Il cuoco reale e cittadino

Trascrizione, revisione e edizione digitale a cura di Salvatore Iacolare

  • Sottotitolo: Il quale insegna ad ordinare ogni sorta di Vivanda e la miglior maniera de ragù i più alla moda ed i più squisiti
  • Autore: Anonimo
  • Tipo opera: Stampa
  • Tipologia testo: Ricettario
  • Collocazione geografica: Bologna
  • Datazione: 1791
  • Luogo di edizione: Venezia
  • Collocazione (biblioteconomica o archivistica): Leeds, Leeds University Library – Cookery D MAS
  • Pubblicata il: 24/05/2023
  • Condizioni accesso: Open Access
  • Licenza di utilizzo: https://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/4.0/deed.it
  • Copyright: AtLiTeG
  • DOI: 10.35948/ATLITEG/Corpus/83

Sono state trovate 1117 ricette

Si fa un colì d’acciughe, qual entra in più sorte di ragù, tanto grassi, che magri, che sarebbe inutile replicarlo qui, poiché ciò sarà abbastanza spiegato a suoi luoghi; onde non è necessario replicarne la spiegazione. Si descriverà solo, che si può friggere le lische dell’acciughe, che avrete adoprate, avendole bagnate dentro una colla fatta con vin bianco, farina, un poco di sale, e pepe, ne guarnirete varie cose, o ve ne servirete per ordover con arancie e pressemolo fritto.

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Fate cuocere a piccol fuoco un cappone in una pentola di terra con tre pinte d’acqua, ed il vostro cappone essendo cotto, e l’acqua calata una foglietta, cavatela senza spremerlo.

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Mettete a cuocere due o tre pollastri in una pentola con acqua e fatela bollire due ore a poco fuoco; quando saranno cotti, passateli per un panno bianco. Si può aggiugnere della blucosa, buraggine, cicoria ed altre erbe rinfrescanti, secondo il bisogno della persona e l’ordine de’ medici.

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Bisogna far cuocere un pezzo di coscia di vitello in fette ben sottili, farle cuocere dentro una pentola di terra piena d’acqua a piccol fuoco, ed avendo bollito un’ora intera, passate quest’acqua per un panno bianco senza spremere la carne.

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Prendete una buona foglietta d’acqua, e mettendoci due fogli d’alloro, o del timo, bassilico, savoriggine, tre spicchi d’aglio, e due o tre scalogni, e fate ridurre questa foglietta d’acqua alla metà, qual vi servirà per bagnar il vostro pieno. Fate ancora scottare de’ pistacchi e delle mandole, secondo che voi giudicherete a proposito, e fate indurire sei ovi per cavarne il rosso. Dipoi tagliate del vostro lardo e del vostro prosciutto in grossi lardoni, prendendo del magro solamente in quanto al prosciutto. Il tutto ben condito, bisogna accomodare un lardo di prosciutto, un lardon di lardo, un ordine di mandole, un di pistacchi ed uno di rossi d’ovo duri, mettete ancora dentro il pieno qualche poco di tartufi e funghi triti, un poco di pana di latte, e bagnatelo con la suddetta vostra acqua forte; e poi un rosso d’ovo. Dopo aver bagnato il lardo ed il resto come si è detto, si stende questo pieno sopra cominciando da una dell’estremità della pelle, e dopo questo si rotola e si tiran le due cotenne della costa e d’altra parte, perché il pieno non vada via. Il tutto sia ben rotolato, che sia d’una bella lunghezza, cucitelo da tutte le parti e mettetelo in una salvietta, che legherete per le due estremità ed al mezzo, affinché sia ben fermo. Lo farete dipoi cuocere alla brace in una cazzaruola, mettendo sopra e sotto lardo e fette di manzo. Gli bisognano dieci o dodici ore di cottura e fuoco sopra e sotto. Essendo cotto, lo lasciarete raffreddare dentro la medesima cazzaruola e dopo lo tirerete fuori della salvietta, e lo servirete e slegherete propriamente, e lo taglierete in fette, che accomodarete in un piatto sopra una bella salvietta bianca; e lo servirete ancora freddo, con fette di limone e fiori.

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Lardarete i vostri anatrotti di mezzi lardi, conditi di sale, pepe, garofali, noce moscata, alloro, cipolle, limon verde e gl’invilupperete in una salvietta. Fateli cuocere dentro una pentola con brodo e vin bianco e lasciateli mezzi freddare dentro il suo brodo. Serviteli sopra una salvietta con fette di limone. In questa stessa maniera si ponno far cuocere li pollastri d’India, capponi grassi, pernici ed altri pezzi.

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Si prenda polpa di cappone, si pesti fina, s’intrida con ovo e un poco di zucchero in pane, e poi se ne formino gli agnellotti, quali si cuocino in brodo di cappon e di vitello, e cotti si mettano in piatto con burro fresco in buona qualità e caccio parmigiano quanto basti, con aggiugnervi in ultimo le speziarie solite. Così saranno fatti, con mantenerli calducci quanto si vorrà.

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Prendete una bracciola del primo pezzo, e mettetela per due giorni al sale, e dopo mettetela allo spiede, e quando sarà ben cotta, panatela, e buttateci un buon ragù sopra, e sotto, guarnitela di attaletta, di marinati, o di polpette cotte allo spiede.

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Si fa un’altra mezz’antrè d’una bracciola di manzo con un buon ragù di cetriolo, ed un poco di rocambò, ed erbe fine ben trite, e il tutto abbia un buon gusto, la guarnirete di costolette di vitello marinate, o di pane fritto, o altre cose convenevoli.

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Potrete riempirla d’un salpicone, quale troverete la maniera di fare sotto la lettera S. Ovvero la vostra bracciola essendo quasi cotta allo spiede, prenderete la carne del mezzo quale pesterete ben minutamente con del lardo, grasso di manzo, erbe fine, spezierie, e buone guarniture, riempirete la bracciola tra la pelle, e l’osso, ricucendola propriamente in maniera che la carne non caschi dentro la ghiotta, ove la metterete a finir di cuocer. Guarnitela di fricondò a foggia di costolette lardate, con pane fritto, ed essendo sopra la tavola, si levano le pelli, per aver la libertà di mangiarla con un cucchiaro.

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Fate cuocere una bracciola grossa del primo pezzo allo spiede, lardata a mezzo di grosso lardo come il filetto. Essendo mezza cotta, voi la leverete dal fuoco, e la metterete dentro una pignata con un buon condimento, e sugo ben nodrito, un poco di tartufi, funghi, spongoli, carciofi, solamente per darle il gusto, perché averete fatto un altro ragù di tartufi, funghi, spongoli, fondi di carciofi, latti di vitello, creste, il tutto ben legato, quale metterete sopra la vostra bracciola, e la guarnirete di marinato di polastri, o costolette marinate.

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Dopo che l’avrete scagliata, e tagliata, fatela cuocer con vin bianco, aceto, sale, pepe, garofoli, alloro, cipolle, e limon verde, e servitela sopra una salvietta.

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Scagliatela, e tagliatela, dopo averla unta di burro, e salata, ovvero averla fatta pigliar bene il sale dentro una tortiera con dell’olio, fatela arrostire a lento fuoco sopra la gratela che prenda un bel colore. La potrete servire all’acetosa, ed alla pana. All’acetosa si aggiunge del pressemolo, cerfoglio, cipolla, sale, pepe, noce moscata, e buon burro. Si può ancora servirla con un ragù di funghi, o una salsa scura con li capperi.

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Si fanno ancora dei gonfietti di pomi, di albicocche in confetture secche di prugne, di ciliege all’orecchio, di pistacchi lisci, di uva spina rossa confetta, di grani di pomo granato, e di parmigiano, facendosi con la pasta chiara, o altra più forte, ma essendo questo un affare più da credenziere, che da cuoco, non ne discorreremo di vantaggio.

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Di zucchero e cannella, passarina, capperi, cedro condito e pignoli.

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Bisogna prendere tre o quattro ovi, secondo la quantità di biscottini che volete, e li sbatterete poco poco. Ci si mette dipoi quattro o cinque buoni pugni di zucchero grattato, e scorza di limone: il tutto mescolato insieme, con quattro o cinque cucchiarate di farina cotta al forno. Bisogna vuotare questa composizione sopra della carta, che avrete impolverata di zucchero grossamente, ed avendola spolverata di zucchero ancora di sopra, la metterete al forno per farla seccare. Avendola cavata, taglierete i vostri biscottini tutti a un tempo, con la carta sotto, secondo la grandezza e Ia forma che voi li volete, e con un temperino leverete la carta dolcemente, per paura che non si rompino, il che si fa facilmente, perché devono essere ben secchi. Si servono come li primi, o per i frutti, o per guarnir qualche torta.

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Per un’altra zuppa al parmigiano, tritate la carne d’un pollastro ben minuta che spolvererete sopra le vostre croste, e del parmigiano grattato sopra. Si può mettere un pane al mezzo, guarnito di fondi di carciofi ed altre cose ordinarie, o non guarnirla punto e darle bel colore con la pala.

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Si fa un’altra piccola zuppa di santè, tutta chiara, d’un pollastro e d’un pezzo di coscia di vitello senza guarniture: le darete solamente colore con la pala del fuoco ben rossa.

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Non ci si mette punto di volatile, si prende solamente il petto d’un cappone, un pezzo di collo di vitello, amandole, due, o tre rossi d’ovo duri, una mollica di pane bagnata nel buon brodo, il tutto ben pestato nel mortaro, fatele bollire in una cazzarola con buon sugo, e brodo, che sia di buon gusto, passatelo per stamigna, e versatelo sopra la vostra zuppa, quando ella avrà bollito. Si può marmorarla con qualche buon sugo.

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Prendete la carne d’un pollastro, o un petto di cappone, e pestateli con un pezzo di mollica di pane ben bianco. Passate tutto per stamigna, e le vostre croste essendo bollite, mettete questo colì per di sopra senza guarnire.

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Se non avete alcun altro piatto al bianco, lasciate il vostro barbù intiero e servitelo caldamente con una salsa bianca, e pana per antrè. Si serve ancora in filetti alla salsa, all’acciughe, ed al corto brodo sopra una salvietta, essendo freddo per antremè. Potrete ancora metterlo in pasticcio come il turbò, fuori che esso non si deve cuocere sì lungo tempo.

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Si servono ancora i carciofi alla pana, come li sparigi, altri alla Saingarà, ed alla salsa al prosciutto per i giorni di grasso, sopra di che vedete l’essenza di prosciuto, e le lepri alla Saingarà, ogni cosa alle sue lettere; ed in fin d’altri allo stufato, ed al ghiaccio. Sono ancora di grand’aiuto tutto l’anno per quasi tutti li ragù, zuppe, ed antrè, così è necessario farne buona provisione, osservando ciò, ch’è qui sotto.

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Abbiate de’ tartufi, funghi e prosciutto cotto, il tutto ben tritato insieme: mettetelo dentro una cazzarola con due o tre acciughe, secondo la grossezza del mirotòn, pestate un pugno di capperi e metteteli dentro il medesimo mirotòn. Quando vedrete che sarà vicino, bisogna mettere il vostro piccatiglio dentro una cazzarola con un poco di pressemolo, di cipolla e di lardo fonduto, il tutto ben pestato, bagnatelo con sugo, metteteci un poco di colì e fatelo bollire, avendo riguardo che non sia troppo legato. Abbiate del manzo che sia tenero e magro; tagliatelo in piccole fette, un poco più grandi come se fossero per un filetto al cetriolo, e poi mettete il manzo dentro il ragù: dimenatelo a poco a poco e non lo lasciate bollir troppo. Avanti di servirlo, ci metterete un sugo di limone ed imbandite il vostro piatto propriamente.

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Ci sono ancora molte altre sorte di colì che si fanno per differenti cose, come colì d’acciughe, colì di capponi, colì di tartufi, colì di prugnoli, colì di spogoli, colì di piselli, colì di funghi, colì di rossi d’ovo ed altri, che si troveranno per lo mezzo della tavola.

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Si fanno ancora delle zuppe alla giulien di petto di vitello, cappone, gallina, piccioni ed altre carni. Avendole bene appropriate e fate bianchire, mettetele a bollire in una pentola con buon brodo ed un mazzetto. Ci aggiugnerete dipoi le radiche e legumi qui sopra, onde guarnirete la zuppa con punte di sparagi: cioè col verde solamente, come di piccoli piselli.

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Si sono spiegate qui addietro sotto al luogo d’altri volatili, o in particolare.

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Latte bicchieri quattro, oncie due cannella fina in polvere, un quarto di pepe, e garofali, libbre una pasta di marzapane, libbre due zucchero in polvere, oncie sei mostarda, libbre una uva passa, songia libbre quattro, pomi paradisi disdotto, cotti nel suddetto zucchero disfatto con un poco d’acqua d’odore muschiata, mostaccioli, e altre cose di monache in polvere, tanta quantità che basta. Il sangue si passa per un colatore.

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Bisogna passar delle cipolle, carote, come per un brodo, ed essendo ben rosso gittateci un pugno di pressemelo, un poco di timo, di bassilicò, stecchi di garofali, crosta di pane e brodo di pesce ed un bicchier d’aceto.

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Bisogna prendere de’ fegatetti che siano ben propri ed aver una tortiera. A ciascun fegato fateci una piccola fetta di lardo e mettetele separatamente nella tortiera, e li fegati sopra ben conditi: li coprirete d’un’altra fetta di lardo e panerete propriamente per metterli al forno e farli ben cuocere, che siano d’un bel colore. Quando saranno cotti e ben coloriti, cavateli dal forno ed accomodateli propriamente in un piatto, avendoli ben sgocciolati. Ci si può mettere un poco di buon sugo e spremerci il sugo d’un’arancia, e poi servirli subito ben caldi.

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Potete servire un pezzo piccolo di manzo per ordover, che sia un poco salato e guarnito di pressemolo, e questo è un mezz’antrè; Io guarnirete di quel che volete.

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Si riempino sopra la lisca alla pana d’un pieno, che sia di buon gusto, e si fa cuocere al forno, guarnito di pane e pressemolo fritto, o di marinato.

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Si serve qualche volta, di piccioli tacchini, un lardato e l’altro solamente bardato, senza essere dorato di pane, servito al sugo. Un’altra volta, essendo cotti i vostri tacchini allo spiede bardati, levateli le coscie, le ali ed il petto; tagliateli in filetti, che metterete in ragù alli cetrioli passati al rosso con un legamento rosso ed un pezzo di limoni in cuocerli.

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Levateli la cotenna, ed il grasso cattivo, tagliate la punta, e disossatelo, come l’addietro. Fate una grossa pasta bise con farina di segala, e dell’acqua, accomodate il vostro pasticcio tondo, d’una grande altezza: mettete al fondo una quantità di lardo trito, e pestato, accomodateci il prosciutto, e metteteci delle foglie d’alloro, quattro, o cinque fette di limone, e molte altre fette di lardo per di sopra. Copritelo dipoi con la spoglia, il tutto garbeggiato, doratelo con un rosso d’ovo, e fatelo cuocere al forno da sei ore, e servitelo freddo.

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Bisogna prendere l’anatre salvatiche, aggiustarle bene e fare un ragù composto di latti di vitello, tartufi, ostriche, condito d’erbe fine, pressemolo e cipolle peste, e si fa che il ragù sia un poco legato. Quando è vicino a esser cotto, non importando che sia rosto, bisogna empir le vostre anatre del medesimo ragù, e ben legarle e farle arrostire un poco. Avanti di servire si può metterci un colì di funghi o una salsa alla spagnuola, come questa che si fa alle pernici, e si servono caldamente per antrè. Si accomodano nella stessa maniera li altri uccelli di valle.

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Coperta di cavoli fiori, indivia ripiena, sparagi, tartufi, salsiccia fina, fette di prosciutto; regalate di polpettoncini fatti a rosa, steccati di pignoli, fette di scorza di cedro; regalate, e tornate di lardoni di pane fritto dorato e poche speziarie.

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L’anatre si posson servir in zuppe alli piselli, al colì di lente, alli cavoli, alle rape ed altre radici; ma come che le sudette cose sono assai in uso con più altri pezzi, terressimo a bada lungo tempo, ed inutilmente, se si volesse toccare la maniera ad ogni pezzo particolare; manderemo adunque il lettore alle zuppe di quelli differenti legumi, che apprenderà in generale quel che ci bisognerebbe osservare per ogni sorta di cacciagione e di volatili, per evitare una repetizione noiosa, ove sarete avvisati del modo del quale si dee ricordarsi quando si faranno simili cose. Vedete il medesimo al luogo de’ pasticci, ove troverete ciò che riguarda quelli d’anatre, tanto caldi che freddi.

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Ci si fa un ragù di latti di vitello, fondi d’articiocchi, tartufi, funghi, uno spicchio d’aglio, una pinta d’aceto, un mazzetto guarnito di fricondè e sugo di limone in servirle. Un’altra volta, dopo che le vostre anatre son cotte allo spiede, tagliatele in filetti e mettetele con cetrioli in ragù, qualche rocambò dentro e sugo di limone, ed un pochettino di gusto d’aceto, e le potrete servir per ordover. Si servono nella stessa maniera dell’anatre in ragù, guarnite di rape cotte con l’anatre.

Pagina 70

Prendete delle budelle grosse di porco dette il budello gentile, e levategli la punta grossa, per farlo stare in molle un giorno, o due. Quando sarà ben bagnato, e lavato, fatelo bianchire nell’acqua, con un poco di sale, e qualche pezzo di cipolla, e di limone. Fendete questo budello, e metteteci ancora un poco di vin bianco, per levargli il cattivo gusto. Dopo che sarà bianchito, cavatelo dall’acqua fresca, mettetelo sopra la tavola, tagliandola alla lunghezza che vorrete le andoglie. Prendete del ventre di porco e levate via il grasso, e tagliate questa carne in grossi lardoni della medesima grandezza delle vostre andoglie, e formatele ancora con metà d’uno, e d’altra, condendolo come bisogna. Dopo di che prendete le camice, delle quali si leva via la picciola budella di dentro, si nettano bene, e fatele ancora stare in molle qualche tempo, per levargli il cattivo gusto. Tagliatelo alla lunghezza delle vostre andoglie, ed avendo legate l’estremità di ciascuna andoglia, passatele propiamente dentro la camicia per rivestirle, e legarle. Quando avrete fatte le vostre andoglie, bisogna cuocerle dentro una pignatta, con dell’acqua, fette di cipolla, una cipolla steccata di garofolo, due foglie d’alloro, un poco di Zinna di Porco, e le farete cuocere dolcemente, schiumandole bene, gittandoci, dopo che l’avrete schiumate, uno o due bicchieri di vino bianco. Lasciatele raffreddare dentro il medesimo brodo, cavandole dipoi, ed avendo cura di non romperle. Si fanno grigliare sopra della carta, e si servono tutte a un tempo.

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Abbiate de’ budelli di vitella, che siano un poco grossi ben lavati, e ben aggiustati, e tagliati alla lunghezza, come voi volete fare le vostre Andoglie: legate una dell’estremità di detti, e prendete del lardo bianchito, della zinna di vitella bianchita, della trippa di vitello, e tagliate il tutto in piccioli dadi, e pezzi, li metterete in una cazzaruola, e li condirete con spezierie fine in polvere con una foglia di alloro. Ci bisogna del sale, pepe, un poco di scalogna trita, e ci aggiungerete circa mezza foglieta di buona pana di latte. Passerete il tutto insieme sopra il fornello, e tirerete poi la cazzaruola indietro. Bisogna metterci quattro, o cinque rossi d’ovo, un poco di mollica di pane, e tutto essendo ben legato ne formerete caldamente le vostre andoglie con un imbuto, e le legherete tutte. Dopo le farete bianchire nell’acqua, e le metterete a bollire nella pentola, come quelle di porco. Si fanno cuocere nella stessa maniera, e bisogna ancora lasciarle raffreddare dentro il loro brodo. Per servirle, si fanno arrostire alla gratella sopra della carta, e si servono caldamente. Queste sorte d’andoglie si possono fare l’estate, quando è fuori di tempo de’ porci, come ne’ paesi, ove non se ne ammazza tutto l’anno, come si fa a Parigi.

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Li salsiccioni, o andoglie si servono per antrè più che per antremè. Si fanno questi di porco nella maniera qui sotto.

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Le potrete servire ancora per antrè, ovvero in zuppa, accomodandole sopra le vostre croste mitonè, o guarnite di cervellato in fette, e sugo di limone.

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Si fanno le andogliete di vitello con della carne di vitello pestata, lardo, erbe fine, rossi d’ovo, sale, pepe, noce moscata, cannella pesta, facendole prendere un bel colore; nel servirle ci si stemprano rossi d’ovo con agresta, e sugo di limone. Queste medesime andogliette si mettono allo spiede fra due fette di lardo, e si bagnano, perché non caschino, con rossi d’ovo, e mollica di pane, ora l’una, ed ora l’‘altra, per farli prendere una bella crosta: per servirle ci si mette del sugo di castrato, o altro, un sugo di limone, e pressemolo fritto per guarnitura.

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Si fanno ancora polpette di pesce con carne d’anguilla, e di carpa, battuta, o pestata nel mortaro, e condite come il solito. D’una parte di questa carne si forma un cervellato, o salsicciotto in un panno lino, e si fa cuocere con vin bianco, burro, un mazzetto d’erbe fine, e del resto se ne formano polpette, quali si mettono a cuocere nel burro con brodo, ed un mazzetto. Passate de’ funghi per la padella con latti di carpa, ed un poco di farina, e dopo che le avrete fatte bollire un poco con brodo di pesce, e limon verde, metteteli con le vostre polpette.

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Quando l’anguilla sarà scorzata, tagliatela in pezzi che farete bianchire all’acqua bollente. Essendo sgocciolati sopra una salvietta, passateli al burro bianco e fateli cuocere con sale, pepe, garofoli, noce moscata, foglie d’alloro e un pezzo di limone; alcuni ci mettono un bicchiere di vino bianco. Passate ancora de’ fondi di carciofi, funghi, e punte di sparigi con buon burro ed erbe fine, che ce le aggiunterete, e fate una salsa bianca nel modo seguente.

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Si fa un pasticcio caldo d’anguille per antrè, avendola tagliata in pezzi, dopo averla scorticata conditela secondo il solito con sale, pepe, stecchi, moscata, erbe fine, cipolle, burro, capperi, alloro, e pan grattato, a mezza cottura un bicchier di vino bianco, e nel servirla sugo di limone, imbandite il pasticcio in ovato, o tondo con pasta fina. Per la torta potete o tritare l’anguilla dopo averla scorticata e tor via la lisca, o tagliarla in tocchi. Conditela come sopra con funghi in pezzi, e rossi d’uvo, e sugo di limone nel servirla per fare una salsa bianca.

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Non parleremo punto delle zuppe d’anguille al brodo bianco e scuro o in filetti che si posson servire, non avendoci da osservare che la medesima cosa che per gli altri pesci. Eccovi solamente gli antrè che se ne possono fare. Un’altra volta mettetele in cazzarola facendole cuocere con burro ed un poco di vin bianco, noce moscata, un pezzo di limon verde, un poco di farina fritta; ed in servirle metteteci de’ capperi e del sugo di limone. Le potete friggere e servirle alla salsa d’acciughe fondute con burro rosso, sugo d’arancia e pepe bianco.

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Si posson far cuocere ancora al corto brodo con vin bianco, limon verde, pepe, sale ed alloro, e servirle sopra una salvietta con pressemolo e fette di limone per mangiarle all’aceto e pepe bianco, ovvero farci la remolata, che è stata detta altrove.

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Pestate della carne d’anguilla, e di tinche, conditela di sale, pepe, garofali, noce moscata, e fate de’ lardoni d’altra carne d’anguilla, delli quali metterete un letto sopra le pelli, e un letto della carne trita, continuando così come un pan lungo. Inviluppatele dentro un panno di lino, fatele cuocere, come il prosciutto di pesce, come sarebbe metà acqua, metà vino rosso, conditi di stecchi d’alloro, e pepe. Essendo raffreddato nel suo brodo, servitelo in fette per antremè più tosto che per antrè.

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Passatele alla padella con burro rosso, erbe fine ben minute, cipolle, sale, pepe, garofoli, noce moscata, e capperi, un poco di agresto, e vin bianco, se volete, e farina fritta. Fate dipoi cuocere il tutto insieme in un piatto, o in una bastardella, e guarnite di limoni in servirle.

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Avuta mezza cottura nell’acqua, si mettono in platto d’argento, o di stagno, nel quale siano disfatte anchiove, polvere di garofali, olio buono, sugo d’aranci, mezzo bicchier di vin bianco; coperto con un altro piatto, mettendolo sopra la brace fin che sia finita la cottura.

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Sopra la gratella polverizzate con pane, polvere di cannella, mastice e zucchero; servite calde.

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Non si debbono scorzare, ma solamente levar via la spina, tagliar in pezzi, marinarle con aceto, pepe, alloro, cipolle, e limone, dipoi infarinarle, e friggerle, nel burro raffinato. Per servirle, fateci una petrosemolata, o persillata, fatta come qui sotto.

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Le potete riempire sopra la spina in forma di salciccia imperiale. Fate un buon godivù della carne dell’anguilla, che pesterete bene nel mortaro, mettendovi della pana, della mollica di pane, due o tre rocambò, la metà d’uno spicchio d’aglio, e il vostro godivù, o carne trita, essendo di buon gusto, e ben condito ne riempirete le spine ben propriamente, doratele bene con mollica di pane grattata, e fatele cuocer al forno in una Tortiera, e che prendano un bel colore.

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Si può servire una culatta di manzo mezza salata, che bisogna metterla propiamente in una pentola con ogni sorta di speziarie fine e cipolle. Empierete la pentola d’acqua, la farete cuocere e schiumerete bene. Ci si mette buon sugo di carni, che avrete cavato per ben nudrirla. Essendo cotta, e nell’accomodarla nel suo piatto, la sgrasserete un poco per di sopra e ci metterete un piccatiglio di prosciutto guarnito di marinato, di vitello fritto lardato, e delli citrioli ripieni, come si troverà qui vicino la maniera, ovvero di fondi di articiocchi tagliati in mezzo con latti di vitello, il tutto fritto, e bagnato come li citrioli.

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Tagliatelo in quattro parti. La testa la metterete al corto brodo. Un traverso alla salsa bianca. Uno in piccatiglio o in ragù. E la coda fritta con salsa de’ capperi. Guarnirete il piccatiglio di piccoli pezzi di crosta di pan fritto e imbandirete il tutto in un gran piatto. Ci potrete aggiugnere un picciol ragù di fegati di luccio, di latti o di capperi, e guarnirlo di fiori e di verdura.

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Prendete la parte di dietro della culatta, che larderete di grossi lardi, ed avendolo messo in una pentola con due libbre di strutto, di buone fette di lardo, condendola necessariamente. Fate cuocer tutto alle brace dolcemente per dodici ore in circa e fate in maniera che non respiri punto cuocendo, avvertendo pure che sia salato a proporzione. Alla fine ci potrete mettere un poco d’acqua vite e guarnirlo di marinato.

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Formerete un buon godivù ben condito come il polpettone qui appresso. Ne farete come una spoglia sopra grandi fette di lardo, che possino inviluppare tutto il vostro bottone, e ci metterete un buon ragù di funghi, latti di vitello, fondi di carciofi, creste, prugnoli, tartufi e punte di sparagi passati al bianco; li coprirete con un’altra spoglia di godivù e di fette di lardo, e li farete cuocere dolcemente alle brace o altrimenti. In servirlo metteteci sugo di limone, dopo averlo sgrassato e guarnito di braciolette rotolate ripiene, fricandò mescolate con marinati fritti, che si fanno con braciole grosse di vitello battutte con costa di cervello; e poste in aceto, e finocchio, e farinata si friggono, e, se si vuole, se le fa una salsa reale. Se ne può fare ancora da magro, formando di godivù di carne di carpa, anguilla, tinche ed altri, ben pestati e conditi.

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Prendete la spalletta e levatene il grasso, come qui sopra. Lardatela propriamente e conditela bene. Si può ancora lardarla di prosciutto crudo. Prendete una pentola con fette di lardo e fette di manzo, o di vitello, ed accomodatecele come per una brace; metteteci dipoi la vostra spalla con fuoco sotto e sopra, e fate in maniera che ella prenda un bel colore. Quando l’averà preso, cavate questa carne e queste fette di lardo e sgocciolate un poco il grasso, senza ancora levar punto la spalla. Bisogna mettere un buon pugno di farina attorno alla pentola e farla prender colore con la spalla. Essendo colorita, ci metterete la carne che averete cavata con buon sugo ed un poco d’acqua, e terrete la pentola ben coperta, facendolo finir di cuocere intieramente. Bisogna che la salsa sia un poco legata. Se ella non fosse legata, bisogna metterci un colì di questa carne pestata che è stata attorno alla spalla e passarla ben con buon sugo. Ci potrete mettere ancora ogni sorta di guarniture, punte di sparagi, spongoli, funghi e far cuocere il tutto insieme; medesimamente tartufi, creste e latti di vitello, se se ne ha la comodità. Essendo cotto, imbandite la vostra lacchetta, sgrassate bene il ragù e metteteci un bicchier d’agresto. Si può guarnire il piatto di costollette di castrato o di vitello ripiene, come si è detto qui avanti.

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Bisogna aver de’ fegatetti, prendere i più magri e pestarli con lardo bianchito, un poco di grasso e di midolla, di tartufi e de’ funghi, qualche latte di vitello, un poco di pressemolo e di cipolla e di prosciutto cotto; il tutto ben pestato e legato con un rosso d’ovo. Tagliate della rete in pezzi secondo la grossezza de’ vostri fegati per poter ben rotolarli dentro, mettete del pieno sopra questa rete tagliata e poi un fegato sopra e poi ancora del pieno per di sopra, e fate che il tutto sia ben fermato dentro la rete. Metterete questi fegati così accomodati sopra un foglio di carta per farli grigliare con un poco di lardo fonduto, ovvero dentro una tortiera, e metteteli al forno. Essendo cotti, cavateli, sgociolate ben il grasso ed imbanditeli in un piatto con un poco di sugo caldo sopra, condito d’un poco di pepe e sale, ed avendoci spremuto il sugo d’un’arancia, serviteli caldamente.

