembravano fachini, coloriti al naturale. Un servigio per ciascuno di fragole lavate di generoso vino agghiacciato, con zucchero sopra, e un altro servigio di capo di latte freddo, con zucchero. Lavori di pasta in forma di camelli ritocchi d’oro, con fagiani trapunti di cannella confetta dorata, che facevano soma, e un moretto di pasta di marzapane, quale avendo in mano un nastro di seta, legato al collo di detti camelli, serviva di guida. Pasticci in forma di porchette, segnate con oro a peli, con una catena   al collo di zucchero dorata, con sotto, e intorno uova miscida. Olivoni grossissimi con fette di cedro. Una zuppa per ciascheduno, fatta con sugo di limone, acqua di fior di cedro, e zucchero freddissima, in tazzette di cristallo legato in oro. Primo servigio di cucina Animelle di vitello allo spiede sottilmente lardate, involte in uova miscida, regalate intorno con rondoncini teneri arrostiti, con sotto fette di limoni, tramezzati di cannoncini sfogliati, fioriti di zucchero, ripieni di bianco mangiare, e fette d’aranci conditi, con sopra un copertoio traforato di zucchero, disegnato con oro. Capponi in bianco, coperti con cavoli fiori, e fette di presciutto di porco, regalati intorno con fogliami in banda di pasta reale, ripieni con gelo di cotogni, tramezzati con pasticcietti di pasta di marzapane, ripieni di tartuffoli, con suoi coperchietti di zucchero dorati. Lavori di pasta in forma d’una cassetta, disegnata con oro, con una testa nel mezzo di vitello senz’osso, ripiena, regalata intorno con altre cassette più picciole con piccioni grossi, il tutto coperto con lattughe ripiene, presciutto sfilato, salsiccia fina, e cardi tagliati. Bianco mangiare gettato in fortezze, ritocche d’oro, regalate intorno con figurine di zucchero armate, ritocche d’oro, e argento. Secondo servigio di cucina Navicelle di pasta dorate ripiene di tortore arrostite, con sopra un sapore fatto con agro di cedro, rossi d’uova, e zucchero, regalate intorno con lavori di pasta reale, fatti a conchiglie, cariche di pistacchi freschi, macerati in acqua di fior di cedro, tramezzate con fette di mangiar bianco fritto, e dorato. Vasi di pasta, due per piatto, uniti lavorati con oro, entro uno de’ quali erano pollastrotti fagianati, con limoni intorno; nell’altro un pezzo di storione in bianco, con melarancie, intorno l’orlo del piatto, e uova miscida. In altri vasi simili, un condimento in forma di pasticcio, con animelle di vitello, bragiolette dello stesso, fondi di carciofi, pinocchi, fegatelli di pollo, tartuffoli, pezzi di cedro condito, e altri ingredienti. Nell’altro vaso fegato, e latti di storione, con sale, pepe, e limoni. In altri vasi simili, fagiani arrostiti sottilmente lardati con cocuzza condita, posti allo spiede nelle carte, con fette sottili di lardo di porco, e nell’altro vaso pezzi di storione allo spiede, con salsa reale; intorno navicelle piccole di pasta, ripiene di cavoli fiori, tramezzate con altre simili ripieni di tartuffoli.   Terzo servigio di cucina Navazzette d’argento, con uno storione intiero, condito, la metà in bianco, e l’altra metà arrostita; la parte in bianco, con olio, pepe, e limoni; l’altra con paste tedesche, fascie di cedro, e salsa reale, regalato intorno al piatto di pasticcietti ripieni d’ostriche, coperti con lavori di zucchero in forma di cappe dorate. Porchette di latte allo spiede, ripiene, coperte d’ortolani arrostiti, con fette di cedro, e vari lavori del medesimo regalati intorno al piatto di rosette di pasta reale, rapportate in banda, ripiene di ginestrata di vari colori, mangiar bianco, cotognate, e cedro condito grattugiato. Crostate con rossi d’uova, zucchero, capolatte, e polvere di mostacciolo, con un copertoio di pasta frolla, che andava all’orlo del piatto, sopra cannoncini ripieni con uova miscida, con altri cannoncini ripieni del medesimo, che uscivano dal copertoio di sopra, fatti con altezza, e proporzione di esso, ogni cosa dorato, con ghiaccio, zucchero, e acqua muschiata. Un’aguglia, e una colonna grande di ghiaccio. Quarto servigio di cucina Pollastrotti d’India lardati in minuto, regalati con paste tedesche, passate per siringa, tramezzati con lavori in banda, fatti di zucchero, ripieni di paste di Genova grattugiate. Insalate reali, nel cui mezzo si vedea un tempio, sollevato sopra cinque gradi; il primo de’ quali era di pistacchiata segnata d’oro; il secondo di cocuzzata di Genova; il terzo di pasta di persici; il quarto arabescato con fili di cedro condito; il quinto di