ALL’ILLUSTRISSIMO E REVERENDISSIMO SIGNOR CARDINAL FARNESE
1Essendomi capitata alle mani questa operetta di messer Vincentio Cervio, già trinciante di Vostra Illustrissima Signoria, persona mentre visse, come ella ben sa e tutti quelli che l’hano conosciuta, singolarissima in questa professione, e ritrovandola imperfetta in molte parti per la morte sopragiunta all’autore, mi è parso esser debito mio, come studioso di questo essercitio (tenendo massime hora appresso di lei per bontà sua il luogo di esso messer Vincentio), di affaticarmici sopra; la qual fatica essendo hora ridotta in termine di poter giovare a molti e sapendo esser grandemente desiderata, ho voluto lasciar venire in luce sotto il felicissimo auspicio di Vostra Signoria Illustrissima, tenendo per certo che sì come ha tenuto e tien al presente buonissima protettione degli auttori dell’opera così sia anco per tener dell’opera istessa, sì come humilmente ne la supplico; e con ogni riverenza le bascio le sacratissime mani.
Humilissimo et obligatissimo servitore
Reale Fusoritto da Narni
1rRAGIONAMENTO DI VINCENZO CERVIO
Già trinciante dell'Illustrissimo e Reverendissimo Cardinal Farnese, fatto sopra l'officio del trinciante a un suo creato.
QUANTO L'OFFICIO DEL TRINCIANTE SIA ONORATO FRA TUTTI LI PRINCIPI E GRAN SIGNORI. CAP. I.
Avendo io promesso di voler raggionare sopra l’officio del trinciante, ragionevole cosa mi pare ancora che prima tu sappi quanto questo ufficio sia honorato fra tutti li prencipi grandi. Dico adunque che tre sono gli offici honorati che sogliono dare li prencipi grandi per la cura della bocca loro, cioè del scalco, del coppiero e del trinciante; e ogni uno di questi non si suol dare se non a persone molto nobili, fidate e domestiche. E che sia il vero, in Francia e in Alemagna (dove si tiene tanto conto della nobiltà) li prencipi grandi non sogliono dare questo officio del trinciante se non al più nobile e fidato servitore che habbino nella corte loro. E sebene questo officio hoggidì è venuto in così poco conto, e particolarmente nella corte di Roma, tutto è proceduto dalla miseria di certi prelati, li quali non si vergognano di voler dar quindici o venti giulì al mese ad un trinciante, che nientemeno si dà ad un famiglio di stalla. E di qui viene che non si trova più gentilhuomo che si degni di voler far questo officio tanto honorato; e non solo si smarriscono della poca provisione ma della gran strettezza che hoggidì regna da non poter sperare col tempo intrate né altre rimunerationi conformi alla riputatione et honoranza di detto officio. E che sia il vero, io ne ho conosciuti al tempo mio infiniti sufficienti in questa professione (a’ quali non voglio dar nome per non scoprire la miseria de’ lor padroni), li quali hanno pure servito lungo tempo con molta fede, e pure tutto dì si sono morti di fame, a benché in questo si potrebbe dare anco la colpa alla mala fortuna loro e non
1v a’ lor padroni, quali hanno pur donato e donano largamente ad altri, che forsi havranno meritato assai meno di loro. Ma questi tali prencipi dovriano imitare quel gran re Alfonso con la prova de’ doi forzieri e così verriano a levarsi l’infamia d’intorno et a romper la mala fortuna di quel buon servitore, overo dovriano imitare il Cardinale Hippolito de’ Medici, il quale in poco di tempo donò ad un suo trinciante portughese più di mille ducati di entrata. Io non dirò di Iacomo Brusco sufficiente trinciante, il quale hebbe d’entrata più di tremila ducati, benché questo servì a papa Lione, il quale ogn'uno sa quanto donò largamente ad ogni sorte di virtuosi. Ma se non vogliano imitare alcuno di questi, dovriano almeno imitare il Cardinale Farnese mio padrone, il quale nel principio del suo cardinalato, senza guardare ch’io fossi nato di humil famiglia, mi pigliò al suo servitio in questo ufficio tanto honorato, assegnandomi assai honesta provisione, donandomi poi di continuo denari, cavalli, vestimenti e altre cose simili; e tra l’altre cose signalate che Sua Signoria Illustrissima mi donò, hebbi quasi in un medesimo tempo una pensione di scudi 60 e uno officio di cancellaria che valeva ottocento scudi, presente veramente degno della grandezza e liberalità sua. Io non lassarò di dire come nella calamità di Roma del ’57 mi fu levato parte di quelle poche rendite ch’io haveva, senza alcuna mia colpa, dove Sua Signoria Reverendissima non mancò di darmi altrettanta provisione, così come ancora non mi manca e non mi mancarà per sustentare questa poca di vita che mi avanza, senza che Sua Signoria Illustrissima non andò mai fuora d’Italia, tra le molte volte che vi fu mandato dalla santa memoria di Paulo III avolo, per servitio della Santa Sede, che sempre non mi menasse appresso la persona sua, servendosi di me al pari di qual si voglia gentilhuomo che egli avesse con lui, segno certissimo dell’amorevolezza sua verso di me, sì che se di questa sorte fossero accarezzati e remunerti i buoni non mancariano gentihuomini che volontieri serviriano in questo officio, il quale, sebene è venuto in così poco conto per le cause dette di sopra, non
resta già che in sé l'officio non sia honorato e stimato fra tutti li prencipi grandi. E per questo niuno gentilhuomo, per grande che egli si sia, non si dovria sdegnaar di saperlo fare, se non per altro, almeno per potere in un bisogno servire il suo signore, overo alla sua dama: come fece molti dì sono uno de’ maggiori signori della corte, il quale nel tempo di state ritrovandosi fuor ad un suo giardino dove erano di molte gentildonne, lui nell’hora della cena, postosi a tavola acanto ad una di quelle sopramodo bellissima, la quale sommamente amava e desiderava di servire, fattosi dare dal trinciante che li stava appresso una forcina e un coltello e levatosi in piedi, imbroccò un fasano e lo trinciò a quella dama con tanta buona grazia quanto avrebbe fatto il miglior trinciante d’Italia. Questo so ben io che non era suo mistieri; sendo egli di casa illustrissima, bisognava che havesse imparato per suo spasso da qualcheduno sufficiente
2r in questa professione, per servirsene poi in una simile occasione. S’io volessi, potrei nominarvi un gentilhuomo, il quale è stato trinciante al tempo mio de un gran cardinale, e per le sue buone qualità fu da Giulio III creato cardinale di Santa Chiesa. Ma se questi signori detti di sopra non si sono sdegnati d’imparare quale è la causa ch’io vedo certi gentilhuomini salvatichi, quali si danno a credere che, se sapessero fare e essercitassino questo officio, di perdere tutta la loro riputatione; ma invero si gabbano, perché il sapere un gentilhuomo fare di molte cose non gli può arrecare se non grandezza e riputatione; e se non fosse che io non voglio esser troppo longo, io vi direi infiniti signori, quali hanno saputo gentilmente fare questo officio e per questo non hanno perso la loro riputatione.
Questo adunque crederò dovria bastare in haverti mostro quanto l’officio del trinciante sia honorato.
resta hora che tu sappi le parti che deve havere quello che vuole servire in questo officio con qualche gran signore.
Cap. II. Le parti che deve havere quello che vorrà servire a qualche gran Signore nell'officio del Trinciante.
Havendoti io mostrato assai sufficientemente quanto l’officio del trinciante sia honorato,
resta ancora che tu sappi le parti che deve havere quello che vorrà far questo officio.
Dico adunque che fa di bisogno sia nato di honorevole1 famiglia, perché a chi vuol servire alla persona di qualche gran signore giova molto l'esser nato nobile, o almeno bisogna essere benissimo creato, perché un huomo che sia modesto e dottato di buone creanze sarà sempre tenuto conto di lui tra ogni sorte di persone.
Bisogna poi che lui abbia il modo di spendere, perché ordina riamente bisogna che il trinciante vada benissimo abogliato di vestimenti, di servitori, di cavalli e altre cose simili, con le quali possi mantenere la riputatione di così honorato officio e comparire
honorevole alla presenza del suo signore ché, essendo quello mal vestito, sarebbe tenuto poco conto di lui, sebbene fosse il più nobile e sufficiente trinciante del mondo.
Bisogna poi che lui sia di giusta proportione di vita e che lui non sia zoppo o guerzo, nè stroppiato in alcuna parte della persona, nemeno vuole essere molto grande né troppo piccolo,
che l’uno e l’altro sarebbe brutto vederlo trinciare ad una tavola d’un signore.
Deve poi essere modestissimo nel parlare, e tanto più quando servirà il suo signore, che in quel punto non deve parlar mai se non è provocato, fuggendo ancora di non fare come certi, quali quando servono, parendoli esser fratelli del suo signore, si appoggiano con le mani su la tavola, ragionando poi fuora di proposito; e molte volte facendo il faceto diranno mal d’altri laudando sé stessi, cosa che invero sta malissimo ad ogni sorte di
2v persone e particolarmente nel trinciante.
Bisogna poi che il trinciante sia ardito e non prosuntuoso nè sfacciato: ardito, dico, che quando lui servirà ad una tavola dove sono di molti signori che lui non si smarrisca e non si perda d’animo, perché li tremeriano le mani di sorte che non potrebbe far cosa buona, dove resterebbe vituperato da ognuno. Deve poi il trinciante haver buona vista e bonissimo giuditio per poter imbroccar giusto e dividere quella robba che haverà sopra la forcina; e questa è la più difficil parte che vi va nel sapere imbroccar giusto tutte quelle cose che si vogliono trinciare.
Bisogna che quello usi ogni diligenza di conoscere il gusto del suo patrone, per potere poi darli di mano in mano tutte quelle cose che più li piaceranno. Deve poi il trinciante sopra ogni altra cosa esser fidelissimo a quel signore che lui serve: però bisogna che lui avertisca molto bene a tutte quelle cose che toccano all’officio del buono e fidato trinciante, come da me intenderai; ma bisogna avertire che tutti quelli che fanno professione di trinciante, che non sono però degni di esser chiamati per tali né manco son degni di servire alla persona d’alcun signore, come tu intenderai nel seguente capitolo.
CAP. III. QUALI SONO QUELLI CHE NON SI DEVONO CHIAMARE VERI TRINCIANTI.
Così come non è lecito se non alli principi grandi di tenere il trinciante, e così come non è concesso ad ognuno di servire in questo officio, così non è manco onesto che tutti quelli che servono in tale officio si debbiano chiamare veri trincianti. Perché ancor che un ciavattino saprà acconciare una scarpa, non per questo se li deve dar nome di buon calzolaro. Però a me non pare cosa honesta che si debbia chiamare trincianti certi barbieri e altre simili gentaglie, li quali io ho visto molte volte in Roma, Venetia, Bologna, Fiorenza e particolarmente quasi per tutta la Lombardia, nelle case de gentilhuomini, così nelle cene ordinarie come nei grandi conviti, quali nell’hora del mangiare si pongono una salvietta innanzi sotto la centura in foggia di grembiali, rivoltandosi le maniche indietro sino al gombito, come si volessero fare la beccaria; poi alla credenza con una gran forcina imbroccano un cappone overo un gran pezzo di carne, la quale pongono poi sopra un gran tagliero di legno, e con un gran coltello di quello ne faranno la notomia, tagliando ogni cosa a traverso senza alcuna consideratione, ponendo poi di quella così tagliata sopra molti tondi, quali pongono poi nel mezo della tavola; e se per sorte manca la robba sopra essi, di nuovo ritornano a trinciare nel modo di prima, e col tagliero in mano anderanno attorno alla tavola, e con la punta del coltello vanno rifondendo dove sarà bisogno, e di questo modo faranno di tutte quelle sorti vivande che vogliono dare a mangiare a’ lor padroni.
Questa sorte 3r di tagliare non si deve dire trinciare, né questi tali si devono chiamar trincianti, ma noi di ragione gli potremo chiamare macellari, overo trincianti da tinelli; e di questa sorte non voglio io che nessuno gentilhuomo impari, però che li sarebbe gran vergogna; né di questa sorte di trinciare intendo io di voler ragionare, ma col seguente capitolo ti mostrarò di qual sorte deve esser uno che si possi chiamare vero trinciante.
CAP. IV. QUALI SONO QUELLI CHE SI POSSONO E SI DEVONO CHIAMARE VERI TRINCIANTI.
Ogni gentilhuomo o qual altro si voglia che faccia una professione deve sforzarsi con ogni suo potere di farla con la maggior riputatione che per lui si possa, perché non è dubbio alcuno che l’huomo non è honorato nè riverito se non quanto col mezzo delle sue virtù e buone creanze si fa honorare e riverire; però quello che vorrà servire in questo officio a qualche gran signore deve col suo puro e sincero giuditio cercare di appoggiarsi alla servitù d’un prencipe giusto, nobile e da bene e non ad uno ignobile, fallito e malcreato; perché da quello non potrà se non ricevere utile e honore e da questo danno e vergogna, sì come si potria mostrare con infiniti essempi accaduti al tempo nostro; e questa è la prima consideratione che deve havere quello che vuole servire in questo officio del trinciante.
Deve poi il vero trinciante (come ho detto) esser fidelissimo al suo signore e ponere diligenza, in quello che tocca a lui, di havere gran cura della bocca sua; e ogni volta che lui servirà alla tavola del suo signore è debito suo di ponersi a fronte a lui overo in capo della tavola, perché uno di questi due luochi si concede al trinciante per potere far fare la salva de tutte le vivande che saranno poste in tavola alla presenza del suo signore, il quale, essendo tu in altra parte, non ti potrebbe vedere. Ma dico bene che sendo la tavola impedita da qualche gran personaggio, che non potesti capire in uno delli dui luoghi, che in questa occasione tu ti devi accommodare in altra parte, che non ti sarà vergogna alcuna; ma dirò bene poi, se il trinciante per l’ordinario si lascerà condurre a trinciare lontano dalla vista del suo signore, che li sarà gran vergogna e non sarà degno d’haver il nome di trinciante.
È lecito a uno degno di tal nome, servendo il suo signore, di farsi un piatto per la bocca sua di quelle vivande trinciate che vengono ad avanzare al servitio della tavola del suo signore; e quando a questo volesse contradirli il mastro di casa e, ardisco di dire, il signore proprio, egli non lo deve comportare, pregiudicando ciò alla riputatione e sufficienza del detto trinciante.
Procurarà adunque di farsi il suo piatto come è onesto, se non per altro, almeno per non perdere questa preminentia. Perché sì come al scalco è lecito di farsi serbare un piatto o due di quelle vivande che si levano di tavola 3v del suo signore per l’auttorità del suo officio, e parimenti al coppiero di pigliarsi un fiaschetto o due di vino di quello della bocca del suo signore; è parimenti lecito e honesto che il trinciante, come uno delli tre principali della bocca, si facci il suo piatto prima che la robba si lievi di tavola e, quando non lo facesse mai per altro, dovria farlo almeno per schiffare la lordezza di coloro che dispensano la robba, levata che sia della tavola del signore, la quale subito pongono in certi catini di rame unti di maniera che a pensarvi solamente, oltre il mesticare insieme una vivanda con l’altra fa volger lo stomaco; la dividono poi tanto sporcamente che Dio ne guardi ogni fidel christiano; sarà ragionevole adunque, per questo et altri rispetti, che il trinciante si facci il suo tondo prima che la robba vada nelle mani di questi tali.
Ma per tornare dove lassai, dico che il vero trinciante sarà quello che trinciarà ogni cosa sopra la forcina alta dal piatto, che volgarmente in Italia si suol dire il trinciare in aria, e invero fra tutte le foggie di trinciare non si può trinciare nella più bella e più gentile di questa, della quale intendo io di volere ragionare; ma sì come a quello che vorrà imparar di cavalcare bisogna che, montato che sarà sopra il cavallo, impari di saper star giusto sopra la sella, portar ben la vita, tener ben le gambe e haver buon calcagno e bona mano per saper battere il cavallo a tempo col sperone e bacchetta e altre cose; così è parimente necessario a quello che vorrà imparare di trinciare di sapere prima come vanno fatte le forcine e coltelli e di qual tempra, e come si nettano, e se li dà il filo, e come si tengano nelle mani e come si deveno adoperare e star gusto con la persona nell’adoperarli e molte altre cose assai, le quali io ti mostrarò ciascuna al suo loco.
CAP. V. QUANTO SIANO STATE DIFFERENTI L’OPINIONI DI DIVERSI TRINCIANTI DI QUAL GARBO SI DEBBIANO FARE LE FORCINE E CORTELLI PER TRINCIARE.
Così come sono differenti le naztoni e costumi degl’huomini, così ancora bisogna che siano state differenti l’oppinioni de' trincianti di qual garbo si debbiano far le forcine e li cortelli per trinciare. In Francia e in Alamagna li trincianti de’ principi grandi non adoprano se non le forcine longhe di manico e sottile e curte di branchi e tanto corti che, volendo con essa imbroccare un cappone, per la curtezza loro non si potria; adoprano poi li cortelli grandi, longhi di manico e di lama, e il più di essi senza punta, benché loro non imbroccano e non trinciano cosa alcuna sopra la forcina, ma, quando vogliono trinciare al lor signore, pongono la punta della forcina nel petto d’un cappone overo in un pezzo di carne così nel piatto, senza levarlo in alto; e di quel petto overo di quella carne ne tagliano le fette larghe e sottili e quella 4rsopra la punta del coltello pongono sopra il tondo del suo signore; e il simile fanno di tutte quelle cose che vogliono trinciare e se pur vorranno trinciare un cigotto overo una spalla di montone, di caprio o di altro animale, quelli pigliaranno l’uno de’ capi della salvietta che tengono sopra la spalla e quello involtaranno intorno al piede del cigotto, e quello con la mano manca lo leveranno in alto, tagliandolo poi col coltello le fette larghe, grande o picciole come più piace al suo signore. Questo modo di trinciare a lor pare molto bello, come quelli che non sanno trinciare al modo nostro, benché da un tempo in qua, per la domestichezza de’ principi forestieri con noi altri, li loro trincianti si sono andati accommodando in parte di trinciare al modo nostro.
Hora per tornare dove lassai, dico che per questo garbo de forcine e di coltelli a lor pare molto bello e lor se ne serveno che non serviriano a noi per essere molta differenza da lor trinciare al nostro. In Spagna e in Napoli, dove sono homini sufficienti in questa professione, non è molto tempo che adoperavano se non le forcine corte di manico e longhe di branchi, grosse e gravi e fatte con brutto garbo; e li coltelli corti di manico e di lama e largo e curto, il qual piegava con la punta innanzi; questa sorte di forcine e di cortelli si possono facilmente adoperare per trinciare al modo nostro, ma per la cortezza loro sono ancor facili al toccare la carne con le mani e il tagliarsi le dita; e che sia il vero, da un tempo in qua l’una e l’altra natione li hanno tralassati. Sono poi stati trincianti in Roma che hanno fatto la forcina con li branchi lunghi una volta più dell’ordinario, pensando di servirsene poi per imbroccare tre o quattro uccelli in una volta, trinciando poi quelli l’uno dopo l’altro, per far più presto; ma hanno trovato che, mentre volevano smembrare quel primo verso la punta della forcina, ne succedeva dui incommodi, l’uno che non si poteva adoperare se non la punta del cortello, l’altro che non si poteva dare li suoi colpi alle congiunture ordinarie per l’impedimento che li dava quel di drieto, di sorte che quel tordo, quaglia o altro uccello non si poteva trinciare con quella facilità che si sarebbe fatto havendone uno solo sopra la forcina, di modo che questa sorte di forcine, non facendo profitto alcuno, si sono poi tralassate, ma questa forcina avrebbe servito in una lepre.
Alcuni poi hanno voluto fare il cortello che tagli dalla banda della costa, dal mezo innanti, in foggia di una punta di spada, volendo servirsene nel smembrare un pollo, ponendo il cortello in esso senza voltarlo mai intorno, servendosi delli dui tagli senza levarne mai il cortello; ma io viddi molte volte adoperare questa sorte di cortelli e, volendone adoperare anch’io, trovai che di dieci colpi che io davo col taglio ordinario, non ne davo doi col taglio della costa; anzi, volendo io adoperare l’uno e l’altro taglio, mi dava molto impedimento, perdendovi molto tempo; conoscendo ancora che quel tale che trovò questa inven tione intravenne a lui quello che intravenne a me; di sorte che si concluse che molto
meglio e con più facilità si adopra un cortello 4v con il suo taglio ordinario che non si fa questo che taglia dalle due bande.