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Dopo aver levato propriamente il fiele de’ vostri fegati, prendete una tortiera e mettete qualche fetta di lardo sotto e li fegati dentro. Conditeli e copriteli d’altre fette di lardo per di sopra, ed avendoli ben coperti metteteli a cuocere al forno, avendo riguardo che non si secchino troppo. Prendete de’ funghi ben nettati e ben lavati, metteteli dentro un piatto con un poco di lardo ed un bicchiere d’agresto, avendoli innanzi diseccati della loro umidità nel metterli sopra il fuoco. Passate a parte qualche fetta di prosciutto con un poco di lardo e di farina ed un mazzetto d’erbe fine. Essendo passato, metteteci di buon sugo di vitello che non sia punto salato, e fateli cuocere con li funghi e li fegati ben sgocciolati, il tutto dentro la medesima salsa. Verso il fine legatela di qualche legamento, se ne conoscete il bisogno, ed avendoli sgrassati, metteteci un bicchier di aceto e serviteli caldamente. Si guarnisce il piatto di tutto quel che si vuole, purché questo sia di pezzi d’antremè.

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Quando si ha qualche volatile freddo, come tacchini o altro. Per farne uno antrè ne potrete prendere le ali, le cosce ed il groppone, grigliarli con sale e pepe, passar farina per la padella con lardo fonduto, metterci ostriche, acciughe, capperi, noce moscata, un poco di alloro e limon verde, un bicchier d’aceto ed un poco di brodo, e far bollire il tutto insieme.

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Prendete l’arrosto, ne farete pezzetti e metterete alla pentola con lardo a soffriggere, poi si pigli cantuccio, cipolla, aglio, cedrato candito, uve passe, pinocchi in mortaro, e si pesti benissimo; dopo si prenda aceto bianco, zucchero, sale e spezierie, e s’incorpori il tutto; si stemperi poi con brodo e si metta nel pentolo a fuoco lento, acciò la salsa si cuoccia e non s’attacchi, e avanti di metter la salsa, si coli il lardo del pentolo.

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Le bacchette sono ancora un pezzo d’antremè. Eccovi quello che sono. Prendete de’ latti di vitello ed allessateli; bisogna tagliarli in piccoli pezzi con de’ fegatetti e del piccolo lardo bianchito, e passar il tutto con un poco di pressemolo, cipolla, farina, e ben condirli. Essendo quasi cotti, in maniera che ci sia un poco di salsa e che ella sia legata, fate delle piccole bacchette, o siano steccadenti, ed infilzatevi i vostri pezzi di fegati, di latti di vitello e de’ piccoli lardi secondo la lunghezza de’ vostri steccadenti, o bacchette; bagnateli dentro la salsa, ed avendoli panati, potrete grigliarli o friggerli. Se ne guarnisce ancora de’ piatti d’arrosto.

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Si passano i ragù d’antrè, ed antremè a parte dentro differenti cazzarole, e per tutto si mette un mazzetto d’erbe odorose fine. Quelli, dove ci entra della pana, conviene, che sien passati al buon burro, o altro simile, ed un poco di farina a ciascun ragù, il quale essendo passato, e cotto ci si mette della pana, ed in servirli si legano con qualche rosso d’ovo.

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Nettati dalla morchia i barbi, serbateli il fegato, e passateli alla padella con burro rosso, poi metteteli in una bastardella di terra collo stesso burro, un poco di farina fritta, e vin bianco. Conditeli di sale, pane, noce moscata, un mazzetto d’erbe fine, ed un pezzo di limon verde, fate un ragù a parte della medesima salsa de’ barbi, con li fegati, e funghi, e guarnitene il vostro piatto, aggiungendoci un sugo di limone nel servirli.

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Mettete il barbio, ed imbandite una pasta fina, ove le metterete co’ suoi fegati, funghi, latti, code di gambari, fondi di carciofi conditi di sale, pepe, moscata, erbe fine, cipolle, e sugo di limone nel servirli.

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Dopo averli lavati, passateli intieri alla padella con burro rosso, ed un poco di farina, poi fateli cuocere in una bastardella di terra con sale, pepe, un mazzetto di erbe fine, brodo di pesce, o purè, ed un poco di vin bianco, ed essendo cotti, imbanditeli sopra le vostre croste mittonè e guarnitela di funghi, e capperi.

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Il barbio è un pesce di lago, e di riviera. Lo potete servire in pasticcio, e farne una zuppa al brodo scuro.

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Fatelo cuocere al corto brodo, ed essendo freddo tagliatelo in filetti, co’ quali guarnirete un tondo, per farne una piccola insalata, e condirete di sale, pepe, aceto, ed olio, ovvero fateci la remolata, che abbiamo detto a carte 6 e servono per antremè.

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Tagliatelo sopra la schiena, affinché il marinato penetri, e quando sarà marinato, doratelo bene con pane grattato, e mettetelo a cuocere nel forno, guarnitelo di piccoli pasticcetti.

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Bisogna prendere le beccacce, e tagliarle in quarto, come si fa li pollastri per una fricassea bianco. Abbiate de’ tartufi, che taglierete in fette, latti di vitello, funghi, prugnoli, e passate il tutto insieme, bagnandole con buon sugo. Ci si metton dipoi due bicchieri di vin bianco, non importando, se fosse rosso. Quando ciò è ben cotto, e condito, ci bisogna del buon colì di beccacce, per legare la salsa, o di qualche altro buon colì, del quale s’avrà la comodità. Si può ancora metterci una cucchiarata d’essenza di prosciutto, il tutto ben sgrassato. Accomodate le vostre beccacce nel piatto, e metteteci il ragù per di sopra, e spremeteci un sugo di limone avanti di servirlo caldamente.

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Si vede la maniera all’articolo de’ piccioni.

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Li beccaccetti si posson servire in ragù come anche arrosto. Fendeteli in mezzo, e non levate niente di dentro, passateli alla padella con lardo fonduto, conditeli di sale, pepe bianco, una cipolla, qual va poi levata, ed un poco di sugo di funghi, e di limone, servendoli guarniti di fette di limone.

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Si vede il modo di farlo all’articolo de’ pasticci.

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Piglierete libre quattro mandole, le macinerete per fare il latte, le metterete in una cazza ben stagnata, stemprate con venti bicchieri d’acqua, e libre due e mezzo di farina di riso, e un poco di fior di sale, così porrete il tutto a fuoco sempre mescolando, con aggiungervi libre due zucchero, e, quando sarà a mezza cottura, vi metterete due grani d’ambra grigia macinati con quattro oncie di fior d’arancio canditi: quando sarà cotto si conosce col coltello, quale mettendovelo dentro e cavandolo vi dee rettare attaccato, e allora sarà a perfezione e ne potrete fare le cose che vorrete.

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Pigliate circa una libra di corno di cervo, raspato secondo la quantità che ne volete fare, e fatelo cuocere ragionevolmente in maniera che, toccandolo con le dita, troviate che l’acqua sia divenuta come viscosa, essendo questo un segno ch’ell’è assai cotta. Passate questa gelatina per una stamigna ben fina e pestate delle mandole, bagnandole con latte ed un poco di pana. Passerete la vostra gelatina con queste mandole tre o quattro volte, affinché sia ben bianco, e metteteci una goccia di acqua di fior d’aranci. Se questo è per i giorni di digiuno in quaresima la sera, bisogna passare il bianco mangiare a forza di mandole pestate spremendoci un poco di sugo di limone, e non ci si mette punto di latte; lo servirete, quand’è ben rappreso, in ghiaccio.

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Si serve del bianco mangiare nell’antremè, o per piatto, o per ordover. Per farlo, prendete de’ piedi di vitello ed una gallina, che non sia troppo grassa. Bisogna far cuocere ogni cosa senza sale e passarla, quand’è ben cotta, avendo riguardo che non sia né troppo duro, né troppo tenero. Se avete troppa gelatina, levatene. Dipoi metteteci del zucchero, della cannella, scorza di limone, e fate bollire il tutto un poco di tempo in una cazzarola sopra il fuoco, e dopo averla ben sgrassata, bisogna aver delle mandole dolci, e, se si vuole, se ne può mettere sette o otto d’amare, secondo la quantità del vostro bianco mangiare. Si pestano bene, e si bagnano di latte, affinch’esse non vengano punto oliose. Passate il vostro bianco mangiare, che non sia troppo caldo, con le vostre mandole, due o tre volte. Dipoi rilavate ben la stamigna, e ripassateli ancora una volta, affinché sia ben bianco. Dopo averlo messo in un piatto, giacciatelo propiamente, e passateci sopra due fogli di carta bianca, per levargli il grasso. Ci si mette una goccia d’acqua di fior d’aranci, quando sarà ben gelato, lo servirete ben freddo, guarnendolo di limone. Si può fare il bianco mangiare di diversi colori, e per questo vedrete quel che si dirà qui per la gelatina.

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Pigliate tutti li petti delle vostre pernici, dopo che saranno arrostite. Se non ne avrete abbastanza, prendete qualche petto di pollastra arrosto. Pestate il tutto sopra la tavola, che diventi come farina. Pigliate gli ossami e pestateli ben dentro il mortaro: dopo averli pestati, metteteli dentro una cazzarola con buon sugo, ed avendoli dipoi passati per la stamigna, rimetteteli dentro una piccola pignatta ed il vostro biberò, o carne trita, dentro. Lasciatela cuocere a picciol fuoco, avendo riguardo che non s’attacchi al fondo. Ci potete mettere qualche cucchiarata d’essenza di prosciutto. Bisogna farla cuocere in maniera che non sia troppo liquida, né grassa. Essendo ben cotto, mettetelo dentro un tondo o due. Ci sono diversi che lo servono così, ed altri, dopo che l’hanno messo nel loro tondo, lo spolverano con crosta di pan grattata ben fina e ce li fanno prender colore con la pala rossa. Si mangia in questa maniera con la forchetta, e per l’altro cucchiaro. Servitelo caldamente.

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Tritate de’ funghi ben minuti e li metterete sopra le croste, che farete bollire con buon brodo di pesce. Farete il ragù di latti di carpa, fegati di luccio, code e zampe di gambari e sugo di limone guarnito del medesimo.

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Bisogna prendere li piccioni più ammazzati di fresco, gli scotterete, bianchirete, e netterete attentamente, farli cuocere nel buon brodo chiaro, con più fette di lardo, una cipolla steccata di garofalo, due fette di limone, il tutto ben schiumato. Non si metterà al fuoco che un’ora avanti di servirla, secondo la grossezza de’ vostri piccioni, ed essendo cotti li tirerete indietro. Per fare il ragù, bisognano latti di vitello ben bianchiti tagliati in mezzo, funghi tagliati in piccoli pezzetti, tartufi in fette, fondi di carciofi tagliati in quarto, ed un intiero, per metter nel mezzo della vostra zuppa. Passate propriamente questo ragù con un poco di lardo e di farina ed una cipolla steccata, e non aspettate che s’arrossisca punto. Quando sarà così passato, ci si mette un poco di buon brodo, e lasciatelo cuocere con una fetta di limone. Farete cuocere a parte in una piccola pignatta delle creste bene scottate, e bene nettate, con fette di lardo, del grasso di vitello, del brodo chiaro, una fetta di limone, una cipolla steccata con tre garofali, sopra il tutto, che ogni cosa sia ben bianchita, passate per questo un pezzo di mollica di pane nella stamigna, con buon brodo, del qual non bisognano, che due cucchiarate. I vostri piccioni, le vostre creste, e il vostro ragù essendo pronti, fate la vostra bisca della crosta di pan da zuppa secco al fuoco. Si fa bollire la sua zuppa con buon brodo, si accomodano li piccioni sopra ed il fondo di carciofo al mezzo. Il ragù in mezzo alli piccioni, le creste sopra il petto, il tutto ben sgrassato, e ricordatevi di mettere tutto il ragù sopra. Bisogna avere nel medesimo tempo un pezzo di manzo o vitello arrosto allo spiedo a mezza cottura. Si taglia in una cazzaruola, o in un piatto, ed a forza di mano si spreme per cavarne tutto il sugo. Non si metterà punto al fuoco, affinché divenga bianco, e quando la vostra zuppa sarà imbandita, la bagnerete con questo sugo, affinché sia ben marmorita; la guarnirete con limone, e ce ne spremerete sopra un mezzo, e la servirete caldamente.

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Si fanno nella stessa maniera, che le precedenti.

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Come le suddette.

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Aggiusterete le vostre quaglie ben propiamente, come i polastri, e le passerete al rosso, che prendano un bel colore. Le metterete in una piccola pentola con buon brodo, fette di lardo, un mazzetto, stecchi di garofali ed altro condimento, con un pezzo di prosciutto e di limone verde, e le farete cuocere a lento fuoco. Guarnirete la vostra bisca, come l’altre, di latti di vitella, fondi di carciofi, funghi, tartufi, braciole di vitello battute, creste, delle quali farete un cordone attorno con le più belle, e marmorite la vostra zuppa d’un colì di vitello, e sugo di limone nel servirla.

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Si fanno le bische di quaglie, di capponi e pollastre cappone, e più comunemente di piccioni. Noi descriveremo primieramente la maniera di queste.

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Piglierai una libbra di zucchero ben pesto, e tamisato sottilmente, ed un’oncia di questo pesterai con un grano di ambra. Piglierai due chiare d’ova nel medesimo giorno nate, prima impasterai la detta oncia di zucchero con l’ambra, e poi, seguendo con una spatoletta, aggiugnerai il restante del zucchero, lavorandolo con una spatoletta di legno sino che sarà ridotto a guisa di pasta; e quando sarà divenuto tenace, che assottigliato si tiri in lungo senza rompersi, ne formerai su le carte bianche fiori, frutti, biscottini, frondi, ed altre galanterie, come ti piacerà, avvertendo che il forno serva quando averà cotto altre pasticcerie, perché sono troppo delicate.

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Piglierai sei ova, una libbra di zucchero fino, avvertendo che l’ova sieno fresche, nate nell’istesso giorno; piglierai un vaso ben pulito e vi romperai dentro dette ova, e di quelle sei chiare ne getterai via una; il zucchero sia ben pestato nel mortaro, e tamisato: di questo ne metterai quattro oncie nel vaso e due ne serberai per fargli sopra il ghiaccio. Piglierai un mazzetto di bacchette ben scorzate e ben pulite; per mezz’ora andrai sbattendo dette ova col zucchero: quando li vorrai fare aggiugnerai oncie sei di farina; li farai nella carta, o nelle cassette, ovvero nelle teglie ontate di buttiro.

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Piglierai due libbre di mandole ambrosine, pelate e biscottate in una teglia a fuoco lento acciò non piglino il color rosso; pestate nel mortaro, aggiugnerai quattro oncie di fior di cedro, una libbra di zucchero fino, libbre una e mezza d’amido tamisato; poi, pestata ogni cosa insieme, gli aggiugnerai sei chiare d’ova, e se vorrai mettervi un grano di muschio, o d’ambra, sarà a beneplacito; ed incorporando questi ingredienti, ne farai pasta, preparando una padella grande da forno, spolverizzandola di farina: le disporrai dentro i biscottini grandi come ducatoni, o a beneplacito, avvertendo che il forno sia caldo a proporzione, lasciando alquanto mitigare (se sarà bisogno) l’attività del calore.

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Prendete tre o quattro ova ben fresche, più o meno, secondo la quantità de’ biscottini che volete fare. Piglierete una bilancia, e metterete i vostri ovi dentro una delle parti, dall’altra della farina cotta nel forno. Alzerete la bilancia, per rendere il peso eguale di una parte, e l’altra, e se ci avete messe quattro ova, per esempio, ne leverete uno, e lascierete gli altri tre. Peserete il zucchero fino in polvere al peso degli ovi, e leverete le quattro chiare per formarne della schiuma, la più soda che si possa. Bisogna tritarci della scorza di limone verde, che sia ridotta come in polvere, e metterci la farina, che avete pesata. La sbatterete un poco, e ci metterete dipoi lo zucchero, e dopo averla ancora un poco sbattuta, ci aggiungerete li rossi d’ovo, e sbatterete tutto insieme qualche tempo. Dipoi formerete i vostri biscottini sopra della carta in tondo, o in lungo, secondo la maniera, che gli vorrete, e li ghiaccierete propriamente con zucchero in polvere. Si fanno cuocere al forno, avendo riguardo, che non sia troppo caldo, e subito che son cotti, distaccateli dalla carta con un cortello ben sottile. Si servono alli frutti, o per guarnir qualche torta.

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Piglia quattro libbre di pane di tutta candidezza, biscottato bene in forno, pestato nel mortaro, setacciato ben sottile; lo porrai in vaso di pietra con tre oncie di cannella pesta, libbre due di zucchero chiarificato e tirato a cottura, gettandolo sopra il detto pane, mescolando detti ingredienti con una spatoletta fino che sieno bollenti; ed avrai apparecchiate in altro vaso quattro oncie di lievito stemperato con nove oncie d’acqua rosa, una libbra di zucchero chiarificato ma freddo, aggiugnendovi libbre due di farina: lo getterai nel primo vaso, ove sarà il pane, avvertendo che sia raffreddato; mescolando ogni cosa insieme, la riporrai in luogo temperatamente caldo, ben coperto per otto ore, ed ogni due ore la mescolerai; fatto questo infarinerai la padella: di questa composizione ne formerai pasta per far biscotti piccoli a guisa di castagne, tondi o lunghi come più aggradiscono, avvertendo che il forno sia caldo a proporzione della composizione.

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Per far de’ bocconi, prendete un pezzo di coscia di vitello in piccole fette, che sieno un poco lunghe e sottili. Schiacciatele sopra la tavola. Abbiate de’ grossi lardoni di lardo ed altrettanti di prosciutto crudo, ed accomodateli in traverso sopra le vostre fette, metteteci un lardone di lardo ed un presciutto. Polverateli d’un poco di pressemolo e di cipolla, e conditeli di fine speziarie e di fine erbe. Quando le vostre fette saranno piene di questi lardoni, Ie rotolerete propriamente, come se fossero filetti mignoni, o gentili, e li metterete alle brace. Essendo cotti, bisogna sgocciolare il grasso, aver un buon colì, e ragù di funghi, ed altre guarniture, e servirli caldamente.

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Bisogna prendere un tacchino arrosto e, se se ne vuole molta, prendete ancora un cappone, pigliate i due petti, e pestateli propriamente. Tagliate dipoi della zinna di porco assai sottile, e mettete il tutto in una cazzarola con un poco di cipolla trita, ch’avrete avanti fatta friggere, ed un poco d’erbe fine, fuorché del pressemolo. Conditela di spezierie ordinarie e metteteci del latte, secondo che giudicherete a proposito; fate bollire tutta questa roba insieme, e poi tirate la vostra cazzarola addietro ed aggiuntateci due o tre chiare d’ovo sbattute. Bisogna avere riguardo che il vostro pieno non sia troppo liquido. Dipoi col budello grosso che avrete preparato formerete la vostra salsiccia, ed a misura che lo riempierete, lo forerete un poco poco per farne uscire il vento. La farete bianchire in un poco di latte e qualche fetta di cipolla, ed avendola tirata sopra una salvietta pulita, la lascierete raffreddare. Per servirla, bisogna arrostirla alla gratella sopra della carta con un fuoco mediocre, per paura che non creppi. Ci metterete un poco di grasso di porco, o altro grasso, e lo servirete caldamente.

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Bracciole di vitello state in infusione in aceto, salvia, cipolletta ed aglio, scorza di limone, per quattro o cinque ore, e dopo si cavino, e si spremano del detto aceto, e s’infarinino, e si friggano con salsa d’aceto, zucchero, garofani e cannella, qual fatta prima bollire si butti sopra alle dette bracciole, avvertendo che non ci vada sopra de’ garofani, né cannella; e si servono calde con zucchero fino sopra.

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Fatele stare prima in addobbo con speziarie ed aceto rosato.

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Piglinsi le bracciole di vitella e si mettano in tegame a bollire con acqua, dipoi si pigli del pressemolo, e sermollino, e uno spicco di aglio, si batta ogni cosa insieme fine fine con del finocchio forte spicciolato, e si metta il tutto nel tegame a bollire; e vi si metta ancora un poco di midollo, un rocchio di salsiccia, il tutto battuto finissimo, dodici pezzi di funghi fatti in pezzetti, un tartufo affettato, del cedrato candito, de’ pignoli e uve passe, e si lasci bollire ogni cosa insieme, col rivoltarle di quando in quando, e quando saranno cotte vi si metta dentro due oncie di burro e un poco di caccio parmigiano grattato, e si unisca ogni cosa insieme.

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Piglierai la polpa della coscia del vitello e la taglierai in pezzetti larghi come due diti; le batterai bene colla costa del cortello e poi le metterai in addobbo con un poco di coriandoli pesti, un poco di cannella in polvere e sale a proporzione; avrai parecchiato un tegame con buttiro disfatto, ovvero grasso d’oca, gli ponerai le bracciollette dentro, coprendole con coperchio, voltandole molte volte: quando saranno cotte, piglierai un poco di scorza di cedro condito, la pesterai nel mortaro, gli spremerai il sugo di due limoni e con quello stempererai la scorza di cedro, ponendo poi il tutto dove son le bracciolette; senz’altri regali queste riusciranno ottime.

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Se non s’estenderà punto qui sopra tutto quel che si può mettere alla brace, che è una maniera di cottura che rileva sommamente il gusto della carne e che è molto in uso, abbiamo potuto già vedere degli esempi qui avanti nell’articolo del manzo e se ne troveranno molti altri nelli seguenti, che saranno medesimamente spiegati a’ loro luoghi, ove le cose si riporteranno; e se si desse il caso che non aveste bastante lume, potrete osservare gli articoli che verranno appresso e ricorrere per quest’effetto alla tavola.

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Benché questo articolo si potesse mandare a quello delle zuppe, al quale spetta, si è creduto bene di parlarne prima per levare al lettore il dubbio che potrebbe avere sopra la differenza de’ brodi, che ha veduti e che vedrà ancora in qualche luogo, e la pena ch’avrebbe a cercare altronde per chiarirsene. Eccovi dunque quel che si deve osservare per li brodi, de’ quali si ha bisogno tanto per le zuppe, che per gli antrè. Fate cuocere delle fette di lombo, zampe di manzo ed altra carne, e cavatene il sugo, passando il brodo per un panno lino: rimettete le vostre fette nella pentola, ed avendole ben fatte cuocere, cavatene ancora il brodo e tenete caldamente l’uno e l’altro. Del primo ve ne servirete per cuocere nella pentola i capponi, tacchini, pollastri, quaglie, vitello ed altri pezzi ripieni che vorrete servire al brodo bianco. Prendete del brodo di capponi o di vitella per far cuocere nella pentola i vostri piccioni per le bische; e col brodo delle bische, potete passare i colì per le zuppe alla Rena, o alla regina, ed alla reale. Il brodo delle carni ripiene vi servirà per passare i colì e per bianchire le medesime carni, come per esempio i tacchini, o pollastri ripieni, garetti di vitello, petti ripieni, ed altri pezzi che si devono bianchire. Il secondo brodo che avrete cavato dalla vostra gran pentola sarà per far bollire le vostre zuppe scure, per esempio anatre, saratelle, lepri, colombacci, lodole, fagiani, tordi, cavoli, rape ed altre zuppe scure, e si passeranno i legamenti scuri col medesimo brodo, senza confondere quello d’una spezie con l’altra. Questo brodo è buono ancora per gli antrè, e ne potrete prendere ancora per mettere a cuocere le vostre mondature di funghi, dalle quali caverete la sostanza per servirvi di quel colì a tutte le vostre zuppe, antrè ed antremè. Si può vedere gli altri colì che si fanno qui appresso, come pure li sughi, e tutto sotto i loro articoli.

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Si fa d’un pezzo di lombo di manzo, d’una scannellatura di castrato, d’un collo di vitella e due pollastri. Prendete il petto de’ pollastri, quando son cotti, pestatelo nel mortaro con un pezzo di mollica di pane bagnata nel brodo, ed essendo il tutto di buon gusto, passatelo nella stamigna per metterlo sopra le vostre croste, bollite nel medesimo brodo che averete fatto. Si troveranno i brodi particolari, di zuppe di sanità ed altre, al luogo loro. Eccovi solamente in favor degli ammalati quel che può essere di loro uso in questo proposito.

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Mettete una lacchetta di castrato in una pentola di terra, con un cappone, un pezzo di coscia di vitella e tre pinte d’acqua. Fatele bollire a poco fuoco, sino a ch’è ridotto alla metà, e lo spremerete bene nel passarlo dentro un panno.

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Mettete ogni sorta di buon’erbe nella pentola con due o tre croste di pane condite di sale, burro ed un mazzetto. Avendo cotto un’ora e mezza, passate il brodo per un panno bianco o stamigna. Vi servirà per la zuppa di sanità senz’erbe e per molte altre; come zuppe di lattughe, di sparagi, di cicoria, di carciofi, di cardi, ecc. Si può fare ancora del brodo al magro con radici, senza pesce, e della purè chiara, passando il tutto come sopra.

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Si prende della carne in fette, un poco battute con la costa d’un cortello, e si mettono in una cazzaruola con molte fette di lardo accomodate. L’impolvererete di pressemolo e cipolle peste, ed altre speziarie, e continuerete a fare un letto di simile condimento ed un letto di fette di carne sin alla fine, che le coprirete bene di fette di lardo e le metterete a cuocere alla brace, fuoco sopra e sotto, avendo ben coperta la cazzaruola. Essendo cotte, ci si può fare un colì di ossami di pernice. Il tutto ben sgrassato, si metton queste fette nel loro piatto e il colì per di sopra. Si possono ancora riempire con un buon godivù trito e ben pestato in un mortaro con erbe fine, rosso d’ovo, pana e condimenti ordinari, mettendo questo pieno dentro fricondò ben larghi, che s’inviluppano di fette di lardo e si fanno cuocere al forno, dentro una tortiera. Essendo cotte, ci farete un ragù, che getterete sopra composto di tartufi, prugnoli ed un colì di vitello, per legamento. Vedete all’articolo delle fricandò ripiene, che si rapportano in qualche cosa a queste.

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Per far de’ buglian abbiate de’ pollastri, o capponi arrosto, pigliatene i petti con un poco di midolla, zinna di vitella bianchita alla grossezza d’un ovo, altrettanto di lardo ed un poco d’erbe fine, ed essendo il tutto ben pestato, e condito, mettetelo sopra un tondo. Fate un pezzo di pasta fina e fattene due sfoglie sottili come carta. Bagnatene una con un poco d’acqua leggiermente: metteteci il vostro pieno sopra in piccoli pezzetti, lontani una distanza ragionevole un dall’altro, copriteli poi con l’altra sfoglia, e con la punta de’ vostri diti fermerete ciascun pezzo fra le due paste e con un ferro proprio a questo gli taglierete uno a uno e metterete il sopra sotto. Gli accomoderete propriamente, come se questi fossero piccoli pasticetti, e gli farete cuocere a bella frittura in buon grasso di porco: li potrete servire per ordover o per guarnire antrè di tavola, ma bisogna servirli caldamente.

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Si riempiono di polpa di pesce battuta con passarina, aglio o cipolla, latte di mandole, erbe odorose e pan grattato, con tarantello battuto, o alice, telline, ostriche salate, pistacchi, mele battute, prugne di Marsilia peste, visciole e speziarie.

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Fatta di capponi arrosto, vitella arrosto, starne arrosto, animelle arrosto, con sugo di limone, buttiro, capperi, olive senz’osso, sugo di gigotto di castrato, poca speziaria. Tutta la detta materia in pezzi aggiustarla nel piatto reale con midolla sopra, e pistacchi, e sugo di limone assai, regalata d’un festone fatto di pasta lavorata di rabesco.

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Fatta di polpa di linguattole, polpa di pesce cappone, polpa di triglie, tartufi, prugnoli, cotto con sapore di pistacchi, stemperato con sugo di limone, fette di condito; coperta tutta la sudetta materia del piatto con una gran pasta fatta alla tedesca, con zucchero sopra; regalata di fette di limone.

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Fatta di due capponi arrosto lardato: quando saranno cotti si partano in sei pezzi. Si mettano nel piatto con la sua zuppa di pane abbruscato sotto la iotta, bagnato con sugo di limone e brodo; si mettano latti arrosto in fette, uccelletti grassi stati in addobbo fritti; coperta la detta materia tuta in fette di mortadella, coperta di gelo d’amarasche, questo piatto si serve freddissimo con neve sotto.

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Due capponi arrosto, quattro starne o beccacce, due para di latti, cavo di latte, prugnoli, tartufi, punte di sparagi, pistacchi, midolla di manzo, con zuppa di pasta reale; regalato l’orlo del piatto di cannella.

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Ben pelato e pulito che sia il capo, cotto in vino con brocche di garofali, e cannella intiera, e tutto, sia servito caldo.

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Sono queste cappe molto grandi, ma si riducono in poca sostanza. Si cucinano aperte, ben lavate, levandole certe pellicole che le stanno intorno. Si pongono sopra la gratricola con olio, pepe e sugo di limone. Si cucinano con erbette odorifere, olio, speziarie e sugo di narancini, che sono assai delicate. Si possono frigger in olio, servite con pepe ammaccato e sugo di limoni.

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Si cuocciano i capponi allesso, si lascino tanto che il brodo sia stretto, si distendano li capponi nel piatto con un poco dello stesso brodo, mettendovi sopra un poco d’olio d’oliva buono, sale e pepe, con sugo di limone; regalate l’orlo del piatto di gelo di più colori, tramezzato di fette di limone con neve sotto, e si serve per rifreddo.

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Bisogna spruzzare detti biscotti con moscatello sin tanto che siano rinvenuti ma non zuppati; si pigli poi l’appresso erba, pressemolo un manipolo, bassilico otto o dieci foglie, targone per metà del pressemolo e le foglie d’un filo di perla; le suddette erbe si lavano, e si spremono. Si prende dipoi un capo d’aglio, un poco di scorza di limone, si battono nel mortaro tutte le suddette erbe, e, battute benissimo che saranno, vi si battono ancora oncie tre candito, oncie tre capperi, tre acciughe e tutte le suddette robe; quando saranno peste, bisogna avere un baratolo di conserva di cedrato, o cotognato, altra roba buona, e disfarla nel mortaro con le suddette cose. Dipoi si stempera ogni cosa con aceto forte in una certa liquidezza, come se fosse un unguentino, e questa si mette sopra i due biscotti rinvenuti col moscatello: e questa serve per finirli di zuppare. Il suddetto cappon di galera s’adorna poi di sopra con scorza affettata, con sermone in pezzuoli, con acciughe, con capperi, con pignoli, con olive, con uve passe, e nella falda del piatto s’adorna con crostini.