pasta di zucchero con vari fiori d’oro; similmente di zucchero era il pavimento, dove s’alzavano, quattro colonne di lattuga condita, sopra base di cedro; e di zucchero pure erano gli archi, e la volta del tempio, ch’andavano a cadere sopra capitelli di pasta di Genova, fatti con molta delicatezza. Sotto a detto tempio stava un Nettuno sedente sopra una conchiglia dorata; alla soglia quattro sirene; e nel piatto alcuni tritoni, e mostri marini; tutti di vari conditi contesti, che trà la varietà dell’odorose erbette, e radiche cotte aggiustate con molto artificio, mostravano d’applaudere al loro re, e sollazzarsi nel mare. Erano intorno l’orlo del piatto alcuni pescatori di zucchero, che presentavano vari ordigni di pesca, il tutto condito con olio purissimo di Toscana, e aceto di fior di cedro. Fortezze di pasta, con oro, ripiene con tordi allo spiede, cappari di Genova, pinocchi lavati in acqua rosa, e zucchero sopra; intorno aranci conditi.   Satiri di pasta dorati, che a due portavano una barella carica di vari uccelletti grassi arrostiti, regallati con fette di cedro condito, tramezzati con limoni spaccati, e nel fondo del piatto odoratissimi fiori. Torte di persici, e conditi coperte di tagliolini di zucchero muschiati. Secondo servigio di credenza Salviette candide profumate una per signore, ripiene di fiori di cedro. Aguglie di ghiaccio altissime, ripiene di frutti d’ogni sorte trasparenti. Vasi di ghiaccio grandi ripieni di vari frutti. Quattro canestrelle conteste di fiori naturali; con altra varietà di frutti brinati di neve. Cassette di pasta reale, portate in banda, fatte con vari comparti, ripiene con frutti silopati nel zucchero freddissimi. Marzolini, e cacio parmegiano in salviette, ritocche d’oro. Cialdoncini, con neve di latte, e zucchero freddissima, mandorle, finocchi, gioncate, crostate di visciole, con sotto foglie di lauro dorate. Qui fù data l’acqua odorifera alle mani, e levata in un subito la tovaglia, ne rimase un altra con trionfi dell’arme degli eminentissimi convitati disegnati con oro, dove rimesse altre posate con salviette profumatissime, ne seguì l’ordine infrascritto di confettura. Terzo servigio di credenza Quattro pastori di pasta di marzapane miniati con oro, che in alto reggevano una canestrella di zucchero, sopra della quale riposava una porchetta medesimamente di zucchero, regalata con diversi fiori. Quattro ninfe con cembali in mano, il tutto di zucchero, che formavano un ballo intorno ad un'altra porchetta simile, con ghirlandette di fiori al collo, ogni cosa ritocca d’oro. Quattro canestrelle di zucchero traforate, disegnate con oro, ripiene di varietà di frutti conditi asciutti dorati. Quattro simili con paste, e prugne di Genova. Dodeci vasi d’argento di variata confettura bianca, ritocca d’oro, muschiata. Poste le dette confetture s’udirono da due parti sinfonie di vari stromenti, e dopo soavissime voci, che diedero con i loro vari, e maravigliosi concerti molto gradito trattenimento, sin tanto, che fù sua eminenza avisata esser in pronto la festa, che fecero fare i signori Anziani in piazza, molto artificiosa, e di generosissima spesa.

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Primo servigio di credenza Era la tavola ripiena di vari raffreddi, nel mezzo de’ quali erano trè trionfi, nel modo seguente. Amore da una parte della tavola, con arco, e freccia alla mano, che premea co’ piedi, armi, scettri, e corone, ogni cosa di zucchero dorato. Imeneo dall’altra, fatto pure di zucchero, con la face in mano accesa, che spirava un fummo odoroso. Nel mezzo della tavola una Venere dello stesso, che accarezzava con la mano un leone, e le trè Grazie, che lo adornavano di fiori, il tutto contornato d’oro, fatto con arte maravigliosa. Seguivano gl’infrascritti raffreddi Mangiar bianco gettato in forma di mezzo rilevo, con zuccata condita intorno. Pavoni sollevati in piedi sopra mortelle dorate, con la coda aperta, e ali sue naturali, posti con nastri colorati, e vari tremolanti d’oro, e d’argento. Crostate di pere carravelle, regalate di cotogni conditi in fette. Uva fresca con fiori. Olivoni acconci con sugo di limone, è fette di cedro intorno, tramezzati con fiori conditi dello stesso. Capponi in bianco con zuppa sotto, e sopra, di cantuchi di Pisa fatta in moscato con zucchero. Salame in fette, con fronde di lauro dorate intorno tramezzate con fiori odorosi. Pomi d’Adamo conditi, steccati di cannelloni confetti, e noci moscate condite asciutte, in salviette.   