Sono poi stati altri che hanno fatto due lame di cortello con un manico solo, ma il manico dell’una si conficava nell’altro tanto bene che pareva un manico solo; ma le due lame lontano l’una dall’altra quanto si poteva cacciare il dito lungo tra l’una e l’altra lama, e con queste due lame aggiunte insieme fu fatto per servirsene a trinciare una vaccina minuta overo un cigotto, non sapen do forse questo tale che ancora si possono tenere nella medesima mano dui cortelli e adoperarli con molta facilità, come ti mostrerò quando ti ragionerò del modo di trinciar la carne di vaccina senza far quella manifattura d’aggiungere le due lame insieme.
Tutte queste invenzioni di forcine e coltelli sono piuttosto state messe in luce per mostrar di sapere più degli altri che per utile che se ne possa trarre; e che sia vero vedesi che oggidì tutte queste foggie si sono tralassate e l’inventioni sono restate agli inventori e così avverrà facilmente a quelli che vorranno uscire dall'ordinario e massime in certe cose simili. Il vero garbo adunque delle forcine e cortelli mi pare debbe esser conforme a quello delli cortelli e forcine che adoperavo io quando servivo in questo officio il cardinale Farnese, mio patrone, e di quella sorte che hoggidì si costuma in Roma e fra tutti quelli che fanno professione di trinciante, e invero fra tutte le foggie non si può trovar la più bella né più utile di questa, la quale foggia e garbo ha da essere appunto nel modo che tu intenderai.
CAP. VI. DI QUAL GARBO E DI QUAL TEMPERA SI DEVONO FARE LE FORCINE E LI CORTELLI.
Egli è tanto grande il numero delle cose che si hanno da trinciare e tanto diverse l’una dall’altra che chi volesse di continuo adoperare un cortello er una forcina non sarebbe possibile. Adunque è di necessità, così come sono differenti le vivande che se hanno da trinciare, che ancora siano differenti le forcine e cortelli che si hanno d’adoperare. Dico adunque che di tre sorti hanno da essere le forcine e li cortelli, cioè la grande, la mezzana e la picciola, e ogni forcina deve havere il suo cortello secondo la lor proporzione. Volendo io prima dire della forcina, si deve credere quello ch’io dirò di una, che s’intenda ancora delle altre due che li vanno appresso.
Deve adunque la forcina essere tutta di ferro e dolce di tempra acciò che, percotendo il taglio del coltello in essa, quello non si sgrani o si rompa; la quale forcina deve essere compartita in tre parti equali; deve poi essere longa di manico e di branchi, fatta con giusta proporzione secondo la grandezza della forcina; la prima parte del manico, cioè quella che si tiene nella mano, deve esser alquanto grossa, fatta con quattro faccie, acciò si possa tenere più ferma nella mano; ancora che vi si potesse fare il bottone nella testa per ornamento della forcina, pur io la lascerò accioché 5r con più facilità quella si possa nettare. La seconda parte del manico, che sarà fino alli branchi, questa deve essere più sottile assai, fatta con otto facce per fare la forcina più leggera e con miglior garbo. La terza e ultima parte saranno li branchi, li quali vanno divisi l’uno dall’altro assottigliandoli fino alla punta con quattro faccie seguite; e sebene li branchi saranno più lunghi d’una delle tre parti, non importa perché li branchi lunghi sono più utili e fanno la forcina più bella. Ha d’avertire il maestro che li farà, nel darli quella volta che divide li due branchi, che sia netta e senza alcun pelo, perché molte volte avviene che bisognerà secondo l’occorenzie aprire e strignere li branchi, ché non essendo quella volta netta, la forcina salterebbe in due pezzi. Vuole essere ancora lavorata, polita di
lima et ancora brunita di sorte che paia tutta d’argento, e questo modo si deve tenere nel far le forcine, ognuna di loro secondo la grandezza e qualità sua.
Il cortello poi deve esser corto, fatto tutto il manico e la lama di acciaio finissimo; il quale coltello deve essere di manico grossetto alquanto, fatto con quattro faccie, smisato un poco dalla banda della costa e del taglio; deve poi la lama essere lunga, stretta e sottile, secondo la lunghezza e cortezza del coltello; la qual lama deve piegare poco o quasi niente con la punta innanzi. Fatto che sarà il coltello di martello, bisogna darli il suo garbo con la lima e quando sarà giusto secondo il modello, bisogna darli la tempra; ma qui bisogna aver molta avvertenza, perché se il coltello sarà duro di tempra, percotendo col taglio sopra un osso overo ne’ branchi della forcina, quello si sgranerà overo salterà in dui pezzi, così come è avvenuto a me molte volte; e se il coltello sarà troppo dolce di tempra, toccando col taglio il caldo della carne, quello si rivolterà come se fosse di cera, di sorte che non se ne potrebbe servire; e per questo bisogna haver molt’avertenza nel darli la tempra.
Fatto che sarà il cortello e condotto a quella perfettione che ho detto, non è dubbio che malamente si potrebbe pagare la bontà di esso al maestro. Dato che sarà la tempra, bisogna mandarlo allo arrotatore, il quale arrotando lo deve assotigliare al quanto, mantenendo giusto e pari senza levarli il suo garbo, facendo poi brunire come facesti le forcine, avertendo molto bene, fatto che sarà il cortello di tutto punto, di non lo mandare mai più all’arrotatore perché si guasterebbe e si stempererebbe di sorte che non lo potresti adoperare; ma nota che il cortello non deve tagliar niente sopra il manico un dito, secondo che troverai segna to di negro nel modello; ma volendolo nettare e dare il filo, tu lo
intenderai nel seguenze capitolo.
Questa foggia di forcine e cortelli tu la troverai sempre utile e bona: utile, dico, per esser quelli lunghi di tratto, e quando tu haverai imbroccato quella cosa che tu vorrai trinciare e levatola in alto, stando con la persona al suo segno, tu haverai la robba più lontano dalla mano e dalla persona, che farà più bel vedere e sarai sicuro di non toccare la robba con la mano, sicuro ancora di non tagliarti le dita, 5v quello che non ti averrà delle forcine e de' cortelli corti; e questo credilo a me che ne ho molte volte fatto l’esperienza, quando adoperavo questa sorte di forcine e cortelli corti.
Adunque per le ragioni dette di sopra concludo che non si può trovare la più bella né la più util foggia di questa, la qual foggia così delle forcine come delli cortelli troverai disegnata nella seguente carta.6r 6v
7r CAP. VII. COME SI NETTANO LE FORCINE E CORTELLI E COME SE LI DÀ IL FILO.
Non basta che ti abbia mostrato come vanno fatte le forcine e li cortelli, ché ancora bisogna che tu sappi come si tengano netti e come se li dà il filo per far che sempre taglino come rasori e così come ognun, di qual professione si voglia, è obligato di tener in ordine suoi libri, sue armi, suoi ferri e altre cose simili secondo la professione di quello, così ogni trinciante è obligato di tenere in ordine li suoi cortelli e fare sì che sempre radino; e se il cortello non tagliarà, il trinciante, per sufficiente che sia, non potrà fare cosa buona; volendoli dunque nettare e darli il filo, tu terrai l’ordine che ti mostrerò qui sotto.
Io voglio dunque che tu pigli un pezzo di legno di salice lungo due palmi e largo due dita, il quale tu farai spianare con la pialla dal mastro di legname da tutte le bande, il qual legno tu lo poserai poi sopra una banca o dove più ti piacerà, pur che quello stia posato fermo che non si muova, avendo poi di quella rena che suole cadere della ruota dell’arrotatore o altra rena simile, la quale deve essere ben secca e ben trita, e di questa ne buttarai un poco sopra il detto legno; poi pigliarai il cortello nel manico e con molta prestezza leggermente lo fregherai sopra detto legno da tutte le bande il manico e la lama, tanto che tu veda che quello sia ben netto; di poi che il coltello sarà netto, volendoli dare il filo, tu butterai di nuovo un poco più della detta polvere sopra questo legno, tenendo il coltello stretto nel manico, il quale con molta destrezza andrai fregando la lama da tutte due le bande verso la parte del taglio; e come tu sentirai che il coltello si riscalda, sarà segno che quello pigliarà presto il filo; allora con molta prestezza lo fregarai verso il taglio dalle bande, avertendo a far di modo che il taglio non si rivolti più da una banda chedall’altra, ma che quello resti pari e giusto; e quando tu vorrai sapere se il coltello avrà preso il filo, tu tirerai il taglio sopra l’ogna del dito grosso della mano manca e se il taglio vi si attaccherà sarà segno che il coltello havrà il filo a bastanza.
Le forcine poi, volendole nettare, le fregarai sopra il detto legno con la medesima polvere la quale farai polita e bella, e tenendo quest’ordine sempre li tuoi coltelli saranno politi e netti.
CAP. VIII. IL MODO CHE SI DEVE TENERE PER DARE PRINCIPIO ALL'OFFICIO DEL TRINCIANTE.
Non basta che io ti abbia mostro come si nettano li cortelli e come se li dà il filo, ché ancora bisogna che tu sappi come si tengono nelle mani e come se adoprano e còme si deve far per dar principio a questo offitio,
7v perché gran vergogna sarebbe d’uno che non avesse mai adoprato questa sorte di forcine e coltelli, che all’improviso se volesse porre a servire alla presenza del suo signore; e però sarà bene che prima tu sappi il modo che devi tenere in dar principio. Io voglio adunque che prima, da te solo o accompagnato, come a te piacerà, che tu facci accommodare le tue forcine e cortelli sopra un tondo con una saliera nel mezzo piena di sale, così come è solito di farsi, facendo poi porre nel medesimo tondo uno credenzino fatto d’una mollica di
pane, il quale va tagliato in quadretto lungo mezzo dito, facendo poi porre sopra la saliera e li coltelli una salvietta piegata così per il traverso, coprendoli poi con un altro tondo. E a questo modo si devono sempre accommodare le forcine e coltelli ogni volta che il suo signore vorrà mangiare; la salvietta sarà per ponerti sopra la spalla per nettarti le mani e li coltelli, quando ti farà di bisogno;le forcine e coltelli saranno per imbroccare e trinciare tutte le sorti de vivande che saranno poste in tavola; la saliera col sale per potere poi con la punta del coltello buttar del sale sopra il tondo del tuo signore e dove sarà di bisogno; il credenzino fatto della mollica del
pane sarà per far credenzare le vivande che saranno poste innanzi al tuo signore; quel tondo poi, con che si cuopre di sopra, vi si pone per la grandezza del principe, perché non si deve mai ponere cosa innanti la persona sua che non sia coperta. Tutto questo ti ho voluto dire acciò che tu sappia perché si acconcia in questo modo le forcine e cortelli tuoi.
Io voglio da poi che tu ponghi questo tondo, acconcio nel modo detto, sopra una tavola apparecchiata, havendo poi, dentro un altro piatto, una mollica di una grossa pagnotta, acconcia di maniera come se fosse un pezzo di carne; overo pigliarai un cedro o una grossa rapa, ché ognuno di questi sarà buono per dar principio a questo officio; ma per hora diremo solo della mollica del
pane, perché da ogni tempo se ne trova, la quale, acconcia come dissi, ponerai in un piatto, coprendolo così come facesti li cortelli e l’uno e l’altro piatto così coperti avrai posti sopra la tavola accostandoti poi a quella in piedi, voltando la faccia verso la tavola, come se vi fosse il tuo signore. Dipoi tu t’accosterai pigliando il tondo dove saranno li coltelli, e quello ponerai accanto di te dalla tua banda dritta e il piatto della mollica porrai dalla tua banda manca, scoprendo poi l’uno e l’altro piatto pigliando con galantaria la salvietta che sta sopra la saliera, la quale così piegata per il lungo tu te la ponerai sopra la spalla manca. Sopra la spalla manca dico, perché tutti li trincianti de’ principi grandi se la pongono sopra la spalla, ancora che siano alcuni che per suo capriccio se la pongono sul braccio, sopra il manico della spada, overo la pongono da un canto sopra la tavola; ma, per dire il vero, la salvietta non si puoi ponere in loco dove torni più commoda quanto a ponerla sopra la spalla manca; dapoi tu ti ponerai con li piedi pari lontano dalla tavola un palmo per non la toccare con la persona, stando dritto e disposto con la vita,
8r pigliando poi con la mano diritta la forcina grande, overo la mezzana, come a te piacerà, e con buona grazia tu te la butterai nella man manca, facendoti posare il calcio del manico nel polso del dito picciolo, voltando la punta della forcina in alto, tenendola dritta e ferma con le tre dita, cioè con il dito grosso, il longo e quel di mezzo; la qual forcina tenendola a quel modo, tu averai più forza per tener ogni gran peso e, ancora, tu la potrai girare intorno con più facilità secondo che ti farà bisogno: quello che non potresti fare tenendo la forcina stretta nel pugno.
Dapoi tu piglierai il coltello compagno della forcina nella mano dritta, pur con grazia, facendoti posare il calcio del manico sopra il polso del dito picciolo, alzando la punta in alto, voltando il taglio verso la tua banda manca, tenendolo poi stretto con le tre dita dette di sopra, facendo che il dito grosso e il dito lungo arrivino sopra il manico, con li quali tu strignerai la lama del coltello, la quale lama in quel loco non deve tagliare niente, come vedrai segnato di nero nel modello, e questo si fa acciò che, nel strignerlo e nell’adoperarlo, non ti tagli le mani.
Avendo adunque la forcina e il cortello nelle mani nel modo detto di sopra, fermandoti con la persona diritta e giusta, senza pendere da nissuna banda, poi con la mano dritta, dove vi tieni il cortello, tu ti accomodarai il piatto della mollica accanto di te dalla banda manca, e con la punta della forcina e quella del cortello tu voltarai la mollica di sorte che con molta commodità tu la possi imbroccare; poi, stando sempre con la persona al tuo segno, tu ponerai il coltello per fianco sopra la mollica del
pane, premendo con quello all’ingiù per tenerla più ferma nel piatto, e con la punta della forcina per fianco tu imbroccherai la mollica, avvertendo di porre la forcina in parte che tu imbrocchi la mollica giusta, di sorte che la non penda da nissuna banda; imbroccato che tu havrai, la levarai in alto, aiutandoti un poco con la punta del cortello per darvi più grazia, spingendo poi le braccia innanzi,tenendo le mani alte dalla tavola due palmi, più e meno, secondo il tuo giudizio, avertendoti che, quanto tu starai alla tavola più disposto e con miglior garbo, fu farai più bel vedere, tenendo levato su in alto la punta della forcina e del cortello, facendo piegare un poco la forcina verso la tua banda diritta, acciò che, quando tu trincerai la mollica, quella non ti venga a cadere sopra la mano, ma vada a cader giusta nel mezzo del tondo, il quale tu devi havere apparecchiato per questo effetto sotto l'orlo del medesimo piatto; e dipoi con buon garbo, senza manegiarti punto con la persona, tu accostarai il taglio del cortello alla mollica del
pane, tagliando di quella in fette larghe e sottili, facendole cadere giuste nel mezo del tondo che tu haverai sotto la mano.
Trinciato ch’havrai di quella a bastanza, tu pigliarai con la punta del cortello un poco di sale nella saliera; alzando un poco la mano del cortello in alto, tu butterai il sale sopra l'orlo del tondo, avvertendo di non lo buttare in mezzo il tondo sopra la mollica trinciata, nè meno sopra la tavola, ché farebbe brutto
8v vedere; levando poi con la mano del cortello quel medesimo tondo, tu lo porrai da una banda, rimettendo nel medesimo luogo un altro tondo, senza abbassar mai la forcina e senza muoverti del luogo tuo, ritornando di nuovo a dar de’ molti colpi di cortello per il dritto e per il traverso nella mollica, l’uno acanto all’altro, senza alciare molto la mano del cortello e senza maniggiarti con la persona; voltando poi il taglio del coltello verso te, entrando nella mollica, gentilmente tirando all’ingiù, ne farai cadere la mollica trinciata minuta nel mezzo del tondo; buttando poi con la punta e cortello il sale sopra di esso, con gratia la ponerai da una banda, dapoi tu anderai di nuovo trinciando di quella mollicatrita , overo in fette grande, come a te piacerà, girando intorno la forcina per accommodare la mollica al taglio del cortello, e così andrai facendo sino che tu abbi finito di trinciarla quasi tutta dipoi tu volterai la punta della forcina all’ingiù, facendola posare nel mezo del piatto dove tu la pigliasti, posando la costa del cortello sopra essa mollica acanto li branchi della forcina, premen do la mano all'ingiù, tirando la forcina all’insù, tu desimbroccarai il restante della mollica, facendola restare nel piatto dove prima la levasti, nettando poi con grazia con la salvietta, che tu haverai in spalla, le tue forcine e coltelli, e li ritornerai al suo luogo di prima, ricoprendo l’uno e l’altro piatto come prima, facendoli levare di tavola e rimettere al luoco suo. E così facendo da te stesso molte volte, tu ti andarai accommodando di sorte la mano che in poco tempo potrai servire alla presenza del tuo signore.
Questo, ch’io voglio che tu faccia, sin qui non può servire ad altro se non al dar principio e adestrarsi la mano; e questo ti basterà per hora, perché il restante ti mostrerò poi, quando sarà tempo. Ma nota che, sebene io ti ho detto ch’io voglio che tu stia con li piedi pari lontano dalla tavola un palmo, con le braccia alte e distese e dritto con la persona, senza piegarti da nessuna banda, che io non voglio già per questo che tu sia obligato di star sempre in quel modo dritto come se tu havessi un palo cacciato derieto, nè manco voglio che tu ti maneggi di sorte col capo, con le mani e con tutta la persona, come fanno certi, quali pare che vogliano giocare di mani e far bagatelle, perché questo farebbe brutto vedere e muoverebbe a riso ogni circostante; anzi, voglio che tu possi mutare l’uno e l’altro piede, accostarti alla tavola, levare e ponere un tondo secondo ti farà di bisogno, ma solo io voglio che tu stia in quel modo quando che tu averai la robba sopra la forcina alta dal piatto e che tu la vorrai trinciare, perché, stando tu in altro modo, tu non osservaresti l’ordine e faresti brutto vedere; ogni cosa voglio bene che tu faccia senza affettazione e con buona grazia. E questo ti basterà in averti mostrato come si deve fare per dar principio a questo officio del trinciante.
9rCAP. IX. QUELLO CHE DEVE FARE IL TRINCIANTE PRIMA CHE IL SUO SIGNORE SI PONGHI ALLA TAVOLA.
Dovendo io ragionare qual sia l’officio del trinciante primache il suo signore si ponghi a tavola, la mente mia è sempre stata ed è di voler ragionare secondo il stile della corte di Roma, capo di tutte l’altre corti del mondo in quanto alla cerimonia, e così, seguitando l’ordine mio, dico che, havendoti il tuo signore dato questo officio, che gli è segno certissimo che lui si confida molto in te, e però devi con ogni diligenza stare avertito a tutte quelle cose che toccano di farsi al vero e diligente trinciante.
Deve adunque il trinciante nell’hora del mangiare ritrovarsi nella sala, overo dove il suo signore è solito di mangiare, con la sua cappa overo con una robba intorno, o vogliamo dire cappotto, perché, comparendo altrimente, le farebbe vergogna. Venuta che sarà l’hora deputata del mangiare e che la tovaglia sarà posta sopra la tavola e che il scalco sarà andato alla cucina, allora il trinciante deve andare alla credenza e dal credenziere farsi dare il tondo col
pane del suo signore acconcio, con tutte l’altre cose necessarie, secondo si costuma di fare; e quello, così coperto, lo deve portare in tavola e porre al luoco suo solito; e dipoi farsi portare il tondo dove sono li suoi coltelli, acconci nel modo che io dissi di prima, il quale si deve ponere in tavola a fronte il tondo del
pane del signore, overo in capo di tavola, acciò che, quando saranno portate le vivande, se ne possa fare la credenza alla
presenza del signore, ché, essendo il trinciante in altra parte, non staria bene, e per questo se concede uno delli due luoghi al trinciante.