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Per far la salsa del cappon di galera vogliono essere le sottoscritte dosi, cioè tutte, macinate finissime in mortaro, che diventino come un unguento, ed anco tutte l’altre robe notate susseguentemente alle suddette erbe vorranno essere nella medesima forma mescolate insieme; o pure la maggior quantità dell’erbe vuol’esser pressemolo scelto a foglie fine, e di quest’altre tanta quantità quanta serva per darli l’odore, quali sono bassilico, punte di cedro, persa, timo, polvere di rigamo, un spicchio d’aglio, tre acciughe senza lisca, zucchero fino mezz’oncia, cedrato candito in pezzi. Intridere in ultimo la massa con due gocciole d’olio e stemperatele con aceto forte, avvertendo che venga densa come una mostarda. Dipoi si prendan fette di pane sopraffine, s’arrostiscano e poi si mettano a molle in acqua, che vi siano quattro gocciole d’aceto dentro; dopo che saranno rinvenute in detta roba, si levino e si asciughino con salvietta bianca; si cuoprano dette fette con la sopraddetta salsa sotto e sopra, e poi si facciano fette sottili di canditi e di mezze acciughe, quali si mettano sopra dette fette un appresso l’altro, che vengano coperte dal candito e dall’acciughe tutte le sopraddette fette, le quali vanno poste in piatto con neve sotto; e negli spazi che restano fra esse, cioè fra l’una e l’altra, si posson mettere o uve passe, o pinocchi, o pistacchi, o astuzi addobbati, o capperi, ovvero foglie di fior di arancio condite, o anici in camicia, con adornare il piatto con fette di limoncello dolce, o di cedrato.

Pagina 415|416

Mezzi cotti su la gratella, poi spezzati, e con vino e speziarie diverse, stufarli con sapore di pane grattato, cipolle passate e polvere di mostacciolo; che faccia il brodo fisso.

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Questi vogliono essere con salsa forte e spremuti bene dall’acqua quando il biscotto è stato in molle, erbe aromatiche, come mentuccia, maggiorana, bassilico, persa e simili, con zucchero sopra, poi alici, candito, capperi, bottarga, tarantello ed altro, secondo il gusto.

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Potete fare il medesimo come dell’agnello, tanto in zuppa che per antrè, non essendoci ancora da leggere che quello ch’è stato detto addietro e seguenti; e medesimamente, per quello che s’è fatto arrosto vedete sotto la lettera A.

Pagina 82|83

Avendo lardato il capriolo di grossi lardi, passatelo per la padella con lardo fonduto, dipoi mettetelo in una cazzarola, condito di sale, pepe, alloro, noce moscata, un mazzetto e del brodo di manzo, o acqua calda; metteteci ancor un bicchier di vin bianco ed un pezzo di limon verde; legate la salsa con farina fritta, e servitelo con sugo di limone e capperi.

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Si può ancora, essendo lardato di grossi lardi e cotto come abbiamo detto, lasciarlo raffreddare nel suo brodo e servirlo sopra una salvietta con fette di limone, e cresson smorzato nell’aceto, e sale.

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Lardatelo di minuti lardelli e fatelo arrostire, lo potrete mangiare alla salsa dolce naturale, o al dolce e piccante, o alla peverata naturale, o passar la milza del capriolo alla padella con lardo fonduto ed una cipolla. Essendo cotta, pestate il tutto nel mortaro e passatelo per stamigna con sugo di castrato, di limone, e funghi e pepe bianco.

Pagina 83

Si larda ancora minutamente, ed essendo arrostito si fa una salsa con cipolle passate alla padella con lardo, e per la stamigna con aceto, un poco di brodo, sale, pepe bianco, o alla salsa dolce.

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Si allessi il prosciutto e, tagliato in fette, si passi alla padella con un poco di pressemolo sdogliato, ed essendo vicino a servire, si ponga nella padella aceto e pepe e, datagli un’altra passata, si versi la salsa sopra crostoni o fette di pane abbruscate.

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Tagliate una lacchetta di castrato in bracciole e passatele alla padella con lardo, avanti che le mettiate a cuocere con brodo, sale, pepe, garofali, un mazzetto, maroni e funghi; passate della farina per la padella per legar la salsa, guarnite di funghi e pan fritto, e servite con capperi e sugo di limone.

Pagina 178|179

I vostri carciofi essendo cotti, come sopra, levate via il pelo, e fateli una salsa con burro bianco, aceto, sale, e noce moscata.

Pagina 27

Fate cuocere de’ piccioli carciofi nell’acqua, ed un poco di sale. Quando saranno cotti, passate li fondi per la padella con pressemolo, conditi di sale, e pepe bianco, e fate una salsa con rossi d’ovo, un bicchier d’aceto, ed un poco di brodo.

Pagina 26|27

Tagliateli in fette, levategli il pelo, e fateli bollire tre, o quattro giri, metteteli in molle con aceto, pepe, sale, e cipolla, poi infarinateli, e fateli friggere dentro lo strutto, o burro affinato: serviteli con pressemolo fritto.

Pagina 27

Prendete dell’acqua secondo la quantità de’ vostri carciofi in maniera, che possino bagnarsi, e fateli bollire con sale a proporzione. Tiratela poi via dal fuoco, e lasciatela riposare, affinché la feccia del sale vada al fondo. Dipoi bisogna colarla nella pentola, ove volete mettere i vostri carciofi, che devono essere ben nettati in giro, e li bianchirete, con solamente levarli il pelo e la feccia. Si lavino in due, o tre acque, e si mettano dipoi nella salamoia, che averete fatta, versandovi sopra dell’olio, o buon burro, affinché l’aria non ci possa penetrare. Se si vuole, si può mettere un poco d’aceto. Bisogna coprirli sollecitamente con carta, ed un’assa per di sopra, perché questa non respiri la minima aria. Per adoperarli, si dissalano prima nell’acqua fresca, e si possono custodire un anno intiero. Se ne può ancora conservare de’ secchi, e per questo, che i vostri carciofi sono bianchiti, e che avete levati via i peli, come abbiamo detto, metteteli sopra gratelle, o craticci di giunchi, per farli sgocciolare, facendoli dipoi seccare al sole, o al forno moderatamente caldo in maniera che sieno secchi come il legno. Avanti di porli in opra, bisogna farli stare in molle in acqua tepida per due giorni, quali rinveranno per questo mezzo, come se fossero freschi, e si vedrà, che saranno molto migliori, che in altra maniera. Nel farli bianchire ci bisogna dell’acqua, un poco di agresto, e sale, e buon burro per i giorni di magro, e per li giorni grassi, si può metterci del buon grasso di manzo.

Pagina 27|28|29

Mondate bene i vostri Cardi e non ci lasciate niente altro che il buono, tagliateli in pezzi, ed avendoli lavati, fateli bianchire all’acqua con un poco di sale, fette di limone, grasso di manzo e fette di lardo. I giorni magri ci si mette del burro, legato con un poco di farina. Essendo bianchiti, bisogna aver del buon sugo, e d’un bel colore, in una cazzarola, sgocciolare i cardi e metterli dentro questo sugo, con un mazzetto d’erbe fine, di midolla di manzo pestata, un pezzo di parmigiano grattato, e farli cuocere in questa maniera, avendoli conditi. Avanti che si servino, ci si mette un bicchier d’aceto, o agresto, e bisogna aver riguardo che non venghino neri. Bisogna ben sgrassarli e servirli caldamente per antremè, dopo averli dato colore con la pala ben rossa. Si servono ancora i cardi cotti al brodo ed al sugo, con legamento rosso. Gli accomodarete bene sopra il vostro piatto, o tondo, una crosta di pane sotto, per fare l’alzata. Ci metterete sopra formaggio grattato e pane grattato, e li farete prender colore.

Pagina 71|72

Levate via le baise della testa e gl’interiori della carpa e mettetela al blò, come è stato detto per li lucci. Fatela cuocere nel vin bianco, agresto, aceto, cipolle, alloro, garofali, pepe, e servitele sopra una salvietta, con pressemolo verde e fette di limone, per antremè.

Pagina 74

Lasciatela con le sue scaglie e tagliatela in quarto, mettetela a cuocere con vin bianco, o altro, un poco d’agresto e d’aceto, sale, pepe, noce moscata, garofali, cipolle, alloro, burro rosso e una scorza d’arancia. Fate consumare il brodo alla riserva d’un poco, e metteteci capperi nell’imbandirla e fette di limone per guarnirla.

Pagina 74

Prendete un paro di sfoglie con un luccio, che disosserete, e della carne ne farete un pieno, pestandolo bene con un poco di cipolla e speziarie fine, sale, pepe, noce moscata. Legarete il vostro pieno con rossi d’ovo, se il tempo ve lo permette, e ne farete un saggio con una polpetta, che farete cuocere. Prendete una delle più belle carpe che possiate trovare, empitela di questo pieno e mettetela a cuocere con vin bianco in una cazzarola ovata a poco fuoco, condita di fine erbe. Essendo cotta, averete un gran ragù di funghi, spongoli, tartufi, prugnoli, fondi di carciofi e code di gambari, passate prima. Tenete il vostro ragù assai lungo e versatelo sopra la carpa, avendola preparata sopra un piatto ovato, quando bisognerà servirla. La guarnirete di gambari e fette di limone, e la potrete servir per un grand’antrè.

Pagina 72|73

Dopo averla scagliata, la larderete di grossi lardoni d’anguilla e la passerete alla padella con buon burro rosso. La metterete dipoi in un bacile col medesimo burro ed un poco di farina fritta e funghi, condendola di sale, pepe, noce moscata, garofali, una foglia di alloro, un pezzo di limon verde ed un bicchier di vin bianco. Quando sarà cotta metteteci dell’ostriche fresche e capperi, e lasciateli bollire un poco insieme; guarnitele di fette di limone.

Pagina 73

Scagliate le vostre carpe e fatele cuocere sopra la gratella con sale, burro; fateci una salsa con burro rosso, capperi, acciughe, limon verde, o arancia, ed aceto, conditi di sale e noce moscata. Si possono mettere ancora al bianco.

Pagina 74|75

Le potrete mettere al cetriolo ed alli prugnoli, non essendosi che ad osservare sopra questo quel che si è detto per li lucci, o quel che si dirà per le sfoglie, ed il medesimo di altri pesci, che manderemo a que’ luoghi per isfuggire le repetizioni.

Pagina 74

Scagliate le carpe, separatele la pelle dalla carne, lasciandoci la testa e la coda, e riempitele con la medesima carne e carne d’anguilla, condite di fine erbe sale, pepe, garofali, noce moscata, timo, burro e funghi. Riempite le vostre pelli e cucitele, o legatele insieme; le metterete a cuocere al forno, o altrimenti con burro rosso, vin bianco e brodo, stendendo sopra burro, ben maneggiato con farina fritta, pressemolo ben minuto, guarnito di latti di carpa, funghi, capperi e limoni in fette.

Pagina 73|74

Lasciatela con le sue scaglie e fateci un ragù di prugnoli o funghi, latti di pesci e fondi di carciofi; fate friggere de’ pezzi di crosta di pane, che metterete dentro la salsa a cuocere con cipolla e caperi. Essendo vicino a servirlo, e che la vostra carpa non sia punto rotta, gettateci il vostro ragù sopra e guarnitela di pan fritto, con sugo di limone.

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Si cuoccia in vino adacquato con scorza di merangolo, rosmarino e cipolle intiere prima sottestate in forno con zucchero, brodo grasso ed altro: le cipolle separate, e poste sopra, ed il gigotto lardato con lardelli grossi, ed inchiodato di garofali.

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Si cuoccia in vino generoso, poi disossato, e spezzato con cipolla soffritta e salsa dolce e buona.

Pagina 349

L’ova di storione per far caviale, tanto si faran migliori quanto più saranno nere: conviene di nettarle bene e mondarle da quelle pellicine, e, per ogni libra di essa ova, bisogna mettervi un terzo d’oncia sale ed un’oncia e mezza di pepe ammaccato e non in polvere. Si metteranno poi nel vaso dove si vorranno tenere, lasciandole per una notte e più. Dopo trattele, e postele sparse su d’una tavola che abbia le sue sponde, si teneranno nel forno onestamente calde per ispazio d’un credo o poco più; e trattele, si mescolino con un cucchiaro di legno e poi si rimettano di nuovo in forno, lasciandovisi per quel medesimo spazio un’altra volta; e così anderete facendo fino a tanto che saranno cotte, e sarà la prova se, assaggiandone, non scoppieranno più sotto il dente e se saranno scemate presso il terzo. Questo si potrà mangiar di continuo, ma se lo voleste far per conservare non vi anderebbe pepe, che lo farebbe rancido. Di questo da conservare non ve ne parlo, perché sempre se ne trova fatto; ho voluto dirvi di questo da mangiar fresco, perché si può fare alla mano ed è cosa che molto diletta.

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Si pigli lattuga, bietola, pressemolo, cipolla: battetele bene e mettetele in pentola a bollire in acqua con olio, poi pigliate caviale e disfatelo con acqua calda, un ovo ancor esso dibattuto, e quando siete per iscodellare, mettetelo in pentola e fatelo bollire con dimenarlo, acciò non s’attacchi; poi si metta in piatto fette di pane arrostito, e sopra la detta roba e caccio parmigiano.

Pagina 369

Quando i vostri cavoli fiori son ben nettati, fateli cuocere con dell’acqua, sale, burro ed uno stecco di garofalo a gran fuoco. Dipoi sgocciolateli bene e metteteli in un piatto con burro per tenerli caldi, poi fate una salsa legata con burro, aceto, sale, noce moscata, pepe bianco, e fette di limone dopo che l’avrete imbandito.

Pagina 86

Essendo cotti i vostri cavoli fiori come sopra, passateli alla padella con lardo fonduto, pressemolo, cerfoglio, timo, cipolla insieme, e sale, e fateli bollire insieme. Quando vorrete servirli, metteteci del sugo di castrato, un bicchier d’aceto e pepe bianco. L’uno e l’altro non sono propriamente che pezzi d’antremè.

Pagina 86

Si mangiano ancora in insalata, ma siccome questa è assai comune, così si tralascia di descriverne la maniera.

Pagina 86

Prendete una buona testa di cavolo, levate via il piede ed un poco dentro il corpo, e fatelo bianchire; dipoi cavatelo dall’acqua, stendetelo sopra la vostra tavola che le foglie si tenghino insieme, ed essendo ben distese, metteteci un pieno di carne di volatili e di qualche pezzo di coscia di vitello, di lardo bianchito, di grasso di prosciutto cotto, di tartufi, di funghi pestati, di pressemolo e di cipolla, uno spicchio d’aglio. Il tutto condito d’erbe fine e speziarie, con mollica di pane, due ovi intieri e due o tre rossi, il tutto ben pestato. Il vostro cavolo, essendo empito di questo pieno, serratelo e legatelo con sugo propriamente e mettetelo a cuocere in una pentola o cazzarola. Prendete nel medesimo tempo della coscia di vitello, o di manzo in fette, ben battuta; accomodatela in una cazzarola come per farne del sugo: fatelo prender colore, ed essendo colorito, metteteci un pizzico di farina e fate prender colore tutto insieme. Umiditele di poi con buon brodo e conditele di erbe fine, di cipolla, ed essendo a mezza cottura mettete ogni cosa col vostro cavolo, le fette ed il sugo, e fatele cuocere insieme: abbiate riguardo di non ci mattere troppo sale. Quando tutto sarà cotto bisogna imbandirlo in un piatto senza brodo, e metteteci un ragù sopra secondo la comodità, o alla Saingarò o altrimenti, e servitelo caldamente.

Pagina 84|85

Si può ancora riempire un cavolo da magro con carne di pesce ed altre guarniture, come se questo fosse una carpa, un luccio o altro pesce che si volesse riempire.

Pagina 85

La differenza che ci è, che dentro del pane ripieno ci si mette un poco di permigiano grattato e quando il pane è imbandito dentro il suo piatto si spolvera ancora dei medesimo parmigiano e se gli fa prendere un poco di colore dentro al forno e si mette il ragù attorno. Questo si chiama una cazzarola al parmigiano.

Pagina 76|77

Vedetela qui addietro.

Pagina 243

Bisogna prendere un grosso pane dorato e non grattarli punto la crosta per di sopra. Si fora per di sotto e si leva via la mollica. Bisogna dipoi aver un buon piccatiglio di pollastri arrosto o di pollastre cappone, o altra sorta di carne cotta, e passar questa carne ben pestata nella cazzarola con buon sugo, come se si fosse per fare un piccatiglio. Essendo passata, bisogna con un cucchiaro alla mano metterne dentro al pane, che averete fatto seccare all’aria del fuoco dalla parte della mollica, e dopo averci messo un poco di questo piccatiglio, ci metterete qualche piccola crosta di pane in pezzi e finirete di riempire di piccatiglio e di piccole croste. Pigliate dipoi una cazzaruola che non sia punto più grande che il vostro pane, metteteci un foglio di carta dentro o, per meglio fare, delle fette di lardo, e dipoi il pane dalla parte che l’avete ripieno, e lo coprirete col suo fondo del medesimo pane. Fatelo bollire in questa maniera con buon sugo, ma che non sia troppo inzuppato né troppo bollito, in maniera che sia tutto intero e tutto ben coperto. Un poco avanti di ben servirlo, versatelo sopra un piatto con destrezza, levate via le fette di lardo, sgocciolate un poco il grasso e coprite il vostro pane con un buon ragù di latti di vitella, fondi di carciofi, tartufi e piccole punte di sparagi attorno, secondo la stagione.

Pagina 75|76

Si serve quella che si chiama cazzaruola per antrè e per zuppe.

Pagina 75

Potete ancora farli friggere in burro raffinato; poi metterli dentro un piatto con acciughe, capperi, sugo d’arancia, noce moscata ed un poco del medesimo burro ove saranno cotti, avendo sfregato il piatto con una scalogna o spicchio d’aglio.

Pagina 182

Si possono mettere come molti altri pesci.

Pagina 182

Devono essere lardati minutamente e si mangiano alla peverata.

Pagina 284|285

Lardate la rognonata, o spalletta del cervo ben minuto, e l’invilupperete di carta. Essendo cotto, fate una salsa con aceto, farina fritta, pepe, noce moscata, sale, fette di limone e scalogna.

Pagina 78

Lardate un pezzo di cervo con grossi lardi, condito di sale e pepe; passatelo alla padella con lardo fonduto; mettetelo a cuocere in una bastardella di terra con brodo o acqua calda, due bicchieri di vin bianco, conditelo di sale, noce moscata, un mazzetto, tre o quattro foglie di alloro, un pezzo di limon verde, e fatelo cuocere tre o quattro ore, secondo che sarà duro. Essendo cotto, legate la salsa con farina fritta e metteteci capperi e sugo di limone in servirlo. Ci è ancora il pasticcio di cervo, che si troverà tra li pasticci.

Pagina 78|79

Si può accomodare in più maniere. Per esempio: lardatelo di grosso lardo, condito di sale, pepe, noce moscata, garofali in polvere e lo larderete con minuti lardi; fatelo bagnare nel vin bianco, agresto, sale, un mazzetto, un pezzo di limon verde, tre o quattro foglie di alloro e lo farete cuocere allo spiede a poco fuoco, bagnandolo col suo marinato. Essendo cotto, mettetelo dentro il suo degù con farina fritta per legar la salsa; poi capperi, aceto, o sugo di limone, e pepe bianco.

Pagina 78

Si riempiono come li sopraddetti e si fanno cuocere nel buon sugo. Essendo cotti, sgrassateli bene, che non sia troppo intingolo; legateli con qualche buon colì ed avanti di servirli gittateci un bicchier d’aceto, servendoli caldamente; bisogna che il tutto sia d’un bel rosso.

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Si servono ancora nelle due suddette maniere.

Pagina 95

Si bastoni e si lardi dentro e fuori di ventresca, e si cuocia con mezzo vino e mezz’acqua, e quando sia inchiodato di garofoli e cannella, si lasci bollire sino a tanto che s’imbeveri tutta la suddetta materia, si regali d’ova miscide fatte di frittatine, di rossi d’ova tagliati a modo di vermicelli, di monache poste sopra fette di limone intagliato, e levatogli l’agro.

Pagina 339

Si accomoda come il porchetto cinghiale e si mangia alla peverata o alla salsa roberta.

Pagina 284

La vostra coda di castrato essendo cotta, levatene la pelle, bagnatela nella pasta chiara fatta con rossi d’ovo, sale, pepe, farina e brodo, e passatela alla padella in buona frittura. Servitela con pepe bianco, agresto di grana e pressemolo fritto.

Pagina 181

Avendole levata la pelle, bagnate la coda di castrato con lardo fonduto e panatela fino a tre volte per farle prendere una bella crosta al forno. Dopo la potete ghiacciare, sfregandola con una chiara d’ovo.

Pagina 181

La potete lardare di grossi lardi e farla cuocere dentro una pignatta a parte con acqua ed un poco di vin bianco, condita di sale, pepe, alloro, garofali, un mazzetto d’erbe fine, una fetta di limone, affinché ella sia di molto gusto. Passate alla padella de’ capperi, ed acciughe con lardo, ed un poco della salsa ove sarà stata cotta, e mettetela sopra nel servirla, con sugo di limone o un bicchier d’aceto all’aglio.

Pagina 181

Quando la si vuol friggere bisogna farla cuocere nell’acqua calda senza che ella bolla, affinché ella resti ben intiera, e, dopo che s’è lasciata sgocciolare, si farina e si frigge in burro raffinato. Servitela con sugo di arancia e pepe bianco. Potete guarnirla di creste di morù impastate e fritte, se non fosse in un ordinario assai mediocre per farne un piatto.

Pagina 175

Prendete una bella coda di morù, ed avendola scagliata, distaccatene la pelle, facendola discendere a basso. Togliete de’ filetti delli vostri morù, e riempitene li buchi di un buon pieno di pesce, o d’erbe fine, con burro e crosta grattata di pane. Rimettete poi la pelle di sopra per ricoprir la coda dei morù, ed avendola panata propriamente, fatela cuocere al forno e che prenda un bel colore. Fatele un ragù di guarniture, che avrete per arricchirle; servitele caldamente.

Pagina 175

Osservate quel ch’è stato detto per la coda di..., ed avendo ripiena questa qui nella stessa maniera, panatela e fatela cuocere al forno con sale, vin bianco, cipolla, timo, lauro, o alloro, e scorza di limone. Essendo cotta, abbiate un ragù che ci getterete sopra e servitela guarnita di quel che vorrete.

Pagina 291

Prendete delle mandole la quantità che giudicherete a proposito e pestatele in un mortaro. Bisogna aver della mollica di pane bagnato nella pana o nel latte e delli filetti di pesce cotti più bianchi che potrete. Ci metterete de’ prugnoli freschi, tartufi bianchi, bassilicò, cipolle, e prenderete del brodo più chiaro che troverete per far bollire il tutto per uno spazio di un quarto d’ora; dopo la qual cosa li passerete per stamigna. Questo colì vi servirà a tutto quel che avrete di bianco.

Pagina 100|101

Bisogna prendere un’anatra arrosto, pestarla ben in un mortaro: fate rosolar del prosciutto dentro un piatto d’argento e mettetelo dentro una pentola con un pugno di lenti, per far cuocere il tutto insieme; metteteci due o tre stecchi di garofolo, uno spicchio d’aglio, della favoriggine e cipolla, e dopo che sarà cotto, pestate il tutto con la carne dell’anatre e passatelo dentro una cazzarola con lardo fonduto e poi del brodo chiaro, affinché il vostro colì abbia un bel biondo. Lo passerete dentro la stamigna con sugo di limone.

Pagina 99|100

Prendete un cappone arrosto, pestatelo in un mortaro il più che potete; passate della crosta di pane nel lardo fonduto; e essendo ben rosso, ci metterete della cipolla, pressemolo, bassilico e qualche prugnolo ben trito, che mescolerete col resto, e finirete di passarlo sopra il fornello; metteteci dipoi del miglior brodo quanto giudicherete a proposito, passatelo per la stamigna.

Pagina 98|99

Vi serve per le zuppe di piccioni, anatre, alle pernici, ecc.

Pagina 102

Prendete delle croste di pane, delle carote, pastinache, radici di pressemolo, cipolle in fette passate all’olio o al burro ben caldo. Se è in giorno di grasso, metteteci del lardo ben rosso e gittateci i vostri legumi e le vostre croste di pane. Fate ben rosolare il tutto, finché questo si faccia un gratin ben rosso. Metteteci delle lenti e del brodo e conditele di buon gusto. Avendo bollito quattro e cinque bolli con un pezzo di limone, passatelo per la stamigna. Vi serve per le zuppe di lente, alle croste ripiene di lente, alle croste ripiene di luccio alle lenti, ed a molte altre, come di sfoglie, drago di mare e carpe.

Pagina 101|102

Pigliate due pernici arrosto e pestateIe ben dentro un mortaro con le barde di lardo dentro, le quali avrete fatte cuocere. Dipoi prendete un pugno di tartufi verdi ed altrettanto di funghi freschi, che passerete dentro il lardo fonduto con erbe fine, cipolla, bassilico, oregano; poscia mescolerete la vostra carne pestata insieme dentro la medesima cazzarola con due buoni cucchiari di sugo di vitello, per farla bollire a piccol fuoco, e la passerete dopo alla stamigna con sugo di limone.

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Bisogna pigliar il petto d’una pollastra cappona con un pezzo di vitella cotta ben bianca, pestatela in un mortaro; prendete cinquanta mandole dolci, che pesterete insieme, ed una mollica di pane ben bianco bagnato dentro buon brodo dell’ossa delle pollastre che averete pestate. Vi servite del medesimo brodo per bollire la vostra carne e le vostre mandole dentro una cazzarola, un bollore o due. Nel passarlo per la stamigna ci potrete mettere un poco di latte o pana per renderlo più bianco, ed aver riguardo che non si guasti o dia la volta nel farlo scaldare.

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Fate arrostire due o tre piccioni grossi, poi pestateli in un mortaro, passateci tre acciughe, un pizzico di capperi, un poco di tartufi e spongoli, due o tre rocambò, pressemolo, cipolla; il tutto ben pestato, mescolatelo con la carne de’ piccioni e pestatelo dentro una cazzarola con Iardo fonduto. Metteteci del miglior sugo che abbiate, passatelo per stamigna con sugo di limone e tenetelo ancora denso quanto giudicherete a proposito.

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Bisogna prendere metà vitello e metà prosciutto, mettetele dentro una cazzarola insieme senza lardo, come per fare un sugo di vitello, e quando è cotto metteteci delle croste di pan secco, cipolla, pressemolo, bassilico, stecchi di garofali con del miglior brodo; ed essendo di buon gusto, passarlo per stamigna e tenerlo un poco denso.

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Prendete delle carote, radici di pressemolo, pastinaca e cipolle in fette, passate il tutto un poco dentro una cazzarola, poi lo pesterete dentro il mortaro con una dozzina e mezza di mandole ed un pezzo di mollica di purè. Fate bollire il tutto in una cazzarola e conditelo di buon gusto come gli altri. Passate il tutto caldo per la stamigna e servitevene per tutte le zuppe di cipolle bianche, di porri, cardi, di salsifì, marinati ed in pasta, ed alla zuppa di servì.

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Questo colì può servire per più piccole zuppe da grasso, come di profitroglie, di pernici, di quaglie, di lodole, di beccacce o di sarcelle, che si posson guarnir tutte di fricondò e latti di vitella. Per farlo, prendete un pezzo di lombo di manzo, che farete arrostire allo spiede ben rosolato con croste di pane, ossami di pernice ed altri che averete. Essendo il tutto ben pestato e bagnato con buon sugo, passatelo dentro una cazzarola con sugo e buon brodo e conditelo di sale, pepe, stecchi di garofolo, timo, bassilico, un pezzo di limon verde; fatelo bollire quattro o cinque bolli, passatelo per stamigna e servitevene per le vostre zuppe con sugo di limone.

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Li colombacci si mettono altrove in zuppa alli cavoli, alli funghi, ed in altre maniere, come si vedrà.

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Lardateli di grossi lardi e passateli dipoi con lardo fonduto: dopo metteteli a cuocere con sale, pepe, noce moscata, limon verde, garofali e funghi, tartufi, un bicchier di vin bianco e brodo. Fateci un colì bianco e scuro come per la fricassè, per la quale si tagliano in pezzi, e guarniteli di rotolette, che taglierete in due, o di quel che vorrete; e sugo di limone in servirli.

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Si può ancora, dopo che li vostri conigli e coniglietti sono arrostiti, tagliarli per metà e farci una salsa al prosciutto.

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Mettete i vostri conigli e leprotti in quarto, lardateli di grossi lardi, ed avendoli passati alla padella, metteteli dentro una bastardella di terra con brodo, un bicchier di vin bianco, un mazzetto d’erbe odorose, pepe, sale, farina fritta ed arancia.

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Lardate i vostri conigli e metteteli in due spoglie di pasta brise, cioè ordinaria, conditi di sale, pepe, noce moscata, garofali, lardo pestato, alloro ed uno scalogno. Avendoli dorati, fateli cuocere due ore e metteteci sugo d’arancia o di limone in servirlo.

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Se ne può conservare in due maniere: o conci nell’aceto, acqua e sale, come li cetrioli, o ben secchi, dopo averli puliti e bianchiti. Si fanno seccare al sole, e quando sono ben secchi li metterete in un luogo che non sia umido. Per farli rinvenire, li terrete a molle due giorni continui in acqua tiepida e ripigliano quasi l’istesso colore che quando si sono colti. Li farete dipoi alessare e gli accomoderete all’ordinario. Quelli che si conciano, o marinano, quando son ben conditi dentro una pentola con qualche garofalo ed un poco di pepe, bisogna ben coprirli per paura che non si guastino, potendoci metter sopra del burro fonduto. Quando li vorrete porre in opra fateli stare a molle nell’acqua come gli altri, affinché si dissalino bene, e dopo vi possono servir sì per insalata o per antremè, dopo averli allessati e passati alla pana.