Primo servigio di cucina Tomaselle grosse, sollevate nel mezzo del bacino, fatte con fegato di porco, e altri suoi ingredienti, circondate intorno da pasticcini sfogliati, con un copertorino di pasta reale per ciascheduno, ripieni d’animelle, fegatelli di capponi, tartuffoli, pinocchi, e suoi aromati; tramezzate con quaglie grasse arrostite, accommodate sopra fette di limone; regalate intorno, con navicelle di pasta di marzapane, ripiene d’uova miscida, e conditi in fette. In vari luoghi del bacino, erano pezzi di mangiar bianco, il tutto coperto con un intaglio di pasta, fatto a fogliami con zucchero sopra, e polvere bianca di Cipro. Vasi di pasta reale dorati sollevati nel mezzo del bacino, con dentro una testa di vitello senz’osso ripiena, coperta con cavoli fiori, intorno ad essa quattro capponi in bianco, regalati con agliolini di pasta sottile, ripieni con petti di cappone, midolla, uva passa, cacio parmegiano grattugiatto, uova, pepe, e cannella, tramezzati con tordi prima cotti allo spiedo, poscia bolliti con fettine di presciutto, e lattughe ripiene, coperti delle medesime cose, tramezzati con salsicciotti alla milanese. Secondo servigio di cucina Nel mezzo de’ bacini, latti di vitello a foggia di montagna, cotti allo spiedo lardati, con salsa sopra reale, intorno ad essi, tortore stuffate in buona malvagia, poco strutto di porco, zucchero, e speziaria, coperte con fegatelli di pollo lardati, e insteccati allo spiedo, con sopra sale, e pepe, sottilmente ammaccato, ed intorno paste tedesche fritte, tramezzate di bianco mangiare parimente fritto, ma prima imboracchiato con cacio, e uova battute, e in vari luoghi, crostini di rognonata di vitello, con lavori diversi di cedro. Pasticci grandi all’inglese, ripieni con vari, e nobili ingredienti, con ghiaccio di zucchero alla spagnola, intorno ad esso molti ortolani grassi arrostiti, regalati, con filate d’uova miscida. Terzo servigio di cucina Nel mezzo de’ bacini, starne lardate minutamente, cotte allo spiedo, regalate con fogliami di pasta reale rapportati in banda, parte ripieni di mangiar bianco, e parte di gelo di cotogni, tramezzate, con montagnete di granelletti d’agnello, paste fritte, e in vari luoghi bragiolette di vitello lardate, cotte in butiro, con poco sugo di limone, e suoi aromati, insieme con lavori di cedro.   Lavori della grandezza d’un piatto da cappone fatti di pasta, con lepre sfilata, indi soffrita in butiro, poi sottestata in un tegame col medesimo butiro, zucchero, e aceto garofanato, sollevati nel mezzo del piatto con un copertoio sopra tirato a gelosia, fatto di pasta di marzapane dorato, intorno ad essi piccioni grossi tortorati, tramezzati con pasticcini di pasta reale, ripieni di capo di latte, con zucchero; vari lavori di limoni intorno, e paste fritte sfogliate. Quarto servigio di cucina Fagiani arrostiti, posti nel mezzo del bacino, con sue ale, code, e teste naturali rimesse con oro, e vari fiori, intorno ad essi, pagnottine piccole scrostate vote, abeverate nel latte, ripiene con polpa di cappone, bocconcini d’animelle, polpa della stessa pagnotta, rossi d’uova, cedro condito in fette, zucchero, e panna di latte, cotti nel forno in butiro, con ghiaccio di zucchero sopra, tramezzate con biscotti reali, ed intorno alle medesime acconcie conchiglie fatte di pasta, ritocche d’oro per di fuori, ripiene d’ostriche cotte alla graticola, miste con tartuffoli, e cappari di Genova. Torte d’uova alla genovese marzapanate di sopra, e di sotto sfogliate, tirate in lunghezza del bacino coperte con tagliolini di pasta di zucchero, muschiati, ritocchi d’oro, e prugne di Genova conditi. Secondo servigio di credenza Cacio parmegiano. Marzolini di Firenze. Finocchi cardati. Maroni caldi. Pere caroelle. Olivoni acconci. Cardi con sale, e pepe. Sceleri col medesimo. Uva fresca con fiori. Ogni cosa con salviette sotto. Fù data in fine acqua odorosa alle mani, e levata subito la prima tovaglia, ne rimase un altra, tutta lavorata con oro a fogliami, dentro de’ quali si vedeano intrecciate l’armi de’ signori sposi, e rimesse altre posate, in un medesimo tempo furono posti sei bacini, ogn’uno de’ quali era ripieno, come segue. Nel mezzo v’era quantità di conditi, con intorno diverse sorti di   confettura bianca, circondata da vasi di cotognate, tramezzate con paste di Genova dorate. Si posero insieme dieci piatti, che tramezzavano i detti bacini con varie sorti di lavori di monache, sopra i quali erano fiori di seta, e di talco, con guanti di concia d’ambra per ciascheduno.