Posti che saranno li due tondi in tavola così coperti, il trinciante si deve andar trattenendo sino a tanto che il scalco venga dalla cucina con la vivanda, la quale come sia venuta, il trinciante si deve venire accostando alla tavola, scoprendo il tondo dove sono li cortelli, e con grazia pigliare la sua salvietta e così piegata per il longo buttarsela su la spalla manca; dapoi deve pigliar la forcina e il cortello picciolo nelle mani, e di mano in mano, alla presenza del scalco, far scoprire tutte le vivande, facendone fare la credenza da quello che l’averà portata, senza avere riguardo a persona sia di che grado si voglia, benché questa usanza del farsi fare la credenza li principi la sogliono fare per due cause: l’una per ceremonia, l’altra per il sospetto che hanno del veleno. Ma infelice quel principe che di continuo vive con questo timore! Ma all’incontro è gran felicità di quel signore che si trova al suo servizio servitori fideli e amorevoli, e perciò ogni signore dovrebbe donarli, accarezzarli e remunerarli per mantenerseli tali. Ma se tutti li principi fossero amati, e si può quasi dire adorati, da’ sudditi e da’ servitori suoi, come è il duca
9v d’Urbino, non farebbe di bisogno farsi fare tante credenze; e se pure la facessero, sarebbe più per pompa che per necessità. Fatto dunque far la credenza di tutte le vivande, farai di nuovo ricoprire ogni cosa come prima, ritornando la forcina e il coltello al suo luogo; ma perché il scalco è lui quello che deve andare a fare intendere che la vivanda sarà posta in tavola, l’officio del trinciante, come confidente, sarà di non partirsi mai dalla tavola né manco lassarvi accostar nissuno, sino a tanto che ’1 signore sarà venuto e postosi alla tavola; né manco si deve mai partire sino che non sarà finito di mangiare, perché, così come il trinciante è quello che nel principio del mangiare deve portare il tondo del
pane del suo signore, così deve essere il trinciante quello che lo levi nel fine del mangiare; e quel
pane che avanza, il trinciante se lo deve pigliare, sì per pervenire a lui come per una certa reputazione che porta seco, sendo avanzato alla bocca del suo signore. Non deve dunque partirsi il trinciante dalla tavola nè abbandonare le vivande di vista sino che il suo signore non sarà posto a tavola et ancora finito di mangiare, come dissi di sopra.
CAP. X. QUAL SIA L'OFFICIO DEL TRINCIANTE, POSTO CHE SIA IL SUO SIGNORE A TAVOLA.
Venuto che sarà il tuo signore dove si mangia, non voglio già che tu faccia come io ho veduto fare alla corte d’Urbino, che nell’hora del mangiare il trinciante si parte dalla tavola e lassa le vivande a beneficio di fortuna e vassene alla credenza, e piglia il bacile e boccale, e viensene a dar l’acqua alle mani al suo signore, e poi ritorna l’uno e l’altro alla credenza ancor che sia assai lontana; e molte volte aviene che lui ritorna e trova che ’1 suo signore sarà posto alla tavola e altri haveranno fatto quello che tocca veramente di fare al trinciante, come tu intenderai. E che sia il vero, che non tocca al trinciante il dar l’acqua alle mani, vedasi nella corte di Roma e particolarmente in quella del supremo prencipe , che tocca sempre al coppieri di dar l’acqua alle mani prima e dopo il mangiare; dove che, facendo questo officio il trinciante, non verebbe ad osservare quello ch’io dissi, di non lassar mai la vivanda di vista, posta che sarà in tavola, fin che il signor non sarà posto a sedere.
Venuto adunque il suo signore e postosi a sedere, l’officio del trinciante sarà di accostarsi alla tavola dove sono i tuoi cortelli e, voltandoti con la faccia verso il tuo signore, levandoti la tua beretta di capo, farai con grazia la tua riverenza, ritornandoti a ricoprire subito per poter maneggiare tutte due le mani; perché così comporta il grado di questo officio, di servire col capo coperto, se però il tuo signore non facesse come molte volte io ho veduto fare a certi signori, li quali per essere giunti a un grado dove forse non vi pensarono mai, non vogliono per conto alcuno che se le parli, né che se li faccia alcun servizio, se non
10r col capo scoperto, e vogliono essere poco meno che adorati; ma questi tali dovrebbero imitare il re di Francia, alla presenza del quale è lecito ad ognuno di stare col capo coperto, salvo quello con cui Sua Maestà si degnerà di parlare, perché la grandezza d’un principe non consiste, in giudizio mio, in questa cerimonia di non voler che se li parli se non con la beretta in mano, ma sì bene nell’essere principe giusto, amorevole e liberale. Ritornato che tu haverai la beretta in capo, tu scoprirai prima il tondo del
pane del tuo signore, e così scoprirai tutte le vivande, acciò che il signore possa vedere quella che più li piacerà e da quella cominciare a mangiare. Sendo dunque scoperte tutte le vivande della propia portata e avendo poi a venire la seconda, ne farai fare la credenza come facesti la prima volta. Quando tu haverai tutte le vivande sopra la tavola, sarà tempo che tu cominci a maneggiare.
Mi presuppongo adunque che sopra la tavola vi sieno di tutte le sorte di vivande che si costumano di mangiare alla tavola de’ gran signori, volatili e non volatili, salvatiche e domestiche, così di due piedi come di quattro piedi, cotte e acconce in diversi modi, e di tutte le qualità di pesci così di acque dolci come salse, e di tutte le sorti e qualità di frutti; le quali per esser molto differenti, vanno ancora imbroccate e trinciate differentemente, come da me intenderai. E acciò che tu non possi fallire, io ti mostrerò di mano in mano la robba che tu dovrai trinciare, e le forcine e cortelli che dovrai adoperare. Ma nota che sebene io mi sono offerto di mostrarti come s’imbroccano e come si trinciano tutte le cose, che io non voglio già essere obligato di dirti quanti colpi di cortello si devono dare in un pezzo di carne di vacina per trinciarla minuta o spolverizzata, né quanti ossi o nervi sono in un piede di porco, nè meno quante spine sono in una laccia, perché a me non pare che torni al proposito nostro; né meno dirò di voler fare le maraviglie, come hanno fatto alcuni di questa professione, quali si sono vantati di volere con la forcina e cortello levare tutte le spine ad una laccia; e imbroccare una porchetta con la forcina e levarla in alto, smembrandola tutta senza sbroccarla mai; e di volere imbroccare un mellone e, senza sbroccarlo, far cadere le fette ad una ad una spicchiatea dalla scorza e ponerle sopra li tondi; e far certe altre cose simili: dove che questi tali, quando sono poi venuti alla prova, non sono riusciti. Sì che da me non aspettare di sapere che io ti mostri nissuna di queste cose, perché a me non mi basta l’animo di saperlo fare; ma solo ti dirò che tutti li animali di prima hanno la medesima congiuntura e che tutti vanno imbroccati nelle reni, volendoli trinciare sopra la forcina, e vi vanno dati più colpi e manco, secondo la grandezza e qualità di essi e secondo quante parti ne vorrai fare. Li animali poi di quattro piedi sono ben differenti d’ossi e di carne, e perciò vanno imbroccati e trinciati differentemente, come ti mostrerò. Volendo adunque noi dar principio, come dissi, di trinciare alla presenza del tuo signore, per non mettere ogni cosa in confusione sarà
10v bene che noi cominciamo dalli animali volatili e poi seguitaremo per ordinee di mano in mano l’altre cose; ma perché di tutte le sorte di animali non vi è nessuno di più prezio o stima che il pavone, però cominciaremo da quello.
CAP. XI. IL MODO CHE DEVE TENERE IL TRINCIANTE NE VIMBROCCARE E TRINCIARE TUTTI LI ANIMALI VOLATILI MA PRIMA DIREMO COME S’IMBROCCA E COME SI TRINCIA IL PAVONE.
Dovendo io prima mostrare come s’imbrocca e come si trincia un pavone, io voglio ancora che tu sappi che gran differenza si trova da un pavone giovane, frollo e ben acconcio da uno vecchio duro e mal cotto: l'uno per la bontà sua lo potrà con molta facilità imbroccare e trinciare, ma l’altro per la sua durezza malamente lo potrà trinciare né dividere; e non solo il pavone, ma qual altra cosa si voglia, quando la non sarà frolla e bene acconcia dal cuoco, non pensare di fartene onore; e sebene alla tavola del tuo signore vi saranno di molte vivande, non sono però tutte buone per trinciare sopra la forcina, e perciò bisogna che il trinciante abbia questo giudicio, di saper conoscere l’una dall’altra.
Hora, per tornare a dire del pavone, dico che essendo tu posto al luogo tuo, con la salvietta in spalla, avendo poi il tondo de’ cortelli dalla tua banda diritta per aver quelli più commodi alla mano, tu piglierai il piatto dove sarà dentro il pavone e quello accomoderai a canto di te, dalla tua banda manca, voltando il collo del pavone verso la tua mano diritta e li piedi in fuora; ponendoti uno o due tondi sotto l’orlo del piatto a fronte di te, quali saranno per farvi cadere dentro la carne del pavone overo ogni altra carne quando tu la trincerai, ponendo cura di avere sempre a canto di te uno che ti proveda di tondi, acciò che a te non faccia bisogno di voltarti intorno per cercare chi te ne prove da, né manco partirti dalla tavola, perché l’uno e l’altro non starebbe bene e farebbe brutto vedere.
Avendo accommodato il piatto del pavone, come dissi, tu ti ponerai con li piedi pari, stando giusto con la persona al tuo segno; tu piglierai con grazia la forcina et il coltello grande nelle mani, tenendo l’uno e l’altro nel modo che dissi prima; senza piegarti da nissuna banda tu ponerai la punta della forcina sopra il pavone, e dipoi tu cacciarai la punta del cortello dinanzi, sotto il collo, facendola entrar dentro quattro dita, e poi aiutandoti con l’una e l’altra mano tu volterai il pavone con il petto di sotto et il groppone di sopra. In dui altri modi potrai imbroccare il pavone: l’uno sarebbe di porre la forcina dalla banda di dietro facendo entrare li branchi per il mezo del codirone, spingendo tutta la forcina dentro sotto il filo del groppone,
11r di sorte che alciando il pavone in alto il collo venghi ad essere volto di sopra e i piedi di sotto; e l’altro modo d’imbroccarlo sarebbe di porre la forcina sopra il collo del pavone, facendo entrare li branchi fra le due spalle, e ch’il collo resti attaccato nel mezo delli branchi della forcina, spingendo quelli tanto dentro della punta della forcina che arrivi nella punta dell’osso del petto, di sorte che levando il pavone in alto il collo verrebbe a restare di sotto e li piedi volti di sopra. Queste due sorte d’imbroccare si possono fare in ogni sorte d’uccelli grossi, ma non sarà mai possibile che quelli si possano mai trinciare né dividere con quella facilità che si farà imbroccandoli nelle reni come tu intenderai. E lasciando i due modi suddetti, solo diremo di quello delle reni.
Avendo dunque volto il pavone, come dissi, con il groppone di sopra, tenendo sempre ferma la punta del cortello dove ponesti, volterai la punta della forcina all’ingiù senza piegar la testa, tu imbroccherai il pavone nel mezo delle reni, fra le spalle e il groppone, ponendo uno de’ branchi della forcina ch’entri dalla banda dritta e l’altro dalla banda manca, spingendo poi la forcina per il dritto all’ingiù, tanto che li branchi arrivino alla punta dell’osso del petto del pavone; e questo si fa acciò che quello si tenghi più fermo nella forcina, perché non solo il pavone ma qual altra cosa si voglia che tu haverai nella forcina, se non sarà imbroccata giusta e ben ferma, quella ti ballerà sopra la forcina, di sorte che tu sarai forzato d’imbroccare di nuovo, il che farebbe brutto vedere e parerebbe che tu non avessi havuto giudizio di saperla imbroccare la prima volta; e per questo si dice che la punta de’ branchi deve entrare da basso nell’osso del petto, acciò che il pavone stia più fermo.
Imbroccato che sia il pavone, con bona grazia tu lo leverai in alto, aiutandoti con la punta del coltello per darvi più grazia, tenendo sempre quello fermo in alto con la mano sola della forcina, senza posarlo mai, se tu potrai, fino che arai finito di trinciarlo tutto, overo quella parte che ti farà bisogno. Ma perché il pavone è uccello molto grosso e per la grossezza sua è molto difficile il tenerlo sollevato sopra la forcina, io voglio per due cause che tu gli lievi prima il collo e le due cosce: l’una per sgravarti la mano di quel peso, l’altra perché alla tavola de’ principi non si suol servire del collo nè delle cosce.
Volendone adunque levare le cosce, tu volterai il pavone perfianco, facendo che la gamba dritta venghi a restare di sotto e che li piedi guardino verso la tua mano diritta et il collo verso la tua banda manca; facendo piegare un poco il pavone innanzi verso il tuo signore, tenendo ferma la forcina, tu spingerai la punta del coltello sotto l'ala diritta, con il taglio volto all’ingiù tu darai un taglio alla coscia diritta dalla banda di dentro, entrando bene col taglio del cortello a canto l’osso della coscia, affondando ingiù sino acanto l’osso del groppone; levando poi il coltello tu volterai un poco il groppone verso la tua mano diritta, e col taglio del cortello verso la tua mano manca tu darai l’altro
11v taglio alla medesima cossa dalla banda di fuori, entrando bene sempre col taglio acanto l'ossa della coscia, affondando bene l’uno e l’altro taglio sino all’osso del groppone; e questo si fa acciò che la coscia si levi più facilmente; e perché
resta ancora più carne della coscia attaccata al groppone, dato che tu averai li due tagli alla coscia diritta, tu ponerai la punta del coltello dalla banda di fuori della detta coscia nella polpa, sotto la congiontura della coscia e sopracoscia, facendo entrarla tanto dentro che tu senti che basti; avendo il taglio del coltello volto verso la tua persona, tenendo ben ferma la forcina, voltando il coltello verso te, ne leverai la coscia facilmente per li dui tagli datili prima, la qual coscia così sopra la punta del coltello con grazia ponerai nel medesimo piatto del pavone. Fatto questo, tu rivolterai di nuovo il pavone per fianco con la banda manca di sopra, e che il piede guardi di sopra un poco verso la tua banda manca, facendo piegare un poco il pavone innanzi per accomodarlo al taglio del coltello; poi tu spingerai la punta del coltello col taglio all’insù, entrando con esso sotto l'ala manca tu darai il suo taglio alla coscia manca dalla banda di dietro, entrando bene col taglio a canto Posso della coscia, affondando poi il taglio del coltello all’ingiù sino all’osso del groppone. Dipoi tu volterai un poco il pavone col piede su diritto e col taglio del cortello volto da basso tu darai il secondo taglio alla coscia manca dalla banda di fuora, entrando ben col taglio sino acanto l'osso della coscia, affondando bene il taglio sino al groppone, tanto che tu senti che la coscia sia quasi spiccata; levando poi il coltello, tu ponerai la punta di giuso nella polpa sotto la congiuntura della coscia e sopracoscia, dalla banda di fuora, entrando bene dentro tanto che ti basti; tenendo poi ferma la mano della forcina, tu volterai la punta del coltello in fuora; girandola all’ingiù verso te, tu ne leverai con molta facilità la coscia manca, la quale con grazia con la punta del coltello farai cadere nel piatto del pavone.
Levato che arai le due cosce, volendo levare il collo tu abbasseraila mano della forcina, tanto che ’1 collo del pavone tocchi nel piatto e che il groppone guardi di sopra, ponendo poi il taglio del coltello sotto la tua mano della forcina sopra il collo del pavone, calcando quello all’ingiù sopra esso collo; alzando in alto la forcina e maneggiando il pavone, il collo si spiccherà facilmente facendolo restare nel piatto del pavone.
Levato che tu averai il collo e le due cosce, il pavone ti resterà più leggero sopra la forcina, dove con più facilità lo potrai tenere e dividere; ma nota che il pavone, per esser molto grosso di ossi e di polpa, se ne potrebbono fare di molte parti, ma perché il trinciante, per sufficiente che egli sia non potrà servire a più di sei persone, volendole servir bene e far sì che tutte le cose che lui trincerà habbino li suoi colpi alle congiunture e luoghi ordinari (perché molta differenzia si trova dal trinciare all’accennare, perché alcuni cignano col coltello e non tagliano), ma se il trinciante vorrà servire come si deve, dico che non potrà servire a più di sei persone.
12r Adunque del pavone tu ne farai solo sei parti, senza servirti del collo né delle cosce, nel modo che tu intenderai.
Voglio dunque, così come tu cominciasti dalla banda dritta per levarne le cosce, parimenti che tu vadi seguitando dalla banda dritta per trinciare il resto del pavone; tenendo sempre quello levato in alto tu volterai il pavone col groppone di sotto, spingendo quello innanzi verso il tuo signore, e col taglio del coltello volto di sotto tu darai il suo taglio alla congiontura della punta de l’ala, ponendo la punta del coltello in essa dalla banda di fuora; rivoltando la punta del coltello e girandola intorno, la farai cadere nel tondo ch’io dissi che tu ponessi sotto l’orlo del piatto; dipoi tu volterai il petto del pavone verso la tua banda diritta, facendo che il collo che sarà di sopra stia un poco volto in fuora verso il tuo signore, e col taglio del coltello volto all’ingiù tu darai un taglio per il lungo del pavone, incominciando di sopra a canto la spalla diritta, tenendo giù sino al fianco, affondando bene il taglio del coltello sino all’osso. Questo taglio per il lungo, datoli in quel luogo, se li dà quando che del petto del pavone se ne voglia fare le fette larghe e sottile, così come voglio che tu facci ora. Dato che tu arai questo taglio per il lungo dalla banda diritta, tu piegherai un poco il pavone verso la tua mano diritta sopra il tondo.
facendo tuttavia che il collo guardi in fuora; poi col taglio del cortello volto verso la tua mano manca e per il lungo della punta del petto, entrando gentilmente, tirando il taglio verso te all’ingiù, tu ne taglierai quattro fette sottili del petto, facendole cadere sopra il tondo che tu arai sotto la mano; spingendo poi il pavone inanzi, facendo che il petto guardi il tuo signore, e col taglio del cortello volto airingiù, tu darai un taglio alla congiuntura dell’ala diritta, entrando tanto che tu senti che quella sia quasi spiccata di netto; ponendo poi la punta del coltello in essa, quella leverai, facendola cadere sopra il medesimo tondo; poi con la punta del cortello tu piglierai gentilmente un poco di sale, alzando un poco la mano in alto, e con grazia lo butterai sopra l’orlo del tondo, avertendo di non butarlo sopra la tavola, che oltre che sarebbe brutto vedere, si suol dire esser tristo augurio il spargere il sale sopra la tavola; il qual tondo lo leverai poi con la mano del medesimo coltello e lo ponerai dinanzi al tuo signore, overo lo darai ad un gentiluomo che glielo dia, avvertendo sempre di tenere il pavone levato in alto, se sarà possibile. E questo ti basterà per avere fatto il primo tondo con la punta dell'ala, l'osso dell’ala e di quattro fette sottili del petto.
Volendo fare il secondo tondo, tu ritornerai con la tua persona al tuo segno, voltando il pavone per fianco, cioè che il groppone guardi verso la tua mano dritta e che il collo guardi verso latua mano manca, avvertendo poi che attaccato al groppone vi deve restare di molta carne di quella della cossa, la quale io ti feci lassare a posta quando tu desti li dui tagli alla cossa diritta; e tenendo ben ferma la forcina tu trinciarai quella carne sottilmente e la farai cadere
12v nel tondo che tu devi havere sotto la mano; voltando poi il groppone verso di te, tu volterai il taglio del coltello verso la tua mano manca, taglierai quattro fette sottili del petto del pavone, facendole cadere nel mezzo del tondo; poi spingerai il pavone innanzi verso il tuo signore voltando il groppone di sopra, e col taglio del coltello volto all’ingiù tu darai un taglio alla congiuntura del groppone dalla banda diritta, entrando bene a basso, tanto che tu senti che quello sia staccato; tirando poi il cortello verso te, senza levarlo, farai entrare la punta in quel buco della parte diritta del groppone dove suole stare attaccata la cossa, e come tu sentirai che la punta sarà entrata tu tenerai ben ferma la forcina; rivoltando la punta del coltello verso te dalla banda diritta, tu ne leverai facilmente la parte diritta del groppone, e così sopra la punta del coltello la ponerai con grazia sopra il tondo; ma sempre hai d’avertire che la robba che tu ponerai sopra li tondi vi sia posta con garbo perché farà parere il tondo assai più bello. Fatto questo tu piglierai di nuovo il sale con la punta del coltello e lo butterai come prima sopra l'orlo del tondo, il quale di tua mano o d’altri lo farai porre dove farà bisogno. E questo basterà per il secondo tondo, fatto di quella carne della cossa che restarà attaccata al groppone, di quattro fette del petto e della parte diritta del groppone.