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Si prendano per ogni scodella di latte due ova fresche, un’oncia di zucchero ed un pizzico di sale, quanto basterebbe a salare un paro d’ova nel tegame, e questa dosa va replicata a quante scodelle di latte ponerete nel vostro tegame. Si sbatta ben bene ogni cosa a fuoco, o fuori del fuoco dentro una pentola, e posta al fuoco la medesima pentola, ci si lasci, sin tanto che il vostro latte scotti, dipoi gettate la composizione suddetta nel vostro tegame o torriera, ove prima avrete fatta una spoglia co’ suoi lavori attorno, come fareste ad una torta di riso. Poneteci fuoco sotto moderatamente e dipoi un tetto rovente sopra, ma avvertite che non bruci; ed occorrendo, poneteci della carta sopra perché non bruciasse. Avanti, però, che finisca di cuocere, date un piccol taglio con cortello in mezzo della sua tela, tanto che entri un poco un bovinello, dentro il quale verserete un poco di detta composizione, perché il vostro coppo venga ben pieno, e che non sgonfi; e se occorrerà, potrete replicar questo per due o tre volte, e con le dita gentilmente riunite la sua tela che avete tagliata. Avvertite ancora che non cuoccia troppo, perché verrebbe poi tutto sbucciato.

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Essendo il corto brodo assai comune alli pesci, si manda il lettore all’articolo del luccio e delle carpe per sapere quel che bisogna osservare a questo effetto, affine di non ripeter inutilmente una medesima cosa in più luoghi.

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Si batta ben bene la carne con bastone, avvertendo levar la cotica e l’ossa; lavate in aceto rosato, lardate con lardoni di porco domestico, lasciando che da sé stesse s’asciughino; spolverizzatele con sale e spezierie diverse, e poi mettetele in pasta; datele la forma di coscetti naturali.

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Prendete la costa falsa di un manzo ben tenera, fatela arrostire bardata di lardo ed inviluppata nella carta, avvertendo che non venga troppo cotta. Dipoi tagliatela in piccole fette ben sottili, e le metterete in un piatto. Bisogna tagliar delli cetrioli in fette, secondo la quantità della vostra costa falsa, essendo necessario che sia marinata. Poscia spremetela, ed avendo del lardo in una cazzarola per passarcela bene sopra il fornello. Sgocciolate dipoi tutto il lardo, e metteteci un pizzicotto di farina, e passatela ancor un poco; dopo bagnate con buon sugo, secondo la quantità delle vostre coste. Essendo cotte, bisogna metterci un buon legamento, una cucchiarata d’essenza di prosciutto, che farà maravigliosamente, metteteci un bicchiere d’agresto o d’aceto, e non lasciate bollir di vantaggio le vostre coste false, perché s’indurerebbero. Si servono caldamente guarnite di pan fritto, marinati, o rissole. Si può fare ogn’altra sorta di braciole, o coste false alli cetrioli in questa maniera.

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Si fa un’altr’antrè di coste false di manzo lardate, e marinate con aceto, sale, pepe, garofali, timo, e mettetele a cuocer dolcemente allo spiedo, ed essendo cotte, mettetele in un buon sugo con tartufi, e guarnitele di pollastri, o piccioni marinati, o di fricondò.

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Vedetene la maniera come altrove.

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Ricorrete al luogo ove si sono descritte, cioè, come altrove.

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Si può ancora, dopo averle bene affettate, bagnarle dentro al grasso di porco, dorarle con pan grattato e grigliarle, servondole con buon sugo di limone in servirle.

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Le potrete pure far marinare e friggere con bel colore e guarnirle di pressemolo fritto. Ovvero le servirete con un colì e sugo, un pezzo di limone e tartufi, avendole fatte bollire insieme, e sugo di limone in servirle.

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Le costelette di castrato si posson mettere in haricò con rape cotte bene a proposito, un buon legamento nel cuocere e ben condite. Ci si può mettere de’ maroni e servir per ordover.

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Bisogna prender le costolette di vitello o castrato, che sien ben tenere e ben tagliate: lardatele di piccoli lardi come le fricondò e passatele nella stessa maniera, condendole come bisogna. Se queste costolette vi debbon servir di piatto, bisogna metterci ogni sorta di guarniture; ma se ne fate per guarnirne qualche altro antrè, ciò non è necessario, bastando solamente che le lasciate cuocere nel loro luogo; perché l’antrè, che sarà al mezzo del piatto, ci avrà il ragù sopra.

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Prendete un quarto di castrato, o di vitello, e fatelo cuocere in una pentola con buon brodo. Essendo cotti, cavateli e levate via tutta la carne, salvando da parte le ossa delle costolette. Questa carne vi servirà per farne un pieno con lardo bianchito, zinna di vitella cotta, e un poco di pressemolo e cipolla, funghi e tartufi, il tutto tritato insieme e pestato ancora in un mortaro con speziarie e condimenti necessari, una mollica di pane bagnata nel latte, o in sugo, ed un poco di pana di latte. Legate il pieno con rossi d’ovo, in maniera che non sia troppo liquido, fate delle fette di lardo secondo la grandezza delle vostre costolette: mettete questo pieno sopra le fette con gli ossi delle costolette e fate la medesima cosa a ciascuna costoletta, che formerete tondamente col vostro cortello bagnato negli ovi sbattuti, come se questa fosse una costoletta vera. Doratele con pan grattato sopra, ed avendole accomodate in una tortiera, o teglia di rame, si mettono al forno per far prender loro un bel colore. Vi possono servire per guarnire ogni sorta d’antrè e per ordover. Si servono ancora delle costelette di vitello ripieno con niente altro che finocchio e sugo al fondo del piatto, in servirle per ordover.

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Prendete del latte circa una buona foglietta, secondo la grandezza del vostro piatto. Fate bollire questo latte con zucchero ed un poco di cannella in bastoni, affine di darle il gusto, ed un grano di sale. Essendo bollito, prendete un gran piatto d’argento con una stamigna, metteteci quattro o cinque rossi d’ovo freschi, e tutto a un tempo passate il latte con gli ovi, tre o quattro volte. Dopo bisogna mettere il suo piatto dentro il forno di campagna che sia ben dritto, acciò non sversi da alcuna parte; versategli il tutto dentro e metteteci il fuoco sotto e sopra finché questa vostra crema sia ben presa, e servitelo caldamente. Se a tutte queste creme si ci vuol mettere della pana di latte, saranno molto più delicate.

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Bisogna prendere de’ pistacchi bene scottati, pestarli dentro il mortaro con scorza di cedro confetto ed un poco di scorza di limon verde. Il tutto essendo ben pestato, bisogna prendere uno o due pugni di farina con tre o quattro rossi d’ovo, sbatterli insieme in una cazzarola della grandezza del vostro piatto e metteteci del zucchero a proporzione, versandoci dipoi del latte a poco a poco, un poco più che una foglietta. Pigliate di poi i vostri pistacchi pestati, ed avendoli stemperati col resto, passate il tutto per stamigna due o tre volte. Dopo fatela cuocere nella medesima maniera che le altre creme, e quando sarà cotta versatela dentro il suo piatto; servitela fredda per antremè. Se la volete servir calda, dopo che ella sarà fredda ci potrete fare un ghiaccio bianco sopra e metterla dentro il forno a seccare il ghiaccio.

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Bisogna prendere tre mezzi sestieri di latte ed un’oncia e mezzo di zucchero, che farete bollire un mezzo quarto d’ora. Dopo lo leverete di sopra il fuoco; e ci metterete due chiare d’ovo ben sbattute, rimenando sempre il tutto insieme. Rimettete il vostro latte o crema sopra il fuoco, fatela bollire quattro o cinque bollori nello sbatterla sempre. Dipoi la metterete in qual cosa vi piacerà, ed essendo fredda la bagnarete con acqua di fior d’aranci e la spolvererete di zucchero fino. Le potrete dar colore con la palla rossa.

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Bisogna prendere quattro o cinque rossi d’ovo, secondo la vostra grandezza del vostro piatto o tondo. Gli stemprerete bene dentro una cazzarola con un buon pugno di farina ed a poco a poco ci verserete del latte circa una foglietta. Bisogna metterci un poco di cannella in stecchi, e scorza di limon verde trita ed altra confetta. Ci può ancora tritare della scorza di arancia, come quella del limone, ed allora si chiama Crema bruciata all’orange, o arancia. Per farla più delicata ci si può mescolare de’ pestacchi pestati o delle mandole con una goccia d’acqua di fior d’aranci. Bisogna andare sopra il fornello acceso e sempre andarla menando, avendo riguardo che la vostra crema non s’attacchi al fondo. Quando sarà ben cotta, mettete un piatto o un tondo sopra un fornello acceso, ed avendoci versata la crema dentro, fatela cuocere ancora, finché vedete ch’ella s’attacchi all’orlo del piatto. Allora bisogna tirarla indietro ed inzuccherarla per di sopra, oltre il zucchero che ci si mette dentro. Si prende la pala del fuoco ben rossa e nel medesimo tempo si fa prender con essa un bel color d’oro alla crema. Per guarniture, servitevi d’offellette, di piccioli fioretti o merenghe, o altri intagli di paste croccanti. Ghiacciate la vostra crema se voi volete, se no servitela senza questo, sempre per antremè.

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Abbiate un piatto con quattro o cinque rossi d’ovo freschi, secondo il piatto che volete. Stemperate questi rossi d’ovo con un cucchiaro, e nello stemperarli versateci del latte a poco a poco finché il vostro piatto sia quasi pieno. Dopo bisogna metterci del zucchero grattato con della scorza di limone. Abbiate un fornello acceso e portateci sopra il vostro piatto, ed andate sempre dimenando col cucchiaro, tanto che la crema sia un poco formata. Bisogna avvertire dipoi che il fornello non sia tanto ardente, e mentre andate dimenando sempre col cucchiaro, getterete la vostra crema sopra l’orlo del piatto in maniera che non ne resti quasi punto dentro il fondo e ch’ella abbia formato un orlo attorno del piatto. Bisogna ancora aver cura ch’ella non bruci punto, ma solamente ch’ella resti attaccata al piatto. Essendo cotta è necessario farle prendere un buon colore con la pala rossa, e dopo, con la punta del cortello, distaccherete tutto quest’orlo d’attorno al piatto affinché resti intiero; la rimetterete nel medesimo piatto e la lascierete ancora un poco seccare dentro al forno, in maniera che resti poca cosa dentro il piatto e ch’ella sia croccante alla bocca.

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Bisogna prendere circa una pinta di latte, farla bollire sopra il fuoco e stemperarci quattro rossi d’ovo con un poco di farina. Essendo ben stemperata ogni cosa, andate dimenando il tutto insieme sopra il fornelo sino a tanto che la crema sia formata. Ci si mette un poco di sale, un poco di burro e scorza di limone trita. Quando è cotta, infarinate sopra il vostro tavoliere e versate la vostra crema, ch’ella si distenda da sé stessa. Bisogna che quando ella sarà raffreddata, ella faccia l’effetto come se questa fosse una frittata cotta. La taglierete in pezzi secondo la grossezza che vorrete, e la farete friggere con buon grasso di porco caldo, avendo riguardo ch’ella non si squacqueri dentro la padella. Essendo colorita, cavatela; metteteci del zucchero in polvere e dell’acqua di fior d’aranci per di sopra. Imbanditela nel suo piatto, ed avendola ghiacciata, se volete, con la pala rossa servitela caldamente. Potete ancor, quando questa maniera di crema è distesa sopra la tavola, aver del burro caldo dentro la vostra padella e farla friggere come una frittata. Quand’ella avrà preso colore da una parte, la verserete sopra il suo piatto e la farete scorrere dolcemente dentro la padella per farle prendere colore ancora dall’altra parte. L’inzucchererete e ghiaccerete e servirete medesimamente ben calda, il tutto per antremè.

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Si fa come quella di cioccolata.

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Pigliate un boccale di latte e tre oncie di zucchero, che farete bollire insieme un quarto d’ora, e dopo sbattete un rosso d’ovo che metterete dentro la crema, e la farete bollire ancora tre o quattro bollori. Levatela via dipoi di sopra al fuoco, e metteteci della cioccolata, sin a tanto che la crema ne abbia preso il colore. Dopo rimettetela per tre o quattro altri bollori al fuoco, ed avendola passata per stamigna, l’imbandirete ove vi piacerà.

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Si fa nella stessa maniera che la precedente. Quando è per li giorni di digiuno, la sera a colazione, dopo aver pestate le mandole, passatele con l’acqua per la stamigna per far il latte delle mandole, bisognando che sieno molte mandole. Il vostro latte di mandole essendo fatto, formate le vostre creme, sia di pistacchi, di cioccolata o d’altro, non mettendoci altro che un poco di farina, di zucchero ed acqua di fior d’aranci senza rossi d’ovo e senza latte, ma solamente un poco di sale e molto zucchero. Il tutto essendo ben cotto, servitelo.

Pagina 103|104

Prendete tre boccali di latte munto di allora e fatelo bollire, e quando s’alza cavatelo dal fuoco e lasciatelo riposare un momento. Leverete tutta la pana che sarà sopra, che metterete in un tondo. Rimetterete la vostra padella al fuoco e farete sempre il medesimo, finché il vostro tondo sia pieno di pana, che caverete da detto latte. Bisogna metter dell’acqua odorosa e non iscordarsi punto di ben impolverarla di zucchero, avanti di servirla.

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Se ne volete fare per più volte, vi bisogna sbattere dodici ovi, il bianco ed il rosso. Essendo sbattuti, bisogna metterci una buona mezza libbra di farina, più tosto di vantaggio che meno, e sbattere tutto insieme. Ci aggiugnerete poi ancora una dozzina di ovi, che continuerete a sbattere col resto. Abbiate nel medesimo tempo circa due pinte e mezzo di latte, e mettetelo dentro una cazzarola grande a proporzione per farlo bollire. Quando bollirà, vuotate il tutto dentro e andate sempre menandolo. Ci bisogna un poco di sale, circa mezza libra di burro, un poco di pepe bianco e farle ben cuocere, avendo riguardo che non s’attacchi al fondo. La vostra crema essendo densa e cotta, la verserete in un’altra cazzarola, e la lasciarete raffreddare.

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Prendete cinque chiare d’ova, sbattetele bene e mettetele dentro una cazzarola con zucchero, latte ed acqua di fior d’aranci. Mettete un tondo sopra un fornello con un poco di cannella, e versate la vostra crema ben sbattuta che dorerete, essendo fatta con la pala rossa.

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Piglierai 10 bicchieri di latte in una cazza, la porrai sopra il fuoco con una libbra di buttiro fresco ed un poco di sale. Quando comincierà a bollire gli butterai dentro una libbra di farina di formento, sbattendo otto ova in un vasetto, levando la chiara di quattro avvertendo che sieno ben sbattute, e subito butterai giù la farina con due oncie di acqua rosa muschiata, e dietro subito l’ova sbattute, mescolando sempre nel fondo con una cannella, aggiugnendovi otto oncie di zucchero, una libbra di fior di cedro condito; cotta che sarà, la getterai in tegami larghi di fondo ben stagnati, e bagnati d’acqua rosa, e di questa ne potrai far frittelline tagliate fuora con un cannoncino di latte, indorate, e fritte in buttiro; ne potrai ancora intagliar gigli e fiori con la punta del cortello, servendosi anco di questa per li rifreddi.

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Prendete un pezzo di coscia di vitello ed un pezzo di lardo, e fateli bianchire insieme dentro la pentola. Essendo raffreddati, pestateli con della zinna di porco, qualche bianco di cipolla, due o tre rocambò ed altri condimenti. Pestate ancora il tutto dentro un mortaro con un poco di pane, o di latte, o di rossi d’ovo e mettete poi questo pieno dentro delle reti come il bodin blanc. Si fanno cuocere dentro una tortiera a piccolo fuoco ben propriamente e d’un bel colore. Serviteli per ordover d’antrè.

Pagina 110|111

Prendete delle più belle e più grandi creste di gallo e fatele cuocere a mezza cottura. Apritele dipoi per la parte grossa con la punta d’un cortello. Fate un pieno con un petto di pollastro o di cappone, midolla di manzo, lardo pestato, sale, pepe, noce moscata ed un rosso d’ovo. Riempite le vostre creste e fatele cuocere dentro un piatto con un poco di brodo denso e quattro o cinque funghi in fette. Sbattetevi un rosso d’ovo crudo e mettete, nel servirle, sugo di limon ed altro buon sugo.

Pagina 111|112

Oltre la parte che hanno le creste di gallo dentro li migliori ragù e dentro le bische, se ne fa ancora dei servizi particolari per antremè; sopra il tutto di creste ripiene, o con de’ latti di vitello, o con de’ fegatetti, o con de’ funghi e spungoli, o sole. Eccovene la maniera.

Pagina 111

Nettatele, o asciugatele bene, e mettetele dentro una pentola con lardo fonduto e tenetele un poco sopra del fuoco senza cuocere. Mezz’ora dopo metteteci un poco di sal minuto, una cipolla, steccata di garofali, un limone in fette, del pepe ed un bicchier d’aceto. Allora che il lardo comincierà a rappigliarsi, cavatele e copritele d’un pezzo di tela bianca e burro fonduto, come si fa al resto che si vuol conservare.

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Si prende il petto, e cosce di pollami, lardo bianchito, o sia rifatto di zinna di vitello cotta, qualche latte di vitello rifatto, tartufi, funghi triti, midolla di manzo, mollica di pane bagnata in latte, ogni sorta d’erbe odorose fine, un poco di formaggio grasso fresco, e pana di latte. Il tutto ben pestato, e condito, ci si mettono quattro, o cinque rossi d’ovo, ed una, o due chiare, e si serve di questo pieno per le frigonde ripiene, crochetti, e filetti mignoni. Si formano i crochetti in tondo alla grossezza d’un ovo, bisogna nel medesimo tempo rivolgerli nel pan grattato, e lasciarli riposare sopra ad un piatto; si friggono con buon strutto, e si servono ben caldi.

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Se ne fanno da magro al burro, all’olio di oliva ed all’ipocrà Questi non meritano che perdiamo il tempo a descriverli, mentre sono molto ben conosciuti e non ci è niente di più facile.

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Si lardano minutamente, essendo bianchiti sopra il fuoco. Si bagnano di sale, aceto, limone verde, un mazzetto e pepe, e si mangiano ancora alla peverata.

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Se si vuole mangiare arrosto, lardatelo di grossi lardi conditi di sale, pepe, garofali in polvere, e mettetelo in infusione in aceto, alloro e sale. Fatelo arrostire a poco fuoco, bagnandolo con lo stesso marinato, ed essendo cotto, mettete acciughe, capperi, scalogni tagliati e limon verde nella salsa, che legherete con farina fritta. Si può ancora lardare di minuti lardi e metterlo al marinato con cinque o sei spicchi d’aglio. Fatelo arrostire inviluppato nella carta, poi mangiatelo alla peverada.

Pagina 113|114

D’altri in fette al prosciutto ed ancora di più altri, come si vedrà per la tavola. Per li filetti di pesci che si posson servire in insalata la quaresima, vedrete altrove.

Pagina 132

Oncie una di cannella pesta, dramme due di garofani in polvere, dramme due di zucchero di pane, mezza noce moscata. S’unisca bene ogni cosa insieme e sarà fatta.

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Si fa di bieta, e menta romana ben pesta passata per stamigna, otto rossi d’ova fresche, una foglietta di latte ed acqua rosa, mezza libbra di zucchero fino, garofani, e cannella con salvietta sotto; che si asciughi, e questo si può servire anco per antipasto con arme di cannella, pasta e fulignata, con un festone attorno di fulignata attaccata con gomma e d’oro stillante, o con zucchero, e cannella, e tocco d’oro.

Pagina 352|353

Si prendano oncie sei mandole peste benissimo, oncie sei pignoli freschi mondi pur pesti, e oncie sette zucchero, due pani di sei quattrini ricotti, saleggiati e spremuti, e il detto zucchero sia pesto con un poco di scorza di cedrato fresco, e poi vi s’aggiunga un poco di cannella, mescolando il tutto insieme, e unito si tinga da per tutto con sugo di bietola mettendovi in ultimo un poco d’acqua rosa; e con cialda sotto si ponga in teglia di rame ben stagnata, ed avanti di mandarla al forno vi si aggiunga un suolo di fettucce di candito, che sarà perfetto.

Pagina 367|368

Si servon l’esciodè ghiacciate per antremè o per guarnire, quali si fanno in questa maniera. Prendete l’esciodè all’acqua secondo la grandezza del vostro piatto. Tagliatele per la metà come fareste un’arancia, che ci resti la crosta sotto e sopra, e mettetela a bagnar nel latte con del zucchero a proporzione di quello che averete di esciodè. Copritele e mettetele sopra della cenere calda per tenerle caldamente circa quattro o cinque ore, né bisogna punto che bollino, poiché diventerebbono in pappa. Si cavan poi fuori di là, e quando sono ben sgocciolate fatele friggere con grasso di porco nuovo. Essendo colorite, bisogna cavarle propriamente, inzuccherarle con zucchero fino e ghiacciarle sopra. Dopo voltarle e ghiacciarle dall’altra parte, ed essendo ghiacciate da ambedue le parti, servitele caldamente.

Pagina 117|118

Prendete libre una fior di farina, con oncie quattro buttiro fresco, con un poco di sale trito, ed impastate tutto con sei ova fresche, con rosso e chiara, che dovranno esser sufficienti per far una pasta tenera senz’acqua ma maneggiabile. Si maneggi ben bene questa pasta, e se s’andasse attaccando alle mani o al tavoliere nel maneggiarla, si vada distaccando spolverizzandoci altro fior di farina. Dopo essersi ben maneggiata, si batta ben bene colla vostra cannella, e riunita la pasta in forma di pan tondo, si lasci riposare per lo spazio d’un’ora. Dipoi si tagli in fette la vostra pasta e si vada rotolando con ambe le mani tanto che la riduciate alla grossezza d’un dito. Quando avrete ciò fatto unite ambe l’estremità, dopo averla fatta in tondo a similitudine di ciambella, o di bracciatella (come dicono i lombardi) a quella grandezza che vorrete, e ponetele in una caldarina d’acqua che bolla, che avrete a ciò preparata dopo averla intaccata sopra con le forbici. Lasciate bollire le vostre esciodè circa mezzo quarto d’ora; poscia cavatele diligentemente con mescola forata e ponetele subito in una cazzarola d’acqua fresca. Rinfrescate che saranno, cavatele con altrettanta diligenza dall’acqua fresca e ponetele sopra una tovaglia bianca, o altro panno lino, con cui l’asciugherete diligentemente levandole tutto l’umido ch’avranno al di fuori. Abbiate dipoi Iesto il vostro forno, avvertendo che abbia un caldo non violento ma temperato, e ponetecele dentro, che, il calore facendole gonfiare, le troverete assai grosse e leggiere, che in tal forma saranno d’un ottimo gusto. Si possono ancora così, cotte nell’acqua e rinfrescate come s’è detto, ponersi in forno il giorno seguente, che saranno buonissime e verranno bene, ma il meglio è, quando l’avrete asciugate nella forma detta di sopra, mandarle immediatamente in forno.

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Al tempo che li fagioli sono ancor teneri, che appena hanno la metà del seme, si cogliono e si nettano da quel filo che hanno, come se si volessero mangiare; allora li fanno dare quattro bollori, avvertendo di non metterli fino che l’acqua bolle, altrimenti perdono il colore, e fatto questo si levano e si lasciano raffreddare; dipoi si mettono nella catinella, e vi si fa la salimora gagliarda, ed in cima anche vi si mette un pugno di sale, e si cuoprono, che stiino a molle, acciò non mussino; la quadragesima poi, quando uno li vuol cuocere, ne piglia quella quantità che vuol cuocere e si mette a molle per una notte nell’acqua, e poi li fa cuocere a perfezione in un altr’acqua e così restano dissalati; dipoi si frigono alla padella con olio, e nel fine vi si aggiugne uno spicchio d’aglio distemperato con aceto ed un poco di finocchio pesto, se non si può aver fresco; ed è cosa gustosa per povera gente.

Pagina 398|399

Prendete del prosciutto, che taglierete ben sottile, e passatelo al rosso, ed i vostri fegatetti con una cipolletta ed un poco di pressemolo ben trito. Li farete cuocere a poco fuoco, ben conditi con un pezzo di limone, e li servirete al sugo di buon gusto per ordover ed antremè.

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Li spolverizzerete di sale minuto e pepe, ed avendoli inviluppati in una fetta di lardo e messi dentro un foglio di carta, che bagnerete un poco per di sopra per paura che non si brucino, li legherete e gli metterete mediocremente nella brace, si cuocino bel bello. Serviteli col sugo.

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Prendete li fegati, ed avendo levato il fiele propriamente, fateli un poco bianchire; metteteli dipoi dentro dell’acqua fresca e poi metteteli con la medesima acqua dentro un piatto ben conditi. Tritateci un poco di funghi, di tartufi, pressemolo e cipolle, e mettete a cuocere il tutto insieme. In quanto poi alli fegati, avvoltateli con buone fette di lardo come qui sopra e metteteli al forno, che prendano un bel colore; ed in caso che non ne avessero preso a bastanza, dateglielo con la pala rossa. Quando bisognerà servirli, sgocciolate bene il grasso, accomodate li fegati dentro un piatto e metteteci un poco di sugo per di sopra col sugo d’una o due arance.

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Vedetene Ia loro maniera qui avanti sotto il suo articolo.

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Si piglino l’oche e se li cavi il fegato caldo, quale subito si getti in pana di latte per ispazio d’un giorno, che saranno di due e tre libre l’uno che è cosa squisitissima.

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Se ne facciano fegatelli involti in rete con pane grattato, zucchero, cannella, sale e pepe; e poi messo nello spiede, tramezzato con foglie d’alloro, avvertendo non dargli fuoco gagliardo. Cotto che sarà, si metterà nel piatto servito con sugo d’aranci.

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Piglia il fegato intiero, cominciando con un cortello dalla parte dove è più grosso a snodarlo, e quello che fuori se ne caverà si deve passar minutamente con oncie due di lardo battuto, un poco d’erbette odorifere, oncie tre di midolla di manzo, oncie tre di condito grattato, oncie una di pignoli ed oncia una e mezza d’uva passa, aggiugnendovi un poco di zucchero ed un poco di diverse speziarie, sale e due rolli d’ovi freschi; e tutte queste cose componerle insieme, ed empiendone il fegato di vitello, involgerlo in una rete, avvertendo d’untarla bene di buttiro, e polverizzarla con sale, cannella ed un poco di zucchero. Involto che avrai, mettilo in un tegame unto di buttiro e poi mettilo a sottestare, dandoli fuoco lento, avvertendo d’untarlo; e cotto che sarà, lo servirai sopra con sugo di limoni.

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Bisogna tagliar di buone fette di manzo, e ben spianate sopra la tavola col mannarino da macellaro. Si prendon, per esempio, tre o quattro fette, secondo la grandezza del vostro piatto. Fate un pieno di carne di cappone, d’un pezzo di coscia di vitello, di lardo, e del grasso bianchito, di prosciutto cotto, di pressemolo, e di cipolla, qualche latte di vitella, tartufi, e funghi, il tutto pestato, ben condito di fine speziarie e d’erbe fine. Ci si mette ancora tre o quattro rossi d’ovo ed un poco di pana di latte, e dopo che il vostro pieno è ben pestato, lo metterete sopra le fette di manzo, che rotolerete propriamente in maniera che sieno ben ferme e d’una bella grossezza. Le farete cuocere nelle brace e per lungo tempo; e quando saranno cotte, le caverete sgocciolando il grasso, le tagliarete in mezzo, e le imbandirete nel piatto dalla parte ch’esse sono state tagliate, cioè la parte del pieno sopra. Essendo accomodate, ci potrete mettere qualche ragù, o colì, e niente altro, se si vuole. Questo pieno può servire per più sorte di volatili, quando ne’ gran pasti se ne han molti da riempiere. Servirà ancora per la vitella all’escialope, braciole ripiene, ed altre cose. Si fanno simili antrè, o ordover, con fette di vitello accomodate nella stessa maniera.

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Ne vedrete le maniere agli articoli a’ quali si rapportano, come luccio, sfoglie ec.

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Bisogna prendere de’ filetti di galline, cappone arrosto, e li tagliarete in pezzi. Prendete una cazzarola con un poco di lardo, pressemolo; ed avendoli passati con un poco di farina, metteteci de’ fondi di carciofi tagliati in quarto, qualche fungo e fette di tartufi, un mazzetto d’erbe fine, un poco di brodo chiaro e conditeli bene. Essendo cotti metteteci i vostri filetti, ed un poco avanti di servirli un poco di pana di latte, e teneteli caldamente. Per legarli sbattete uno o due rossi d’ovo con della pana, ed avendoli passati propriamente, servirete tutto in un tempo ancora per antrè ed ordover. Si serve ancora de’ filetti di pollastra cappona al bianco, all’ostriche ed alli cetrioli.

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Fate il vostro piccatiglio con aggiughe trite e capperi intieri, il tutto di buon gusto, guarnito di crostoni di pan fritto, e sugo di limone in servirli.

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Bisogna aver de’ buoni filetti di manzo, di vitello o di castrato, tagliarli in gran fette e ben schiacciarli sopra la tavola. Bisogna dipoi aver un pieno composto del medesimo che si vedrà per il pano al vitello, fuorché quello sarà legato di qualche rosso d’ovo. Ci entra del lardo, della coscia di vitello, un poco di grasso di prosciutto cotto, qualche carne di volatile con pressemolo, cipolla, tartufi, funghi, pan bagnato nel brodo o nel latte, ed un poco di pana di latte. Essendo fatto il vostro pieno, stendetelo sopra i vostri filetti secondo la quantità che ne averete e rotolateli ben fermi. Dopo bisogna aver una cazzarola che non sia troppo grande. Accomodate delle fette di lardo al fondo e qualche fetta di vitello ben battuto; metteteci di poi i vostri filetti ripieni, ben conditi con ogni sorta d’erbe fine e qualche fetta di cipolla e limone. Copriteli per di sopra del medesimo che è di sotto e mettetele alle brace, fuoco sotto e sopra, ma che non sia troppo ardente, affinché si cuocino dolcemente. Essendo cotti, bisogna cavarli, lasciarli ben sgocciolare in grasso e servirli caldamente con un buon colì, come si giudica a proposito, e sugo di limone. Ci si fa ancora un piccol ragù di tartufi, se si vuole. Se avete da fare qualche altro antrè di volatile ripieno, potete empirlo del medesimo pieno e metterlo alle brace co’ vostri filetti; e per distinguerlo, quando tutto sarà cotto ci farete de’ ragù o colì differenti, sgocciolerete ben il grasso e servirete ciascuna cosa a parte caldamente.