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Era la tavola posta in fronte della sala destinata, per il convito, con le posate tutte da una parte, e era ripiena con i seguenti raffreddi, con due trincere poste da’ capi della medesima tavola. Primo servigio di credenza Torte di pistacchi, con sotto foglie di lauro dorate. Bianco mangiare in figure di mezzo rilievo con oro. Presciutti cotti nel vino, agghiacciati di zucchero, con due orsi di sopra, fatti di pasta di marzapane. Pasticci in forma di pavoni, con festoncini di pasta di sfoglio intorno, ritocchi d’oro. Fogliami di pasta di Genova; tramezzati con torsi di lattuga conditi. Gelatina di più sorte in figure, con ventresca intorno l’orlo del piatto. Un cedro grosso condito, in salvietta, con intorno prune di Genova. Olivoni, con fette di cedro, e fiori dello stesso acconci. Uva fresca con fiori. Primo servigio di cucina Minestra di latte con pistacchi, rossi d’uova, e zucchero, servita in tazzette di porcellana, una per posata. Furono le dame servite d’acqua alle mani da molti cavalieri, ch’ivi si ritrovarono; e poste, che furono a tavola, entrarono nella sala alcune maschere, quali con un concerto di vari stromenti, sonavano una mattaccinata. Comparvero in tanto dodici cavalieri vestiti da mattaccini, otto de’ quali aveano in mano piatti ripieni, come si dirà; i quattro, ch’erano a voto, due d’essi si posero alle trincere, e due all’uficio de’ scalchi. Entrarono questi, con atti, e gesti, ch’accompagnavano il suono, né mai si fermavano. Gli scalchi a tempo con ridicolosi moti mettevano in tavola, e levavano   i trincianti faceano lo stesso, ne davano taglio, che non fosse a tempo, e se le dame nel voler bere non pigliavano il bicchiere alla cadenza del suono non bevevano; Onde per quanto durò la cena, non si fece altro, che ridere, con molta fatica, ma gustosa di chi serviva, e con poco tempo da mangiare per le dame servite. Vennero i secondi, terzi, e ultimi servigi, portati da paggi pur vestiti da mattaccini, che consegnati i piatti a quei, che servivano, uscivano dalla sala. Tutto il servigio fù il seguente. Rosette di pasta reale, portate in banda, con ostriche, animelle in bocconi, tartuffoli, midolla di bue, pinocchi, e speziaria conveniente, regalate intorno con mangiar bianco in figure. Bragiolette di vitello, state in aceto fortissimo fritte, e poste in tegame, con salsa reale, regalate intorno con tordi arrostiti, tramezzate con paste fine sfogliate. Animelle di vitello partite, fritte con fegatelli di cappone, sale, e pepe sopra, con intorno paste tedesche fritte, tramezzate con orsachini fatti di pasta reale, portati in banda, ripieni d’uova miscida. Starne lardate minutamente, cotte, ma non intieramente allo spiedo, bollite in brodo grasso, con cavoli fiori, e fette minute di presciutto, poste nel piatto, regalato con ostriche, e tartuffoli. Secondo servigio di cucina Anitre domestiche cotte in bianco, coperte con tagliolini di pasta sottile, ripieni con petti di cappone, midolla di bue, cacio parmegiano grattugiato, uova fresche, uva passa, e cannella, con sopra polvere di mostacciolo. Pollastrotti senz’osso, ripieni gentilmente, messi stuffati, regallati con cipolle ripiene di cacio, rossi d’uovo, cedro condito, e polvere di mostaccioli, e nel mezzo di esse un ortolano grasso arrostito, tramezzati con fonghi, fatti di pasta tedesca fritti; ripieni con cedro condito grattugiato. Un piatto alla francese con polpettine piccole di vitello, bragiolette dello stesso, fegatelli di pollo, midolla di bue, speziaria conveniente; regalato con crostoni di rognonata. Pasticci brodosi di spezzate di capponi, bragiolette di vitello, con ostriche, e tartuffoli intieri, fatti in forma di leoni a mezzo rilievo, con foglie intorno di lauro dorate.   Terzo servigio di cucina Pollastri d’India lardati sottilmente con le loro teste, e piedi dorati, serviti intorno con vari intagli di cedro, e fiori conditi del medesimo. Conigli grassi gentilmente ripieni, cotti in un tegame, con tartuffoli, pinocchi, piselli verdi, grasso di bue, con sufficienti aromati; serviti ne’ piatti, tramezzati da varii frutti silopati. Piccioni grassi ripieni frà carne, e pelle, di composizione fatta con cedro condito, rossi d’uova, cacio parmegiano grattugiato, midolla di bue, e polvere di mostaccioli, con due cimette, di serpillo, cotti allo spiedo, con crostata sopra di cannella, e zucchero, regalate con cime di ramerino condite, ritocche d’oro; tramezzati con biscotti alla savoiarda. Varie paste sfogliate fine, con una fettolina d’aranci conditi nel mezzo, fritte in butiro purgato, servite con zucchero sopra, poste nel mezzo del piatto, intorno una filata d’uova miscida, e sopra l’orlo del piatto gelatina di vari colori in figure piccole. Quarto servigio di cucina Quaglie arrostite, tramezzate con cannoncini di pasta sfogliata fritti, ripieni di mangiar bianco, serviti con limoni spaccati. Fagianotti allo spiedo gentilmente lardati, con salsa reale, serviti con ale, code, e teste sue naturali, ritocche con oro, regalati con biscotti reali; tramezzate con foglie di pasta di Genova. Ortolani cotti allo spiedo, con zucchero sopra, regalati intorno con mortelle ritocche d’oro, tramezzate da crescentine, ò fogliette di monache, ripiene di latte mele. Torte di conditi, e uova miscida insieme, con intorno sirene piccole di zucchero dorate, tramezzate, con citrini conditi di monache. Secondo servigio di credenza Furono levate le salviette sostituendone altre profumatissime, involte con fiori diversi verdi, che rendeano odore maraviglioso; e in piatti ordinari seguirono gl’infrascritti frutti. Ostriche alla graticola. Pere di più sorti. Zuppe di tartuffoli. Caviale di storione in vasi. Maroni in salviette.   