Volendo fare il terzo tondo io voglio che tu volti il pavone col groppone di sopra e che guardi un poco verso la tua banda manca e la parte del collo verso la tua mano diritta; poi col taglio del coltello volto verso la tua mano manca tu darai il suo taglio alla punta dell’ala manca; ponendo poi la punta del coltello nel mezzo di essa, rivoltando il coltello in su, girando verso te, tu ne piglierai la punta dell’ala, la quale con grazia farai cadere nel tondo che tu haverai per tale effetto sotto la mano; voltando poi un poco la mano della forcina, farai che il groppone guardi di fuori verso il tuo signore e il collo verso te all’ingiù, e col taglio del cortello volto da basso tu darai un taglio per il lungo del fianco, cominciando di sopra a canto il groppone, venendo sino alla punta della spalla, affondando bene il coltello da l’un capo all’altro sino all’osso del scaramasso4; e questo taglio ancor lui se li dà per poterne con più facilità levare le fette del petto; voltando poi il taglio del coltello verso la tua mano manca, tu entrerai con esso gentilmente nel petto del pavone e ne taglierai quattro fette da l’un capo all’altro, larghe e sottili, le quali farai cadere nel mezo del tondo; tu spingerai dipoi il pavone innanzi voltando quello che il groppone guardi di fuora verso la tua banda manca e il collo verso la tua mano diritta, e con il taglio del coltello volto verso la tua mano manca tu darai il suo taglio alla congiuntura dell’ala manca, entrando tanto dentro che tu senti che quella sia spicca; ponendo la punta del coltello in essa tu la farai cadere nel tondo, facendo che ogni cosa sia ben compartita; e poi con buona grazia tu vi butterai con la punta del cortello il sale, dandolo dove farà bisogno.
13r E questo bastarà quanto al terzo tondo fatto della punta dell’ala e de quattro fette del petto della banda manca e de l'osso della spalla. Volendo fare il quarto tondo tu volterai il pavone con il groppone di sotto, ma che pieghi un poco verso la tua mano dritta e col taglio del coltello verso la tua mano manca; passando con il coltello sino a mezo la lama innanzi, tu darai un taglio atraverso alla forcella; voltando in un medesimo tempo il pavone con il groppone di sopra, alzando la forcina in alto, calcando il coltello da basso, tu ne spiccherai la forcella del petto e quella farai cadere nel tondo che tu averai sotto la mano; dipoi tu spingerai il pavone innanzi, voltando il groppone di sopra, ma che guardi un poco in fuora, e con grazia tu piglierai tutta quella carne della cossa che restò attaccata alla parte manca del groppone in fette sottili, facendole cadere nel medesimo tondo; voltando poi la parte manca del petto verso te, ne taglierai due o tre fette sottili di quello e le farai cadere nel medesimo tondo. E questo tondo fatto della forcella del petto e di quella carne della cossa che
resta attaccata alla parte manca del groppone, con tre fette del petto, crederò che basterà per farne il quarto tondo, sopra il quale tu vi butterai il suo sale e lo servirai dove sarà più bisogno.
Volendo fare il quinto tondo, tu volterai il pavone con il groppone di sopra e con il taglio del coltello volto all’ingiù tu darai un taglio alla congiontura del groppone dalla banda manca, entrando bene tanto che tu senti che quella sia staccata; tirando un poco il cortello verso te, senza levarlo, tu farai entrare la punta nella parte del groppone dove sarà un buco, dove suole stare attaccata la cossa manca; come tu sentirai che la punta sarà entrata, tu tenerai fermo la forcina voltando la mano del coltello verso te: tu ne leverai la parte manca del groppone, la quale con la punta del cortello farai cadere nel tondo che tu haverai sotto la mano; voltando poi il petto del pavone verso la tua banda diritta, voltandolo dalla banda dritta di sopra, e ne taglierai altre due fette del petto; rivoltando poi la parte manca di sopra e ne taglierai due fette sottili del petto, facendole cadere nel medesimo tondo; voltando poi il collo di sopra et il codirone di sotto, e con il taglio del coltello volto all’ingiù, tu darai un taglio tra il collo e la spalla manca; alzando la mano tu caccerai la punta del coltello in essa spalla; tenendo ferma la forcina, piegando il coltello in fuora ne spiccherai l'osso dalla spalla dalla banda manca, facendola cadere nel medesimo tondo; e buttandovi il suo sale lo farai servire dove a te piacerà. E questo basterà per averti mostro come si debba fare il quinto tondo, fatto della parte manca del groppone, di due fette del petto della banda diritta e due altre fette della banda manca e dell’osso della spalla manca.
Volendone fare il sesto e ultimo tondo, tu volterai il collo di sopra e
13v darai col taglio del cortello volto all'ingiù un altro taglio tra il collo e la spalla diritta; tenendo ben forte la forcina, piegando il cortello, tu ne farai spiccare la spalla; ponendo la punta del cortello in essa tra il collo e la spalla, quella ne leverai facendola cadere nel mezo del tondo che tu arai sotto la mano; voltando poi il petto di nuovo verso la tua mano diritta, voltandolo da qual parte più ti piacerà, ne taglierai tutto il resto della polpa fette sottili, facendole cadere nel medesimo tondo; dipoi tu abbasserai mano della forcina, facendo che il codirone del pavone tocchi nel piattoi ponendo il taglio del coltello drieto sotto li branchi della forcina sopra l'osso del codirone, calcando la mano della forcina e quella del cortello in un medesimo tempo sopra il piatto, e il codirone si spiccherà facilmente, ponendolo ancora lui nelmedesimo tondo; e buttandovi con la punta del coltello il suo sale tu lo farai servire dove sarà necessario. E questo sarà per havere inteso come si deve fare il sesto e ultimo tondo de l'osso della spalla diritta e del resto della polpa del petto da tutte le due bande e del codirone, lasciando stare il scaramasso del petto e delle reni, che quelle resteranno sopra la forcina; le quali, finito che saranno di fare le sei parti, tu volterai la punta della forcina da basso, dando con la costa del coltello sopra esso tu desimbroccherai quella parte del pavone che ti
resta sopra la forcina, la quale farai restare nel piatto; nettando poi la tua forcina e cortello con la salvietta che tu arai sopra la spalla.
Ma nota che sebene io dissi che non devi mai abbassare nè posare quella robba che tu haverai sopra la forcina sino che haverai finito di trinciare tutta quella parte che ti farà bisogno, che si deve sempre intendere condizionatamente, come verbigrazia se per sorte quella robba che arai sopra la forcina fusse tanto grave che tu non la potessi tenere, overo che il grasso di quella fosse calato giù per la forcina e ti avesse onta la mano, sì della forcina come del coltello, di sorte che tu fossi forzato di posarla. In uno di questi casi io voglio che ti sia lecito di abbassare la mano della forcina e posare la robba nel piatto, ma farlo con galanteria, di sorte che paia che tu ti vogli nettar le mani, levare un tondo, overo mutare un piatto da luogo a luogo e simili altre cose, acciò non paia che tu abbi stracca la mano. Ma se tu haverai il polso tanto gagliardo che tu possi tenere di continuo levato in alto un pavone, un gallo d’india, una grue o qualche altra cosa grave, sino che tu haverai finito di trinciarla, non è dubbio alcuno che sarà più bel vedere e ne saresti laudato da ognuno; e per questo devi con ogni tuo potere sforzarti di non abbassare mai senon per forza. E questo credo che dovrà bastare in haverti mostro come si divide il pavone giovine, frollo e bene acconcio dal cuoco. Del pavone vecchio poi, duro e mal acconcio, io non ho voluto parlarne, ma se per sorte te ne sarà posto inanzi un tale, senza imbroccarlo o levarlo in alto, tu farai al modo francese, overo
14r todesco, ponendoli li branchi della forcina nel petto o in altra parte, dove ti tornerà più commodo, tagliando di quello in fette sottili o come ti piacerà, servendoti solamente del petto, e il resto manderai via; così io voglio che tu facci di tutte quelle cose che conoscerai non ne potere havere honore. Del pavoncino giovane, cioè il pollastro che va smembrato sopra la forcina e non diviso, io ne parlerò in altro luogo, ma ora per seguitare l’ordine nostro noi diremo come si trincia il gallo overo gallina d'India.
CAP. XII. COME SI TRINCIA IL GALLO D’INDIA.
Il gallo d’india è uccello domestico venuto pochi anni sono in Italia. Questo uccello è grande d’ossi e di polpa e ancora di bontà e prezio simile quasi al pavone, e per questo vanno ancora trinciati in un medesimo modo, dove che facilmente si potrebbe restare di1 ragionare di questo uccello; avendo io ragionato molto a lungo ho voluto ancora dire così del gallo d’india come de tutte l’altre sorte di uccelli; ma pur io non ho voluto restare di ragionarne accioché se in qualche cosa io avessi mancato nel pavone possi supplire nel gallo e acciò che tu sappi che ancora l’uno e l’altro si possino trinciare in altri modi differenti di quello che io ragionai del pavone.
Seguitando dunque l’ordine nostro dico che, volendo trinciare il gallo d’india, tu piglierai la forcina e il cortello grande, tenendo l'uno e 1'altro nelle mani nel modo detto di sopra, pigliando poi il piatto dove sarà dentro il gallo; e quello ponerai dalla tua banda manca, facendo che li piedi guardino verso la tua mano diritta e che il collo guardi verso la tua banda manca; ponendo poi la punta del cortello dalla banda di dietro sotto il codirone del gallo»61 al contrario di quello facesti nel pavone, facendolo entrare tanto dentro che ti basti, aiutandoti sempre con la punta della forcina, tu volterai il gallo col groppone di sopra, imbroccando quello al luogo suo ordinario nel mezzo delle reni, spingendo bene la forcina da basso tanto che tu senti che li branchi siano attaccati bene nell’osso del petto, acciò che, nel levarlo in alto, quello non ti balli sopra la forcina. Imbroccato che lo arai, tu ti ponerai giusto con la persona al tuo segno, levando il gallo in alto con grazia, voltando li piedi di sopra e il collo di sotto, ma che guardi un poco verso la tua mano diritta; ma nota che, così come nel pavone io ti fece cominciare alla cossa diritta, che ora io voglio che nel gallo tu cominci alla cossa manca; e così come del pavone io volsi che tu ne facessi sei parti equali, che ancora del gallo non voglio che tu facci altro che una sola parte, che sarà il trinciarlo tutto nel medesimo piatto che haverai sotto la mano.
Benché questo modo di trinciarlo tutto in un piatto non si soglia costumare, pur io voglio che tu lo faccia, acciò che tu sappia come si smembra un pavone o gallo d’india sopra la forcina alto dal piatto, o qualche altro uccello grosso, senza abbassare mai la forcina, perché sapendo tu trinciare il gallo bene, overo il pavone, tu saprai ancora trinciare bene ogni altra qualità d’uccelli; dove sarà poi in arbitrio tuo di farne quante parti a te piacerà, e ancora cominciare da qual banda ti tornarà più commodo, senza osservare regola o ordine alcuno; ma per ora tu tenerai l’ordine che tu intenderai.
Avendo tu il gallo sopra la forcina spinta innanzi, col collo di sotto, che guardi un poco verso la tua banda diritta, e col taglio del cortello volto in sù, tu darai il suo primo taglio alla cossa manca dalla banda di drento, voltando poi un poco il gallo per accomodar quello al taglio del cortello, col quale tu darai l’altro taglio alla cossa manca dalla parte di fuora, alzando poi la mano diritta in alto, voltando la punta del cortello da basso, ponendola nella polpa della cossa dalla banda di fuori tanto che basti; tenendo ben ferma la forcina, voltando la punta del cortello all’in giù verso di te, tu ne leverai la cossa manca facilmente, la quale con galanteria ponerai nel piatto del gallo, che tu devi havere sotto la mano; e senza movere la mano del gallo, tu darai il suo taglio alla punta dell’ala, ponendo la punta del cortello nel mezo di essa; rivoltando quello intorno, la leverai facilmente, facendola cadere nel medesimo piatto. Dipoi tu volterai il gallo con il collo di sopra 62e 1i piedi da basso e con il taglio del cortello volto all’ingiù entrerai sotto Pala diritta, dando il suo taglio alla cossa dirittU dalla banda di dentro; e dipoi, col taglio del cortello volto cP sopra, darai Paltro taglio alla cossa diritta della banda di fuora ponendo la punta del cortello dalla banda di fuora nella polpa della cossa, quella leverai con molta facilità per li dui tagli datoli di prima, la quale ancora la farai cadere nel medesimo piatto dipoi, col taglio del cortello volto all’ingiù, tu darai il suo taglio alla punta dell’ala, la quale farai cadere nel piatto.
Levato le due cosse e la punta dell’ala, se il collo ti darà fastidio, lo leverai nel medesimo modo ch’io dissi che facessi quel del pavone, overo in altro modo, pur che tu lo facci con grazia. E se bene io mi ricordo, io dissi che del petto del pavone tu ne facessi le fette longhe, larghe e sottili; ora il petto di questo io voglio che lo trinci in altro modo: avendo il gallo volto con il collo da basso e che guardi un poco verso te, col taglio del cortello verso la tua mano manca, sottilmente ne leverai tre o quattro fette di quella superficie del petto dalla banda manca e con la punta del cortello tu le farai cadere nel piatto, facendo che quella parte del petto dalla banda manca resti tutta bianca.
Ricordandoti anco di stare alla tavola con grazia e senza maneggiarti molto e senza affettatione, tu darai di molti colpi di cortello sopra quella parte del petto per il diritto e per il traverso, di modo che l’uno tocchi l’altro, accommodandoti sempre la mano della forcina col taglio del cortello; quando che tu haverai dato tanti colpi che ti basti, tu volterai il taglio del cortello verso te: entrando di sopravia sottilmente col taglio nel petto, tirando all’ingiù, ne farai cadere la carne trinciata minuta nel piatto, tenendo sempre piegata la mano della forcina verso la banda diritta, acciò che la carne trinciata, nel cadere, non ti dia sopra la mano della forcina; e così anderai facendo di mano in mano, sino a tanto che tu haverai finito di trinciare tutta quella parte manca del petto. Dipoi tu volterai il gallo dall’altra banda, facendo che il groppone resti di sotto e il cortello di sopra, piegato un poco di fuora verso il tuo signore.
Questa parte diritta del petto tu la potrai trinciare in molti modi, per essere quello molto grosso di polpa, come dissi prima. Tu ne potresti levare la superficie di sopra sottilmente in fette picciole e sottili, seguitando sempre sino al fine; tu potresti ancora, levata quella superficie, dargli molti tagli del cortello per il 63 longo del petto, lontano uno dall’altro una costa di cortello; voltando poi il taglio del cortello verso di te, entrando nel petto, tirando verso te, ne farai cadere la polpa trinciata in foggia di stecchi per nettare li denti; tu potresti poi darli di molti tagli di cortello per il dritto e traverso, lontani l’uno dall’altro un dito in traverso, di sorte che, trinciandola poi, venghino a cadere le fettoline picciole in foggia di amandolini. Sta poi ne l’arbitrio del trinciante di trinciare in quel modo gli pare delli sudetti, quando però egli sia pratico e sufficiente.
Ora che le due parti del petto saranno trinciate, tu spingerai il gallo inanzi verso il tuo signore e col taglio del cortello volto da basso tu darai li due colpi alle congiunture delle due ale, le quali farai cadere con la punta del cortello nel piatto; rivoltando poi il groppone di sopra, accommodandolo alla mano del cortello, tu ne leverai quella carne che vi restò attaccata quando ne levaste le due cosse; dipoi tu darai li due tagli al groppone, l’uno dalla banda manca, l’altro dalla banda diritta, entrando bene da basso tanto che tu senti che quelli sieno staccati, e poi con la punta del cortello, l’uno di qua e l’altro di là, farai cadere nel piatto, facendo che solo vi resti del groppone il codirone di mezzo. Voltando poi il collo di sopra, tu spingerai il gallo sopra la forcina inanzi e, col taglio del cortello sino al mezzo della lama, darai il suo taglio alla forcella del petto; ponendo la punta del cortello in essa, voltando quella da basso, tu la farai cadere nel medesimo piatto.
Dipoi, pur con il gallo inanzi, tu darai li tuoi tagli alle congiunture delle due osse della spalla, l’una dalla banda diritta del collo e l’altra dalla banda manca; tenendo ben fermo la forcina e piegando il cortello da l’una e l’altra banda, farai cadere l'ossa delle due spalle nel piatto; alzando poi il gallo in alto a mezz’aria, tu darai due colpi di cortello per fianco del scaramasso, aiutandoti con la punta, voltando ora la parte diritta e ora la manca di sopra, tanto che tu vedi che la parte dinanzi sia divisa da quella di dietro; ponendo poi la punta del cortello nel scaramasso del petto, quello leverai della forcina, per li due tagli che li desti prima, e lo ponerai con grazia così con la punta del cortello al luoco suo; abbassando poi la mano della forcina tanto che il codirone si tocchi nel piatto, ponendo poi il taglio del cortello di dietro, cioè sotto li branchi della forcina a traverso del codirone, calcando bene il cortello sopra esso, spingendo la forcina inanzi 64 un medesimo tempo, il codirone si spiccherà, facendolo restare nel piatto; dipoi tu volterai la punta della forcina da basso sopra il mezo del piatto e con la costa del coltello darai con grazia sopra il scaramasso delle reni e quello farai cadere nel piatto, dove sarà il resto del gallo trinciato nel modo detto di sopra. E questo sarà il modo che si deve tenere per smembrare un pavone o gallo d’India sopra la forcina in un sol piatto. E ora seguitando diremo della grue.
CAP. XIII. COME SI TRINCIA UNA GRUE.
La grue è uccello salvatico e maggiore assai del pavone e longhissimo di collo e di gambe e la sua carne è durissima, per il qual rispetto rare volte si sogliono mangiare, e se pur si mangiano bisogna che siano frolle di quindici o venti giorni; e quasi sempre si cuocono arrosto, e li cuochi, quando le vogliono cucinare, li fanno di molte cerimonie1 perché siano buone; e poi del collo, per essere molto lungo, ne fanno un groppo cacciandoli il becco nel petto, e le gambe, che sono longhissime, le intricano di modo insieme che quando poi sono cotte sono difficili a poterle levare col cortello sopra la forcina.
Volendo adunque trinciare la grue, tu piglierai la forcina e il cortello grande, e quanto tu haverai l’uno e l’altro nelle mani, tenendo l’ordine del pavone tu le imbroccherai nel mezo delle reni, facendo che la forcina sia ben ferma in essa; ma prima che tu vadi più innanzi, io voglio che tu sappi che alle tavole de’ gran signori della grue non si suol mangiare altro che il petto, il quale è assai' meglio freddo che caldo, e delle cosce se ne tiene poco conto.
Avendo tu adunque imbroccato la grue con la forcina, tu sentirai se quella sarà grave o leggera: sendo leggera tu tenerai l’ordine del pavone, ma se per la gravezza non la potrai tenere levata in alto su la forcina, la lasserai stare così posata nel piatto; tenendo ben ferma la forcina nella mano tu ne leverai le due cosce, ma avertisci che l’intricamento delle gambe sarà forse tal^ che, sendo cotta la grue, saranno difficili a levare, come dissi prima; però guarda molto bene qual delle due cosce sarà facile a levar col cortello, e quella voglio che tu volti dalla banda di sopra, accommodandoti ancora la mano della forcina; poi tu
entrerai con la punta del cortello da qual banda ti tornerà più commodo, e li darai li dui tagli ordinari alla ditta cossa; ponendo poi la punta del cortello in essa, la leverai; dipoi tu rivolterai l’altra coscia dalla banda di sopra; tenendo sempre la grue nel piatto, tu darai li due tagli a l’altra coscia, quale leverai ancor lei, ponendola nel medesimo piatto. Ora ti
resta di levarne il collo; e se la grue sarà frolla e ben cotta, tu lo leverai facilmente ponendo il taglio del cortello sopra esso a canto le spalle; dimenando la forcina la grue, il collo si spiccherà dal busto; spiccato che sarà, tu ponerai la punta del cortello nella testa della grue, cioè in un occhio, e eschi per l’altro tenendo ben stretta la forcina con la mano; e rivoltando il cortello intorno il becco, si smoverà, et alzando poi il cortello all’insù, tu ne leverai il capo col collo insieme, facendolo restare nel medesimo piatto.