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Li carciofi essendo cotti, e nettati del lor pelo, fate una pasta con farina, sale, pepe, ed acqua, e impastateli per friggerli in gran frittura. Si servono ancora con pressemolo fritto, ed un bicchiero d’aceto rosato.

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Con buttiro, vino generoso o greco, provature ed ova, si cuoci il formaggio che prima sarà grattato.

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Bisogna aver della coscia di vitello tagliata in fricondò un poco sottili e lardarle: dopo le accomoderete sopra la tavola col lardo sotto, metterete nel mezzo un poco di qualche buon pieno, e con la mano bagnerete l’orlo di dette con ovo sbattuto affinché l’altra braciola, o fricondò, che metterete sopra ci si attacchi bene e che sia come una medesima cosa. Il lardo deve essere da tutte le parti. Accomodate queste fricondò in una cazzarola e mettetele sopra le brace ben coperte, ma non mettere punto di fuoco sopra, e che non sia troppo ardente. Bisogna farli prendere colore da tutte due le parti. Dipoi cavarle e sgocciolare un poco il grasso, affinché ci si possa fare un piccol rosso con un poco di farina. Di poi le bagnerete con buon sugo, che non sia troppo nero, e le rimetterete nella cazzarola per farle ben cuocere. Se si vuol servirsene per guarnire si lasciano in questa maniera, ma se volete che vi servano di piatto bisogna metterci qualche tartufi, funghi e latti di vitello, qualche buon colì di pane; e sgrassate bene il tutto. Avanti che le serviate gettateci un bicchier d’agresto, accomodatele in un piatto col vostro ragù per di sopra e servitele caldamente.

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Li fricondò servono non solamente per guarnir degli antrè molto ricchi ma ancora per farne de’ piatti particolari. Quando servono per guarnire non si lardano solamente, ma si riempiscono, come quando se ne fa un piatto; il che si pratica in questa maniera.

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Di cucuzza disfatta, ova e formaggio, con speziarie infarinate e fritte in olio buono.

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Si prende del latte, fior di farina, e posta a fuoco se ne formi una polenta. Dipoi si cavi, e posta in un mortaro pulito con cinque o sei rossi d’ovo, secondo la quantità, cannella, bottiro, ma poco, pochetto di sale, e mettendoci dell’acqua rosa, si avverta di non salarla, perché incenderebbe troppo. Si pesti ben bene nel mortaro tutte le suddette cose per mezz’ora, o più, secondo, che si vedrà, che sia ben raffinata la pasta, quale dopo si tirerà sopra un piatto alla grossezza d’un dito, o tagliere netto, e coll’anello d’una chiave si getti nella padella, in cui sarà a bollire tanto buttiro che olio insieme; e cotte, e poste nel piatto, ci si mette del zucchero sopra, e se il buttiro fosse cotto, sarebbe meglio.

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Un’altra con prosciutto di tre ova con brodo in cambio d’acqua, e mentre è calda mettervi sopra aceto rosato, con un poco d’erbe battute buone e pepe.

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Si facciano sei frittate di due ova l’una, e, mentre si fanno, vi si mettano fette di marzolino di Firenze e poi si mettino sopra l’una e l’altra, si cuoprino, e si lascino stagionare con poco fuoco sotto e sopra. Se ne possono fare anco tre sole, o quattro nella medesima maniera, ed in cambio di marzolino servirsi di provature fresche con zucchero e cannella sopra in tutti i tramezzi, e fatta con buttiro fresco.

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Bisogna prendere le fave, levarle la pelle e cavarle dalla scorza, e passarle dipoi con un poco di buon burro, un filo di pressemolo e di cipolla. Dopo bisogna metterci un poco di pana di latte, condirle dolcemente e farle cuocere a piccol fuoco. Formate una frittata con ova fresche, ove ci avrete messo ancora della pana, e salatela a discrezione. Essendo fatta, mettetela sopra il suo piatto. Legate le fave con uno o due rossi d’ovo e vuotatele sopra la frittura, che arrivino sino all’orlo, e servitela caldamente.

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Fate un piccatiglio di buon prosciutto cotto, e che dentro il medesimo piccatiglio ci entri un poco di prosciutto crudo. Essendo formata la vostra frittata, ed imbandita nel suo piatto, la coprirete con questo piccatiglio di prosciutto medesimamente come le altre qui sopra. Si fanno ancora simili cose per delle lingue di manzo.

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Si riempia di cavo di latte, rossi d’ovo cotti e crudi, buttiro, candito, capperi, sugo di limone, pistacchi, zucchero e cannella. Si copra con l’altra frittata sopra e mettasi sugo di limone quando si porta in tavola. Si conservi in forno, acciò pigli corpo, e servasi con zucchero sopra; si lavori d’intorno al piatto col detto zucchero e nell’orlo con cannella.

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Pigliate un petto di pollo arrosto, o altro volatile, e tagliatelo in dadi come pure funghi, prosciutto cotto, fegatetti, tartufi ed altre guarniture, il tutto passato in ragù e cotto. Formate la frittata, ed avanti di vuotarla sopra il piatto, metterete tout contre o coprirete con fette di mollica di pane o della crosta; dopo versate dentro la medesima padella il vostro ragù e dipoi voltate la vostra frittata sopra il suo piatto con diligenza. In servirla, bagnatela con un poco di sugo e servitela caldamente. Si posson riempir le frittate con ogni sorta di ragù, non essendo necessario di parlarne qui di vantaggio, come:

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Sbattete i vostri ovi, dopo pestateci della scorza di limone ben minuto: bisogna metterci un poco di pana di latte e sale. Il tutto bene sbattuto insieme, fate la vostra frittata. Avanti di rovesciarla sopra il suo piatto, bisogna inzuccherarla dentro la medesima padella e voltarla, nell’abbandirla, dalla parte che ella sarà colorita. Bisogna aver rovesciato il tondo sopra il quale la metterete. Dipoi spolverizzatela di zucchero e di scorza di limone trita e confetta, ed in un tempo ghiacciarla con pala del fuoco ben rossa. Essendo ghiacciata, servitela caldamente.

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Fatte che avrete le frittate, se ne facciano quattro strisce dell’una, ed in ciascuna striscia rivolta un pizzicotto d’uve passere, e pinocchi, candito tritolato fino, pezzetti di tartufo e del zucchero, e così formarete a ciascheduna polpetta; dipoi mettete burro fresco in piatto e, come frigge, mettetevi dentro le polpette; e come saranno state un poco in quel burro saranno cotte, e allora buttatevi sopra polvere di cannella.

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Quando avete fatto le frittate, fatene taglioli quadri, tanto che ne esca da sedici pezzi dell’una, poi mettete burro e caccio parmigiano grattato in piatto, e sopra mettetevi un suolo di quei pezzetti di frittata; e così farete ad ogni suolo ed all’ultimo vi metterete sopra le speziarie.

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Ripiene di latti battuti, zucchero o cannella, e condito, e frutti.

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Tagliate i vostri funghi in pezzi e fateli cuocere a gran fuoco con burro, condito di sale, noce moscate ed un mazzetto. Quando saranno cotti, e che non ci sarà quasi più salsa, metteteci la pana naturale e serviteli.

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Si passano in un padellino, o cazzarola, con un poco di brodo per ismorzarli, poi si spolverano con sal minuto, un poco di pepe e farina, e si friggono nel grasso di porco. Li servirete alla pressemolata e sugo di limone per antremè, ovvero ne guarnirete altre cose.

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Metteteli in una tortiera con lardo o burro, pressemolo e timo pestati ben minutamente, e cipolla intiera, conditi di sale, pepe e noce moscate, e si fanno cuocere al forno come una torta, ben rotolati e dorati di pan grattato. Serviteli con sugo di limone e fette, guarniti di pressemolo fritto.

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Tagliate i funghi in fette e passateli con lardo, o burro, conditi di sale, noce moscata ed un mazzetto; ci si fa un legamento con un poco di farina, rossi d’ovo ed un sugo di limone.

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Fate un pieno con carne di vitello, midolla di manzo e lardo, conditi di sale, pepe, noce moscata ed una mollica di pane bagnata nella pentola o rossi d’ovo. Riempitene i vostri funghi e fateli cuocere in una bastardella di terra con sale, un mazzetto e brodo. Essendo cotti, gl’imbandirete sopra le vostre croste bollite e guarniteli di fegati di pollastri in ragù, funghi fritti e sugo di limone in servirli. Gli potete guarnire ancora di latti di vitello, fricondò lardate, creste e tartufi, e fare un pane di profitoglie al mezzo riempito di fungi, fondi di carciofi, latti di vitella, il tutto tagliato in dadi e passato in ragù. Fate all’uno ed all’altro un colì bianco o scuro, ma lo scuro va meglio. Il manzo ed il vitello de’ quali volete cavare il vostro colì o sugo li pesterete in un mortaro con croste di pane, e passateli per stamigna con brodo e ve ne servirete per lo vostro ragù. Si fanno altre zuppe di funghi con differenti volatili, come capponi, quaglie ec. Ed in giorno di magro, potrete riempire i vostri funghi con carne di pesce, come per l’altre cose.

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Se ne può fare ancora della polvere quando sono ben secchi, e massimamente de’ prugnoli.

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Fateli seccare al forno come li carciofi dopo averli fatti bianchire nell’acqua. Essendo secchi, metteteli in luogo ove non sia punto d’umido, e per metterli in opra fateli bagnare nell’acqua tiepida.

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Pigliate libre una fior di farina fina, tre ova e libre una zucchero fino in pane: si lavori il tutto insieme, ed unito che sarà se ne faccia la furaglia con distenderla sopra teglie di rame, un poco spolverizzate, badando soprattutto che il forno sia temperato, perché in questo consiste la sua perfezione.

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Questa non è punto una cosa molto nuova né molto difficile, mettendo una spalla di castrato o altra cose in galimafrè: in tanto come quelle può servire a diversificare i servizi dentro gli ordinari ove si ha più carne di beccaria che di volatili. Eccovene la maniera. Levate la pelle della spalla del castrato, che ella si tenga nondimeno al manico, pestate la carne minuta, passatela alla padella con lardo fonduto, erbe fine, cipolle intiere che leverete, sale, pepe, noce moscata, funghi, limon verde e del brodo, per cuocere il tutto insieme; poi l’accomoderete sopra la vostra pelle, che potrete panare e colorire; e sugo di limone ed altro buon sugo in servirlo.

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Pigliate una buona gallina, o cappone, o altra cosa simile, come fagiano o beccacce. Spaccategli per la schiena e levatene tutto quell’osso che potete di dentro. Fate un pieno per riempirli con delle carni delicate, come di piccioncini pollastri, pizzaccheratti, tordi, ed un picciol ragù mescolato e passato insieme ben condito. Ricuciteli propriamente, dopo averli riempiuti, e fateli cuocere dolcemente alla brace in una pignatta ben turata con fette di lardo, fette di manzo, un pezzo di limon verde, un mazzetto d’erbe fine e d’altre speziarie. Essendo cotti, accomodateli nel piatto e gettateci sopra un ragù di funghi, latti di vitello, tartufi, fondi di carciofi, il tutto di buon gusto; li guarnirete di piccioni marinati o altra cosa convenevole.

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Bisogna prendere le galline e farle arrostire. Essendo arrostite, levatele il petto, prendetene la carne, e la pesterete ben propriamente con del lardo cotto, un poco di funghi, di tartufi, cipolla e pressemolo, una mollica di pane bagnata nella pana, che abbia bollito un poco sopra il fuoco. Il tutto essendo ben pestato, metteteci qualche rosso d’ovo. Dipoi bisogna riempir con questa le vostre galline sopra l’osso del petto, accomodarle dentro un piatto, tortiera, panarle sopra propriamente, avendoci passato della chiara d’ovo sbattuta dalla quale avrete presi li rossi, e far loro prender colore dentro il forno. Se voi avete troppo di questo pieno, e che abbiate qualche coscia o ala di pollastro e galline, le potete riempire col medesimo pieno: queste saranno per guarnir il vostro piatto e, se volete, potete fare a queste galline un picciol ragù di fonghi e fegati passati alla pana, che metterete sotto.

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Bisogna fare arrostire le galline, dipoi levatene i filetti e tutta la carne ben propriamente, levate il grasso, ed accomodateli nel fondo del piatto. Bisogna farci questa salsa. Tritate del pressemolo, un poco di cipolla, di capperi, d’aglio, e mettete il tutto in una cazzarola con un poco d’oglio e d’aceto, ben condito. Sbattete tutte queste cose insieme e spremeteci un sugo di limone, non bisognando metter punto questa salsa sopra il fuoco. Dopo ch’è bene sbattuta, vuotatela sopra il piatto dove sono i vostri filetti di pollastri e serviteli freddi.

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Si possono ancora passare a la padella con salsa bianca, come molt’altre cose.

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Potete farli la remolata che si è descritta in altri luoghi dopo averli fatti cuocere con vino, aceto, sale, pepe, garofali, alloro e cipolle; e serviteli intieri con pressemolo verde.

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Servite il piccatiglio guarnito di pieni di marinati e fritti, dopo averne cavata la carne, e fattene un cordone attorno al piatto.

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Fate cuocere i vostri gambari dentro del vino, aceto e sale. Prendete dipoi le code, le zampe ed il di dentro del corpo delli gambari e passateli alla padella con burro rosso, erbe fine minute, un pezzo di limon verde, sale, pepe, noce moscata, un poco di farina fritta, sugo di funghi e di limone in servirli.

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Vedete sotto l’articolo delle torte che ci troverete la maniera di farla.

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Questa si può servire più di magro che di grasso, perché va fatta con olio buono, bieta, un poco di formaggio, ova e presenzola in pezzetti, con sfoglie sotto e sopra di pasta, e, subito cotta, zucchero fioretto sopra; e perché nella primavera la presenzola si trova fresca e buona, così riesce di gusto.

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Lo stesso ancora si fa per fare quella di pesce, dovendo essere il medesimo pesce assai grosso, di modo che abbia la polpa per formarne il gelo, che, vuol dire, vorrebbe essere il medesimo da mezzo peso; e non è buono altro pesce che la tinca, mentre l’altro non vuol gelare.

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Bisogna prendere de’ piedi di vitello secondo la quantità del gelo che si vuol fare. Abbiate ancora un buon gallo, ed avendo ben lavato il tutto mettetelo dentro una pentola ed empitela d’acqua a proporzione. Dipoi fatela cuocere e schiumatela sopra il tutto con diligenza. Quando queste carni sono vicine ad essere disfatte, questo è segno che il vostro gelo è assai cotto. Abbiate riguardo che egli non sia troppo forte. Bisogna aver una bella cazzarola, passare il gelo per stamigna, niente altro che il brodo, sgrassarlo bene con due o tre penne, metterci del zucchero a proporzione, della canella in stecchi, due o tre stecchi di garofali, scorza di due o tre limoni, de’ quali serberete il sugo. Farete cuocere qualche poco il vostro gelo con tutte queste cose, ed in tanto fate della schiuma con quattro o sei chiare d’ovo; spremeteci il sugo de’ vostri limoni e versate il tutto dentro il gelo: lo menerete di quando in quando insieme sopra il fornello. Lasciatelo dipoi posare sino a che il brodo s’alzerà quasi a spargersi fuora della cazzarola. Bisogna allora aver la calza lesta, votarci dentro il gelo e passarlo due o tre volte fin a tanto che lo vedrete chiaro. Quando il gelo è cotto con le carni, ci sono alcuni che ci mettono un poco di vin bianco. Per servirlo bisogna metterlo in un luogo ben freddo, affinché si congeli propriamente dentro i vostri piatti.

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Prenderai pollastri ben pelati e piedi ben puliti, e si faranno bollire in acqua con poco sale, mettendovi alquanti stecchi di cannella; e consumata che sarà per metà, si passi per stamigna e li pollastri si pestino ancor loro e si passino; poi si sgrassi in brodo con le solite penne, e si chiarifichi con chiara d’ovo e sugo di limoni. Chiarificato, si leverà dal fuoco e vi si aggiugnerà zucchero fino, conforme la quantità del sugo, e dipoi un poco d’agro di cedro, passando in ultimo il tutto per una calza, che sarà ottima.

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Per fare un piatto reale di gelatina vi vogliono tre zampetti di vitello, cioè solo dall’ultima giuntura andando a basso, e sarebbe necessario pesassero libbre sei di stadiera; e quando non fossero tanto peso, bisogna pigliarne di più. Li suddetti zampetti debbono stare nell’acqua tepida lo spazio d’un’ora, essendo stati prima ben pelati e netti come vanno. Dipoi si prenderanno li medesimi e si porranno in una pignatta, che tenga dieci libbre d’acqua di stadiera con che vi sia il luogo ancora per detti piedi; poscia si ponga la suddetta pignatta al fuoco, quale, levato il bollo, lasciasi bollire la suddetta lo spazio di otto ore, e questo a fuoco ben lento il più possibile; e passato detto tempo, bisogna levarne fuori della pignatta un poco, e porlo sopra un tondo, o altro, e lasciarlo raffreddare per vedere se si gela, che allora sarà fatta; e quando non gelasse, bisogna lasciarla bollire di vantaggio, mentre non sempre con le previe determinate ore si fa il detto gelo, ma bensì secondo la stagione più rigida e men rigida, massime in tempi caldi, che bisogna servirsi del ghiaccio, ed anche assai difficile. Fatto il detto gelo, già come s’è detto, bisogna prendere una libbra d’amandole, e farle pelare, e poi pestarle, ma sopra il tutto macinare dell’ore, con prendere parimenti una libbra di zucchero in polvere ben fino e mescolare il tutto insieme, con porre le suddette amandole e zucchero in un catino e poi gettarvi dentro il gelo della pignatta, ma che prima sia ben colato; e poi prendere una tela, quale non sia né troppo fissa né troppo chiara ma che sia ben forte, e porvi dentro tutta la suddetta roba; e poi, per forza di spremere ben forte, farla passare per detta tela col mettervi dentro un poco di sale ed odore a gusto di chi la ha da mangiare, e dipoi porla ne’ piatti, vasi, o altro, che vi ghiaccerà e sarà fatta.

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Il medesimo va fatto per fare la gelatina con piedi di capponi, quali si debbono pesare; mettervi a proporzione quanto s’è detto all’altra gelatina, e questa fatta di piedi di capponi sarà la migliore e si chiama la sopraffina.

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Avendo descritta qui addietro la maniera di fare il bianco mangiare, si è visto il gelo che bisogna fare per questo e quello di corno di cervo per li giorni magri. Eccovi del gelo per gli ammalati, e quelli che saranno sani ne troveranno ancora del migliore. Servendolo per antremè come il resto.

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Si può accomodare così pure un gigotto di castrato all’addobbo.

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Lardatelo di grossi lardi e passatelo per la padella, mettetelo a stufare in una bastardella di terra, un cucchiaro di brodo, un bicchiero di vin bianco, condito di sale, pepe, un mazzetto d’erbe fine, garofali e noce moscata. Quando sarà cotto, passate della farina per la padella per legar la salsa; e guarnitelo di pan fritto, latti di vitello e sugo di limone in servirlo.

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Bisogna far il pieno della medesima carne con grasso e lardo, erbe fine, cipolla, pepe, noce moscata, sale, rossi d’ovo crudi e funghi, ed avendolo cucito fatelo cuocere con buon brodo. Ne potrete fare uno antrè o servitelo in zuppa. Facendo un colì di rossi d’ovo cotti e mandole passate per stamigna col medesimo brodo. In servirlo, mettete sugo di limone e buon sugo, e guarnite di funghi pieni ed in ragù, o altra cosa che averete, come costolette, latti di vitello ec.

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La giulien è una zuppa molto considerabile. Eccovene la maniera. Fate arrostire una lacchetta di castrato e sgrassatela bene: levatene la pelle e, quando sarà arrostita, mettetela dentro una pentola grande a proporzione perché ci sia del brodo per la vostra zuppa. Mettete insieme un buon pezzo di fetta di manzo, di coscia di vitello, un buon cappone, due carote, due rape, altrettante pastinacche, radiche di pressemolo, sellari e qualche cipolla steccata. Fate cuocere tutto ciò lungo tempo, affinché il vostro brodo sia ben nutrito. Bisogna aver in un’altra piccola pignatta tre o quattro mazzi di sparagi, un poco di acetosa tagliata con due colpi di cortello e del cerfoglio. Farete ben cuocere con del brodo della vostra pignatta e, le vostre croste avendo bollito, accomoderete gli sparagi e l’acetosa per di sopra e niente all’intorno.

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Pigliate della coscia di vitello, di buon grasso bianchito, e del lardo bianchito, il tutto ben pestato, metteteci qualche tartufo e funghi triti, della cipolla, del pressemolo, una mollica di pane bagnato dentro di buon sugo, quattro ovi, due intieri e due rossi, e formate il polpettone come un pasticcio dentro la cazzarola, con fette di lardo sotto. Bisogna aver de’ piccioni ben passati con ogni sorta d’erbe fine e buone guarniture, e qualche piccola fetta di prosciutto ben sottile, il tutto ben condito. Mettete i vostri piccioni dentro il polpettone e finite di coprirlo col pieno. Affinché non crepi punto, si sbatte un ovo e con la mano se gli accomoda propriamente. Si rovescia sopra le fette di lardo che sono attorno, e si fa cuocere alla brace a piccol fuoco sotto e sopra. Si serve per antrè. Se ne può riempir di quaglie o altre simili cose.

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Prendete del riso e lavatelo in cinque o sei acque, e fatelo seccare all’aria del fuoco, ma bene. Pestatelo dopo questo in un mortaro, e passerete questa farina per il tamburo, affinché sia ben fina. Ne bisogna una buona mezz’oncia, secondo la grandezza del vostro piatto. Prendete una cazzarola, metteteci questa farina e stemperatela bene con latte, aggiungendoci di poi una foglietta di latte, e mettendo ogni cosa sopra il fornello, avendo cura di menarla sempre. Ci si mette ancora qualche petto di gallina cappona arrosto pestata; e formerete la vostra pasta, come se fosse per fare una crema pasticciera. Bisogna infarinare il suo tavoliere, votarci sopra questa pasta, e distenderla con la vostra cannella. Si può ancora metterci un poco di zucchero, scorza di cedro condito, e limon verde raspato nel cuocere. Essendo la vostra pasta raffreddata, e ben distesa sopra il tavoliere, bisogna tagliarla in piccoli pezzetti, come li gonfietti all’acqua. Infarinatevi le mani, e con esse rotolateli propriamente, e fatteli friggere nel buon grasso di porco, come gli altri. Quando sarete vicino a servirli, inzuccherateli, e spargeteci medesimamente acqua di fior d’aranci, e se gli servirete nel piatto, guarniteli di gonfietti all’acqua, o altri.

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Si fanno nella stessa maniera che li gonfietti all’acqua, ma non bisogna metterci tanta farina, affinché la pasta sia un poco più delicata. Se ella non è a bastanza: metteteci qualche rosso d’ovo di vantaggio nella cazzarola. Bisogna dipoi prendere un tondo e versare la pasta sopra il fondo del detto tondo ben distesa, ed avendo dello strutto di porco ben caldo, ed un cucchiaro in mano, formerete i vostri gonfietti con l’estremità di esso, che bagnerete di quando in quando nel grasso di porco affinché non s’attacchino punto al cucchiaro. Dimenate sempre la padella dolcemente, e quando li gonfietti saranno ben coloriti, cavateli dalla padella, ed inzuccherateli così caldi, e spruzzateci acqua di fior d’aranci, dopo di che gl’inzucchererete ancora un poco. Se ne può giacciare, se si vuole, con la pala del fuoco, e servirli caldamente.

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Prendete una cazzarola, e metteteci dell’acqua, ed un poco di sale con scorza di limon verde, e candita tritate ben minuto. Fatela bollire sopra un fornello, ed avendoci messi due buoni pugni di farina, ed un poco di burro; giratela a forza di braccia, sinché questa si distacchi dalla cazzarola. Allora tiratela indietro, e metteteci due rossi d’ovo, mescolandoli ben insieme, continuando a mettervi due ovi, sino a dieci, o dodeci, che la vostra pasta sia delicata. Bisogna di poi infarinare il vostro tavoliere, come pure le mani, e tirate la pasta in pezzi sopra il detto tavoliere. Quando sarà riposata, bisogna rotolarla, e tagliarla in piccoli pezzetti, avvertendo che non s’attacchino uno all’altro, e quando sarete vicino a servirli, friggeteli nel grasso di porco, e quando gli avrete cavati, gittateli del zucchero sopra, e dell’acqua di fior d’aranci, e serviteli prontamente per ordover. Se ne può ancora guarnire delle torte di crema.

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Si fanno i gonfietti di più sorte. gonfietti di pomi, gonfietti al latte, gonfietti di bianco mangiare e gonfietti all’acqua, e si servono gli uni e gli altri in antremè.

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Per fare una granata bisogna aver una quantità di fricondò lardate di piccoli lardi ed una cazzarola tonda, che non sia troppo grande. Metteteci di belle fette di lardo in fondo ed accomodate le vostre fricondò, il lardo di fuora via, che siano puntute al mezzo e che si tocchino l’un l’altra, per paura che questa non si disfaccia nel cuocere. Si fanno tener insieme con della chiara d’ovo sbattuta, dentro la quale si bagna la mano per umettarle alle bande ove debbono essere più sottile che altrove. Si mette dentro al vacuo che questa fa, ed attorno un poco di pieno de’ misotoni o altri godivù, riservando il mezzo per metterci sei piccioni; passate in ragù de’ latti di vitello, tartufi, funghi e piccole fette di prosciutto, il tutto ben condito, ed il ragù se gli getta dentro ancora, come se questo fosse un polpettone; si scuopra il dissopra col resto del pieno, garbaggiandolo con la mano bagnata nell’ovo, e si uniscono le fricondò una contro l’altra; si mette per di sopra ancora qualche fetta di lardo e si fa cuocere alla brace, affinché prenda bel colore. Per servirla bisogna rivoltarla sottosopra, ed avendola ben sgrassata, aprirete la punta delle fricondò come a una granata e la servirete caldamente.

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Bisogna fare un buon godivù della medesima maniera che per li polpettoni qui addietro, ricordarsi di legare il godivù con rossi d’ovo e con mollica di pane bagnato nel buon sugo o dentro un pochetto di pana di latte. Il godivù essendo fatto, prendete una tortiera secondo la grandezza del vostro piatto e metteteci delle fette di lardo ben sottili. Mettete il vostro godivù sopra queste fette, e con la mano bagnata dentro un ovo sbattuto formate un vacuo secondo la grandezza del vostro tondo, o pieno, alzando gli orli all’altezza di tre dita e che siano da poter resistere. Prendete le vostre pollastre crude o altri volatili, tagliateli in mezzo e batteteli bene. Passateli dipoi in una cazzarola con del lardo, pressemolo e cipolla, ed un poco di farina, e dopo metteteci un poco di sugo, condendoli bene. Ci si aggiuntano fette di tartufi, funghi e latti di vitello. Il tutto essendo quasi vicino a esser cotto, in maniera che non ci sia più gran salsa, accomodate questi volatili dentro la vostra granatina e panatela propriamente per di sopra, per farli prender colore al forno. Avendola cavata, bisogna ben sgocciolarla, tagliar le fette attorno e farla scorrere sopra il vostro piatto, o tondo. Ci si può mettere un colì di funghi e servirla caldamente per antrè.

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Li granchi ripieni ed altri pesci si possono servire in simil zuppa.

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Sono migliori ne’ mesi di gennaio e febbraio, nel qual tempo hanno i coralli. Devonsi cuocere in acqua e sale, e, raffreddate, si leva loro l’armatura e si estraggono fuori i coralli, cioè l’ova; poi si rompe quella parte ove stavano congiunte le branche, che ivi si troverà una polpa bianca, quale, posta al corallo e poi ben polito il tutto, si piglia l’armatura, e, messo dentro il corallo con le polpe, vi si metta olio, pepe ammaccato, sugo di limone, pongansi su la graticola, scaldate a fuoco lento, siano servite calde. Si cucinano parimente pigliando erbette odorifere ed un spico d’aglio, soffritte in olio buono, e si pone nell’armatura, ove sia il corallo come sopra, e vi s’aggiugne un poco di speziarie da Venezia stemperate in aceto. Allessate e condite con speziarie: fredde sono esquisite.

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Vedete nell’articolo del salpicon, ove descrive la maniera del ragù del quale si può riempire, ovvero fare un piccatiglio della carne che ne caverete, che sia ben condito, e ricoprite ben propriamente con la pelle che avrete levata, panate con mollica di pane quel che non è lardato, e guarnite di costolette ripiene, o di rissole, e crostini di pan fritto, il tutto di bel colore. Si può ancora lardarlo d’attellette, che sono steccadenti pieni di fegatelli, lardi, e latti ec.

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Carbonate sono piccoli pezzetti di carne, che si taglian molto sottili e si mettono sopra la gratella.

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Bisogna prendere del gruò, metterlo dentro una piccola pignatta, empirla di latte, con un pezzo di cannella in bastone, un poco di scorza di limone verde, coriandoli, un poco di sale ed un stecco di garofalo. Fatela bollire sin a tanto che diventino una crema delicata. Dopo ciò passatela per stamigna, ed avendola votata dentro un vaso metteteci un poco di zucchero. Tenetela dipoi sopra un fornello che non sia troppo ardente, perché non bisogna punto che bolla di più. Bisogna dimenarla di quando in quando leggiermente, e quando il zucchero sarà disfatto, poi fatela sopra la cenere calda e la coprirete in maniera che ci si formerà sopra una tela densa. La servirete caldamente dentro il medesimo vaso.

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Si è veduto qui addietro la maniera di fare il castrato in haricò, come altrove. Se ne può fare ancora di pesci, come altrove, ed altro. Ecco qui ancora per li legumi che si chiamano fagioli, o haricò.

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Piglia oncie sei di mostarda fina, aggiugnendovi un ottavo di bicchiero di malvasia ed un poco di aceto aromatizzato con garofali o cannella; e te ne servirai come sopra.

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Si fa con acciughe, capperi, finocchio, lattughe, bieterave, porcacchia e cerfoglio, il tutto nel suo particolare e ben condito.