Sceleni, e cardi, con sale, e pepe. Cacio parmegiano in salviette. Marzolini spaccati. Uva fresca con fiori. Mele di più sorti. Latte mele, con cialdoni. Terzo servigio di credenza Furono ciascheduna delle sudette dame regalate d’una sottocoppa di zucchero, ripiena con vari conditi, e confezione, e nel mezzo di due fiori, l’uno di talco, l’altro di zucchero, che fingevano il naturale. Poste le dette sottocoppe, si ritirarono i mattacini, con vari gesti ed’atti capricciosi, e ridicoli insieme col concerto, che gli precedeva. I cavalieri, che rimasero, come aveano fatto nel principio, diedero alle dame nell’ultimo l’acqua alle mani, e mentre, ch’esse andavano ridendo, e discorendo. Ecco per l’entrata della sala arrivare i dodeci cavalieri già vestiti da mattaccini, che passati da una grandissima leggerezza, ad una somma gravità, si fecero veder vestiti con cappotti alla spagnuola, bandiglie, e spade dorate, con capelli in capo d’ala piccolissima, e di altissima testa, con barbe finte alla spagnola, e occhiali agli occhi, che a copia, preceduti da quattro staffieri con torchi accesi alla mano, s’incaminarono verso le dame, e facendole riverenza con molta sodezza, passarono in un’altra fila contigua, ove era apparecchiata una tavola nobilmente imbandita, e copiosa di molte vivande, il racconto delle quali tralascio, per non esser tedioso. Ricevettero l’acqua alle mani, si posero a tavola con pochissime parole, e sè pure dissero qualche cosa, parlarono trà di loro in lingua spagnola, e con grande osservanza, e gravità. Si levarono intanto le dame, ammirate di questa ridicolosa novità, e andarono a servirli, e essi dopo essere stati un pezzo con molto sussiego, diedero finalmente nelle allegrezze, e brindesi alla lombarda, e dopo il mangiare, si fece un festino, che durò buona parte della notte, con infinita consolazione di tutti.

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Si fece un quadro perfetto; nella sala dove si dovea mangiare, ch’era assai più longa, che larga; nella parte, che rimase, si fabbricò una scena alta un grado da terra, nel cui mezzo si vedeva il tempio della dea Flora, di fuori fabbricato con prospettive, e artifici, ripieno di cristalli, che per lo riflesso di vari lumi tutto risplendeva. Dentro del tempio si vedeva la statua di essa dea, posta d’argento; Da i lati del tempio v’erano pergole reali, e alberi verdi accomodati con vari fiori, e con molta proporzione. Da’ capi v’erano due fonti con statue, che fingevano di marmo, quali gettavano acqua di continuo: Per tutto vari vasi di mortelle, e d’aranci, con alcuni comparti di fiori naturali, e il tutto illuminato con artificio, senza, che si scoprissero i lumi. Era il quadro della sala intorno circondato d’alberi di varie sorti, che fingevano il naturale, e dalle cime degli alberi fino al cielo v’erano panni di color cilestre, che accompagnavano il cielo, il quale trà varie nuvolette mostrava stelle d’oro. Nei quattro angoli della sala v’erano quattro bottiglierie, tirate in triangolo, con lumi, varie sorti di sottocoppe, e vasi di cristallo, e d’argento. Nel rimanente della sala, vi era cavato un ovato perfetto, grande di maniera, che non restava altro di vacuo, che un andata intorno al detto ovato così capace, ch’oltre il sito d’una sedia; commodamente trà la sedia, ed il muro si caminava. Nel mezzo di detto ovato, v’era cavato un altro ovato piccolo, intorno al quale agiatamente pure si caminava. Il circolo, che rimaneva dell’ovato grande, era tagliato in croce, di modo, che coll’ovato piccolo nel mezzo venivano, ad esservi cinque tavole, intorno alle quali assai commodamente si potea pasteggiare. Le quattro tavole del circolo, erano sino a terra coperte di sottilissime tovaglie, e piegature diverse, e ogn’una di esse aveva sei posate dal lato del muro, con la loro sedia; oltre la cui capacità, s’andava liberamente dall’una all’altra bottiglieria. Erano le dette tavole tutte ripiene di vari comparti di pasta, rapportati   in banda, con orlo sottile tutto dorato di modo, che ogni tavola formava un vago giardino; restava però nel mezzo di ciascheduna di esse un vacuo della capacità d’un piatto reale, e verso la parte di dentro, il sito per quattro candelieri con proporzionata distanza. I comparti, erano tutti ripieni di vari servigi di credenza, frutti, antipasti, conditi, e confettura, ogni cosa posta con oro, che per la varietà delle cose, e colori di esse, con bell’arte divise, rendevano mirabil vista. Nel vacuo di mezzo v’era un piatto reale, con un presciutto senz’osso, cotto nel vino, con ghiaccio di zucchero sopra, regalato con figure di mangiar bianco, tramezzato con fiori; nell’orlo del quale, s’ergevano quattro aquile di pasta di marzapane in piedi, che sostenevano sul capo una cannestrella, fatta di zucchero, con diversi fiori dello stesso al naturale, ritocchi con oro. L’ovato piccolo, che restava nel mezzo delle quattro tavole, aveva nel mezzo di esse un lavoro sottilissimo di piegatura, che formava un piedestallo, sopra del quale altissima s’ergeva una stella, che mostrava bellissimo artificio; intorno al piede stallo v’erano, quattro trincere coperte con fogliami, quattro lumiere d’argento, e varie figure, fiorite di cambraia, con sottigliezza incomparabile, tutte