Ora che tu arai levato il collo e le due cosce, se tu vedrai di non la poter levare in alto, tu la lasserai pur ferma nel medesimo piatto, stando con la persona al tuo segno, ponendoti il solito tondo sopra la mano, e rivolterai la grue per fianco, voltando qual parte a te piacerà di sopra; voltando verso la tua banda diritta il collo o il groppone, e col taglio del cortello volto da basso tu darai un taglio per il lungo del petto della grue, dalla spalla sino all’anca, affondando bene il taglio del cortello; voltando poi il taglio verso la tua mano manca, entrando con esso gentilmente nel petto o nella polpa, tirando verso te, ne taglierai le fette sottili, mettendone tre o quattro per tondo, secondo a te piacerà, buttandovi poi con la punta del cortello il suo sale, dando dove ti farà bisogno. E così farai dall’altra banda del petto, che per esser quello molto pieno di carne (come dissi prima), tu ne potrai fare di molte parti; avertendo bene che la grue suole ritornare molte volte in tavola per esser meglio fredda che calda, ogni volta però che non sia guasta di sorte che non si possa mangiare; e quando pur bisognasse che la ritornasse più d’una volta in tavola, tu li leverai una sola coscia, servendoti anco d’una sola parte del petto; ma se la grue sarà leggera di sorte che tu la possi levare e tener sopra la forcina, sarà più bel vedere. E questo ti basterà per haverti mostrato il modo che tu devi tenere per trinciar la grue, servendo ti solo del petto; e sebene alla tavola del tuo signore non ti servirai delle cosce nè d’altre parti, non voglio già per questo che tu le abbi da gittare, perché essendo frolla la grue, tutte le parti si possono mangiare e massime quando sarà ben concia.
CAP. XIV. COME SI TRINCIA L'AIRONE.
Lo airone è ucello salvatico e si sogliono pigliare col falcone; la sua carne è durissima e quasi mai si sogliono mangiare. Questo ucello è minore della grue, ma di collo e di gambe simile, et ancora vanno acconci e cotti come la grue, cioè arrosto.
Volendolo adunque trinciare, piglierai la forcina grande e il cortello mezano; stando con la persona al tuo segno, tu imbroccherai l’airone nelle reni, e per essere questo leggero tu lo levarai con grazia in alto; e perché, come dissi, hanno le gambe intricate l’una con l’altra, le quali sono difficili a levare, potrai vedere qual delle due cosce sarà più facile da levare, e quella volterai con la forcina dalla tua banda diritta; se sarà la coscia diritta tu volterai li piedi di sotto e il collo di sopra, e se sarà la coscia manca tu volterai li piedi di sopra e il collo di sotto, dando poi col taglio del cortello li dui tagli ordinari alla coscia; ponendovi la punta del cortello la leverai, e il simile farai dall’altra banda, spiccandoli poi il collo dal busto, ponendo la punta del cortello nell’occhio in dentro tanto che eschi per l’altro; girando poi la mano del cortello e tenendo ben ferma la forcina, farai voltare il becco cacciato nel petto, e alzando il cortello in alto tu ne leverai la testa col collo insieme e la ponerai nel piatto. Levato che tu haverai le due cosce et il collo, starà poi nell’arbitrio tuo di voltare qual parte del petto ti piacerà, per trinciarlo a modo tuo e per farne anco quante parti ti farà bisogno, servendoti solo della parte del petto, come della grue. E questo basti quanto all’airone, che forse rare volte ti occorrerà di trinciarlo.
CAP. XV. COME SI TRINCIA E DIVIDE UN FASANO, IL QUALE VA DIVISO IN QUATTRO PARTI.
Il fasano è ucello salvatico e è molto buono cotto in diversi modi, pur che quello sia mangiato al suo tempo e sia bene acconcio dal cuoco.
Volendo dunque trinciarlo, tu piglierai la forcina grande e il cortello mezano, ponendoti giusto con la persona. Tu metterai la punta del cortello dinanzi, sotto il collo del fasano, overo di dietro,67 sotto il codirone, che in ognuno di questi dui modi starà bene; voltando poi il fasano col petto di sotto, tu lo imbroccherai nelle reni facendo entrare li branchi tanto da basso che tu intacchi solo con la punta nell'osso del petto, avertendo che non passino molto dentro, accioché quelli non ti impedissero nel trinciare il petto del fasano: imbroccato che tu l’haverai, lo leverai in alto accompagnandolo sempre con la punta del cortello per darvi più grazia; levato che tu l’averai in alto, hai da considerare prima alla quantità delle parti che ne devi fare, che questa parte in un trinciante è bellissima d’aver giudizio nel compartire bene la robba che haverà sopra la forcina, e se per sorte ti bisognasse dividere il fasano in molte parti potrai fare li tondi più deboli1. E per il contrario li potrai fare più gagliardi andando diviso in poche parti.
Del fasano non voglio che tu ne facci più di quattro parti, caso2 che non ti occorri di farne di più, ché in questo caso hai da fare di necessità virtù. Volterai dunque il fasano con il collo di sopra e li piedi di sotto, facendoli piegare verso la tua mano diritta; voltando il taglio del cortello verso la tua mano manca, entrando con la punta innanzi, tu darai il suo taglio ordinario alla coscia diritta dalla banda di fuori, entrando bene col taglio del cortello sotto l’anca fino a canto l’osso del groppone; levandone il cortello, tu spingerai la forcina innanzi, di modo che il petto del fasano guardi verso il tuo signore; entrando con la punta del cortello, col taglio volto all’ingiù, tu darai il suo taglio ordinario dalla banda di dentro, affondando bene il cortello fino all’osso del groppone; tenendo ben ferma la mano della forcina tu porrai la punta del cortello dalla parte di fuori della coscia, nella polpa sotto la congiuntura della coscia e sopracoscia; voltando poi la punta del cortello verso te, ne leverai la coscia facilmente integra, la quale con grazia porrai nel tondo che devi tenere sotto la mano per tale effetto.
Ma nota che se il fasano sarà integro e che tu sia sicuro che non si rompa su la forcina, tu li darai prima il suo taglio alla congiuntura della coscia e sopracoscia, dividendo quella in due parti; ma se il fasano porta pericolo di rompersi, li leverai la coscia intiera, come ti dissi prima; voltando poi il fasano innanzi vero il tuo signore, darai un picciol taglio alla congiuntura della punta dell’ala diritta e con la punta del cortello la farai cadere a basso nel medesimo tondo; volterai poi il petto verso la tua mano diritta; piegando il collo in fuora, tu darai col taglio del cortello 68 volto da basso un taglio per il lungo della spalla a basso; girando un poco la forcina, tu ti accomoderai il fasano al taglio del cortello, col quale, volto verso la tua mano manca, entrerai nel petto del fasano tagliandone quattro fette sottili; le farai cadere nel mezo del tondo, accommodando bene quelle che l’una non sia sopra l’altra, per far parere il tondo più ampio; buttandovi poi il sale sull’orlo del tondo lo darai o farai dare al tuo signore. £ questo sarà in quanto al primo tondo della coscia diritta, della punta dell’ala diritta e di quattro fette del petto della banda diritta.
Volendo fare il secondo tondo, tu volterai il fasano con il collo di sotto e il piede manco di sopra, e spingendo un poco il fasano innanzi, darai li suoi dui tagli alla coscia, l’uno di dentro e l’altro di fuori, accommodandoti sempre la mano della forcina al taglio del cortello, ponendo poi la punta del cortello nella polpa della coscia; girandola verso te, la leverai facilmente per li dui tagli datili di prima e la lasserai cadere nel tondo che tu avrai sotto la mano; dipoi tu volterai un poco il collo del fasano verso la tua mano dritta e darai il suo taglio alla congiuntura della punta dell’ala manca e con la punta del cortello la farai cadere nel medesimo tondo; voltando il collo verso la tua persona con il groppone dalla banda di fuori, col taglio del cortello volto all’ingiù, tu darai un taglio per il lungo da alto a basso; voltando il taglio del cortello verso la tua mano manca, tu entrerai nel petto del fasano e con grazia ne taglierai quattro fette, le quali farai cadere nel medesimo tondo, e buttandovi il suo sale lo darai dove sarà bisogno. E questo ti basterà per il secondo tondo fatto della coscia manca, della punta dell’ala manca e delle quattro fette del petto della banda manca.
Volendo fare il terzo tondo, tu spingerai la punta della forci na innanzi; voltando il collo del fasano di sopra e col taglio del cortello volto da basso, tu darai il suo taglio alla congiuntura dell’ala diritta, facendola con la punta del cortello cadere nel tondo che tu avrai sotto la mano; voltando poi un poco la punta della forcina verso la tua mano diritta, voltando il taglio del cortello verso la tua mano manca, spingendo la mano del cortello innanzi, tu darai il suo taglio a traverso del petto; entrando nella congiuntura della forcella del petto, quella ne taglierai tirando il cortello indietro senza levarlo; facendo entrar la punta dentro nella forcella, voltando in un medesimo tempo il fasano col collo 69da basso, tenendo ferma la forcina, calcando la punta del cortello all’ingiù, tu ne staccherai la forcella del petto, la quale farai cadere nel tondo; dipoi tu spingerai la punta della forcina innanzi, facendo che il petto del fasano guardi verso il tuo signore; col taglio del cortello volto da basso tu darai il suo taglio alla banda manca del groppone, entrando tanto a basso che tu senti che quello sia staccato; poi con la punta del cortello la detta parte manca farai cadere nel medesimo tondo; volterai poi il petto verso la tua mano diritta, col taglio del cortello verso la tua mano manca, tu taglierai quattro fette della polpa del petto, cioè doi fette da ogni banda, girando sempre intorno la forcina, secondo il bisogno, per accommodare il fasano al taglio del cortello, le quali farai cadere nel tondo, buttandovi poi il suo sale, con buona grazia, lo darai dove farà bisogno. E questo basterà per il terzo tondo dell'osso dell’ala diritta, della forcella del petto e della parte manca del groppone, con due fette da ogni banda del petto.
Volendo poi fare il quarto e ultimo tondo, tu spingerai la forcina innanzi, voltando il collo del fasano verso la tua mano diritta e, col taglio del cortello volto verso la tua mano manca, darai il suo taglio alla congiuntura dell’ala manca e con la punta del cortello la farai cadere nel tondo; voltando poi il collo di sotto, col taglio del cortello volto all’ingiù, tu darai il suo taglio alla congiuntura del groppone dalla banda diritta, affondando bene il cortello tanto che tu senti che quella sia quasi spiccata di netto, e con la punta del cortello la farai cadere nel medesimo tondo; voltando poi un poco il petto del fasano verso la tua mano dritta, col taglio del cortello verso la tua mano manca, girando la forcina intorno, secondo che ti farà bisogno, trincerai il resto della polpa del petto da tutte due le bande, facendola cader nel mezo del tondo; voltando poi la punta della forcina verso te, darai un taglio con la punta del cortello da ogni banda delli fianchi e ne spicche rai il scaramasso del petto dalle reni; ponendo poi la punta del cortello neli’osso del petto, lo leverai della punta della forcina, ponendola con grazia nel tondo, abbassando poi la forcina tanto che il codirone del fasano si posi nel piatto; ponendo il taglio del cortello dalla banda di dietro sul codirone a canto li branchi della forcina, calcando il cortello da basso, il codirone si spiccherà facilmente, il quale ancora lui porrai nel medesimo tondo, distendendo bene ogni cosa con la punta del cortello sopra il tondo; buttandovi il suo sale, lo farai dare dove farà bisogno. E questo 70 basterà per il quarto tondo fatto deirosso dell’ala manca, dalla parte dritta del groppone e del resto della polpa del petto, con il scaramasso del petto e il codirone del fasano. Quello che ti resterà sopra la forcina, che sarà il scaramasso delle reni con le due pallette delle spalle attaccato e il collo con esso, tu volterai la punta della forcina da basso sopra il piatto, e ponendo sopra quello il cortello, calcando da basso e tirando la forcina in su, desimbroccherai il resto del fasano, nettando poi con grazia li tuoi coltelli. E questo basterà per sapere dividere il fasano in quattro parti.
CAP. XVI. COME S’IMBROCCA E COME SI TRINCIA UN CAPPONE O GALLINA.
Il cappone è uccello domestico e la sua carne è eccellentissima e sana in ogni stagione, pur che quello sia mangiato frollo e bene acconcio dal cuoco; ma per haverne noi tanta copia non sono tenuti in quella reputatione che si dovrebbe. Il cappone adunque, quando sarà giunto alla sua perfetione, sarà assai più grosso del fasano e il trinciante potrà facilmente farsene honore servendosi di tutte le sue parti, benché alcuno mi potrebbe dire che, avendo io ragionato molto a lungo del pavone e del fasano, che facilmente si potrebbe lassare di ragionarne andando quasi imbroccati e trinciati in un medesimo modo; ma per essere questo uccello a noi tanto caro, utile e sano alli corpi nostri, non ho voluto farli questo torto e non tanto per mostrare come si trincia, quanto per mostrarti un altro modo d’imbroccare.
Io dissi (se bene mi ricordo), quando parlai del pavone, che in dui altri modi si poteva imbroccare senza imbroccare nelle reni; l’uno sarà dalla parte di drieto del groppone e l’altro dalla parte dinanzi sopra il collo; questa parte del groppone noi la lassaremo per non essere molto sicura per molte cagioni ch’io potrei dirti, ma solo diremo al presente il modo dell’imbroccare sopra il collo, non già perché io voglia che molte volte tu imbrocchi di questa maniera, perché non ti riuscirà se non in un cappone o altro uccello sano integro e molto bene acconcio; volendo dunque trinciare il cappone, tu piglierai la forcina grande e il cortello mezano; la forcina grande, dico, per haver quella li branchi lunghi; la 71 quale ti servirà per eccellenza bene in questo modo d’imbroccare, elio che con la forcina mezana non potresti fare.
Avendo dunque tu la forcina e il cortello nelle mani, stando con la persona giusta al tuo luogo, avendo il piatto del cappone dinanzi con li piedi volti verso la tua mano dritta, tu volterai quello con la forcina e con la punta del cortello con il petto di sotto, ponendo poi la lama del cortello sopra il cappone per tenerlo più fermo nell’imbroccarlo; dipoi tu porrai la punta della forcina sopra il collo, facendo che l’uno dei branchi entri dalla banda dritta e l’altro dalla banda manca, facendo restare il collo nel mezo delli branchi, spingendo bene la forcina innanzi per fianco e tanto adentro che tu senti che la punta si attacchi nell’osso del petto, ma che non trapassi dall’altra banda; questo si fa per due cagioni, l’una accioché il cappone stia più fermo nella forcina, l’altra perché, trapassando la punta de’ branchi dall’altra banda, darebbono molto impedimento nel voler trinciar il petto.
Imbroccato che tu avrai nel modo detto di sopra, tu leverai il cappone in alto con grazia, stando giusto con la persona, facendo che li piedi del cappone guardino di sopra e il collo di sotto, il qual toccherà quasi il manico della forcina; ma perché, essendo la parte di dietro di tutti gli uccelli la più debile e la più facile al rompersi, con pericolo di cadere della forcina, voglio che prima tu li lievi le due cosce, le quali, tenendo in quel modo la forcina, le potrai levare facilmente in due modi: l’uno voltando il petto del cappone verso di te e l’altro voltandovi il groppone, e in questo io ti do licenza che cominci da qual banda ti tornerà più commodo; levato che tu avrai le due cosce, tu avrai il cappone netto e leggeri sopra la forcina; se il cappone sarà grosso, frollo e ben cotto, tu ne potrai fare di molte parti trinciando il petto in fette larghe e sottili, e anco minuto o trito: come si fa la carne di vaccina, dando li suoi tagli alle congiunture ordinarie, compartirai Tossa di sorte che ad ognuno ne tocchi, così come della polpa.
Io non mi sono affaticato molto in mostrarti il modo che tu devi tenere nel voltare la forcina e il cortello per trovare le congiunture, per haverne ragionato molto a lungo nel pavone e nel fasano, potendoti governare nel trinciarlo come ti dissi che facessi quelli; o come ti piacerà più di fare, facendone quante parti farà bisogno; e questo basterà ne l’averti mostrato il modo dell’imbroccare sopra il collo, potendo anche a piacer tuo imbroccare nelle reni, il qual modo sarà sempre più sicuro che quello del collo, 72 ogni volta però che sia bene acconcio dal cuoco, ché altrimenti non lo potresti imbroccare nè in questo nè in altro modo; però bisogna che il trinciante abbi giudizio di saper conoscere la robba prima che la imbrocchi e la levi in alto, ché, se poi gli cadesse della forcina, gli sarebbe vergogna grande.
CAP. XVII. COME SI TRINCIANO UOCHE SALVATICHE E DOMESTICHE.
Le oche salvatiche e domestiche sono uccelli grossi e non sono in molto prezzo se non tra contadini, e rare volte se ne mangiano alle tavole de’ principi grandi. Non già per questo voglio restare di ragionarne di esse, acciò se per caso ne fosse posta alcuna in tavola tu sappia il modo che devi tenere nel trinciarla.
Piglierai dunque la forcina grande e il cortello grande e la imbroccherai nelle reni, come si fanno tutti li altri uccelli; facendo che la punta della forcina arrivi all’osso del petto dinanzi; fermandoti con la persona giusta al tuo luogo, tu la leverai in alto con grazia e volterai li piedi di sotto; voltando la mano della forcina in modo che tu accomodi l’uccello al taglio del cortello, darai li dui tagli ordinari alla coscia diritta, ponendo la punta del cortello nella polpa della coscia, dalla banda di fuori; voltando il cortello verso te, la leverai facilmente per li dui tagli datili prima e la farai cadere nel piatto; voltando poi il piede manco di sopra, spingendo la forcina innanzi, darai li altri dui tagli alle congiunture della coscia manca; levando poi quella con la punta del cortello porrai nel medesimo piatto. Levate che saranno le due cosce, tu porrai cura quante parti ne devi fare, e per essere il petto dell’oca molto grosso, ne potrai fare molte parti. Tu volterai adunque l’una delle due parti del petto verso la tua mano diritta, facendo piegare la forcina sopra il tondo che tu devi havere sotto la mano, e col taglio del cortello gentilmente tu ne trincerai il petto in fette sottili, overo lo trincerai minuto, come a te piacerà; e se vorrai accompagnare con esso alcuna partie dell’ossa, tu volterai la mano e la forcina insieme, levandone l’ossa dell’ala o la forcella del petto overo le due parti del groppone, ponendole con grazia con la punta del cortello dove farà bisogno; e questo starà al giudizio del sofficiente trinciante, di farne tante parti quanto a lui piacerà, cominciando e finendo dove più li tornerà commodo. E questo basterà quanto al trinciare l'oca salvatica e domestica.
Avendo io ragionato abbastanza come se imbrocca e come si dividono ogni sorte di uccelli grossi che si costumano di portare intieri alla tavola de gran signori, resterà ora che tu sappia come se imbroccano e come si smembrano tutti li uccelli che vanno trinciati sopra la forcina e non divisi; e prima cominciaremo dal pavoncino o gallo d’india giovane e pollastri piccoli.
CAP. XVIII. COME SI TRINCIA UN PAVONCINO O GALLO D’INDIA GIOVANI POLLASTRELLI
Il pavoncino giovane è uccello eccellentissimo e assai miglio re del pavone vecchio e si costumano molto alla tavola de’ gran signori, e questi si danno quasi sempre integri, cioè smembrati e non divisi.
Volendolo dunque trinciare, tu piglierai la forcina mezana et il cortello mezano; ponendoti con la persona al tuo segno, tu imbroccherai, con buona grazia, il pavoncino nelle reni, levandolo in alto, aiutandolo con la punta del cortello per darvi più grazia; e prima volterai li piedi di sotto e il cortello di sopra, e piegando un poco la punta della forcina verso la tua mano diritta, darai il suo taglio ordinario alla congiuntura della coscia e sopracoscia, ma con tal destrezza che tagliandola non la spicchi; spingendo poi la punta della forcina un poco innanzi, darai li due tagli alla medesima coscia, avvertendo di non affondare tanto il cortello che ne spicchi la coscia dal luogo suo; rivoltando poi il pavoncino con li piedi di sopra, accomodandoti bene con grazia l’uccello di modo che con facilità li possi dare l’altri tre tagli alla coscia manca, ricordandoti pur di fare in modo che non si spicchi la coscia; voltando poi il pavoncino con il collo di sopra darai il suo taglio alla congiuntura delle punte dell’ale da tutte le due bande; tenendo ben ferma la forcina, spingendo il cortello innanzi col taglio darai alla forcella del petto; rivoltando poi presto il groppone di sopra, darai li dui tagli alle congiunture del groppone; rivoltando quello di sotto, spingendo la mano della forcina inanzi, darai li
dui tagli alle palette dalle spalle, l’una dalla banda diritta e l’altra dalla banda manca del collo facendo entrare la punta del cortello dinanzi sotto il collo; alzando il cortello in alto e tirando la forcina da basso, ne disimbroccherai il pavoncino, facendo che ti resti sopra la punta del cortello così smembrato e non diviso, il quale ponerai con grazia sopra il tondo del tuo signore, buttandovi il suo sale. E così farai di mano in mano ogni volta che vorrai smembrare il pavoncino; e occorrendoti anco, o per necessità o per capriccio, di cominciare o finire in altra parte, lo potrai fare, pur che non manchi di darli tutti li colpi che ho detto alle congiunture; e ogni cosa con grazia, nella quale consiste in buona parte la sofficienza d’un buon trinciante. E questo basti per haver ragionato del pavoncino o gallo d’india giovani.