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Si può ancora far cuocer la lingua dentro il medesimo brodo. Se avete il tempo, potete lasciare la medesima testa dentro il suo sale e salarla innanzi di farla cuocere. Essendo cotta, lasciatela raffreddare dentro il suo brodo; cavatela dipoi, accomodatela propriamente in un piatto e servitela fredda, intiera o in fette.

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Per metterle alla salsa dolce, dopo averle levata la morchia fatele cuocere con vin rosso, burro rosso, cannella, zucchero, pepe, sale, un pezzo di limon verde e sugo di limone in servirlo.

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Vedetene la maniera all’articolo de pasticci, come altrove.

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Se se ne vuol fare una zuppa, tagliatele in pezzi, dopo averle levata la morchia, e passatele alla padella con burro rosso, farina, erbe fine ben minute, qualche fungo, sale, purè liquida ed un pezzo di limon verde. Essendo cotte, imbanditele sopra le vostre croste mittonè, e sugo di limone in servirle.

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Si possono accomodare in una di queste due maniere: cavatele il sangue e serbatelo; dipoi levatele la morchia dentro dell’acqua calda, e mettetele in fette che farete cuocere dentro una bastardella di terra con burro rosso, vin bianco, sale, pepe, noce moscata, un mazzetto d’erbe fine ed una foglia d’alloro, poi metteteci il sangue che avete serbato, con un poco di farina fritta e capperi, e servitela guarnita di fette di limone.

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Li conigli si possono mettere in pasticcio freddo per antremè, come si dirà qui appresso all’ultimo articolo de’ pasticci. Se ne fa ancora un pasticcio caldo per antrè, o come questi che sono descritti al primo articolo o in questa maniera.

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I conigli e coniglietti si possono mettere ancora in torta, tagliandoli in pezzi che passerete alla padella con lardo fonduto, un poco di farina fritta, erbe fine, cipollette, sale, pepe, noce moscata ed un poco di brodo. Essendo riffreddati, formatene la vostra torta con pasta fina e guarnita di spongoli, tartufi, lardo pestato, e ricopritela con la medesima pasta. Fatela cuocere un’ora e mezza e, quando sarà a mezza cottura, metteteci la salsa ove gli averete passati, e sugo di arance in servirla.

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Piglierai otto bicchieri di late ed uno di pana, ponendolo in una cazzetta ben netta, e vi sbatterai dentro dieci ova fresche, un grano di muschio, otto oncie di zucchero fino, mettendolo al fuoco a fiamma chiara; ed avvertirai non sia fuoco lento, perché non riuscirebbe ma s’attaccherebbe alla cazzetta, e lo mischierai con spatoletta, o cannelletta; e quando vedrai che comincia a crescere, per levare il bollore lo leverai dal fuoco e lo getterai in un piatto in luogo fresco, ed infocando la palla del fuoco la porrai sopra il latte, quale piglierà il color di rosa, servendolo con zucchero sopra.

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Si serve il latte di mandole per antremè. Eccovi come si fa. Si prendono le mandole, si fanno scottare per pelare, e pestatele nel mortaro, come qui sopra. Prenderete dipoi un poco di latte, e lo passarete tutto ben propriamente per stamigna. Quando sarà ben passato, bisogna aver quattro rossi d’ovo colla sua chiara battuta insieme, e ci si versa del latte a poco a poco, dipoi ci si mette un poco di sale, e noce moscata. Per cuocerla, voi avrete una pentola sopra il fornello con acqua, e quando bollirà, metterete un piatto sopra la medesima pentola, con un pezzo di buon burro di cascina, o altro di simil bontà. Verserete entro questo piatto il vostro latte di mandole, e lo menerete sempre, finché se ne formi una crema. Bisogna servirlo caldo, e senza zucchero.

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Prenderete otto bicchieri di latte e uno di pana, ponendolo in una cazzetta vitriata pulita, vi sbatterete dentro dieci ova fresche, un grano di muschio e oncie otto di zucchero fino, mettendolo alla fiamma mezzo lenta, acciò non s’attacchi, e mescolandolo con spadeletta fin a tanto che comincia a crescere per levare il bollore; allora lo leverete dal fuoco e lo getterete in piatto in luogo fresco, e vi porrete sopra la teglia infuocata, che lo farà diventare color di rosa; e servendolo con zucchero sopra, lo mangerete.

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Si prenda del latte, e pana, e ci si ponga dentro otto torli d’ovo, o più secondo la quantità del latte, zucchero onestamente, che lo rende dolce, ed un poco di cannella in polvere; e non si ponga sale. Poi si pigli una canna alla lunghezza d’un palmo e s’infilzi nello spiede, ma che stia salda, ed altra detta canna s’avvolti del lino fino alla grossezza d’un dito; e posto lo spiede a girare a buon fuoco e fiamma continuata sopra una ghiottosa, o bastardella, ove sarà il suddetto latte accomodato, si vada continuamente gettando con mestola, o altra sopraddetta canna, finché il fuoco l’abbia fatto rappigliare sopra la medesima canna, che se ne vedrà l’effetto dopo cinque o sei ore. Dipoi si cavi diligentemente dallo spiede, e spaccato detto latte rappreso con cestello si levi la canna e si netti dal lino, o stoppa, per tornarlo a serrare, ci si ponga un poco di chiara d’ovo, mentre che sarà caldo, potendosi pure fare in fette ad uso di melone, perché è buono ancor freddo.

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Mezzo fiasco di latte, mezzo fiasco di pana, e numero venti rossi d’ova freschi, e libbre due zucchero fino in polvere, e si mette in questo latte l’odore o di cedrato, o arancia di portogallo, o gelsomino, quel che più piacerà: avertir però di trinciare la scorza fina del frutto che si metterà, e li si dà l’odore a sufficienza; e quando sarà messo l’odore, sia cura di chi manipola di stemperare l’ova ben col latte; dipoi si cola per stamigna e si mette in un calderotto di rame o ottone, ma che non sia stagnato, e si mette sopra il fuoco di carbone a cuocere, agitandolo sempre con mestola di legno, toccando il fondo e le parti laterali, di non dar tempo che si attacchi al medesimo vaso, avvertendo però che non deve bollire. Il modo di conoscere quando sia cotto, si osservi ritirando la mescola con la quale si agita: se si attacca sopra della medesima, allora è fatto. Dipoi si mette il suddetto calderotto col latte in altro vaso maggior, con ghiaccio o neve, seguitando, fin tanto che non sia freddo, ad agitarlo affinché non venga a separarsi; freddo che sarà, si vuota in chicchere di porcellana: e facendolo altrimenti, si separerebbe e anderebbe a male. Volendosegli poi dare, cioè al medesimo latte, colore e odore di cioccolata, si prendono oncie 6 cioccolata grattata fina, e, quando il latte è caldo, se ne cavano oncie sei, ovvero otto, e si mette in un piatto con detta cioccolata, e si stempera con detto latte come un unguento; stemperata che sarà, si metta nel calderotto col latte quando il latte sarà cotto, dimenandolo sempre, tanto che si unisca la detta cioccolata col latte, e così piglia colore e sapore di cioccolata: e se il latte non è finito di cuocere quando si mette la cioccolata, si può rimettere sopra il fuoco. Volendo poi far meno quantità della sopraddetta dose, si dipartisce la quantità d’ogni cosa a proporzione e nella stessa maniera si fan tutte le sorte di latti, con tutte le sorte d’odore e sapore conforme il gusto.

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Finalmente se ne fanno differenti ragù, tanto al bianco quanto con funghi e spongoli, e tanto alli tartufi, il tutto servite per antremè.

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L’altre maniere sono: di lardarli minutamente, ed essendo cotti allo spiede servirli con un ragù o salsa sopra, ovvero friggerli, avendoli marinati, tagliati in fette e farinati, per servirli con pressemolo fritto, e sugo di limone.

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Bisogna aver de’ buoni latti di vitello, farli un poco bianchire e lardarli d’un poco di prosciutto cotto. Fate un pieno delicato ed un poco legato, e con la punta del coltello fate un buco a’ vostri latti da una parte, ma che non passi dall’altra: bisogna riempirli propriamente o metterli alla brace a piccol fuoco. Essendo cotti, fate un buon ragù composto di funghi, tartufi, articiocchi e prugnoli. Il tutto essendo ben passato, bisogna metterci delle creste ripiene col medesimo pieno ed un poco di colì di pollastro, affinché la salsa non sia punto nera. Sgrassate bene i vostri latti di vitello, avendoli cavati, e metteteli dipoi dentro il ragù, ove li lascierete cuocere ancora un poco. Accomodate dipoi il tutto entro il suo piatto, spremeteci un sugo di limone e serviteli caldamente.

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Oltre il farne de’ migliori ragù, come s’è potuto vedere a bastanza, se ne fanno ancora diversi piatti, o ordover, per antrè ed antremè, de’ quali eccovene uno de’ più considerabili.

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Per empir delle lattughe alla Dama Simona bisogna prender delle lattughe capucce, farle bianchire solamente che abbino sentito il calor dell’acqua, cavarle e farle sgocciolare. Pigliate della carne di pollastri e capponi cotti che avrete, pestatela con qualche pezzo di prosciutto cotto, qualche fungo ed erbe fine. Il tutto condito e ben pestato, mettetele dentro una cazzarola con due pugni di mollica di pane e quattro o cinque ovi, secondo la quantità del vostro pieno. Bisogna riempir le vostre lattughe dentro il cuore, e dopo che saran piene legatele bene e fatele cuocere con buon brodo. Essendo cotte, bisogna fare un buon bianco di più rossi d’ovo ma che non sia giravoltato punto. Cavate le vostre lattughe, sgocciolatele bene e slegatele e mettetele dentro questo brodetto, che si mantengano calde. Si servono per ordover fra gli antrè. Si guarnisce ancora delle zuppe di volatili ripieni con simili lattughe, e se ne riempiscono per li giorni magri d’un buon pieno di pesce, o d’erbe, e d’ovi.

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Si cuocino in brodo lardiere.

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Piglinsi le lenti e si mettino a bollire in acqua, dipoi si piglino tre o quattro finocchioni, un pezzo di sellaro, cinque o sei foglie di nepitella, del pressemolo, sermollino, e un poco di bietola, della cipolla. Si batta il tutto insieme, dipoi facciasi d’avere venticinque o trenta pezzetti di funghi prataioli, o d’altra sorta, ed altrettante fette di tartufi, e se i funghi e tartufi fossero secchi si mettano il giorno avanti in molle nella malvagia, o altra roba bianca gagliarda, dipoi s’affettino in pezzetti piccioli, si pigliano poi quattro fette di sorra, o pur tarantello, e dodici ostriche o fresche o salate. Se sono salate, si mettano a molle la sera in acqua calda, mutandogliene tre o quattro volte, tanto che si dissalino; dissalate che sono, la sorra si batta ben fina e d’un ostrica se ne facciano quattro parti. Si pigli un’acciuga e si tagli in pezzetti piccioli, dipoi si mescoli tutta questa massa di roba insieme, tanto l’erbe battute quanto i salumi, funghi e tartufi, e si metta in un tegame con delle speziarie a soffriggere con buon olio; e soffritte che saranno, si metta ogni cosa nel pentolo dove saranno le lenti con alcuni maroni cotti, e, come avrà bollito, s’arrostiscano le fette del pane e vi si buttino sopra le lenti, lasciando stufare bene il pane acciò rasciughi quasi tutto l’umido dalle lenti.

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Pigliasi la lepre, e si disossi, e si metta in pentola in pezzetti con un poco di lardo, e si tiri addietro con poco fuoco, e vi si metta la sottoscritta salsa, cioè si piglino due o tre cantucci piccioli, si mettano a molle in malvagia, o altra roba bianca, e si lascino bene inzuppare; intanto si faccia d’aver pestato nel mortaro oncie tre di nocciole monde secche, o pure pignoli, un poco di cedrato candito in pezzetti, e dell’uve passere, e mezza fetta di pasta reale; si pesti il tutto benissimo, dopo vi si mettano i cantucci, e si pestino, e si uniscan con l’altra roba, e vi si metta un poco d’aceto bianco, e dimenando bene il tutto fino che non diventa come un tenero savore; dopo si metta nel pentolo a cuocere a fuoco lento, rivoltandolo spesso acciò non s’attacchi al pentolo.

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Si tagliano in quarti, si fende la testa, ed avendoli passati alla padella, come i suddetti con lardo fonduto, o fateli cuocere in una bastardella di terra, con sale, pepe, noce moscata, limon verde, brodo e vin bianco. A quelli che si mettono alla salsa scura ci si aggiugne un poco di farina fritta, ed agli altri si fa la salsa bianca con rossi d’ovo, come le altre simili.

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Osservatene la maniera all’articolo de’ pasticci.

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Lardatene una spalla ed una coscia, e l’altra no, ed avendoli fatti arrostire, serviteli con una salsa dolce o peverata, guarniti di marinati.

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Fateli in quarti e lardateli di grossi lardi. Fateli cuocere con del brodo condito di sale, pepe, garofali ed un poco di vino. Essendo cotti, passate il fegato ed il sangue per la padella con un poco di farina e mischiate il tutto insieme con un bicchier d’aceto, olive disossate, capperi, fette di limone per guarnirli.

Pagina 159

Bisogna tagliar il leprotto in quattro quarti, lardarli di grossi lardi e passarli alla padella con lardo fonduto; metteteli a cuocere con brodo, tal qual si può vedere altrove, con datteri, vuapassa, scorza di limone, cannella, sale ed un poco di vin bianco. Imbandite il tutto sopra le vostre croste bollite e servitela, con sugo di limone, guarnita di fette o di grani di melagranata.

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Lardate i vostri leprotti propriamente e fateli arrostire; bisogna dipoi aver delle fette di prosciutto ben battute e passarle con un poco di lardo e di farina, un mazzetto d’erbe fine e del buon sugo che non sia punto salato, e far cuocere il tutto insieme; metteteci ancora un bicchier d’aceto e legate questa salsa con un poco di colì di pane. Tagliate li vostri leprotti in quarto ed imbanditeli dentro un piatto o tondo; gettate la salsa sopra con le fette di prosciutto e servitele caldamente, avendole bene sgrassate.

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Si può proccurare d’imitare con la passera le maniere che si vedranno per le sfoglie, poiché per quel che è di metterle al burro bianco, o di farne un ragù passandole al burro rosso dopo averle tagliata la testa, questa è cosa assai comune per non essere ignorata da alcuno.

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Si friggono e, levata la spina, si riempiono di tartufi, prugnoli, pignoli, passarina, olive senz’osso, erbe odorifere, candito e speziarie; stufarle con un poco d’olio, e poi farvi sopra una lattata di mandole e lasciarle finir di cuocere con pistacchi verdi sopra.

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Si mangiano ancora alla carbonata con agresto, brodo, funghi, sale, pepe, farina fritta, noce moscata, limon verde; e colle medesime fate bollire il tutto insieme dopo aver fatto grigliare le vostre lingue di castrato con sale e pan grattato, ovvero fateci una ramolata.

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Si possono ancora mangiare alla salsa dolce, dentro la quale, dopo averle farinate e fritte con bel colore, le metterete a bollire pian piano con tartufi e prugnoli.

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Si salano nella stessa maniera che le lingue di porco fodrate, quali troveranno qui appresso, eccetto che non bisogna punto scottarle. Si lasciano solamente ben bagnate nell’acqua, si taglia l’estremità grossa, e dopo averle ben asciugate si salano. Bisogna lasciarle tre o quattro giorni di più dentro la salamoia. Avendole cavate, se aveste qualche piccol salato da fare, questa salamoia vi servirà, o sia di cinghiale, cervetto o porco, e dentro cinque o sei giorni potrete far cuocere di questo piccolo salato e lo servirete per ordover in antrè con una buona purè sopra. Rispetto alle vostre lingue di manzo, bisogna attaccarle per la piccola estremità ed accomodarle bene sotto al cammino, affinché il fumo le domini sin che sien secche. Si conserveranno quanto si vorrà, e si faranno cuocere nella stessa maniera che le lingue fodrate.

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Bisogna avere delle lingue di manzo, levarli la gola e metterle sopra le brace, per potere levare la pelle più propriamente che si potrà. Lardatela a grossi lardoni, con prosciutto crudo, il tutto ben condito. Prendete di poi una pentola, una quantità di fette di lardo al fondo e delle fette di manzo battute, e mettete le vostre lingue nella medesima pentola con fette di cipolla ed ogni sorta d’erbe fine, o spezierie; le condirete ancora di pepe e di sale. Copritele dipoi di manzo e fette di lardo, come ne avrete messo sotto in maniera ch’elle siano ben inviluppate da ogni lato, e metterete alle brace fuoco sotto e sopra. Bisogna che ci cuocino da otto o dieci ore perché sieno ben cotte. Dipoi averete un buon colì di funghi, e altro buon ragù, con tutte le sorte di guarniture di funghi, tartufi, e latti di vitella. Avendo cavate le vostre lingue, le sgocciolerete e sgrasserete bene, e le imbandirete in un piatto col vostro ragù sopra. Si può spremere un sugo di limone nel colì, e se si vuol guarnire il piatto, bisogna tagliare una delle lingue in fette, ovvero guarnirlo con della fricondò, il tutto servito caldamente. Potrete far il simile per le lingue di vitello, ed ancora, se si vuole, si posson riempiere senza lardarle. Ci si fa il medesimo ragù, e si serve sempre caldamente.

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Fatele cuocere dell’istessa maniera che qui sopra, com’anche per levarli le pelle, ed avendole lardate di grossi lardoni al traverso della lingua, mettetele alle brace per farle cuocere; e nell’imbandirle nel piatto, fendetele tutte per il lungo, affinché il lardo apparisca propiamente, e fateci un ragù di tartufi per di sopra o un colì, il tutto ben sgrassato, e servitelo caldamente.

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Pigliate delle lingue e fatele cuocere nella buon’acqua con un poco di sale ed un mazzetto d’erbe fine. Essendo cotte, tagliate l’estremità della gola, levatele la pelle, e lardatele con lardo un poco lungo. Bisogna che le lingue non sieno troppo cotte. Fatele di poi arrostire, ed essendo finite di cuocere, nel servirle fateci un buon ragù, secondo la stagione, o un buon colì o una buona salsa ramolata. Si fa il medesimo per le lingue di vitello, com’anche d’altra sorta.

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Prendete delle lingue di porco in quella quantità che vi piacerà. Fatele scottare solamente per poterle cavar la prima pelle, e per questo non bisogna che l’acqua sia troppo calda. Dopo asciugatele dentro una tovaglia e levate via un poco dell’estremità grossa. Per salarle, abbiate del ginebro verde e fatelo seccare al forno con due foglie d’alloro, un poco di coriandolo, del timo, bassilico ed ogni sorta d’erbe fine fuorché del rosmarino, della salvia, del pressemolo e della cipolla. Tutto questo essendo ben secco, bisogna pestarlo in un mortaro e passarlo per setaccio, non importando che sia tanto fisso. Bisogna dipoi aver del sale pestato e del salnitro, mescolateli al resto e salate le vostre lingue dentro un bariletto o pentola, accomodandole tutte ad una misura che le salarete separatamente, e condite di tutte queste speziarie a sciascun ordine di lingue. Bisogna calcarle una contro l’altra, ed avendole tutte salate, mettete sopra la pentola una arasia – ch’è certa pietra scura da coprir case, che si servono la Francia – con una grossa pietra sopra e lasciatele sei o sette giorni. Cavatele dipoi, fatele un poco sgocciolare prendendo della veste o camicia di porco, tagliatele secondo la lunghezza delle vostre lingue e fate entrar ciascuna lingua dentro la sua veste, e legate le due estremità. L’attaccherete per la piccola punta ad una pertica sotto un cammino e con una distanza che non si tocchino punto l’una con l’altra, bisognando che il fumo le domini. Ci si lasciano quindici o venti giorni, sin che elle sieno secche; se saranno ben fatte, si manterranno tutto un anno. Per il meglio bisogna mangiarle dopo sei mesi. Si fanno cuocere per questo nell’acqua con un poco di vino rosso, qualche fetta di cipolla e di stecchi di garofali. Essendo cotte, si servono in fette o intiere, come si vuole, freddamente o per antremè. Vedete qui avanti alle lingue di manzo, che si salano nella stessa maniera. Si può fare ancora delle lingue di castrato fodrate.

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Se ne ponno fare degl’altri antrè come quelli di lingue di manzo che abbiamo descritte altrove, ovvero arrostirle dopo averle lardate; essendo mezze cotte, servirle alla salsa dolce.

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Bisogna prendere le lingue e farci un buco in dentro dalla parte della gola con un cortello ben sottile, e che elle non siano tagliate in alcun luogo. Dipoi passate il dito tutto pel lungo come se fosse un budello. Vi si mette dentro un piccol ragù di latti di vitello, funghi, tartufi, pressemolo e cipolle, il tutto ben passato con un poco di lardo, e di farina che non sia troppo rossa e ben condita. Le vostre lingue, essendo piene con questo ragù, legatele ben forte pel buco e mettetele dentro l’acqua calda per poterle levar la prima pelle, e dopo questo si mettono alla brace. Essendo cotte, si fanno ben sgocciolare dal grasso e s’imbandiscono in un piatto con un buon ragù sopra. Guarnitele di fricondò, solamente lardate e senza pieno.

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Prendi cenere di sola rovere, e che non sia di fasci di vite o d’altro, si valla, e poi con straccio si netta intieramente. Si prende v. g. libre cento acqua comune e libre vinticinque cenere suddetta ben raffinata, cotta e fatta ben deponere sin che sia ben chiara; si mette in calderotto a bollire, e quando bolle ci si mettono a scottare le pesche per pelarle. Dopo che avranno un poco bollito, si provi a pelarle con le dita, o unghie, il che seguirà in pochi bollori. Pelate che siano, si pongono in acqua chiara bollente a finir di cuocere, e cotte secondo l’arte, se le dà un taglio al luogo col temperino nel taglio, o canale, che naturalmente hanno e se le leva l’osso, avvertendo che siano duracini; si pongano in acqua fresca per levar del tutto l’odore della liscia, e poscia, poste sopra setacci, s’asciughino e se le dia lo zucchero sempre freddo, procurando anche che non siano troppo fatte, perché non verranno bene e sarà difficile levarle l’acido, e non verranno bene perché verranno in niente. La liscia le da un bel verde.

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Per servirle in insalata si può vedere quel che è stato detto, come altrove, toccante l’insalata di pesci ed aggiugnere dentro la salsa di quel ch’è dentro il corpo delle locuste.

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Disossandole dopo che sono cotte; e tutto questo non è niente difficile, non avendoci che ad osservare sopra questo quello che si troverà spiegato altrove, in diversi luoghi, circa altri pesci.

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La maniera di fare un piccatiglio di locuste non dee tenerci a bada, essendo comune con gli altri piccatigli di questa natura.

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Potete mettere le lodole in ragù per antrè. Se ne può fare ancora un pasticcio caldo ed una torta. Per la torta, ed il pasticcio non si ha che vedere se non quello che sarà detto per altri volatili simili, tra gli altri per li piccioncini; fuori che non si riempiono le lodole, come si fa de’ volatili più grossi. Si leva solamente il ventricolo, che si mette nel fondo del pasticcio, e si guernisce di funghi, fegatetti, tartufi, lardo pestato, ed altro condimento. In servirlo ci si mette di buon sugo di vitello, o di castrato, ed un sugo di limone, e per la torta qualche caparo.

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Lardatela di grossi lardi, conditi di sale, pepe e noce moscata, ed essendo quasi cotta allo spiede, mettetela dentro una cazzarola coperta con brodo, un bicchier di vin bianco, un mazzetto, funghi ed il degù della longia, farina fritta ed un pezzo di limon verde. Servite a corta salsa, avendo un poco sgrassato e guarnito di latti di vitello lardati, costolette o altre cose.

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Aprite i vostri lucci per il ventre, tagliateli, mettendoli a marinare con aceto, sale, pepe, cipolle, alloro, e farinateli, quando li vorrete friggere. Per la salsa fate liquefare dell’acciughe con burro rosso, ed avendole passate per stamigna, aggiugneteci del sugo d’arance, capperi e pepe bianco. Guarniteli di pressemolo fritto e fette di limon nel servirli.

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Scagliate i lucci e lardateli d’anguilla: fateli cuocere con burro rosso, vinbianco, agresto, sale, pepe, noce moscata, garofalo, un mazzetto alloro e limon verde. Quando saranno cotti, fate ragù di funghi, ostriche, capperi e farina fritta, con della medesima salsa ove saranno cotti i vostri lucci. Guarniteli di fette di limone, latti di carpa e funghi.

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Avendoli sventrati e scagliati, li taglierete in fette e ne farete de’ filetti che metterete a marinare: dipoi li friggerete, avendoli bagnati in una pasta chiara o senza, e li servirete guarniti di pressemolo e limone in fette.

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Bisogna scagliare i lucci e disossarli per la schiena, che la testa e la coda stiano attaccate alla pelle: fate il pien con la medesima carne, e carne d’anguilla, condita di sale, pepe, noce moscata, garofali, cipolla, burro, funghi ed erbe fine; poi riempite le vostre pelli. Li farete cuocere in un bacino con burro rosso, farina fritta, vin bianco, agresto, un poco di brodo, un pezzo di limon verde, e nel fine ci aggiugnerete un ragù di ostriche, latti di carpa e funghi. Guarniteli di pan fritto, fette di limone e capperi.

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Essendo tagliato il vostro luccio in quarto, mettetelo in un bacino e gettateci sopra dell’aceto e del sale bollentissimo. Fate bollir dipoi del vino bianco, agresto, sale, pepe, garofali, moscada, alloro, cipolle e limon verde, o arancia, e quando bollirà a gran fuoco metteteci il vostro luccio e servitelo a secco, per antremè.

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Tagliate il vostro luccio in fette e mettetele in una cazzarola con vin bianco e pressemolo, cipolla, funghi, tartufi pestati con sale, pepe e buon burro. Avrete dell’ostriche, quali farete un poco bianchire all’acqua con qualche bicchier d’agresto. Essendo bianchite, gittatele dentro il resto con la loro acqua; quando sarete vicino a servirle, imbanditele e guarnitele di quello che avrete. Gli altri pesci, che si mettono all’ostriche, s’accomodano nella stessa maniera.

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Potrete ancora metterlo alla salsa bianca, che è un legamento di luccio con un poco di mollica di pane pestata, che passarete alla stamigna dopo ch’avrà bollito due o tre bolli in una cazzaruola con un poco di brodo o colì di pesce. Fate bollire i vostri filetti di luccio in questa salsa, che sia di buon gusto e ben condita, e se volete metteteci de’ funghi, tartufi, prugnoli e sugo di limone in servirli. Se ne mettono ancora alli cetrioli, accomodandoli, come molti altri, e sugo di limone, come si vedrà più avanti.

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Bisogna scagliarlo e tagliarlo leggermente, lardarlo di mezzi lardoni d’anguille, conditi di sale, pepe, noce moscata, cipolle ed erbe fine; mettetelo allo spiede a tutta sua lunghezza e bagnandolo, nel tempo che si cuoce, di burro, vin bianco, aceto e limon verde. Essendo cotto, fate stemperar dell’acciughe nella salsa, e passatele per stamigna con un poco di farina cotta, ed aggiugneteci dell’ostriche ammortite nella salsa con capperi e pepe bianco: lo potrete guarnire di funghi fritti, latti di carpa e limon in fette.

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Si fa bianchire nell’acqua tiepida, dopo averlo scagliato e vuoto per la parte di sopra del ventre, e si larda di minuti lardi; poi si mette allo spiede per farlo cuocere e bagnarlo come qui sopra, ed una medesima salsa. Lo guarnirete di latti di vitello lardati, funghi ripieni e fette di limone. Si può ancora accomodare come si vedrà all’articolo primo della truta, ove si può andare per istruirsene, come vedrete altrove.

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Tagliate il vostro luccio in pezzi piccoli come la metà d’un dito e fateli bianchire. Essendo sgocciolati, passateli al rosso, e le vostre rape fate che prendano un mezzo rosso ancor loro. Farete cuocere ogni cosa dolcemente insieme, e ci metterete un legamento di buon gusto e sugo di limone in servirlo.

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Piglisi il brodo di due capponi grassi e vi si mettano a cuocere i maccheroni; dopo cotti si batta finissima la polpa dei detti, e se ne metta sopra ad ogni suolo con del burro, che sia fresco, e del caccio parmigiano, e così si faccia ad ogni suolo, e si avverta che sieno ben burrati, ed all’ultimo suolo si mettano sopra quattro torli d’ovo ben sbattuti e si mettano a scaldare con un poco di burro; e quando hanno preso il caldo, vi si mettano sopra del caccio parmigiano e delle speziarie, e dopo si mettano a scaldare con poco fuoco sotto, acciò non bollino.

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Se ne fa ancora un antrè al cetriolo, come molti altri.

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La bagnerete nel cuocersi con burro e con sale; dipoi fateci una salsa col fegato, che si pesta ben minuto e che si mette dentro il dagù con sale, pepe, noce moscata, funghi e sugo d’arancia.

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Fatela cuocere come la suddetta, e fate un ragù di rape che passerete un poco al rosso. Le bagnerete dipoi con la salsa della vostra macrose, la quale, essendo cotta, la taglierete in pezzi e ci metterete dentro le vostre rape. Imbanditela e servitela, quando sarà tempo, guarnita di quel che avrete.

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Bisogna prendere le macrose, che siano ben pelate e ben pulite, e batterle un poco sopra il petto, farle bianchire alla brace e legarle attorno. Prendete il fegato con tartufi triti, funghi, burro e pressemolo, un poco di cipolla e di capponi, con ancora un’acciuga, il tutto ben trito, ben nutrito e ben condito. Bisogna riempirne il corpo della macrose e salvar un poco di questo pieno medesimo per metterne di sotto. Formate il vostro pasticcio di due spoglie e, postaci frammezzo la vostra macrosa, fatela cuocere al forno. Se volete servirlo caldamente bisogna farci un buon ragù composto di latti di carpa, code di gambari, funghi e tartufi, o pure un ragù all’ostriche, il tutto servito propriamente. E se lo volete servir freddo, dopo che è cotto non ci occorre altro che lasciarlo raffreddare, e servitelo quando vorrete.