fabbricate dal miracoloso Venturino da Sarzana. Entrate le dame, e accomodate a’ loro posti, s’udirono dalla scena, sinfonie di vari stromenti a due cori; poscia sopra del tempio in una nuvoletta si scoperse in aria la dea Flora, che cantò dolcemente in onore di quell’Arcadia, e in lode delle dame convitate. Sparita la dea, uscirono dalle pergole della scena quattro cavalieri vestiti pomposamente in abito di pastori, i quali faceano uficio di scalchi, e erano seguiti da altri quattro cavalieri nell’istesso abito; i quali aveano un piatto reale per ciascheduno nelle mani, con gl’infrascritti ingredienti. Animelle di vitella nel mezzo del piatto, cotte allo spiede, con sopra salsa reale, intorno fegati di vitello divisi in due parti, lardati, cotti allo spiede; tramezzati con limoni spaccati, e fogliami in banda, fatti di pasta di marzapane, con gelatina di monache. Ogni scalco si fermò alla sua tavola, e similmente gli altri pastori col loro piatto; Levò lo scalco il piatto, ch’era nel mezzo de’ raffreddi, e postolo sù la tavola delle trincere, pose il primo servigio caldo. Uscirono intanto dalla scena altri quattro cavalieri, pur da pastori, che s’accommodarono alle trincere, e con bel modo diedero principio all’ufficio loro. Andavano in tanto i quattro, ch’aveano portato i piatti per la scena, a pigliare altri servigi, i quali ritornavano preparati, e giungevano in tempo, che gli scalchi levavano i primi caldi, per dargli a’ trincianti, e così seguì l’ordine sino all’ultimo servigio, con molta quiete, essendovi altri quattro pastori, che riscotevano i piatti serviti,   e entravano per la scena: Il tutto sempre con seguimento di suavi voci, dolci stromenti, e gustosissime canzonette. Dietro alle sedie delle dame v’erano cavalieri, che le servivano di sottocoppa, le quale levavano con molta comodità dalle bottiglierie antedette. Seguivano intanto gli scalchi con le seguenti portate. Piccioni grossi in bianco, con sopra un brodetto acetoso, fegatelli di pollo, pinocchi, e altre cose, regalati intorno con cavoli fiori in brodo grasso, presciutto sfilato, e piselli verdi, tramezzati con navicelle piccole di pasta di marzapane, ripiene con gelo di cotogni. Lepre sfilata, soffritta in butiro, posta in tegame con aceto forte, e zucchero, bollita a fuoco lento; posta nel mezzo del piatto, con intorno lavori in banda in forma d’aquilette, ripiene di sapore, fatto con agro di cedro, zucchero, e cannella; tramezzati con ortolani allo spiedo, e fette di limoni. Polpettine di vitello, con cedro condito minuto, pistacchi ammaccati, uova fresche, cacio parmegiano grattugiato; e polvere de pane di Spagna, regalate con pasticcini di pasta reale, ripieni di mangiar bianco, rossi di uova, e cedro condito, con sugo di castrato, tramezzati con fette di pagnotte dorate in uova fritte, e varie figure di mangiar bianco, con acqua muschiata sopra. Zuppe alla spagnuola, armate con petti di capponi, animelle in fette; e paste di Genova; intorno quaglie grasse arrostite; tramezzate con paste tedesche fritte, e limoni tagliati. Pasticci sfogliati ripieni di vitello minuto, uccelletti grassi, midolla di bue, tartuffoli intieri, fette d’aranci conditi; grasso di bue battuto, e pinocchi; il tutto condito con speziaria conveniente, ed intorno all’orlo del piatto uova miscida. Tortore stuffate, con sopra sapore di prugne damaschine, cotognata, butiro, zucchero, e cannella, regalate con paste passate per siringa, tramezzate con gelatine varie in forma di trè monti, ritocchi d’oro. Fagiani lardati con cedro condito, cotti allo spiedo, con le sue code, e ale rapportate, fatte di pasta di marzapane, intorno tagliolini d’uova, e zucchero. Torte di rossi d’uova alla genovese, sotto e sopra sfogliate di zucchero. Quarti di capriolo, cotti allo spiedo, con fascie di limoni intorno, sapore di mottelle sopra, e intorno l’orlo del piatto paste sfogliate, cotte in forno, con zucchero. Starne nella carta, cotte allo spiedo regalate con mangiar bianco dorato fritto, intorno tagliolini di zucchero, e crostini di rognonata di vitello. Porcellette di latte, con tordi allo spiedo, con fascie di limoni, e vari   lavori di cedro; regalati intorno con tordi allo spiede, tramezzati con uova miscida. Torte di conditi, regalate con prugne di Genova tramezzate con globetti di pasta reale, ripieni di capo di latte, e zucchero. Cassette portate in banda in forma di rosoni, ripiene d’ostriche, con limoni, tartuffoli, aranci spaccati, prugnoli con zuppa sotto, servite con sotto foglie di lauro dorate. Piatti fatti di zucchero, disegnati con oro, dentro d’essi, sei amoretti per piatto, con arco, e freccia in atto di ferire in un arbore posto nel mezzo del piatto, dal quale pendeano vari cuori, con nastri di vari colori, la maggior parte de’ quali, stavanno aperti da freccie d’oro. Questi senza esser divisi da’ trincianti, furono posti a suo luogo nel mezzo delle tavole, e le dame a gara da sé stesse se nè servirono. Intanto, che seguivano i suoni, e canti della scena, si scoperse un’altra volta in aria la dea Flora, che dolcemente cantando, sparse quantità di fiori di seta, di talco, e d’oro, de’ quali a gara da’ pastori, nè furono servite tutte le dame. Sparita la dea, da cavalieri, che servivano, fù data l’acqua alle mani, con salviette bagnate in acque odorose. Si levarono tutte le dame, e in suo luogo si posero i cavalieri, e rinforzate le tavole con nuove vivande, mangiarono, serviti da quelle, e dopo si fece un festino di molto gusto, che durò sino a giorno.