CAP. XIX. COME S’IMBROCCA E COME SI TRINCIA LA STARNA.
La starna è uccello salvatico molto buono, e massime quando è giovane, frolla e bene acconcia, e molto si costuma ne’ gran conviti e per l’ordinario si suol dare intiera, cioè smembrata e non divisa.
Volendola dunque trinciare tu piglierai la forcina mezana et il cortello simile, stando con la persona al tuo segno tu ponerai la punta del cortello sotto il collo della starna, overo dalla banda di dietro sotto il codirone, ché in uno di questi luoghi si costuma di fare; voltando gentilmente con il petto di sotto la imbroccherai nelle reni e senza levare il cortello di essa la leverai in alto; voltando li piedi di sotto, facendogli piegare un poco verso la banda manca e col taglio del cortello volto verso la tua mano manca, darai il suo taglio alla congiuntura dell’ala manca; spin gendo poi la starna innanzi con il taglio del cortello a meza lama, darai il suo taglio al traverso del petto alla congiuntura della forcella, non entrando molto dentro; tirando il taglio del cortello verso te e spingendo un poco la starna innanzi, darai il suo taglio alla congiuntura dell’ala diritta; tenendo ben ferma la mano tu darai dui tagli ordinari alla coscia diritta; rivoltando con prestezza la starna con li piedi di sopra, darai li altri dui tagli alla congiuntura della coscia manca, accomodando sempre la mano della forcina con quella del cortello; spingendo poi la starna innanzi, che il groppone guardi verso di te, darai li due tagli, l’uno dalla banda manca, l’altro dalla banda diritta, affondando bene il taglio del cortello ma non però tanto che tu spicchi l’una nè l’altra dal groppone; voltando poi subito la starna con il collo di sopra, spingendo la mano della forcina innanzi, darai con grazia li dui tagli alle due pallette delle spalle, l’uno dalla banda manca e l’altro dalla banda diritta del collo; voltando poi la forcina con la starna, tu porrai la punta del cortello sotto il collo dinanzi, overo dalla banda di sotto il codirone; alzando con grazia il cortello all’insù, tirando la forcina da basso, la starna ti resterà sopra la punta del cortello e con grazia lo porrai nel tondo del tuo signore, e buttandovi con la punta del cortello il sale lo farai dare al tuo signore o glielo darai tu medesimo; e in questo modo farai di mano in mano, secondo che ti farà bisogno. E questo ti basterà in averti mostro come si trincia la starna sopra la smembrata e non divisa.
CAP. XX. COME SI TRINCIANO L'ANITRE SALVATICHE E DOMESTICHE
Delle anitre ve ne sono delle salvatiche e delle domestiche e rare volte se ne mangiano alle tavole de’ gran signori, e se pur se ne mangiano saranno delle domestiche, ma picciole e giovani di due mesi, cotte nello spido, che di questa sorte e cotte in questo modo sono bonissime.
Volendole dunque trinciare, tu piglierai la forcina mezana et il cortello simile, e la imbroccherai nelle reni levandola in aria con grazia; voltando li piedi di sotto, darai il suo colpo alla congiuntura della coscia e sopracoscia, la quale si taglia facilmente, così come sarà ancora ogni altra parte di quella per essere giovane e tenera di ossi e di carne; dando poi con prestezza li dui tagli nella coscia, l’uno dentro l’altro di fuori, senza spiccare cosa alcuna; rivoltando poi subito l’anitra con li piedi di sopra, accomodando l’una e l’altra mano di sorte che con facilità tu possi dare l’altri tre tagli alla coscia manca, senza staccar niente; tu volterai dipoi la punta della forcina verso la tua mano diritta, facendo che li piedi restino di sotto, e con la punta del cortello darai il primo taglio alla congiuntura dell’ala diritta; senza muovere la mano della forcina, tu spingerai il cortello più innanzi dando l’altro taglio alla congiuntura dell’ala manca; tirando il taglio del cortello verso te, entrando con esso taglierai la forcella del petto; rivoltando poi con prestezza il groppone di sopra, darai li due tagli ordinari al groppone; dirizzando il petto delPanitra di sopra voltando verso la tua mano diritta il collo, overo il groppone ponendo la punta del cortello da qual banda ti piacerà, alzando la mano del cortello in alto, tirando la forcina da basso, l’anitra ti resterà nella punta del cortello smembrata e non divisa, la quale porrai con grazia nel tondo del tuo signore, e vi metterai il sale. E questo basti per l’anitra.
CAP. XXI. COME SI TRINCIA LA COTORNICE.
La cotornice è uccello salvatico e col beco rosso, ma si può dire domestico domesticandosi facilmente; è alquanto più grosso della starna e quando è frollo e bene acconcio è tanto buono quanto la starna, è meglio e di maggior notrimento, e per esserli così simile potrei quasi stare di ragionarne; pur non resterò di dirti che, volendola trinciare, tu piglierai la forcina e il cortello mezano e con grazia la imbroccherai nelle reni levandola in alto, dando li suoi colpi di cortello alle due cosce; e il simile farai alle congiunture dell’ale, entrando con il taglio in un medesimo tempo alla forcella; piegando un poco il petto verso la tua mano diritta, darai per il lungo di quello dui tagli da ogni banda del petto per il lungo, per essere quello grosso di polpa; dipoi, voltando il groppone di sopra, darai dui tagli alla congiuntura del groppone, calcando bene il taglio del cortello all’ingiù, tanto che tu senti che quelle siano tagliate e staccate di netto; ponendo poi la punta del cortello dalla banda dinanzi sotto il collo, facendolo entrare sino al mezo, alzando quello in alto, tirando la forcina da basso disimbroccherai la cotornice, la quale porrai sopra il tondo, e buttando vi con grazia il sale lo servirai dove sarà bisogno. e intorno a questo non mi occorre più fare ragionamento.
CAP. XXII. COME SI TRINCIA IL POLLASTRO.
Il pollastro è uccello domestico e si mangia cotto in diversi modi.
Volendolo dunque trinciare, tu piglierai la forcina mezana et il cortello simile, stando sempre con la persona al tuo segno, e porrai la punta del cortello dinanzi o di dietro, sì come a te piacerà; rivoltando quello con il groppone di sopra, lo imbroccarai nelle reni al solito e con grazia levarai in alto.
Ma, prima che noi andiamo più innanzi, io voglio che tu sappi che nè al pollastro nè alla pollanca nè meno al cappone non si levano le punte dell’ale e che, essendo il pollastro con tutte le sue membra e volendolo trinciare dandoli tutti li tagli ordinari, sarà bisogno che tu li dia quindici colpi, come tu intenderai. Darai dunque il primo taglio alla congiuntura della coscia e sopracoscia diritta, con li altri dui alla medesima coscia a canto il groppone, e altri tre tagli darai alla coscia manca; voltando poi li piedi di sopra con il petto in fuora, darai dui tagli al groppone, l’uno dalla banda dritta e l’altro dalla banda manca; e rivoltando con prestezza il collo di sopra, darai dui tagli alla punta dell’ala et altri dui ne darai alla congiuntura dell’ale, cioè due tagli per ciascuna ala; tenendo ferma la mano della forcina col pollastro volto col petto in fuori, altri dui tagli darai alle palette delle spalle, l’una dalla banda manca e l’altro dalla banda dritta del collo; posando poi il taglio del cortello innanzi, darai il suo taglio alla forcella del petto, che in tutto saranno quindici colpi; ponendo poi la punta del cortello sotto il collo, lo levarai e ponerai nel tondo che avrai sotto la mano. E col solito sale lo servirai dove sarà bisogno, e se ad ogni sorte di uccelli della qualità del pollatro darai li colpi sudetti, non sarà se non bene. E di questo basti.
CAP. XXIII. COME SI TRINCIA IL PICCIONE.
De’ piccioni ve ne sono di domestici e salvatichi e l’uno e l'altro è bonissimo cotto in diversi modi, e perché sono d’una medesima specie ragionerò solo del domestico.
Egli si taglia in due modi, l’uno il tagliarlo in quattro parti, l’altro il darlo trinciato sopra la forcina così senza dividerlo. A volerlo dunque trinciare, tu piglierai la forcina e il cortello meza no e lo imbroccherai nelle reni; levandolo poi in alto, vi darai dui colpi di cortello alla coscia dritta; accommodandoti bene il piccione al taglio del cortello, tu darai gli altri dui tagli alla coscia manca, ma in modo che tu non la spicchi, lasciando stare di dare il taglio alla congiuntura delle cosce e sopracosce; spingerai di poi il piccione innanzi; voltando li piedi di sopra, darai un taglio solo al groppone col taglio del cortello all’ingiù; rivoltando poi di nuovo li piedi di sotto, voltando il piccione in fuori col petto, li darai li due tagli alle congiunture dell’ale; spingendo poi la mano dritta innanzi, darai il suo taglio alla forcella, se bene potresti far di meno. Bisogna poi che il piccione abbia un taglio al traverso della schena, a canto li branchi della forcina, come se tu volessi dividere in due parti; ma questo taglio lo potrai dare in due modi: l’uno°3sarà il voltare la punta della forcina da basso e posare il piccione sopra il tondo, ponendo il taglio del cortello sopra il traverso del piccione, a canto li branchi della forcina; darai quel taglio facilmente cacciando la punta del cortello dinanzi sotto il collo; tirando la forcina all’insù desimbroccherai il piccione; rivoltandolo con il medesimo cortello con il petto di sopra, lo lasserai nel medesimo tondo; l’altro modo di darli quel taglio di traverso delle reni sarà tenendo la forcina levata in alto con il piccione che guardi verso la tua mano dritta; ponerai la punta del cortello a canto li branchi della forcina dalla banda di sopra, facendolo bene entrar dentro; tenendo ben ferma la forcina, calcando il taglio del cortello all’ingiù, tu taglierai il piccione al traverso; levando poi della forcina con la punta del cortello lo porrai sopra il tondo, sopra l’orlo del quale porrai il suo sale e lo darai innanzi al tuo signore. E questo ti basterà in haverti mostrato come si trincia il piccione sopra la forcina, avendo sempre avvertenza di fare ogni cosa con grazia e di esser polito e presto.
CAP. XXIV. COME SI TRINCIA LA BECCACCIA.
La beccaccia è uccello d’acqua di pantano, ma molto buono cocendola arrosto; ma perché questo uccello ha le gambe longhe e il collo e il becco simili, li cuochi, quando le acconciano, le rivoltano le gambe, e il becco lo cacciano in l’una e 1 altra coscia, di sorte che quando son poi cotte sono alquanto difficili al smem brarle. Pur, volendole trinciare, tu piglierai la forcina e il cortello mezano, e con la punta del cortello volterai la beccaccia col petto da basso, e con la forcina la imbroccherai nelle reni levandola in alto; volterai la forcina di sorte che la parte dove sarà posta la testa venghi di sopra; tenendo bene ferma la forcina, tu caccerai la punta del cortello nell’uno de’ luoghi; alzando il co te o in su ne leverai la testa insieme col becco; girando poi la mano del cortello la leverai insieme con il collo e la farai cadere nel piatto; dipoi tu volterai li piedi di sotto e darai li dui tagli alla cosca dritta rivoltando subito il piede manco verso te darai li altri dm tagli alla coscia senza spiccare nè l’una «e 1 altra; spingendo po, a beccaccia col petto innanzi, darai li due tagli ad ambedue le congiunture dell’ale, dandole ancora il suo taglio a traverso di nanzi alla forcella del petto; voltandola po, con il petto nel miglior modo che a te parrà, cacciando la punta del cortello sotto il collo dalla banda dinanzi, alzando in su e tirando la forcina da basso, tu leverai la beccaccia della forcina e con la punta del cortello la norrai nel tondo; pigliando poi con la punta del cortello il sale, alzando un poco la mano con grazia, lo gitterai su 1 orlo delfdetto tondo il quale farai servire dove sarà bisogno, e così anderai seguitando di mano in mano. E questo ti deve bastare in haverti mostrato come si trincia la beccaccia sopra la forcina.
CAP. XXV. COME SI TRINCIA LA TORTORA.
La tortora è uccello domestico e quasi simile al piccione, ma non è tanto grande; la sua carne è bonissima quando è giovane.
Volendola trinciare, tu piglierai la forcina mezana e il coltello simile e imbroccandola nelle reni la leverai in alto; aiutandoti con la punta del cortello, volterai li piedi di sotto e il collo di sopra, e darai li suoi due tagli alle congiunture della coscia dritta; e dipoi rivolterai la tortora e darai li altri dui tagli alla coscia manca; voltando con prestezza li piedi di sotto, spingendo la forcina innanzi, darai li due tagli alle congiunture di tutte due
1'ale, passando col taglio del cortello innanzi sino a meza lama, tirando verso te darai il taglio alla forcella del petto, avvertendo sempre di non affondare tanto la mano che tu non stacchi cosa alcuna; rivoltando poi li piedi di sopra darai un taglio solo, che basterà, dalla banda manca del groppone; alzando poi la tortora in alto, con il petto volto in su, ponendo la punta del cortello sopra le reni tanto che basti, calcando il cortello airingiù e tenen do ben ferma la forcina, taglierai la tortora nel mezo, ma non però tanto che vadi in dui pezzi; levando poi il cortello porrai la punta dinanzi sotto il collo, overo di dietro sotto il codirone, che l’uno e l’altro modo starà benissimo; levando il cortello all’insù e tirando la forcina da basso leverai la tortora della forcina e con la punta del cortello la porrai nel tondo che haverai sotto la mano, e gittandovi con grazia il sale lo servirai al tuo signore o dove farà bisogno. Questo basti quanto alla tortora, della quale potevo lasciare di ragionarne, avendo io parlato abbastanza del piccione, che è (come ho detto) quasi simile a lei, ma non mi sono curato di durare questa fatica di più per non fare questo torto alla bontà della sua carne.
CAP. XXVI. COME SI TRINCIA LA QUAGLIA.
La quaglia è uccello salvatico e la sua carne è molto bona quando è grassa e mangiata al suo tempo.
Volendola trinciare, tu prenderai la forcina picciola e il cortello picciolo e porrai la punta del cortello dinanzi sotto il collo e la volterai con il petto di sotto, imbroccandola con la forcina nelle reni, levandola in alto con grazia e voltando li piedi di sotto, dando li suoi dui tagli alla coscia diritta; rivoltando poi li piedi di sopra, dando l’altri dui tagli alla coscia manca e di nuovo volterai li piedi di sotto; spingendo la quaglia con il petto innanzi, darai li dui tagli alle congiunture dell’ale; spingendo il cortello innanzi, darai il taglio al traverso della forcella del petto; ponendo la punta del cortello dalla banda dinanzi sotto il collo e con quello leverai la quaglia della forcina; la quale così smembrata e non divisa porrai nel tondo che tu avrai sotto la mano per tale effetto, e gittandovi il solito sale lo porgerai con grazia al tuo signore, overo, come ho detto altre volte, glielo farai dare e, se non al tuo signore, dove ne farà bisogno. E questo basti per conto della quaglia.
CAP. XXVII. COME SI TRINCIA IL TORDO.
Il tordo è uccello salvatico, picciolo come la quaglia, e s molto buono, massime quando è mangiato fresco.
Volendolo trinciare tu piglierai la forcina picciola e cortello simile e lo imbroccherai nelle reni al modo solito, alzandolo in aria con grazia, stando ben disposto con la persona, girando la forcina, accommodandolo al taglio del cortello; e li darai li tagli alle due cosce, senza levare nè l’una nè l’altra; girando di nuovo la forcina, darai con grazia li dui tagli alle congiunture delle due ale; voltando un poco il petto del tordo verso la tua mano dritta, spingendo il cortello innanzi, darai il taglio alla forcella del petto1 spingendo la forcina innanzi, voltando il tordo per fianco, con la punta del cortello darai un taglio a traverso del tordo, a canto li branchi della forcina dal mezo indietro; voltando la testa del tordo verso la tua mano diritta, porrai la punta del cortello sotto il collo; alzando la mano diritta in alto, tirando la forcina da basso, desimbroccherai il tordo, il quale ponerai con grazia nel tondo, gittandovi il suo sale; e questo darai al tuo signore e dove ti piacerà. E questo basterà per haver ragionato del tordo.
CAP. XXVIII. COME SI TRINCIA LA LODOLA O ALTRI UCCELLI PICCIOLI.
La lodola è uccello picciolo qua\ mai non costumano di trinciare li trincianti, ma darle così integre che chi le vole mangia re se le trinci da sé, e parimente li altri uccelli simili; ma pur volendo trinciare almeno la lodola, tu piglierai la forcina e il cortello picciolo; e se la forcina sarà troppo larga de branchi, tu la stringerai un poco con la mano diritta che alcuno non se ne avvenghi e dipoi porrai la punta del cortello dinanzi sotto il collo e la volterai e imbroccherai nelle reni, girando bene la forcina intorno; accommodando l’uccello al taglio del cortello, darai prima
li suoi tagli alle due coscie e dipoi alle due ale, e così sopra la forcina con la punta del cortello li darai il taglio al traverso dalla banda delle reni, a canto la forcina, dal mezo indietro, come dissi che facessi del tordo; e poi con grazia li ponerai la punta del
cortello dinanzi sotto il collo e leverai la lodola dalla forcina, ponendola nel tondo che tu haverai sotto la mano; e ne potrai trinciare fino a tre o quattro e, gittandovi il sale con la punta del cortello, lo farai dare dove sarà bisogno. E questo doverà bastare in havere inteso come si trincia la lodola, benché basterebbe a darli solo il taglio alla congiuntura dell’ale e il taglio a traverso, perché pare, a chi la mangia, molto meglio a trinciarla da se medesimo; pur starà airarbitrio del trinciante.
Io non restarò di dirti come vi sono ancora di molte altre sorti d’uccelli così di terra come di acqua, grandi e piccioli, delle quali non voglio ragionare perché sarebbe soverchio, avendo ragionato abbastanza del pavone, del fasano, della starna e altri uccelli; di sorte che, quando il trinciante sarà gionto alla perfetione di quest’esercizio, saprà trinciare ogni sorte di uccelli che li saranno posti innanzi.
resta ora che noi ragioniamo come s’imbrocca e come si trincia tutta la sorte di carne de animali di quattro piedi così grandi come piccioli, e così cominciaremo dalla carne di bove, overo di vaccina.
CAP. XXIX. COME SI IMBROCCA E COME SI TRINCIA UN PEZZO DI CARNE DI VACCINA.
Parerà forse ad ognuno cosa strana che, di tutte le sorti di carni, io cominci prima dalla vaccina, la qual carne si suole piuttosto mangiare tra contadini che tra signori; ma se sarà giova ne, grassa, frolla e in buon taglio e ben trinciata, sarà eccellentissima, e perciò il trinciante deve con ogni diligenza sforzarsi di saper trinciar bene un pezzo di carne di vaccina; perché, se saprà trinciare bene un pezzo di questa carne, saprà ancora trinciare bene molte altre sorti di carne, avvertendo che il pezzo della carne non deve essere manco di sei libre, ma sia della coscia accompagnata con grasso.
Volendo dunque trinciare la carne di vaccina, piglierai la forcina grande e il cortello grande, tenendo l’uno e l’altro nelle mani come ti dissi che facessi, tirandoti il piatto della carne a canto di te dalla tua banda manca; ponendoti poi con li piedi pari e giusto con la persona, volterai con la forcina e con la punta del cortello la carne in parte che tu la possi imbroccare, avvertendoti che se la carne non sarà trinciata per il suo verso non valerebbe nulla; però bisogna che tu avvertischi d’imbroccare in parte che quando Paverai levata in alto venga a cadere nel tondo trinciata per il traverso e non per il dritto filo della carne. Tu poserai adunque la costa del cortello sopra il pezzo della carne per tenerla più ferma nel piatto ad imbroccarla, avvertendo di porre la punta della forcina in luogo che il pezzo della carne sia imbroccato giusto, che non penda da nissuna banda, e cacciare ancora la forcina tanto entro che prima che tu la lievi senti che stia ben ferma e giusta, acciocché tu non abbi poi di nuovo a imbroccare.