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Avendo pelata e nettata propriamente la vostra macrose, vuotatela e lavatela, fatela bianchir sopra la brace, e dipoi mettetela a bollire in una pentola e conditela di sale, pepe, alloro ed un mazzetto d’erbe fine. Farete un poco di cioccolata, qual getterete dentro. Preparate nel medesimo tempo un ragù con li fegati, funghi, spongoli, prugnoli, tartufi, tre once di maroni; e la vostra macrose essendo cotta e posta dentro il suo piatto, versateci il vostro ragù per di sopra e servitela guarnita di quel, che voi volete.

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Per far la zuppa di macrose bisogna farla bollire dentro buon brodo di pesce. Essendo cotta, fate bollire la vostra zuppa con questo brodo. Conviene dipoi aver un buon piccatiglio di pesce per metter sopra la vostra macrose quando l’averete accomodata sopra la zuppa e che sarà bollita sufficientemente. Guarnitela con filetti di sfoglia o di pesce merla o di gambari o altri pesci: un buon ragù per di sopra ed un buon colì alli gambari, o funghi; il tutto servito caldamente. Si fanno ancora zuppe di macrose alle lenti.

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Lardate la vostra macrose di grossi lardoni di anguilla e passatela alla padella con burro rosso. Dipoi mettetela dentro una pignatta, o bastardella di terra, con un poco del medesimo burro e di farina ed acqua, condite di sale, garofali, pepe, noce moscata, funghi, un mazzetto e limon verde. Fatele cuocere a picciol fuoco circa quattro o cinque ore, come al corto brodo, e, volendo servirle, aggiugneteci dell’ostriche, capperi e sugo di limone.

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Questa è un’anatra di mare, che ha il sangue freddo perché nasce in mare, e si mangia in Francia in giorni di magro. La potete mettere all’addobbo totalmente come un’anatra, o un anatrotto, ed essendo cotta, servitela sopra una salvietta bianca, guarnita di pressemolo e fette di limone.

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Si prendano mandole dolci, si mondino con acqua calda, poi si mettano per un poco nell’acqua fresca e dopo si gettino nel zucchero fino stacciato, o divise o non divise, e vi si rivoltino bene; frattanto s’abbia a fuoco una padella con olio vergine e, quando bolle forte, vi si mettano dentro le dette mandole, quali saranno fatte subito che incominciano a mutar colore: allora si cavino e se ne facciano monticini a foggia di piccoli pinocchietti, e si pongano in piatti di terra in positura che l’olio possi scolare; quando saranno fredde, allora sono buone.

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Lo taglierete assai sottile con uno scoIogno, o rocambò, e pressemolo pestato minuto, e buon sugo. Si può ancora far cuocere un pezzo di petto di manzo nella pentola, e quando sarà a mezza cottura lo larderete a grossi lardi, condito di sale, pepe, garofali pesti e noce moscata, e finite di farli cuocere in una bastardella di terra, con fette di lardo al fondo, sale, pepe, un mazzetto, un poco di vin bianco, limon verde, alloro e brodo. Quando sarà cotto, metteteci un ragù di funghi, ostriche, caperi ed olive disossate, il tutto ben legato, e nel servirlo, sugo di limone, guarnito di fette.

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Il manzo alla moda vuol’esser ben battuto, lardato di grossi lardi e, se si vuole, si passa alla padella avanti che si metta a cuocere con sale, pepe, alloro, limon verde, mezza dozzina di funghi, un bicchier di vin bianco e due bicchieri d’acqua. Si può ancora farlo cuocere nel suo sugo solamente a poco fuoco, ben serrato, ed essendo cotto, passato dalla farina alla padella con lardo fonduto, che metterete dentro, e sugo di limone.

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Prendete una culatta di manzo grande, o piccola come voi volete, lardatela di prosciutto, e lardo ben condito, di pepe, sale, coriandoli, cannella, garofali, e noce moscata trita, pressemolo, cipolle, rocambò, il tutto ben mischiato insieme, farete che i lardoni se ne impolverino ed impastino quanto potrete, e la larderete sotto e sopra. La condirete ancora di tutti i vostri ingredienti, e la metterete in una cazzarola per farla un poco marinare con cipolle, pressemelo, rocambò, bassilico, timo, agresto, pezzi di limone ed un poco di brodo. Bisogna lasciarcela due ore, e farla cuocere sin dalla sera per la mattina seguente. Mettetela in una salvietta, affinché non c’entri punto di grasso. Sceglierete una pentola proporzionata, mettendo un tondo d’argento al fondo, perché la salvietta non bruci, o la carne, e per condimento ci metterete della zinna di porco fresca, o grasso di manzo ben fresco circa tre libbre, secondo che il vostro pezzo di manzo sarà grosso. Ci aggiunterete agresto, vin bianco, zenzero, cannella, pepe lungo, fette di limone, noce moscata, cipolla, pressemolo, alloro, sale, quel che bisogna, bassilico intiero, coriandi intieri, finocchio e anisi. Tutte queste cose essendo nella vostra pentola, la coprirete, e lascierete ben consumare il vostro prezzo di manzo nella cottura dolcemente. Quando sarà cotto, lasciatelo raffreddare nel suo grasso. Fate un gran godivù, quale metterete nel piatto ove volete servire il vostro pezzo di manzo, lo coprirete nel medesimo godivù, e lo metterete al forno per un’ora di tempo. Per servirlo, bisogna aver un colì di manzo ben fatto e di buon gusto, fate un buco di sopra al godivù, mettetevi dentro il vostro colì, che penetri ben da per tutto, ed un sugo di limone, per di sopra. Questo medesimo manzo si può servire in fette ben sottili, essendo freddo in qualità di manzo alla reale.

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Prendete una fetta di manzo, battetela bene, lardatela di grossi lardi e fatela cuocere con acqua ed un bicchiere di vin bianco, condita di sale, pepe, garofali, alloro ed un mazzetto; bisogna che sia di gusto, che pizzichi; lasciate ben consumare il brodo, ed essendo raffreddato con la fetta nella medesima pentola, la servirete con fette di limone ed un bicchier d’aceto.

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La fetta di manzo si mette ancora in pasticcio, e però andatevene ad osservare quello, che si dirà per il taglio di vitello in pasticcio sotto il trattato de’ pasticci, e praticate le stesse cose, fuor che il pasticcio di manzo deve cuocere più tempo... Non bisognando principalmente scordarsi di riportarlo in cucina, e di serrarlo nella cassa del pasticcio, essendo cotto.

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Siccome il manzo è una cosa assai comune, altrettanto però è necessario ne’ pasti: bisogna dunque trovare diverse maniere d’accomodarlo che possino dargli della delicatezza e fare onore sopra le migliori tavole. Osservate qui la braciola grossa alla Godurd, che intanto vi descrivo qui la maniera per altri pezzi.

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Aceto, aglio, pepe, rosmarino e salvia.

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Fendetele in mezzo, battetele e fatele bagnare dentro del marinato, come li pezzi qui sopra. Bisogna ancora friggerle nella medesima maniera, e servirle con aceto all’aglio e pepe bianco.

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Ci sono de’ pesci che si mettono in marinato, come si dirà, e fra gli altri le testuggini.

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Bisogna farli marinare al sugo di limone ed agresto, come qui sopra con gli altri condimenti, avendoli tagliati o spaccati per la schiena, affinché il marinato penetri, o tagliati in quarti; li lascierete due o tre ore dentro il marinato, dipoi gl’impasterete o farinarete tutti bagnati, e fateli friggere dolcemente in bella frittura. Serviteli con pressemolo fritto per di sopra ed attorno, ed aceto sofato e pepe bianco.

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Spezzate in quarti i vostri pollastri e fateli marinare con sugo di limone ed agresto, o aceto, sale, pepe, garofali, cipolle e alloro. Lasciateli dentro questo marinato lo spazio di tre ore, dipoi fate una pasta chiara con farina, vin bianco e rossi d’ovo, bagnateci i vostri pollastri e fateli friggere nel lardo fonduto o nello strutto; e serviteli in piramide con pressemolo fritto e fette di limone, se questo è per fare un piatto particolare.

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Essendo cotte, mettetele a bagnare dentro dell’aceto con sale, pepe e cipolle; poi farinatele e fatele friggere in burro purgato, e servitele con pressemolo fritto, pepe bianco e sugo d’arancia.

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Il marinato di vitello si fa medesimamente per guarnire, tagliando delle fette in maniera di fricondò e così dell’altre cose che si vorranno marinare.

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Fatta con latte di pignoli, rossi d’ova sbattuti con sugo di limone, polvere di biscottini di Savoia, mezz’oncia di pistacchi; facendone latte, si unti bene il piatto di buttiro, si metta dentro la suddetta materia con un piccatiglio di polpa di cappone ben piccato. Si metta fuoco sotto e sopra, e si cuoccia a fuoco lento avvertendo che pigli bene il colore; e quando avrà preso bene il colore si levi dal fuoco, si serva con zucchero sopra, siccome l’orlo del piatto.

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Si piglia petto di cappone tagliato fino, e pesto nel mortaro, stemprato con latte di pistacchi, rossi d’ovo crudi, pasta di biscottini di Savoia in polvere, meschiate il tutto insieme con sugo di limone, passato per setaccio o per stamigna, si mette in un piatto d’argento, con buttiro a fuoco lento sotto, e sopra si metta cannella pesta in detta materia; quando non si voglia pistacchi si fa con latte di pignoli, servito con zucchero sopra, avvertendo che pigli corpo e che abbia il suo rosolo buono.

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Purgati bene in acqua, si cuocino in brodo grasso con uva spina ed agresto, persa, cedronella e simili erbe odorifere, con ova stracciate e pane abbruscato sotto.

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Li menudroè di cervo ed altri s’accomodano nella medesima maniera.

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Li merluzzi freschi si possono accomodare in cazzarola come se ne trova la maniera per molti altri pesci.

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Nell’articolo de’ mirotoni in magro vedrete la maniera di riempirli.

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Potete ancor servirli fritti con sugo di arancia e pepe bianco, e per questo fendeteli pel dosso e spolverateli di sale e pepe, metteteli a bagnare in aceto, e poi infarinateli o impastateli avanti che le frigghiate. Si riempiscono ancora come segue.

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Si fa un altro mezzo antrè d’una mezza longia di vitello cotta dentro un buon corto brodo ben condito e ben nutrito, inviluppandola dentro una salvietta per paura ch’ella non si rompa, guarnita di pan fritto, pressemolo e limon frastagliato.

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Si prende sangue di capretto, o d’agnello, e lasciato rappigliare, si getti via il siero ch’avrà fatto; dipoi dentro al pignatto, ove l’avrete, metterete quant’acqua calda, o brodo, che basti per fare un migliaccio, due ore secondo la quantità del vostro e la grandezza della padella, e con una mano anderete disfacendo il vostro sangue, tanto che sia tornato liquido come prima ed incorporato coll’acqua, o brodo, con cui l’avrete stemprato. Ciò fatto, ci si ponga del pan grattato, formaggio parmigiano grattato, speziarie fine, noce moscata, sale quanto basti, pignoli e uva passa, e tutto si dimeni ed incorpori insieme con due o tre ova crude ben sbattute; ma si avverta che il pieno non l’indurisca troppo, come pure non sia tanto liquido, dovendo essere appunto come una frittata ripiena. Si prenda dipoi buon strutto, o buttiro, e, fatto scaldar bene nella padella, più che non si farebbe ad una frittata, ci si versi dentro la detta composizione alla grossezza di un buon mezzo dito, coprendo tutto il fondo della medesima padella; e fatto rappigliare in essa, come si farebbe ad una grossa frittata, si volti dall’altra parte e lasciatelo stare ancora sopra al fuoco; sarà fatto il vostro migliaccio, avvertendo però che rimanga un poco morbido nel mezzo: perché, se si cuocerà troppo, verrà arido e non avrà buon gusto nel mangiarlo; e posto nel piatto si gratti sopra formaggio parmigiano.

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Piglierai ova sei ben sbattute in una pignattina, oncie due di zucchero fino in polvere, una scodella e mezza di pana di latte, e, riempiuta che avrai la detta pignattina, la metterai in una cazzola con tanta acqua che arrivi all’orlo della pignattina; avvertendo che l’acqua sia fredda, acciò riesca meglio; coprendo la pignattina con carta, e sopra coperchio ben pulito; mettendovi mezza pietra in cima, acciò non vacilli; dandole fuoco lento, che bolla adagio e non vada sopra la pignattina, perché Ia minestra non riuscirebbe a perfezione. Quando sarà alla cottura, leverai la pignattina dalla cazzola e con un cucchiaro le leverai la superficie, e poi, a cucchiaro, la metterai nel piatto, avvertendo che se non sarà congelata insieme, è segno che non sarà cotta.

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Di pignoli, pistacchi, mollica di pane, zucchero, e cannella cotti a Bagno Maria con buttiro fresco.

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Si pigli del brodo e vi si metta a cuocere quella sorta di salvaggiume, che vorrete fare la minestra, e vi si mettano ancora oncie due di midollo, due rocchi di salsiccia, un pezzetto di prosciutto, otto o dieci pezzi di funghi tagliati in pezzetti, e due tartufi affettati, e si lasci cuocere il selvaggiume; dopo si cavi il brodo, e vi si mettano nel brodo oncie due di burro fresco, e del caccio parmigiano grattato, e delle speziarie, ed il cavolo, ma vuol essere a grumoletti, e si lasci cuocere; e com è cotto, si metta nel piatto, e s’affetti la salsiccia ed il prosciutto in pezzetti e si metta per adornamento del piatto, e sopra il cavolo vi si metta del caccio parmigiano grattato in buona quantità.

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Piglisi brodo di lepre e vi si metta dentro mezzo rocchio di cervellato battuto, e cinque o sei pezzetti di funghi, e di tartufi pure battuti, e del burro, e caccio parmigiano grattato, e delle speziarie, e si lasci bollire sodo; e quando bolle vi si mettano dentro tre o quattro oncie di quella polpa di lepre battuta fina, e con un mestolino s’unisca ogni cosa: dopo vi si mettano le lasagne, per quanto un vuole che serva la minestra, e, dopo messe in piatto, si serva sopra con caccio parmigiano.

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Piglierete la zucca rifatta nel brodo, la passerete per setaccio, e piglierete sei oncie di mandole peste nel mortaro, quali stempererete con un bicchier di latte; passate per stamigna e così metterete a fuoco, il tutto ben mescolato in brodo di cappone; e quando la cottura sarà vicina, v’aggiugnerete quattro rossi d’ovo ed il sugo di quattro arance, che sarà gustosissima.

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Si fan dei piatti, o ordover, di menudroè per antremè di differenti cose. Fra l’altra di palato di manzo, qual si taglia in fette sottili, ed avendole passate alla padella con lardo fonduto, pressemolo, cerfoglio minuto, timo, cipolle intiere, pepe, sale, brodo e vin bianco, si fanno bollire dentro una pentola, o piatto, e si lega la salsa con pan grattato, sugo, di castrato e di limone in servirlo.

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Molti fanno un buon godivù ben legato, come quello per lo polpettone. Ne fan di poi un orlo attorno al loro piatto, come se questo fosse un orlo da zuppa al latte, composto di chiare d’ovo. Dorano questo con ovi sbattuti, ed avendolo panato bene propriamente, gli fanno prender colore al forno. Essendo cotto, si sgocciola ben propriamente il grasso. Bisogna avere una bastardella di terra composta d’un quarto di castrato tagliato in pezzi, d’uno scannello di castrato, piccol lardo, qualche piccione e quaglie, secondo la comodità. Tutte queste cose essendo ben cotte dentro una bastardella di terra con ogni sorte d’erbe fine, come se questo fosse una brace, bisogna aver de’ piccoli piselli passati, o punte di sparagi, secondo la stagione. Cavate le carni dalla bastardella, fatele sgocciolare e mettetele dipoi co’ vostri piselli per di sopra dentro il vostro piatto. Ci si può aggiugnere ancora qualche cuore di lattughe bianchite cotte dentro la medesima salsa e servirlo caldamente. Nel fondo della bastardella, quando non ci è che l’orlo, si metta al mezzo ogni sorta di buon ragù. Si può ancora metterci un piccatiglio di castrato, e sugo di castrato e di limone in servirlo.

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Bisogna prendere quattro o sei merlucci secondo la grandezza del piatto, raschiateli e lavateli bene. Bisogna fenderli per lungo d’avanti ed aver riguardo di non guastarli sopra la schiena; levate la lischia e tagliate la testa, e stendeteli sopra la tavola. Pigliate dipoi della carne di buon pesce: fatene un buon pieno, come abbiamo detto qui avanti. Il pieno essendo fatto, accomodatelo sopra ciascun pesce e rotolateli, come è stato detto per i filetti mignoni. Bisogna prendere una cazzarola, o una bastardella di terra senza manico, che sia tonda: fate una frittata con un poco di farina, ed essendo intiera, ella tenga tutta la cazzarola. Accomodatevi sopra i vostri pesci ripieni, avendo messo un poco di burro sotto la detta frittata. Il pesce essendo accomodato con qualche tartufo e funghi ben conditi, bisogna far un’altra frittata per metter sopra e collocarla in maniera che ella tenga tutta la rotondità della cazzarola. Mettete la cazzarola ben coperta sopra un poco di fuoco affinché ella cuocia dolcemente, ma che nondimeno abbia fuoco sopra e sotto. Bisogna aver riguardo che questa non s’attacchi punto al fondo. Essendo cotto, sgocciolate il burro e versate il mirotòn dentro un tondo o piatto sotto sopra. Tagliate al mezzo un piccolo pezzo in tondo come se questo fosse un polpettone: versateci dentro un piccol colì di funghi e ricopritelo col medesimo pezzo. Sgrassate bene il tutto, nettate l’orlo del vostro piatto e servitelo caldamente. Potete ancora fare un pieno, come per un polpettone qui appresso, e farne un cordone attorno al piatto, che metterete a cuocere al forno e lo riempirete d’un buon ragù di funghi, spongoli, tartufi, brugnoli, acciughe, il tutto ben pestato insieme, ed ogni sorta di filetti di pesce e capperi; un letto di ragù ed un altro di filetti, sino a che siano pieni, ed avendolo fatto bollire sopra un piccol fuoco, servite con salsa del ragù e sugo di limone.

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Si serve un mirotòn per antrè e se ne fa in diverse maniere. Per esempio. Si può prendere un bel rocchio di coscia di vitello e farne più fette ben sottili, che si batterà col couperet o spacchino da macellaro sopra la tavola. Bisogna aver dell’altra coscia di vitello, che pesterete con lardo bianchito, grasso di manzo, qualche fungo, qualche tartufo, erbe fine ed un poco di midolla, il tutto ben condito. Metteteci due o tre rossi d’ovo, e, quando avrete fatto il pieno, prendete una cazzarola tonda che non sia troppo grande, mettete delle fette di lardo ben accomodate al fondo e dopo fette di vitello che avrete battute, ed in fine il pieno, che coprirete per di sopra col resto delle vostre fette; il tutto ben formato, roversciate dipoi le vostre fette di lardo, ed avendole ben coperte, mettetele a cuocere a poco fuoco sopra e sotto come una brase. Essendo cotto, sgrassatelo ben propriamente, imbanditelo dentro un piatto sottosopra; ci si mette, se si vuole, un poco di colì e si serve caldamente.

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Quando avrete le vostre mandole verdi, mettete un caldarotto o cazzuola a fuoco con acqua, e cenere dentro quale farete scaldare. Nel bollire schiumerete li carboni, che verranno di sopra, e allorché essa avrà bollito lungo tempo, e che voi troverete nel sentirla, che quest’acqua sarà divenuta dolce, e sdrucciolante quasi come una buona lisciva, gittateci le vostre mandole, e fateci dare tre, o quattro bollori, e quanto prima le leverete via per gittarle in altra buon’acqua fresca. Lavatele in questa maniera dentro quattro, o cinque acque, dopo di che bisogna avere il caldarotto sopra il fuoco con acqua, che sia come bollente, e che frattanto non bolla punto. Si gitteran le mandole dentro quest’acqua, affinché esse non vengano punto a galla, e fondate nello stesso caldarotto un piatto della medesima larghezza, ma che entri dentro, e con questo meno gl’impedirete, che vengano nere. Bisogna sempre mantenerli un buon fuoco, ed in caso che l’acqua volesse bollire, metteteci altra acqua fredda a poco a poco per impedirglielo, essendo necessario ancora che le vostre mandole si cuocino a forza di calore. Per sapere se sono assai bianchite, o rifatte, prendete una spilla, e forate una mandola a traverso: se ella resiste alla spilla, è segno che non è ben bianchita, e se essa cede, è contrassegno, che è rifatta abbastanza. Allora le caverete dall’acqua, e le rimetterete subito in buon’acqua fresca, dipoi dentro un buon siroppo di zucchero chiarificato. Per servirle liquide, bisogna che il vostro zucchero sia a mezzo gelo, e per tirarlo al secco, dopo che le mandole sono cotte nella maniera, ch’è stato detto, cavatele, e lasciatele ben sgocciolare: fate cuocere il vostro zucchero alla gran plum, e che non sia punto grasso, ma abbia un bel ghiaccio, affinché le mandole che ci gitterete appariscano ben verdi. Lo stesso si fa ancora all’albicocche verdi.

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Per fare le vostre morsellate prendete la polpa di cappone, o pollastri, vitella allesso o arrosto, si tagli minutamente che diventi come farina, si metta un tegame con buon brodo a bollire. Chi ama il dolce, ci metta un poco di candito tagliato a dadi e poi abbia avanti allestiti rossi d’ova sbattuti con sugo di limone, e quando sarà tempo di portare in tavola vi si mettano le suddette cose, rimaneggiandole col cucchiaro tanto che si stringano, e subito che avrà fatto un poco di corpo, si porti in tavola con un poco di cannella sopra, chi l’ama, altrimenti restando guasterebbesi.

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Per ogni peso di carne, la quale esser debba della più grassa del porco e, se ve n’è, di gola, fa buonissimo effetto, e che il tutto sia benissimo pesto, si mettono l’infrascritte cose, cioè pepe ammaccato oncie due, cannella ben pesta mezza oncia, macis senza fuoco, cioè non vallettato, un quarto d’oncia, garofalo pesto mezzo quarto, un bicchier di vin grande, sale ben spolverizzato libbre una, polmone benissimo pesto e netto libbre una, fegato benissimo pesto oncie dieci. Si bagnano le mani di sangue quando s’impastano le suddette cose: si pongono poi nelle vesciche di porco, ma non s’empiono, anzi se li lasciano due dita di vuoto.

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Lasciando a parte le maniere comuni di mangiare il baccalà, sia fresco o salato, che sono assai conosciute da ciascun, non ci fermeremo qui se non per quel che si vedrà qui sotto.

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Scagliate il vostro baccalà e fatelo cuocere con acqua ed aceto, limon verde, alloro, sale e pepe. Fate una salsa con burro rosso, farina fritta, ostriche, capperi, sugo di limone e pepe bianco in servirlo.

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Piglierai libbre tre di mandole ambrosine pelate, ben asciugate, pestate ben bene, spruzzandole con acqua di fior di cedro; aggiugnerai quattro oncie di cannella pesta e libbre due di farina, avvertendo d’aggiugnerla a poco a poco: piglia libbre una e mezza di zucchero chiarificato, e, tirato a cottura, lo porrai nei mortaro suddetto; ed il tutto posto in cazza sopra fuoco di carbone, con spatoletta mescolando acciò non s’attacchi, macinate due grani di muschio con un poco di zucchero, lo porrai in detto vaso, spolverizzando la pasta, quale levata dal fuoco, quando sarà raffreddata, ne formerai mostaccioli nelle solite stampette.

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Pigliate dell’uva nera una buona quantità, cioè mezza soma, e fegatella tutta; dipoi mettetela a cuocere in un caldare stagnato senza umidità alcuna, maneggiandola di continuo con una pala, o menatore fatto a posta, acciò non s’abbruci, e così quei vaghi d’uva si disfanno tutti: allora con una mescola passatela in un setaccio di pelo doppio, detto da cassia, il che fatto, pigliate quella polpa passata, e di nuovo mettetela a cuocere, maneggiandola di continuo, sino che ha corpo; e mentre si cuoce, mettetevi dentro scorze di merangoli condite col miele e tagliate in bocconi piccioli, cinque o sei libre, il che fatto, levatela dal fuoco e fredda riponetela, mettendovi prima una mezza libra o meno di cannella ben pesta; di poi pigliate una libra di senape pesta e mettetela a molle nell’acqua bollente, tanto che la impasti, e, passate ventiquattro ore, incorporatela con la polpa, ed è cosa nobile. In quanto alla senape, se ne mette più o meno secondo che uno la vuol forte o debole.

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Oltre quello che si vedrà per le moviette arrosto, come altrove, dentro l’articolo arrosto, si può fare un antrè di moviette rapieni alla mostarda, come se ne è veduto un esempio, come altrove, ed una zuppa di moviette al brodo scuro.

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Fategli grigliare, dopo averli scagliati e tagliati e fregati con burro fonduto; fategli una salsa con burro rosso, farina fritta, capperi, fette di limone, un mazzetto, pepe, sale, noce moscata, ed agresto o sugo d’arancia.

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Si mettono le telline in ragù alla salsa bianca, o scura, e se ne fa una zuppa molto considerabile.

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Piglierai libbre due di mandole ambrosine ben pelate; pestandole nel mortaro, le andrai spruzzando d’acqua rosa: pestate che saranno, avrai libbre una di zucchero chiarificato, quale, tirato alla cottura, lo metterai nel mortaro; ed ogni cosa incorporata insieme, prenderai nevole e, soprapposte, ponendo questa composizione, formerai navicelle, stellette e cose simili. Molti sono che a queste navicelle danno il ghiaccio quando sono crude, ma io più lodo darlo dopo, che saranno a mezza cottura e raffreddate, tornandole poi nel forno senza più riscaldare e lasciandole in ghiaccio, riusciranno assai migliori.

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Vedete fra le zuppe la maniera di farla.

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Pigliate ogni sorta di buone carni, cioè un pezzo di lombo di manzo, un pezzo di coscia di vitello, un pezzo di lacchetta di castrato, anatra, pernice, piccioni, pollastri, quaglie, un pezzo di prosciutto crudo, salsiccia, salsiccioto o mortadella. Il tutto passato al rosso, lo metterete a bollire in una pentola, ciascuna cosa però, secondo il tempo, che gli bisogna per la cottura, e fate un legamento del vostro rosso, che metterete insieme. Dopo aver bene schiumata ogni cosa, la condirete di sale, stecchi di garofali, pepe, noce moscata, coriandoli, zenzaro, il tutto ben pestato con timo e bassilico e posto dentro un pezzetto di tela bianca. Dipoi ci si aggiugne ogni sorta di erbaggi e radiche ben bianchite secondo che si giudicherà a proposito, come cipolle, porri, carote, pastinacche, radiche di pressemolo, cavoli, rape ed altre per farne mazzi. Bisogna aver de’ mastelli, pentole d’argento o altro bacino proprio a questo, e la vostra zuppa essendo ben consumata, rompete delle croste in pezzi e fatele bollire col medesimo brodo ben sgrassato e di buon gusto. Avendo bollito, avanti di servirla metteteci ancora molto brodo, sempre bene sgrassato, imbanditeci i vostri volatili ed altre carni, e la guarnirete di radiche se voi non avete che un bacile; se no, servitela senza radiche, mettendo il mastello sopra un piatto d’argento ed un cucchiaro grande d’argento dentro, col quale ciascun possa prender della zuppa quando l’oglia è sopra la tavola.

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Si può ancora servire un’oglia di radiche ed altri legumi all’olio per il Venerdi Santo, come è stato detto altrove.

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Pigliate del buon brodo di piselli o di mezzo pesce, metteteci a bollire in pentola tutte le radiche qui sopra e fatele cuocere ben a proposito. Imbandite la vostra oglia, un pan di profittoglie al mezzo e guarnito di radiche.

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Si nomina da’ spagnoli questa vivanda "Oglia potrida", perché facendosi la maggior parte in pignatte di terra, le quali dimandano Oglias, e potride chiamano diverse cose ben cotte. Per far la qual vivanda si piglieranno libre due di gola di porco salata vergellata, e quattro libre di sommata dissalata, due grugni, due orecchi, e quattro piedi di porco tagliati per mezzo, e mesaltati d’un giorno, quattro libre di porco cignale con il callo fresco, due libre di salsiccioni buoni; e nettata che sarà ogni cosa, facciasi cuocere con acqua senza sale, ed in un altro vaso di rame, o di terra, si facciano anco cuocere con acqua e sale libre sei di coste di castrato, e libre sei di rognonatica di vitella, e sei libre di vaccina grassa, e due capponi, ovver galline, e quattro piccioni domestici grassi; e di tutte le dette materie, le prime che saranno cotte, e non disfatte, si cavino dal brodo e si conservino in un vase, ed in un altro vase di terra, o di rame, col brodo delle suddette carni si cuociano due quarti di lepre di dietro tagliati in pezzi, tre starne, due fagiani, o due anatre grosse salvatiche fresche, venti tordi, venti quaglie e tre cotorne; e cotte che saranno le suddette robe, si mescolino i detti brodi tutti insieme passati per setaccio, avertendoci che non sieno troppo salati, e dipoi si abbiano piselli, ceci rossi e bianchi che sieno stati in molle, capi d’agli mondi, cipolle vecchie spaccate, riso mondo, castagne monde, e fagioli che siano perlessati, e ogni cosa si faccia cuocere insieme col brodo; e quando i legumi saranno presso a cotti, vi si ponga cavoli torsuti, e cavoli milanesi, navoni gialli, e cervellate, ovvero salsiccia; e quando ogni cosa sarà cotta, più tosto un poco soda che brodosa, diavisi una mescolata acciocché ogni cosa venga ad incorporarsi, e facciasi il saggio più volte per rispetto del sale, ed aggiungasi con esse pepe e cannella; e dipoi si abbiano apparecchiati piatti grandi, e pongasi una parte della composizione sopra i detti senza brodo, e si piglino di tutti gli uccellami grossi compartiti in quarti le carni grosse, e salami tagliati in fette, e gli uccelli minuti si lasciono intieri e si compartano ne’ piatti sopra la composizione, e sopra di essi pongasi dell’altra composizione con li cervellati tagliati in pezzi, ed in questo modo se ne facciano tre suoli, e si abbia una cucchiarata di brodo più grasso e sparagi sopra, e cuoprasi con un altro piatto, lasciandola stare in luogo caldo per mezz’ora; servasi calda con speziarie dolci sopra. Si ponno anche arrostire nello spiede le starne, fagiani e tordi, come pure l’anatre e le quaglie. Volendo far tal vivanda nell’estate si prendano le carni che si troveranno, ed in luogo di lepre si piglino i quarti di dietro del capretto, arrostiti nello spiede e tagliati in pezzi.