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Splendidissima, e infinitamente generosa fù sempre, come è di presente, l’eccellentissima casa Pica; ma il signor duca Alessandro pimo (di gloriosa memoria) mio sempre riverito signore, superò di gran longa tutti i suoi antenati, lasciando nelle lodevoli sue azioni la meta, alla quale saggiamente pretese, che giungessero i suoi posteri, colla generosità dell’animo, colla prudenza, colla benignità, e col saper politico; Virtù tutte, che lasciate per eredità nell’eccellentissima sua casa, volle, ch’in questa più si godessero, che de’ beni di fortuna, a mille vicendevolezze, pur troppo soggetti. Tralascio, ch’egli fosse il padre de’ virtuosi; il paragone de’ litterati, il mecenate de’ suoi tempi; l’oracolo de’ principi; l’amore de’ suoi sudditi, e solo dirò, ch’egli amò così vivamente la splendidezza, che la sua casa non invidiava alle maggiori d’Europa; avendo fornimenti d’adobbi per li suoi quarti così ricchi, e superbi, che non v’entrò principe, quale non restasse ammirato; Credenze così piene, e ricche d’argenteria, e bianca, e dorata, che venivano alle occasioni richieste dai più grandi di Lombardia: gioie tanto famose, e superbe, che nelle maggiori occasioni, erano da tutti desiderate; e che oltre l’aver servidori de’ più prattici, e consumati in ogni genere, a’ quali con larga, e prodiga mano dispensava continuamente, e doni, e ricchezze, professava ancora di tenere alla sua persona, e al suo servigio cavalieri di prima classe, e baroni romani, come furono un Luigi Vitelli, un marchese di Tersana, un conte Strozzi, un marchese Magnani, e altri, che stimo superfluo quì il registrargli, avend’egli ne’ gloriosi suoi gesti con perpetui caratteri, immortalate le sue grandezze. Nell’alloggio dunque di questa serenissima, volle questo generoso principe fare al mondo più che mai conoscere i tratti della sua natura, e dopò aver fatto preparare il suo Palagio della Concordia di maniera, che in simile occasione saria stato convenevole alla dignità d’ogn’uno de’ maggiori potentati del mondo; commandò a mè gli ordini delle cucine,   e credenze, che furono esequiti nell’infrascritto modo. Fù primieramente posta la tavola, ripiena con i seguenti raffreddi, e trionfi, ogni cosa con oro. Primo servigio di credenza Quattro sirene in onde marine, ogni cosa di sottilissima piegatura, che sostenevano una conchiglia di zucchero, con una Venere dello stesso. Un Marte armato di zucchero, con spada fulminante sopra un carro di piegatura, e ricco di trionfi bellici, tutti di piega, maravigliosamente distinti. Torte di conditi inquartate, scoperte, con arme di Toscana nel mezzo fatta di rilievo. Aranci dodeci mondi freddissimi con zucchero sopra. Prugne di Genova, in salviette. Capponi in bianco, coperti con zuppa di pane di Spagna, fatta in moscato agghiacciato, con zucchero. Pasticci scoperti di pasta di marzapane, con varie frutta silopate, e sotto foglie d’alloro. Meloni rossi, e bianchi, in ghiaccio. Fragole levate dal vino freddissime, con zucchero. Capo di latte, e zucchero, con neve sotto. Leoncini di ghiaccio intorno a moscatello bianco, e nero; brinato di neve, con vari fiori. Primo servigio di cucina Capirotate in piatti reali, fatte con polpa di capponi, tramezzate con fette di pane di Spagna, cacio grasso in fette, polvere di mostaccioli di Napoli bollite in panna di latte, e zucchero; armate con petti di pollastri d’India; lardati con cedro condito; regalate con filetti di cotognata; intorno l’orlo del piatto pasticcini di pasta di marzapane, ripieni con cedrini, rossi d’uova, e mangiar bianco, tramezzati con granelletti d’agnello, sopra fette di limoni, con polvere di Cipro sopra. Cassetta di pasta rapportata in banda, compartita in forma di rosa, che copriva il fondo del piatto, ripiena in un comparto d’animelle di vitello, in un altro di fegatelli di pollo lardati; in un altro bragiolette state in aceto fortissimo, poscia fritte, e condite con salsa reale; in un altro piccole polpettine di cappone, con fette di cedro condito, e negli altri diversità di sapori. L’orlo di detta cassetta dorato, con intorno figurine di mangiar bianco.   