Imbroccato che avrai nel modo detto, tu leverai il pezzo della carne in alto, voltando verso la tua mano dritta quella parte che, trinciandola, conosci sia trinciata per il verso suo, e questo non posso mostrartelo se non in fatti1; e da quella banda che tu vorrai cominciare, con il taglio del cortello ne leverai quella parte di sopra, cioè la superficie della carne, facendo in essa una spianata come sarebbe la palma della mano; e dipoi con il taglio del cortello darai molti colpi per il dritto e pel traverso della detta carne, tanto appresso che l’uno tocchi quasi l’altro, ma con molta prestezza, avvertendo di non ti maneggiare con la testa nè con la persona; dato che tu li avrai li suoi colpi abastanza, tu volterai il taglio del cortello verso te entrando gentilmente nella carne; tirando verso te all’ingiù, ne farai cadere la carne trinciata nel mezo del tondo che tu avrai sotto la mano; ma avvertisci tenere piegata la mano della forcina un poco verso la tua mano dritta, accioché la carne trinciata non ti venghi a cadere sopra le mani; quando poi tu avrai coperto tutto il fondo del tondo di carne trinciata minuta, se vi sarà niente di grasso attaccato al pezzo della carne che tu haverai sotto la forcina, lo volterai verso te e ne trincerai un poco minuto, facendolo cadere nel medesimo tondo, perché invero la carne di vaccina non vale niente se con la magra trinciata non vi è un poco di grasso; e se per sorte al pezzo della carne che trincerai non vi fusse grasso attaccato e che nel piatto della carne ve ne fusse, tu devi posare la forcina con la carne nel piatto e pigliare la forcina picciola nella mano e con il cortello taglierai quello, ponendolo nella forcina picciola, la qual forcina così con il grasso imbroccherai nel pezzo della carne che sarà nella forcina grande dal canto di sopra, in parte che, quando tu leverai il pezzo grande in alto, che il grasso ti torni commodo al taglio del cortello; posto che tu avrai la forcina picciola con il grasso nel mezzo della carne, tu ritornerai di nuovo a repigliare la forcina grande nella mano, alzando la carne in alto, e con grazia trincerai di grasso minuto sopra la carne trinciata; e quando sarà a bastanza, con la punta del cortello butterai il sale sopra l’orlo del tondo appunto, e la darai al tuo signore; e di questo modo andrai seguitando, facendo di quel pezzo quanti tondi ti farà bisogno.
Non voglio restare di dirti che alcuna volta per galanteria potresti adoperare dui coltelli in un medesimo tempo, ma solo quando tu trincerai la carne di vaccina minuta, overo qualche cigotto di caprio o di castrato e altre carni grosse; voglio dunque che, quando tu avrai il pezzo della carne nella forcina e che tu li avrai levato quella parte di sopra e spianatola, come ti dissi, come la palma della mano, che tu pigli dui coltelli uguali di lunghezza nella mano dritta e che li dui manichi si tocchino insieme, facendoti toccare il calcio del manico nel mezo della palma della mano, e che poi tu cacci il dito longo delle mani tra l’uno e l’altro cortello per fare stare le due lame divise l’una dall’altra, stringendo bene con la mano li dui manichi insieme, e ancora con le dita per tenere li coltelli più fermi; avendo poi la carne nella forcina levata in alto, darai di molti colpi con li dui tagli per il dritto e per il traverso della carne; poi or con l’uno or con l’altro taglio entrerai ora verso te e ora in fuori; accomodandoti sempre la carne al taglio delli coltelli, tirando da basso, ne farai cadere la carne trinciata minuta nel mezo delli tondi. Ma questo voglio già che tu lo faccia se non quando tu avrai qualche bel taglio di carne e che tu avrai poche genti da servire, perché questo si fa solo, come dissi, per galantaria. E questo ti basterebbe in havere inteso come si trincia la carne di vaccina sopra la forcina, benché ancora la potresti trinciare in fette grandi e sottili, secondo il gusto del tuo signore, ma questo si rimette anco alla sufficienza del trinciante.
CAP. XXX. COME SI TRINCIA UN CIGOTTO DI CAPRIO.
Volendo trinciare un cigotto di caprio, tu piglierai la forcina grande e il cortello grande, ponendo a canto di te il piatto dalla banda manca, facendo che il piede del caprio sia volto di fuora 86 verso la tua mano dritta; dipoi tu volterai la costa del cortello al traverso del cigotto, per poterlo tenere più fermo nel piatto nel l’imbroccarlo, e porrai la punta della forcina nel mezo del cigotto dal canto di sopra e imbroccherai il cigotto giusto, che quello non penda da nissuna banda, facendo entrare bene la forcina tanto entro che tu senti che quello stia ben giusto e fermo; dipoi, stando con la persona al tuo luogo, leverai il cigotto in alto, aiutandoti con la punta del cortello per darvi miglior grazia, di sorte che il piede verrà ad esser volto di sopra, voltando verso te quella parte che ti parerà migliore e più facile al trinciarla; e col taglio del cortello volto verso te sottilmente ne leverai la superficie del rostito in fette sottili e con la punta del cortello ad una ad una ponerai sopra l’orlo del piatto del cigotto.
Levato che haverai da una banda tutta la crosta, con il taglio del cortello volto verso te darai di molti colpi per il diritto e per il traverso, l’uno a canto l’altro, con molta prestezza, senza maneggiarti molto con la testa nè con la persona; tirando poi da basso, entrando nella carne gentilmente, la farai cadere nel tondo che devi haver sotto la mano. Avendone secondo il tuo giudizio trincia to abastanza, tu pigliarai con la punta del cortello dui o tre di quelle fette della crosta ch’io ti dissi che ponessi sopra l’orlo del piatto, e le ponerai sopra Torlo del tondo, buttandovi dipoi un poco di quel suo intingolo con il medesimo piatto; e buttandovi poi il suo sale lo darai al tuo signore; e se ti farà di bisogno, tu andrai seguitando, girando sempre la forcina intorno secondo ti farà bisogno per accommodarti il cigotto al taglio del cortello per poterne con più facilità trinciare la carne. E questo ti basterà in averti detto come si trincia il cigotto del caprio alto dal piatto sopra la forcina, dividendolo poi in quante parti a te farà bisogno. Ma quello che io ho detto del caprio ho ancora voluto dire del cigotto del castrato, per essere quelli de una medesima grandezza e andando imbroccati e trinciati in un medesimo modo, per il che lasserò di ragionarne, avendo detto abastanza di quello di caprio.
CAP. XXXI. COME SI TRINCIA IL CIGOTTO DI PORCO SALVATICO.
Il cigotto del porco salvatico è molto buono, quando è di porco giovane e frollo e bene arrostito dal cuoco. Se il cigotto sarà di ruffolatto giovane, quello sarà picciolo e leggero e ancora sarà facile airimbroccarlo, ma se sarà di porco grande, sarà grosso grave e difficile al trinciarlo sopra la forcina e bisognerà havere buon polso per volerlo tenere levato in alto; pur io mi presuppongo che quello sia di sorte che tu lo possi facilmente imbroccare.
Volendolo dunque trinciare, tu piglierai la forcina e il cortello grande, ponendo il piatto dove sarà dentro il cigotto a canto di te dalla tua banda manca; e se quello sarà picciolo di sorte che tu conoschi di poterlo tenere levato in alto, tu imbroccherai dal canto di sopra giusto nel mezo, che non penda da nissuna banda, e con grazia lo leverai in alto, ma che il piede venga di sopra; poi con il taglio del cortello verso te, ne leverai la superficie in fette sottili da quella banda che a te piacerà, le quali con la punta del cortello porrai nell’orlo del piatto di sorte che, levato via quella crosta, la carne si vederà bianca e bella, e quella con il taglio del cortello trincerai trita minuta, come ti dissi che facessi la carne di vaccina, overo in fette grandi e sottili, secondo il gusto del tuo signore, facendola cadere così trinciata nel tondo che devi havere sotto la mano, ponendovi ancora con essa una o due di quelle fette della crosta che tu levasti prima; e con tutte due le mani leverai il piatto, buttando nel tondo un poco di quel
brodo, se ve ne sarà nel piatto, buttandovi poi il sale con grazia; ma se il cigotto del caprio sarà tanto grave che tu non lo possi levare, tu porrai la punta della forcina di sopra nel cigotto, per tenerlo ben fermo, o nel piatto, levandone pur con il cortello quella superficie in fette sottili, ponendone una o due sopra Torlo del tondo che tu haverai sotto la mano; dando poi molti colpi di cortello Tuno a canto l’altro per dritto e per traverso, tirando poi il taglio del cortello verso te, entrando nella carne gentilmente, quella farai venire sopra il tondo tanto che ti parrà abastanza, buttandovi poi il sale con la punta del cortello, avertendo di non imbrattare cosa alcuna, perché questa è bellissima parte e una delle più importanti che bisogna che abbi un trinciante, il quale si deve parimente guardare dall'affettatione. E questo sarà abastanza in averti
89 mostrato come si trincia il cigotto del porco salvatico grande o picciolo, come sarà, l’uno sopra la forcina e l’altro così posato nel piatto.
segue da oggetto precedente
89CAP. XXXII. COME SI TRINCIA UNA SPALLA DI CASTRATO.
La spalla del castrato suole essere molto buona quando è castrato giovane e grasso, ma vuole essere frolla e mangiata calda.
Volendola dunque trinciare, tu pigliarai la forcina grande e il cortello simile, overo il mezzano, 25rtenendo l’uno e l’altro nelle mani, come ti mostrai, e volterai la spalla con il piede di fuori dalla tua banda dritta e porrai la punta della forcina nella punta della spalla, che l’uno de’ branchi vada dalla banda di sopra e l’altro di sotto, ma che l’osso resti nel mezzo delli dui branchi della forcina, ma che entri bene tutta dentro e giusta di sorte che la spalla non penda da nissuna banda, perché, essendo imbroccata male, malamente la potresti muovere; come tu l’haverai imbroccata, la leverai in alto con buona grazia, facendo che il piede sia volto di sopra, voltando la parte dell’anca verso te, e con il taglio del cortello volto verso te ne leverai di quelle fette di sopra sottilmente, facendole cadere nel mezo del tondo che avrai sotto la mano; entrando poi con il cortello più dentro dove tu troverai la grassezza dell’anca e quella taglierai minuta, facendola cadere nel tondo, il quale, quando vedrai d’aver riempito abastanza, tu li butterai il sale e lo darai al tuo signore; e così anderai seguitando di mano in mano, trinciando quella carne che ti farà bisogno, accomodando sempre la detta spalla al taglio del cortello.
Ma perché io ti dissi, quando ragionai del pavone, che un trinciante, per sufficiente che sia, potrà servire malamente a più di sei persone, io non intendo meno che di questa tu n’abbi a far più di sei piatti perché, quando anco volessi farne più, malamente si potrebbe, per essere la spalla più abondante d’ossi che di carne; e perciò ti bisogna avvertire di servirti di tutta la carne dividendo secondo il bisogno, e di questo ti fo avvertito perché la spalla ha dui ossi che non si possono tagliare nè dare interi per la grandezza e difformità loro; finito che havrai di trinciare, desimbroccarai tutto quello che ti resterà su la forcina, ponendola nel piatto, 90 e mandarai fuor di tavola se bene ti resterà il boccone della regina, chiamato così in Francia, e questo è un osso picciolo che sta attaccato alla menatura dell’anca, che è assai difficile da trovare senza adoperarvi la salvietta con la mano, questo non si mostrare se non in fatti e però lo taccerò.
La spalla e il cigotto di castrato si possono imbroccare in dui modi: l’uno è come ti mostrai di sopra; l’altro è di pigliare spalla per il piede, imbroccandola con la forcina overo pigliandola in mano con la salvietta, cioè involtando uno de’ capi della salvietta al piede, levandola in alto con la mano manca, e in quel modo trinciarla; ma l’altro modo d imbroccarla che ti ho mostrato di sopra è più bello e si può ancora con più facilita trinciare la spalla o cigotto.
CAP. XXXIII. COME SI TRINCIA UNA LONZA DI VITELLA.
La lonza della vitella s’intende la parte della schiena, cominciando dalle spalle sino di drieto al codirone, la quale schiena vadivisa o spaccata in due parti; e di questa se ne fanno poi li pezzi grandi o piccioli; ma il pezzo che va trinciato sopra la forcina non deve essere manco di sei libre, la quale va cotta nel spedo e è eccellentissima quando è frolla e mangiata calda.
Volendola dunque trinciare, tu pigliarai la forcina e il cortello grande nelle mani e imbroccarai il pezzo da l’uno de’ capi, cioè da l’uno delli branchi, anzi sopra le coste, e l’altro di sotto, dalla banda del rognone, spingendo ben la forcina tutta dentro, ma tanto giusto ch’el pezzo della carne non penda da nissuna banda. E dapoi che tu l’haverai imbroccata tu la leverai in alto con gratia; ponendoti poi giusto con la persona voltarai la parte del rognone di fuora e la parte dove sarà la polpa verso di te. E con gratia con il taglio del cortello verso te ne levarai tutta la parte di sopra, cioè la cima, del rosto in fette sottili, e quelle ponerai sopra al piatto, cioè l’orlo; e con il taglio del cortello darai de molti colpi nella carne, l’uno che quasi tocchi l’altro, per il dritto e per il traverso, come dissi che facessi alla carne di vaccina; voltando poi il taglio del cortello verso te, entrando gentilmente nella superficie della carne, tirando verso te all’ingiù, tenendo alquanto piegato la mano della forcina verso la tua mano dritta, ne farai facilinente cadere la carne trinciata minuta nel mezzo del tondo che tu haverai sotto la mano; ponendo poi con la punta del cortello due o tre de quelle croste che ne levasti prima sopra l'orlo del tondo, pigliando il piatto della carne con le mani, vi butterai sopra un poco di quel
brodo de l’arrosto per fare la carne più saporita; buttando poi con la punta del cortello il suo sale, con buona grazia lo darai al tuo signore.
E se tu volessi levarli le coste, tu incomincierai da quella prima, cioè verso la punta della forcina; ponendo il taglio del cortello fra l'una e 'altra costa, quella prima ne spiccherai e con il cortello la volterai in fuora; e quella ne spiccherai di netto, posando ancora il pezzo di carne nel piatto, se sarà bisogno, per poterne levar meglio le coste, e quelle di mano in mano, l'una e poi l'altra, porrai nelli tondi; e quando tu avrai trinciata tutta la carne e levatone tutte le coste, e che tu ti vogli servire del’osso del filo della schena, tu volterai la parte di verso il rognone di sopra, fermandola così nella forcina sopra il piatto, e con il taglio del cortello entrerai così di mano in mano, a nodo per nodo, alla sua congiuntura, che molto bene le potrai vedere; calcando il taglio del cortello da basso, ad una ad una, de mano in mano le spiccherai e con la punta del cortello porrai nelli tondi, dividendo poi la carne e le altre parti del pezzo come a te piacerà, che a me basterà haverti mostrato come si trincia un pezzo di lonza di vitella.
Ma se ’l pezzo della lonza sarà l’ultima parte della schiena, cioè il codirone, questo pezzo tu lo imbroccherai dalla banda di dreto, che l’uno de’ branchi vadi di sopra e l’altro di sotto delTosso del scanello: voglio dir che l'osso del scanello resti nel mezo delli branchi, spingendo bene tutta la forcina dentro, ma tanto giusta che il pezzo non penda da nissuna banda, perché non essendo quello imbroccato giusto, non lo potresti tener levato nè manco trinciarlo. Quando poi il pezzo della vitella fusse della polpa della coscia, tu imbroccherai per il suo verso, di sorte che quando la trincerai sia trinciata per il filo della carne, così come io dissi che io voleva che tu facessi della carne di vaccina; avvertendo sempre di far di modo che tu non imbratti cos’alcuna, ma ogni cosa farai con buona grazia senza affettatione.
COME SI TRINCIA UN LEPRE DAL MEZO INDRIETO. CAP. XXXIV.
Il lepre è animale salvatico e sono assai boni quando che sono giovani, frolli e bene inlardati e cotti nello spido; molte volte questi animali si sogliono cuocere intieri e alcuna volta dal mezzo in dietro, ma per hora ragionaremo della parte dal mezzo in drieto quella che va trinciata sopra la forcina.
Volendo adunque trinciare il lepre dal mezo indrieto, tu pigliarai la forcina grande e ’l cortello grande, benché se tu havesti hora la forcina, che già ti dissi, dalli branchi longhi e sottili, ti tornerebbe molto a proposito per imbroccare hora il lepre, perché l’uno di quelli branchi facilmente l’entreria per il buso del filo dell’osso della schiena della lepore, che con più facilità si potrebbe imbroccare e ancora tenere; ma non havendo ora forcina simile a quella, tu pigliarai, come ti dissi, la forcina grande, la quale ti servirà benissimo. Havendo dunque la forcina e il coltello grande nelle mani e stando con la persona al tuo segno, tu pigliarai il piatto dove sarà dentro il lepre a canto di te dalla tua banda manca; voltando li lombi di sopra e che li piedi guardino verso la tua mano dritta, posando il coltello a traverso il lepre per tenerlo più fermo nel piatto, e con la forcina imbroccherai il lepore nel mezzo del filo della schiena; ma per essere li branchi della forcina grossi non potriano entrarci nel buco dell’osso della schiena. Adunque tu farai che li branchi entrino nelli due lombi a canto l’osso, spingendo bene tutta la forcina dentro, tanto che tu senti che il lepre sia ben fermo in essa; alzando poi il lepre in alto un poco, tu darai due piccioli tagli alla congiuntura delli dui piedi; voltando il lepre con la parte del rognone di sopra, posando li due piedi nel piatto, alzando un poco la forcina, aiutandoti con il taglio del coltello, facilmente ne spiccherai li due piedi, li quali senza alcun dubio bisogna che quelli levi prima, volendo trinciar bene il resto del lepre; levato che tu n’avrai li due piedi, come dissi di prima, tu leverai il lepre in alto, facendo che le due cosce guardino di sopra e la parte della schiena o de’ lombi verso di te; ma perché la parte de’ lombi è la migliore, voglio che di quelli tu ne facci il tondo del tuo signore, trinciando il lombo di tutte due le bande in fette sottili; accommodando sempre il lepre al taglio del coltello, quelle fette delli due lombi farai cadere nel mezzo del tondo; buttandovi poi il suo sale con grazia le darai al tuo signore. E questo basterà per il primo tondo, fatto solo delle due parti de’ lombi.
Ma perché io ti ho molte volte detto che malamente un trinciante potrebbe servire a più di sei persone, adunque del lepre da mezo indreto voglio che lo dividi in sei parti, come tu intenderai. Avendo, come dissi, già fatto il primo tondo, volendo ora fare il secondo, tu comincerai alla coscia dritta, tenendo sempre il lepre levato con le cosce in alto, e con il taglio del coltello taglierai della polpa della coscia in fette sottili quanto potrai, facendole cadere nel mezzo del tondo che tu avrai sotto la mano; entrando bene con il taglio sino che tu scopri Tosso della coscia apunto nel mezzo, come quel sarà scoperto che tu lo vedi e senti con il coltello, tu volterai la coda da basso accommodando bene di sorte il lepre che alzando con la costa del coltello nel mezzo di quell’osso della coscia, quello, per essere come di ghiaccio, salterà in dui pezzi, e quella parte prima ponerai nel tondo; buttandovi il suo sale, lo darai dove fa di bisogno. E questo sarà per il secondo tondo, fatto della mezza parte della polpa e dell’osso della coscia dritta.
Volendo fare il terzo tondo, tu ritornerai di nuovo con il coltello a trinciare l’altra parte della polpa rimasta della coscia dritta, trinciandola bene fino a canto Tosso; poi tu volterai il taglio del coltello verso te, entrerai alla congiuntura della coscia, la quale sta attaccata al scanello; tenendo ben ferma la forcina, quello resto dell’osso della coscia leverai facilmente facendolo cadere nel medesimo tondo; e perché forse nel tondo vi sarà poca roba, tu potresti tagliare due o tre fette sottili della coscia manca, overo de’ lombi, ma non andare però tanto a basso con il taglio del coltello che tu scuopri li branchi della forcina, perché scoprendo quelli, il lepore si cascherebbe dalla forcina, sì che avertisce bene a quello che tu farai; trinciato che tu avrai abastanza, tu vi butterai il suo sale, facendolo dare dove a te piacerà. E questo sarà in quanto al terzo tondo, fatto dell’altra parte della coscia dritta e con due o tre fette della coscia manca.