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Questa maniera è propria a più cose, come anatre, tacchini, leprotti ed altri pezzi. Si lardano con grossi lardoni e si passano alla padella con lardo fonduto per colorirli. Dipoi fateli cuocere con brodo, vin bianco, un mazzetto, sale e pepe. Essendo mezzo cotti, passate dei funghi dentro il medesimo lardo ed un poco di farina, e mettete il tutto insieme con sugo e colì di carciofi, polpette, latti di vitello, ostriche, se voi volete, e cetrioli marinati, secondo il tempo. Servite con sugo di castrato e di limone, imbandite propriamente e caldamente per antrè.

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Prendete delle fette di vitello, due pezzi di castrato, due mezze galline, due pollastri, due piccioni, due beccacce o pernici, con pipiscelli, fava monda, cipollette, cavoli, cipolle grosse ripiene, fette di mortadella, prosciutto, lattuga ripiena, carciofi in fette, ceci rossi, radiche di pressemolo e di pastinacca, ceci bianchi, sparagi, agli, con pepe, formaggio, cannella e poi fette grosse di pane abbruscato. Tutto si può cucinare separatamente, o tutto insieme.

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Pigliate le olive come sopra, senz’acciecarle, e fate liscia di una parte di calce viva, una parte di cenere di sarmenti di vite, ed una parte di cenere di gambe di fave; e con acqua fatene liscia al solito, e bisogna che porti a galla un ovo fresco; il che fatto, mettete in un vaso di legno le olive e la liscia che le cuopra, mettendovi sopra rami di olive con una pietra che le tenga a molle, ed in sei o sette ore hanno perduta l’amarezza; allora levatele e mettetele in acqua, mutandola ogni giorno fino che hanno perduta la salsedine della liscia e restino insipiede: allora se li fa la salimora, o gagliarda o debole, conforme uno le vuol conservar lungo tempo e restino belle verdi, avvertendo non toccarle mai con le mani altrimenti divengono nere.

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Pigliate nel mese d’ottobre belle olive grosse, avanti si facciano nere: fatele stare a molle nell’acqua comune per otto giorni, mutandola ogni giorno, dipoi acciaccatele una ad una con un legno, che non si rompa l’osso, il che fatto levateci gli ossi a tutte, e di nuovo rimettetele in altr’acqua mutandola ogni giorno, fino che hanno perduta l’amarezza; allora fatele la salimora mediocre, o mettetele nel vaso con torsi o gambe di finocchio, e conservatele pel bisogno. Alcuni vi lasciano gli ossi dopo che le hanno acciecate, avendo più gusto così.

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Si servono in antremè dell’orecchie di vitello ripiene. Perciò pigliate l’orecchie intiere, scotatele bene e fatele bianchire. Bisogna fare un buon pieno, che sia ben legato, e metterlo dentro l’orecchie, e cucirle tutte attorno propriamente, facendole cuocere come li piedi di porco alla Sante Menò. Essendo cotte, scucitele propriamente, che il pieno non esca, e rotolatele leggiermente dentro dell’ova sbattute, panatele nel medesimo tempo e fatele friggere nel grasso di porco, come li crocchetti, e guarnite di pressemolo fritto.

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Si piglia carne di vitello oncie tre, orzo oncie tre. Si cuoce il tutto insieme; poi, cotto che sia, si pesta in mortaro e si cola con tela di lino netta, indi vi si mette dentro zucchero a discrezione che sarà fatta, e, se si volesse più grande, si prenda più orzo e più vitello.

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L’ossature de’ volatili si servono a fare differenti colì per diversificare i ragù.

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Prendete dell’ostriche, che aprirete, e le condirete d’erbe fine come pressemolo, cipolla, timo, bassilico, un pochettino di ciascuna cosa dentro in ogni ostricha, ed ancora del pepe ed un poco di vin bianco. Dipoi le ricoprirete col loro guscio e le metterete al fuoco sopra una gratella, e di quando in quando metterete la pala rossa per di sopra. Essendo vicino a servirle, le imbandirete nel piatto e servirete discoperte.

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Dopo averle fatte marinare al sugo di limone, si possono mettere in gonfietti e friggerle con bel colore.

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Aprite le vostre ostriche e fatele bianchire, dopo le pesterete bene con pressemolo, cipolla, timo, sale, pepe, acciughe e buon burro. Fate bagnare una mollica di pane, che ci mescolerete con noce moscata ed altre speziarie dolci, due o tre rossi d’ovo, e pesterete il tutto insieme. Ne riempirete le vostre conchiglie dell’ostriche, ed avendole dorate, o panate, le metterete a cuocere al forno sopra una gratella e le servirete a secco o con sugo di limone.

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Bisogna metterle dentro una cazzarola con un poco d’acqua e d’agresto e farle dare un bollore. Cavatele, dipoi, e l’acqua che è dentro le gusce conservatela per metteria dentro li ragù, allorché son vicine a servirle. Se ne fa in questa maniera un antrè di pollastri ripieni all’ostriche, come si descriverà dentro l’articolo de’ pollastri, come altrove, e si è di già osservata la maniera d’accomodare il luccio ed altri pesci all’ostriche, come altrove, ed un’anatra all’ostriche; e ciò che si pratica per molte altre cose. Eccovi per servir dell’ostriche in particolare.

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Pigliate del latte cotto e della pana di mandole, e stemperateci della marmellata d’albicocche; mettete il tutto con burro dentro un tondo sopra piccol fuoco, dipoi la composizione de’ vostri ovi, e copriteli con un coperchio di tortiera con fuoco per farli prender colore, come a una sorta di latte. Servitela con fior d’aranci e zucchero.

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Mettete a bagnare della mollica di pane dentro del latte circa due o tre ore, affinché sia bagnata. Passatela alla stamigna o dentro un passatore ben fino, metteteci un poco di sale e zucchero, un poco di scorza di limon confetto trita ben minuta, un poco di arancia verde raspata ed acqua di fior di arancio. Sfregate un piatto d’argento di burro un poco caldo, mettete dentro i vostri ovi con fuoco sotto e sopra, che prendano un bel colore, e serviteli propriamente.

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Affogate dell’ova dentro l’acqua bollente; pestate dell’acetosa e mettete il sugo dentro un piatto con burro, due o tre ovi crudi, sale e noce moscata, e mettete questa salsa legata sopra i vostri ovi servendoli.

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Mettete zucchero ed acqua di fior d’aranci dentro un piatto, o padella, con pana di latte naturale, scorza di sale, cedro confetto rapato ed un poco di sale, poi metteteci otto o dieci rossi d’ovo, e rimenateli come gli ovi rimenati.

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Stemperate i vostri rossi d’ova con acqua rosa, scorza di limone, maccaroni, sale, cannella pestata, e fateli cuocere a picciol fuoco dentro una tortiera con burro raffinato. Essendo cotti, ghiacciateli con zucchero ed acqua rosa, o di fior d’aranci, e mettete sugo di limone e grani di melagranata in servirlo.

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Stemperate i vostri ovi con agresto di grana, conditi di sale e noce moscata, e fateli cuocere con un poco di burro, o guarniti di pan fritto o pasta fritta.

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Rompete degli ovi dentro un piatto come allo specchio, metteteci un poco di brodo di purè, di piselli, e rompete due o tre rossi d’ovo con un poco di latte che passarete per stamigna; levate il brodo ove sono cotti i vostri ovi: metteteci i rossi per di sopra con formaggio grattato, e dateli il colore.

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Fate un sciroppo con zucchero ed un poco d’acqua; essendo più che mezzo cotto, pigliate de’ rossi di ovo dentro un cucchiaro d’argento, un dopo l’altro, e teneteli dentro questo sciroppo per cuocerli. Ne farete, così, tanti quanti vi piaceranno, tenendo sempre il vostro zucchero ben caldo, e li servirete guarniti e coperti di pistacchi, fette di scorza di cedro, fiori d’arancio, che avrete passati dentro il resto del vostro sciroppo, con sugo di limon per di sopra.

Pagina 187

Pigliate un pezzo di bieterava che non sappia punto di terra: pestatela bene con un pezzo di limone, un poco di maccaroni, del zucchero e della cannella infranta. Pigliate quattro o cinque ovi, de’ quali leverete via il giallo, e mescolate ben il tutto insieme; e passatelo per stamigna con un poco di latte e di sale, e lo farete cuocere, come gl’altri ovi, il latte di bel colore.

Pagina 184|185

Essendo cotti i vostri ovi tutti intieri con burro dentro una cazzarola, steccateli e metteteli sopra un tondo, poi mettete pana naturale ed un poco di sale, di zucchero; e servirli caldi, con grani di pomo granato, o altra guarnitura.

Pagina 188

Si fanno nella stessa maniera ma si servono caldi, imbandendoli dentro il suo piatto; e ghiacciarli con zucchero e la pala rossa. Un’altra volta li potete mescolare dentro il mortaro con del gelo d’uva spina, o di sugo di pietra cotto in zucchero, e passarlo alla seringa, o dentro tela di crine, per servirli secchi in rocher verde o rosso.

Pagina 186

Bisogna far liquefare del zucchero con acqua di aranci, due sughi di limone ed un poco di sale; metteteli dipoi sopra il fuoco con i vostri rossi d’ovo, ed andateli dimenando con un cucchiaro d’argento finché gli ovi lascieranno il piatto: allora saranno cotti. Essendo freddi, imbanditeli in piramide e guarniteli di scorza di limone e marzapane.

Pagina 185|186

Dopo averli fenduti, votati come sopra, riempiteli di rossi e tagliateli ancora in quarto, poi infarinateli e friggeteli in gran frittura. Avendoli imbanditi sopra un tondo, ci farete una salsa con burro rosso, erbe fine, funghi cotti e tritati, sale, pepe noce moscata e aceto rosato; e guarniti di pan fritto, pressemolo e funghi fritti.

Pagina 190

Friggete cipolla in burro, dipoi si piglino ova sode e s’affettino tonde, dipoi si buttino quelle fette in padella a friggere con del burro, ma non gran cosa; quando saranno ben rosolate, buttisi dentro alquanto sale e un poco di mostarda forte, liquidata con acqua, e speziarie, o pure ci si faccia il marinato dolce e forte.

Pagina 371

Pestate de’ pistacchi ed un pezzo di limon confetto. Fate cuocere il vostro zucchero con sugo di limone, e quando lo sciroppo sarà mezzo fatto, metteteci li pestacchi con li rossi d’ovo; rimenandoli, come qui sopra, sino a che lasciano la padellina, e serviteli con acqua d’odore.

Pagina 186

Si faranno in questa maniera. Riempite della vostra pana il fondo d’un tondo e fatela cuocere con burro, coperta con un coperchio da tortiera con fuoco. Quando vedrete che ella si fermerà, levatela dal fuoco, fate dieci o dodici buchi con un cucchiaro e riempiteli di rossi artificiali; dipoi fate una salsa con burro legato, erbe fine ben minute, sale, pepe, noce moscata ed un bicchier d’aceto, o senza questo, e quando vorrete servirla, mettetela sopra i vostri ovi tutta calda ed ancora in molte altre maniere.

Pagina 191

L’ova bazzotte intiere alla fiorentina sono quelle che, cotte nel guscio, non sono da bevere ma neppur sono dure, essendo rappresa fermamente la chiara delle ova, benché tenera, ed il rosso non deve essere totalmente cotto. Si servono con salvietta piegata sotto, regalate d’ova toste divise per mezzo, e fiori di boraggine, potendosi anche le toste servire intiere e separatamente.

Pagina 328

In fette sottili, spruzzate con un poco del medesimo latte nel vaso dove le portano, e zucchero sopra.

Pagina 413

Non si mette punto il rosso. Ei servirà a friggere per guarnir con della mostarda, se voi volete, e sugo di limone in servirlo.

Pagina 185

Fate del sciroppo di zucchero schietto con vin bianco, ed essendo più della metà fatto, sbatteteci i vostri ovi e passateli dentro una mescola piana affinché li filetti si facciano bene: fateli seccare avanti al fuoco, e serviteli con odor di muschio o altro odore.

Pagina 187

Piglia mollica di pane, riducila più minuta che puoi, fa’ struggere del burro fresco a proporzione e mettivi il pane trito con un poco di zucchero; poi piglia ova fresche quantità aggiustata, sbattile benissimo con detto pane, zucchero, sale, e burro, e tanto latte ancora, che serva per farlo cuocere; fa’ poi struggere un altro poco di burro fresco, e quando è ben caldo mettivi dentro tutta la massa per farla cuocere e per dargli il colore, ponici sopra la teglia rovente, inzucchera, e saranno fatte.

Pagina 377|378

Dopo aver levato il guscio, fendete li bianchi e fate un buco in ciascuna metà, con un cucchiaro d’argento, per riempirli d’un pieno tal qual si è veduto qui avanti, imbandendoli col medesimo guarniti di rossi artifiziali, che avrete infarinati e fritti.

Pagina 190

Mettete del burro nel tegame, poi si pigli un’acciuga tagliata in pezzetti, dipoi si pigli pressemolo e cipolla, si faccia in pezzetti e si metta il tutto a rifriggere nel tegame, poi si piglino ova e si dibattano bene con un poco d’acqua e sale, e si mettano nel tegame, e si dimenino, fino a tanto che non sono rapprese, come un caccio imperio.

Pagina 371

Bisogna sbattere degli ovi secondo il piatto che volete fare, e nel medesimo tempo spremerci il sugo d’un’arancia ed avendo riguardo che non ci caschino i semi. Il tutto essendo sbattuto, e condito di un poco di sale, pigliate una cazzarola. Se questo è in giorno di magro metteteci un poco di burro, ed in giorno grasso un poco di sugo. Versateci i vostri ovi e dimenateli sempre, come se questo fosse una crema, per paura che non s’attacchi al fondo. Quando saranno cotti come bisogna, versateli dentro un tondo, o piatto, e guarniteli (se voi volete) con ovi fritti; e serviteli caldamente.

Pagina 182|183

Si metton come allo specchio, ed avendoli panati con mollica di pane, spolverizzati di piccatiglio di luccio e di formaggio grattato, si fa prender loro un bel colore.

Pagina 185

Non tagliate altro in pezzi che le chiare de’ vostri ovi, in tagliolini o in fette, e passatele al burro con pressemolo e cipolla ben minuta. Legatele un poco e conditele di sale e noce moscata, e metteteci della pana di latte. I rossi fateli friggere per guarnir il vostro tondo.

Pagina 183

Si ponno ancora friggere degli ovi ripieni dopo averli bagnati in pasta chiara, e serviteli con pressemolo fritto.

Pagina 183

Prendete e fate bianchire il cuore di due o tre lattughe con acetosa, pressemolo, cerfoglio ed un fungho. Pestate il tutto ben minutamente con de’ rossi d’ovo duri, conditi di sale e noce moscata. Passateli dipoi con burro e fateli cuocere. Essendo cotti, mettete della pana di latte naturale ed empitene il fondo del vostro piatto, e le vostre chiare d’ovo dure le riempirete d’un altro pieno con erbe fine per guarnir l’orlo: li darete colore colla pala del fuoco.

Pagina 183

Si bagnano le pagnotte nel latte di mandole, ed olio, e si riempiono di polpa di pesce soffritta, punte di sparagi, tartufi, prugnoli, telline, ostriche salate, erbe odorose, speziarie, condito, con un brudetto di latte di pignoli e sugo di limone.

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Pigliate pagnottelle piccole di oncie tre in circa l’una, e cavategli la midolla; abbiate dopo a parte un pieno di polpa di cappone e cervello: condite questo pieno con parmigiano grattato, ova, mollica di pane inzuppata, midollo e un poco d’aglio, e riempite il vostro pane, e quando sarà riepieno, le pagnottelle scottatele con buon brodo e scolate tutto l’umido; poi abbiate dell’ova sbattute, e le butterete sopra al detto pane lasciandovele stare per la metà d’un’ora, e poi rivoltate le pagnottelle e friggetele calde; e a chi piacesse il dolce, ce lo può mettere nel pieno, come sarebbe un poco di candito battuto nel mortaro.

Pagina 385|386

Questo lo vederete altrove.

Pagina 51

Un cantuccio va inzuppato in acqua acconcia, conforme il gusto di chi lo dee pigliare, il quale poi si cuopre con salse differenti, le quali si fanno con conserve di tutte le frutte e agrumi; e per stemperare le dette conserve, si adopra agro di limone e si fa una salsa un poco grossetta, e con un cucchiaro si distende sopra il detto cantuccio già zuppato, e così si fanno tutte le sorte di pan lavato, non vi essendo altra differenza che dell’odore dell’acqua nella quale si inzupperà il cantuccio e della conserva della quale si fa la salsa; per adornare il pan lavato, si adorna con pignoli e pistacchi, i quali si mettono ritti nel cantuccio o a rabesco, e attorno al piatto arancia di portogallo o limone, mescolando canditi, conserva in pezzi, melagrana, pignoli e pistacchi; e sarà fatto.

Pagina 419

Si fa un altro antrè d’un pan ripieno di latti di vitello, fondi di carciofi, tartufi, e prosciutto passato in ragù con un legamento bianco di vitello arrosto, e sugo di limone e fate ben bollire il vostro pane circa un quarto d’ora con buon brodo. Servitelo con sugo di castrato, un poco di legamento e sugo di limone in servirlo.

Pagina 199|200

Passate le vostre fette di prosciutto come qui sopra, fuor che non ci bisogna punto di funghi né passarle per stamigna. Essendo cotte, se non sono a bastanza legate ci si metterà un poco di colì di pane. Bisogna avere un pan da zuppa, fenderlo per il mezzo in maniera che le due croste sotto e sopra sieno intiere: levata la mollica di dentro, fatele seccare e prender colore all’aria del fuoco, o al forno, che sia rosso. Quando sarete vicino a servirlo, prendete le due croste, unitele insieme dentro un piccol piatto, avendole fatte bagnare un poco dentro la salsa: mettete il vostro ragù dentro la salsa e mediocremente. Si può guarnir con de’ fegati alla rete e servir per antremè.

Pagina 150

Bisogna aver delle pernici arroste e prendere la carne di qualche cappone, o pollastro con lardo bianchito, grasso di manzo bianchito, funghi e spungoli triti, qualche tartufi e fondi di articiocchi, erbe fine, uno spicchio d’aglio, il tutto ben condito e ben pestato, e per legarlo aggiugneteci una mollica di pane bagnata nel buon sugo e qualche rosso d’ovo. Bisogna aver della carta e formare sopra de’ pani di pernici, che siano tondi alla grossezza d’un ovo, ed allontanargli uno dall’altro. Bisogna ancora bagnare la punta del vostro cortello dell’ova sbattute, per poterli formare e panarli propriamente. Vi possono servire ancora per guarnire altri più grandi antrè.

Pagina 197|198

Bisogna prendere de’ petti di pernici arrosto, ben pestarli, ed un pugno di pistacchi ben pelati con un poco di coriandoli in polvere, il tutto ben pestato in un mortaro. Ci si metton tre in quattro rossi d’ovo, secondo il vostro piatto, un poco di scorza di limone e buon sugo di vitello, il tutto ben stemperato dentro il mortaro e passato per stamigna; come se questo fosse una crema all’italiana. Essendo ben passato, bisogna accomodare il suo piatto dentro il forno, vuotare il tutto dentro il piatto con fuoco sotto e sopra, sino che sia ben rappreso. Bisogna farlo portar sopra la tavola per una persona destra, per paura che non si rompa nello scuotersi, e servitelo caldamente.

Pagina 199

Vedete fra le zuppe li pani di profitroglie e croste ripiene in più maniere, tanto in grasso che in magro, delle quali si può ancora fare degli antrè negli ordinari mediocri.

Pagina 200

Arrosto in generale, suo avvertimento.

Si fanno bianchire nell’acqua o sopra la brace. Si lardano minutamente e si mangiano alla salsa verde, o all’arancia, sale e pepe bianco, o all’aceto rosato.

Pagina 284

In quanto all’anatre domestiche, ci si può mettere qualche fila di lardo e farle cuocere un poco più dell’altre.

Pagina 284

Si debbono vuotare e mettere allo spiede senza lardare. Essendo mezzo cotte, si pillottano con lardo e si mangiano tutti sanguinolenti con sale, pepe bianco, sugo d’arancia, o peverata naturale.

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Non si vuotano, si lardano ben minutamente, ed essendo arrostiti si fa una salsa con arancia, sale, pepe bianco ed una cipolletta.

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Non vogliono essere che pelati. Se gli taglia la testa e gli piedi, e cuocendoli in uno spiede piccolo, si spolverano di pan grattato e sale. Mangiateli all’arancia, o all’agresto di grano e pepe bianco.

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Si debbono vuotare e bardare. Si mette nel corpo una cipolla steccata di garofali con sale e pepe bianco. Essendo cotti, levate le barde, panateli e mangiateli con cresson smozzato nell’aceto e sale, ovvero con l’arancia e sale, o ostriche smozzate nel degù. E quanto agli altri capponi, si posson lardare di minuti lardi e mangiarli così come gli altri, come pure le galline.

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Si servono con agresto in grana, o arancia, ovvero all’aceto rosato con sale e pepe bianco.

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Si mangiano all’acqua, sale e pepe bianco, o all’arancia.

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Debbono pelarsi a secco e votarli. Si lardano minutamente e si mangiano all’agresto, sale e pepe, o all’arancia.

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Si debbon insanguinare del loro sangue, lardarli minutamente, e si mangiano alla peverata, o alla salsa dolce, con zucchero vino, aceto, cannella e pepe.

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Si mangiano medesimamente così, fuorché si può mettere un poco di sangue nella salsa.

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Non si votano punto, se gli lasciano i piedi e si lardano minutamente. Fate la salsa dentro il degù con agresto di grana, sale, pepe bianco, o si mangiano al sale ed all’arancia.

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Si vuotano, e se sono grasse non si lardano punto. Pillottatele di lardo e mangiare alla peverata, o al sale ed all’arancia.

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Vuotateli ed infilzateli in uno spiede piccolo, e bagnateli con un poco di lardo fonduto, o si spolverano di pane e sale, o si mangiano con sale ed arancia.

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Cazzarola al riso.

Prendete due o tre spicchi d’aglio, di bassilico, di stecchi di garofolo e di vino, facendo bollire ogni cosa insieme e poi passatela dentro una stamigna e metteteci dentro il ragù. Se avete qualche pollastra cappona, o altra cacciagione, o volatile da servir sopra la vostra zuppa, accomodatela dentro il suo piatto; metteteci dipoi il vostro ragù e copritelo di riso propiamente, e sopra metteteci un poco di grasso per renderla ben unita, e fatele prender colore, mettendola dentro al forno, e servitela caldamente. Se non si ha punto di volatile ma solamente qualche bella coda di castrato bollita, accomodatela medesimamente nel vostro piatto quando sarà ben cotta e la coprirete di riso ben denso; e doratelo con pan grattato, o meglio doratelo con grasso e lardo ed un poco di pan grattato per dargli il colore. Vedete qui altrove. Una coda di salamone in cazzarola, la di cui maniera si può estendere ad altre sorte di pesce, che si mettono così.

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Pan di vitello.

Si può servir questo pane di vitello alli piselli ed agli sparagi, quando è la loro stagione.

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Pollastri in fricassè.

Si fa bianca con un buon legamento di tre o quattro rossi d’ovo con agresto o limone. Si può guarnire di pollastri marinati, pan fritto e pressemolo tra gl’intervalli.

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Scorticate i pezzi de’ vostri pollastri e passateli alla padella con lardo fonduto, dipoi metteteli a cuocere con un poco di burro, brodo o acqua, ed un bicchier di vin bianco, condito di sale, pepe, noce moscata, cerfoglio ben trito, cipollette intiere, che caverete dopo avranno dato il gusto, e ci farete un legamento del medesimo rosso ove gli avrete passati con un poco di farina. Ci potete mettere latti di vitello, funghi, fondi di carciofi ed altre guarniture. Guarnite il piatto di braciole e polpette alle spiede, o fette di limone, e servite con sugo di castrato o di limone.

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Dopo che saranno cotti come qui sopra, si leva un poco di grasso e ci si mette della pana in servirla.

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Teste d’agnello in zuppa o per antrè.

Pigliate un pezzo di mollica di pane inzuppata nel buon brodo, una dozzina, e mezzo di mandole dolci, e tre rossi d’ovi duri, il tutto pestato in mortaro, e passato per stamigna. Quando la suddetta zuppa sarà ben bollita, e ben stagionata, servitela con un sugo di limone. Si può ancora fare un colì verde come segue.

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Prendete il verde di cipolle, spinaci, e croste di pane, che farete bollire medesimamente in una cazzarola con buon brodo ben condito di garofali, timo, e sugo; pesterete il vostro verde di cipolle, e spinaci nel mortaro, e passato col resto per stamigna, lo gitterete sopra la vostra zuppa con sparagi, e piccoli piselli seminati sopra, ed un sugo di limone.

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Torta di rognon di vitello.

Il vostro rognone di vitello essendo cotto, tritatelo e mettetelo fra due paste fine con zucchero, cannella, scorza di limone, dattili, un poco di burro, due maccaroni e gl’altri condimenti. Tre quarti d’ora bastano per cuocere una torta simile: servendola, metteteci sugo di limone, zucchero ed acqua di fior d’aranci.

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Varie maniere di cuocer ova.

fritto nel buttiro fresco con zucchero assai sopra.

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con zucchero e cannella sopra.

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tutti simili, con buttiro fresco, provatura grattata, zucchero e cannella, ed un poco di pana.

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con buttiro, coperte di capo di latte, spolverizzate con polvere di biscottini di Savoia, mostacciolo e pan gratrato, sottestate con sugo di limone sopra, con regalo di pasta o fette di pane dorato.

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sottestate, con festone attorno di tagliolini di frittate verdi e gialle, con zucchero e cannella per tutto, con sugo di limone.

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vanno poste sotto la salvietta piegata, e tondo sopra, e portate con la minestra, perché oltre all’esser consueto di mangiarle per la prima cosa, l’ovo fresco mangiato dopo altre vivande non fa troppo buone operazioni, benché alcuni siano di parere che sia sempre ottimo.

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due per volta con salsa d’agresto e zucchero sopra, con paste di buttiro e cime di rosmarino dorate e fritte.

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uno per volta, con erbette fritte, e mezzi limoni, e pasta reale.

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con condito, rossi d’ova, persa, buttiro e polvere di biscottini di Savoia, o un poco di mollica di pane, e sbruffato d’acqua rosa, cotte in forno asciutte.

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come sopra, e di più inchiodate di pistacchi freschi con fette di pane sotto, e brudettate con sugo di limone.

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come sopra, con zuppa sotto di latte di pignoli, sottestate con zucchero e cannella, rossi d’ova toste battuti su l’orlo del piatto.

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e cuocerle come l’ova tenere, con un poco d’acqua rosa e cannella, e lasciarle freddare, regalate d’ova dure divise pel mezzo e dorate con ova e fior di farina, e fritte in buttiro fresco, zucchero e cannella sopra, e lasciarle freddare; e bisognando s’adoperi la neve.

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sopra a biscotti papalini inzuppati di latte con fette di provature e buttiro fresco sopra; sottestate con un sapore di capo di latte, sugo di limone, zucchero e cannella; regalate di tartarette ripiene di frutti sciroppati ed una sorta d’erba fritta.

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con buttiro fresco sopra.

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sopra d’una frittatina d’un ovo verde, e piegata con zucchero e cannella sopra.

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regalate di frittate ripiene con fette di pane di Spagna fatto a lardoni e fritto in buttiro, e con esso si tramezzano le frittate.

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con corona di sparagi, o luppoli fritti, o altr’erba, secondo la stagione, con paste ripiene di condito e mezzi limoni.

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con buttiro fresco, cotte in tegamino, o tondo, o piatto.

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con sugo di bieta, con fette di pane fritto.

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tagliate in mezzo, indorate e fritte con regalo d’erbe, e pasta a vento tutto fritto.

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poi con disegno ripartirli nel piatto, ed accomodati, mettete sopra di uno buttiro passato con zucchero sopra; sopra un altro ricotta passata con siringa variata; zucchero e cannella sopra; ed in terzo luogo capo di latte con zucchero sopra; ed un poco d’acqua rosa con zucchero, e cannella su l’orlo del piatto lavorato.

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Varie minestre.

non altro che ova, latte e zucchero.

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soffritte con buttiro, poi cotte nel lattecon rossi d’ova tosti battuti, erbe odorose, noce moscata, zucchero e cannella, o veramente con brudetto di rossi d’ova e sugo di limone.

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con fegato in bocconi e latte di storione in bocconi, soffritto ogni cosa con buttiro, con capo di latte, erbe odorose e ova stracciate con buttiro, fette di pane sotto, sugo di limone e zucchero.

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passati per setaccio con zucchero, mescolati con brudetto di rossi d’ova e sugo di limone, con pane abbruscato sotto, e cannella posta sopra.

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con pignoli, passarina ed erbe odorose, cotte in buttiro con brudetto di rossi d’ova, e sugo di limone con fette abbruscate di pane sotto.

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Zuppa di cavoli.

Composto di lardo e farina, come se questo fosse per fare una buona salsa roberta. Quando la farina ha preso colore, bagnate il vostro legamento con buon sugo o col medesimo brodo de’ cavoli, ed essendo cotto, gettate il tutto insieme dentro li cavoli. Fate bollire la vostra zuppa con buon sugo e brodo di cavoli, quando sentite che ha buon gusto e che son ben cotti. Essendo bollita, accomodate li volatili sopra la zuppa. Fate un bell’orlo attorno al piatto, o dentro gl’intervalli con del piccolo lardo in fette, bagnate di buon brodo e servite caldamente.

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Zuppa di latte di mandole.

Pigliate delle mandole, scottatele bene, e pelatele, fatele ben sgocciolare dall’acqua; dipoi inzuccheratele, e gittatele tutte in un tempo in una padella a friggere, che averete lesta con buon olio caldo. Andatelo dimenando per la padella, sin che prendano il color d’oro, e allora cavatele prestamente: e ne farete quattro, o cinque mucchi, perché s’attacchino insieme, e con essi guarnitene la vostra zuppa sopra descritta.

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