Stava sopra detta cassetta sollevata nel mezzo, un aquila di pasta di marzapane rapportata in banda, ch’avea nel mezzo ortolani con diligenza cotti allo spiede tramezzati con fette di limoni, e zucchero sopra, e ne’ comparti dell’ale, e coda di dett’aquila, uova miscida, cedro condito grattugiato, gelo di cotogni, e altri preziosi aromati. Era coperto il detto piatto, con un copertorio altissimo, fatto a cordoncini, che per due lati mostrava l’arma serenissima di Toscana, per l’altre due quelle della serenissima casa Gonzaga. Quattro capponi in un piatto reale coperti di tagliolini piccoli di pasta sottile, fatti di petto di cappone, midolla, cacio parmegiano, zucchero, cannella, e uova. Intorno presciutto sfilato, con vari uccelletti grassi sù l’orlo del piatto, tramezzati con fette di limoni. Lepre sfilata soffrita in butiro, posta con salsa reale, regalata intorno con pasticcietti di pasta sfogliata fritti, ripieni di conditi, rossi d’uova, e mangiar bianco, tramezzati con pollastrini teneri, lardati sottilmente, cotti allo spiede, con fascie di cedro. Secondo servigio di cucina Galli d’India senz’osso ripieni della stessa polpa, e altri nobili ingredienti, serviti in stuffato, regalati con cavoli fiori, cotti in brodo grasso, con cipolle intorno, ripiene, e nel mezzo di esse un animella di vitello, con pistacchi intieri. Tomaselle grandi involti in rete, fatte con fegatelli di cappone, scorza di cedro condito, pinocchiate, polvere di mostacciolo, rossi d’uova, cacio parmegiano grattugiato, midolla di bue, pepe, butiro, e agro di limoni; cotti in tegame, poste nel mezzo del piatto, con intorno pollastrotti senz’osso aperti per lo petto, ripieni, cotti in forno, trapunti sottilmente con pinocchi lavati in acqua rosa; tramezzate con cocuzze partite tenere, ripiene d’animelle battute, fatte di cotognata, persici minuti, e panna di latte. Una canestrella di pasta, fatta a fogliami con disegno, dorata, ripiena di quaglie arrostite grasse, involte in uova miscida, posta la detta nel mezzo del piatto, con intorno paste fine sfogliate, fritte, tramezzate con fogliate di monache, coperte di latte mele. Tortore allo spiede, con crostata di zucchero, pane, e cannella, regalate intorno con pagnotine piccole scrostate, bollite nel latte, poste in forno con butiro, e col loro ghiaccio, e zucchero, tramezzate con fogliami in banda di pasta reale, ripiene con fette di cotogni di Correggio, e gelatina di monache. Crostate di prugne; e conditi, coperte con tagliolini di zucchero muschiati.   Terzo servigio di cucina Trotte grosse di lago cotte in bianco, in una navicella di pasta traforata tocca d’oro, con limonelli, e suoi ingredienti; intorno mazzetti di mortella verdi dorati, con un paio d’ortolani allo spiede accommodato a detto mazzetto in stecchi di cannella, legati con nastri verdi, morelli, e bianchi. Pasticci reali sfogliati, con intorno foglie di pasta di Genova, tramezzate con aquilette di pasta tedesca fritte. Carpioni grossi carpionati posti con limoncelli, e petrosello fritto, dorato. Quattro leoni in piedi di pasta di marzapane, ritocchi d’oro, che sosteneano una corona, sotto della quale pendevano per ogni banda scudetti di zucchero, che mostravano dall’una parte l’arme di Toscana, e dall’altra della casa Gonzaga; Nel fondo del piatto erano fagianotti allo spiede, con teste, e piedi dorati, e intorno, e per tutto uova miscida. Quarto servigio di cucina Insalata con varie sorti di erbaggi odorosi, olive senz’osso, moscatello bianco, bottarghe, caviale di storione, inchiove, cappari di Genova, limoni, e fiori di cedro, acconcio il tutto con ordine. Pernigoni allo spiede lardati, serviti con vari lavori di cedro, intorno cannoncini di pasta sfogliata, ripieni di varia, e gentil composizione, col loro ghiaccio di zucchero; tramezzati con crostini di rognonata di vitello, e zucchero sopra. Lampredine minute, fritte in olio di mandole dolci; intorno limoni in fette, tramezzati con tagliolini verdi di zucchero. Torte di conditi, regalate con leoncini, e aquile di zucchero. Secondo servigio di credenza Due piramidi di ghiaccio. Vasi diversi di ghiaccio con frutti di varie sorti. Finocchi, pere di più sorti, visciole, lugliatica, moscatello bianco, e rosso ogni cosa con neve. Cacio parmegiano. Marzolini. Provature. Cavoli fiori tartuffolati.   Tartuffoli, con zuppa sotto. Olivoni, con fette di cedro. Gambari grossi acconci. Terzo servigio di credenza Sei conche marine fatte di zucchero, della grandezza d’un piatto reale, piene di varie quantità di conditi. Dodeci tazzoni di zucchero dorati, con diversa confettura bianca, liscia, e muschiata. Sei navicelle dorate di zucchero piene di cotognate di più sorti, pistacchea, mostaccioli di Napoli, e fiori diversi di zucchero. Fù servita finalmente Sua Altezza con salvietta bagnata in acqua di gelsomini. S’udirono intanto concerti di musiche, e stromenti d’ogni sorte, con molto gusto di quella serenissima che partì la mattina seguente alla volta di Mantova, servita con molta splendidezza, e infinita soddisfazione.

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