Volendo fare il quarto tondo, volterai la coscia manca verso te; tenendo sempre la forcina levata in su, trincerai in fette sottili la carne della coscia manca; voltando poi la costa del coltello, battendola da alto a basso al traverso dell’osso, quello si romperà come di ghiaccio, e quella prima parte dell’osso farai cadere nel tondo che tu avrai sotto la mano per tal effetto; dipoi con il taglio
e coltello verso te taglierai la congiuntura della coscia mane altra parte d’essa facilmente spiccherai facendola cadere nel mezzo del tondo; buttandovi il sale con grazia, lo darai o lo farai dove sarà necessario. E questo basterà per quanto al quarto tondo, fatto de l’osso della polpa della cossa manca e dell'osso diviso in due parti.
Volendo fare il quinto tondo, tu trinciarai tutta la carne che sarà attaccata alla parte di fuora delli dui scanelli, facendol cadere nel tondo; poi con il taglio del coltello darai dui tagli, l'uno dalla banda dritta e l’altro dalla banda manca delli dui scanelli aprendo bene overo piegando il coltello dal'una e dall’altra banda, tenendo ben ferma la forcina, le due osse delle palette overo del codirone ne leverai, facendole cadere nel tondo, se tu l’haverai sotto le mani, buttandovi con grazia il sale. E questo basterà peril quinto tondo fatto della carne attaccata alli due scanelli e delli due ossi del codirone.
Volendo far il sesto e ultimo tondo, tu trincerai il resto della carne che sarà attaccata alla spina del lepre: la spina dico, perché l’osso della schena è talmente intrigato insieme che apunto par una spina d’un pesce; levato che tu le avrai tutta la carne, tu poserai la coda del lepre nel tondo che tu avrai sotto le mani; ponendo il coltello sopra esso, alzando la mano della forcina in su, calcando il coltello da basso, ne romperai l’osso al traverso; tornando poi la forcina in alto, porrai la punta del cortello nel buso della schiena; piegando abasso, ne leverai via una parte d’esso e il restante desimbroccherai, facendolo restare nel medesimo tondo, buttandovi il suo sale. E questo sarà in quanto al sesto tondo fatto di tutte le parti della schiena e della parte imbroccata sino alla coda; il qual tondo sarà bonissimo per esservi attaccata una gran parte del lombo.
Ma se per sorte tu non havessi tante persone da servire, che ti averrà di rado, potrai del leopre farne le parti migliori. Ma se tu pensasti di imbroccare il lepore nella forcina in altra parte, tu ti agabberesti, perché tu non la potresti trinciar tutta senza imbroccare molte volte. Adunque tenerai questo modo detto da me, che tiriuscirà benissimo, pur che il lepre sia frollo, ben acconcio.
COME SI TRINCIA UNO CONIGLIO. CAP. XXXV.
Lo coniglio è quasi simile al lepore, ma egli è assai più picciolo, e quando sono gionti alla sua grandezza sono come un leporato giovane, di sorte che, parlando ora del coniglio, voglio di ancora del leporato. Questo animale è salvatico, ma per la molt quantità che se ne allevano si possono veramente dire domestica la sua carne è assai bona quando sono giovani e frolli e ben acconci nel spido, e questi si cuocono quasi sempre interi.
Volendo adunque trinciare sopra la forcina, tu pigliarai il coltello e la forcina mezana, tenendo l’uno e l’altra nelle mani al modo solito, e porrai il piatto dalla tua banda manca, facendo che
il coniglio stia con la schiena di sopra e che il capo guardi verso la tua mano manca, posando poi la lama del coltello al traverso del coniglio, e quello imbroccherai giusto sopra le spalle, cioè che l’uno delli branchi vadi dalla banda diritta e l’altro dalla manca del collo, ma sopra le spalle a punto, spingendo bene la forcina dentro per fianco, a tal che la punta vadi verso il rognone, facendola entrare di sorte che il coniglio non balli sopra la forcina; imbroccato che tu avrai, tu levarai in alto e con la punta del cortello taglierai li dui nervi al calcagno de’ piedi di drieto per svilupparli di sieme, e l’uno e l’altro piede leverai con destrezza, senza imbrattar cosa alcuna; levati che sarà li dui piedi, ti restarà il coniglio sopra la forcina con li piedi volti in fuora, e se il coniglio sarà grosso, tu trincerai prima tutta la carne della coscia diritta e dipoi, con il taglio del cortello verso te, entrerai alla congiuntura della coscia e quella ne spiccarai, facendola cader nel tondo che tu avrai sotto la mano, insieme con la carne della coscia; e se il coniglio sarà picciolo, li leverai tutta la coscia intiera e, voltando poi la coscia manca verso te, farai il simile, facendola cadere nel medesimo tondo; buttandovi poi il suo sale con la punta del coltello, lo darai dove a te piacerà.
Seguitando poi, tu voltarai il taglio del coltello verso di te e darai dui tagli, l’uno dalla banda dritta, l’altro dalla banda man ca della coda, alle congiunture delli due scanelli, quale farai facilmente cadere con la punta del cortello nel tondo che avrai sotto le mani; dando poi un taglio al traverso del lombo del coniglio, quello facilmente si taglierà, facendolo cadere ancora lui nel medesimo tondo; buttandovi poi con grazia il sale, lo darai farà bisogno, e questo sarà per haverne fatto due parti.
Volendo far l’altro tondo, che sarà la terza parte, ché malamente più se ne potria fare, tu tenerai la forcina volta inanti verso il tuo signore e, con il taglio del coltello volto in fuora darai un taglio alla spalla, cacciando la punta del coltello in essa; Unendo ben ferma la forcina, ne leverai facilmente la spalla qual ù ti piacerà; rivoltando poi l’altra spalla di sopra, quella con il Pu0 taglio alla congiuntura ordinaria leverai con la punta del cortello, ponendola nel medesimo tondo; voltando poi il coniglio con la schena di sopra, darai un taglio al traverso del coniglio a canto la forcina, quella parte ne leverai e dipoi porrai il taglio del cortello sopra il collo, sotto li branchi della forcina, sotto la tua mano; calcando il collo nel piatto e alzando in alto e dimenando la forcina, facilmente il collo si spiccarà, lassandolo nel piatto; la parte della schiena e del petto, che sarà restata nella forcina, quella con il coltello farai restar nel tondo dove ponesti le due spalle, buttandovi il suo sale, facendolo dare dove a te piacerà. E questo ti basterà di havere inteso come se imbrocca e come si trincia il coniglio. E il simile tu devi intendere nel leporato giovane; ma avertisci che se il coniglio sarà grande e il simile il leporato e che quello sia posto in tavola intero, voglio che tu lo tagli al traverso e che la parte da mezzo indietro lo imbrocchi come
il lepre; e se sarà la parte dal mezzo innanti, tu lo imbroccherai sopra la spalla, trinciando l’uno e l’altro come dissi che tu facesti. Farò fine in quanto al coniglio, parendomi di haver detto abastanza.
CAP. XXXVI. COME SI TRINCIA IL CAPRETTO DAL MEZO INDRIETO.
Il capretto è animale domestico e è molto buono quando è grasso, cotto in diversi modi. Si suole il capretto, quando si cuoce nel spido, cuocersi alcuna volta intero, massime alle tavole de grandi, ma il più delle volte si cuoceno
dal mezo indreto; e di questo noi ragionaremo, perché sebene il capretto venisse in tavola, come dissi, intero, bisogna tagliarlo a traverso, volendolo imbroccare e trinciare sopra la forcina. Adunque, come io dissi di sopra, noi ragionaremo delle parti da mezo indreto, le quali van cotte nel spiedo, perché dipoi, quando sarà tempo, ragionerò delle
parti da mezo innanzi.
Volendo adunque trinciare il capretto da mezzo indrieto, tu piglierai la forcina e il coltello grande, benché ancora facilmente potresti servire della forcina e coltello mezano, ma in questo tu ti governerai secondo la grandezza di quello. Pigliato che tu hai la forcina e il coltello nelle mani, in due modi potrai imbroccare; l'uno sarebbe dalla parte di dreto verso la coda nel mezo delli sui scanelli; l’altro sarà nel mezzo del filo della schiena; ma la parte di drieto noi la lasseremo e ci attaccaremo a quella del mezzo del filo delle reni.
Adunque tu ponerai l'uno de branchi della forcina che entri nel buso dell'osso della schiena e l’altro branco entri di sopra il filo della schiena, tra la carne e Posse, e spingerai bene la forcina tutta dentro tanto che tu senti che il capretto sia ben fermato; dipoi tu ti porrai giusto con la persona al tuo segno. Ma perché il capretto non è di quella fermezza che è il lepre, per essere questa carne più molle e facilmente, levandolo in alto con le cosce, quelle ti farebbono rompere il capretto sopra la forcina, adunque tu ti leverai prima le cosce con li dui scanelli attaccati, tu abbasserai la forcina dinanzi e poserai il capretto nel piatto, tenendo ben ferma la forcina nelle mani, e con il taglio del coltello darai dui tagli dalla banda di dietro del capretto, Puno dalla banda diritta e l’altro dalla manca della coda, entrando bene da basso, tanto che tu senti che quella ultima parte della coda sia staccata dalli dui scanelli; calcando la forcina da basso staccherai tutta la parte della schiena dalle coste; dando con la punta del coltello a quella pellegatta da tutte due le bande delle anche, con molta facilità dividerai le cosce dalla schiena, la qual parte della schiena, per essere la migliore, verrà a restar nella forcina.
Questa parte della schena adunque la leverai in alto e con il taglio del coltello verso di te, avendo dui tondi apparecchiati sotto la mano, tu levarai l’una o due coste con quella pellegatta insieme dalla banda manca, la quale farai cadere ne Puno delli dui tondi, e poi accommodando l’una e l’altra mano ne leverai le altre due coste con la parte di quella pelle attaccata dalla banda diritta, la quale porrai ne l’altro tondo. Voltando poi il rognone di sopra staccherai tutti dua sino all’osso, ponendone uno per tondo; dipoi pur sempre col taglio verso te, cominciando dalla coda, ne leverai tutta la parte del grasso e del lombo di dentro, facendola in due parti, ponendone una parte per ciascun tondo; voltando poi la schiena di sopra, con il coltello gentilmente ne levarai la polpa
della schiena da tutte due le bande, da l’un capo e l’altro, ponendone una parte per tondo. Volterai poi la parte del rognone di e tenendo ben ferma la forcina, con il taglio del coltello volto da basso farai quattro parti della schiena, ponendo il taglio He sue congiunture, le quali, per essere quelle tenere, facilmente i tagliano così sopra la medesima forcina; la prima parte, che arà la coda, farai facilmente cadere nell’uno de’ tondi; spingendo innanzi col coltello la parte che sarà nella forcina, ponendo la punta nel buco della schiena, piegando un poco la mano, ne leverai facilmente la seconda parte, la quale ancor lei porrai nel medesimo tondo dove ponesti la coda, e questo sarà per il primo tondo; spingendo con il coltello verso la punta della forcina il resto della schiena del capretto, facendola in due parti, le porrai , con grazia sopra l’altro tondo, e questo sarà per il secondo tondo, fatto de tutta la parte della schena e de’ rognoni; buttandovi dipoi il suo sale li farai dare dove a te piacerà.
E così come del lepre ne facesti sei parti, ora sei parti ne farai del capretto; essendoti restato nel piatto ambedue le coscie con li scanelli attaccati, facilmente d’ognuna delle cosce ne potrai far due tondi, come intenderai. Voglio adunque che tu volti di sorte con la forcina e coltello le due cosce che con facilità tu le possa imbroccare, cioè che l’osso del stinco entri fra li dui branchi, e spingerai tanto la forcina innanzi che tu imbrocchi ancora in essa l'osso della coscia, a tal che ne li branchi della forcina vi sia li dui ossi, cioè l’osso del stinco e l’osso della coscia; tenendo ben fermo la forcina nel piatto, tu dividerai con il coltello l’una coscia dall’altra: l’una resterà nel piatto e l’altra su la forcina, la quale tu leverai in alto con grazia; e con il taglio del coltello verso te taglierai due o tre fette della carne della coscia; e poi col taglio del coltello volto in fuori, tu darai un taglio alla congiuntura del scanello; ponendo poi la punta del cortello nel buso de l’osso del scanello, voltandola in fuora facilmente lo leverai, ponendolo con grazia con la punta del coltello nel tondo, buttandovi poi il suo sale; e questo ti basterà per il primo tondo. Dell’una delle due cosce, tenendo sempre la forcina ferma in alto, tu trincerai il restante della carne della coscia, facendola cadere nel tondo che tu avrai sotto la mano, e poi con la punta del coltello entrerai sotto li branchi della forcina tra l’osso dalla coscia e quello dello stinco, e quelli facilmente dividerai l’uno dall’altro: spingendo prima gli ossi della coscia fuora della forcina con la punta del coltello, facendolo restare nel medesimo tondo, voltando poi ] punta della forcina da basso, farai cader con il coltello l'osso del stinco nel tondo, buttandovi il suo sale; e questo sarà per il secondo tondo, fatto di una delle due cosce, come dissi di sopra Hora vi
resta l’altra coscia, la quale tu imbroccherai come la prima, cioè che l’osso del stinco prima e poi quello della coscia entrino nelli dui branchi della forcina, levando poi quella in alto accommodandoti sempre la coscia al taglio del coltello, facendone di quella dui tondi, come facesti della prima. e in questo modo tu verrai havere, della parte del capretto dal mezo indrieto, fatto sei parti eguali. e ora ragionerò come se imbrocca e si trincia il capretto dal mezo innanzi.
29rCAP. XXXVII. COME SI TRINCIA IL CAPRETTO DAL MEZO INNANZI.
Il capretto dal mezo innanzi, cioè li quarti attaccati insieme, si sogliono cuocere allesso, perché sono migliori e più sani.
Volendoli adunque trinciare sopra la forcina, tu pigliarai la forcina grande e il coltello mezano, ponendoti il piatto dalla tua banda manca, avvertendo bene che se il capretto sarà troppo cotto tu non lo potrai imbroccare nè manco trinciare; e essendo di quella sorte, lassalo stare o mandalo via; e se pur tu fussi sforzato di trinciarlo, lascialo nel medesimo piatto; ponendo la forcina in esso con più destrezza che potrai, ne levarai le parti migliori, che sarà la punta del petto e poi le cosce, e così di mano in mano andarai seguitando di trinciarlo senza ordine e come ti tornerà più commodo; ma se il capretto sarà intero e ben fermo, lo potrai facilmente imbroccare e trinciare nel modo che tu intenderai. E nota che in dui modi si possono imbroccare, l’uno ponendo la forcina sopra le spalle, e farla passare dinanzi nel petto e poi levarlo in alto; l’altro modo di imbroccarlo sarà questo. Tu devi sapere che tutta la schiena del capretto, dalla coda sino al collo, ha un buco che passa da l’un capo all’altro; voglio adunque che tu li tagli prima tutto il collo, cioè quella parte che sta attaccata alle spalle, e che tu ti accommodi il capretto di modo che con commodità lo possi imbroccare, ponendo l’uno de’ branchi della forcina in quello buco che trovarai fra le due spalle nel filo della schiena, e che l’altro branco entri di sopra la schiena, ma tanto a dentro che tu senta che il capretto sia ben fermo nella forcina, anchora che in questo modo il capretto, per non essere imbroccato giusto, penderà più da una banda che dall’altra; ma questo non importa Perché in altro modo non lo potresti imbroccare per trinciarlo tutto senza imbroccar di novo; imbroccato che avrai, come dissi, sopra il collo, tu ti porrai con la persona al tuo loco e con grazia leverai il capretto in alto, voltando il petto verso la mano diritta; e così come della parte del capretto da mezo in dreto ne facesti sei parti, così farai di questo.
Adunque tu troverai la congiuntura del piede e della spalla manca con il taglio del coltello, e prima ne levarai il piede, il qual sarà cacciato nelle coste del petto, e quello tu farai cadere nel tondo che tu avrai sotto la mano; poi accommodandoti bene la mano della forcina ne leverai con dui tagli la spalla manca, facendola cader nel medesimo tondo; e perché tra la spalla e il collo vi resterà un boccone di carne grassa e molto bona, quella trincerai facendola cadere ancora lei nel tondo, buttandovi poi con grazia il sale; e questo sarà per il primo tondo, fatto della spalla et il piede manco.
Volendo fare il secondo tondo, tu volterai la spalla diritta verso te e ne leverai il piede, che sarà cacciato nelle coste del petto, e quello farai con la punta del coltello cadere nel tondo che tu avrai sotto la mano; dipoi con altri dui tagli alla spalla diritta, quella con la punta del coltello porrai con grazia nel medesimo tondo, e con esso ancora vi trincerai quel boccone di carne che sta fra la spalla e il collo; e questo basterà per il secondo tondo, buttandovi il suo sale.
Volendo fare il terzo tondo, tu volterai il petto del capretto verso la tua mano dritta e darai dui tagli, l’uno dalla banda dritta e l’altro dalla banda manca del petto, in quelli ossetti, li quali, per essere molto teneri, facilmente si tagliano, e con la punta del coltello la farai cader nel tondo che tu avrai sotto la mano; e dipoi con il taglio del coltello verso te, ne leverai le due prime coste dalla banda dritta; voltando un poco la forcina, ne leverai l’altre due coste dalla banda manca e con grazia tu farai cadere nel tondo, buttandovi poi il sale; e questo basterà per il terzo tondo.
Volendo far il quarto tondo, tu spingerai la punta della forcina innanzi, che il petto del capretto sia volto di fuori, e con il taglio del coltello volto da basso ne taglierai due o tre di quelle
coste dalla banda dritta, facendole cader nel tondo; e dipoi altre due tre coste, appresso di quelle, insieme con esse ponerai nel medesimo tondo; voltando poi un poco più la forcina, accommdando il capretto al taglio del coltello, ne leverai altre quattro coste dalla banda manca, facendole cadere nel tondo; vi buttarai il suo sale, facendolo dare dove a te piacerà. E questo sarà abastanza per il quarto tondo.
Volendo far il quinto tondo, tu spingerai di nuovo il capretto innanzi verso il tuo signore, e col taglio del coltello verso di te leverai tutte le coste da tutte due le bande, a due a due sino all forcina, a tal che non ti resti in essa altro che tutta la parte della schiena; facendole cadere nel mezo del tondo, vi butterai co grazia il sale. E questo sarà il quinto tondo.
Ora ti
resta sopra la forcina tutto l'osso del filo della schiena voltando la punta de la forcina verso la tua mano dritta, tenendo ben ferma la mano e con il taglio del coltello volto de basso taglierai di nodo in nodo tutta la parte che avrai sopra la forcina facendola cader in quattro parti nel tondo che tu avrai sotto ]i mano; e con bella grazia piglierai il sale con la punta del coltello e
lo butterai sopra Torlo del tondo, dandole dove a te piacerà. E questo basta per il sesto e ultimo tondo, fatto delli dui quarti del capretto dal mezo innanzi, attaccati insieme.
CAP. XXXVIII. COME SI TRINCIA UN LOMBO DI CAPPIO.
Il lombo del caprio s’intende tutto il filo della schena dal mezo indreto, il quale è sempre di longhezza un palmo: e questi si fanno sempre arrosto nello spiedo; e sono molto buoni quando sono frolli.
Volendolo adunque trinciare, tu pigliarai la forcina grande e il coltello grande, accommodandoti il piatto dove sarà dentro a canto di te, dalla tua banda manca; voltando in modo che tu lo devi imbroccare, facendo che l’un delli branchi della forcina entri nel buso del filo della schena e l’altro branco entri di sotto dalla banda dove sta il rognone, acciò che quello, ponendo da l’altro canto, non ti desse fastidio nel trinciar la parte del lombo, che i lombo si dice la carne che sta sopra la schiena. Posta che tu haverai la forcina dove io ti dissi, che tu la spingerai bene a dentro, tosto che il pezzo del lombo stia ben fermo nella forcina; ponendoti poi giusto con la persona, leverai il lombo in alto; ma avertisci che, ben il pezzo sarà grande, che vi sarà poca carne attaccata, dove poche parti ne potrai fare, perché l'osso di quello malamente si può dividere, perché li ossi suoi in quelli luoghi sono duri e difficili da dividere sopra la forcina, ma solo di tutta la polpa ti trai servire, facendone d’essa sino a quattro parti. Volterai adunque parte del rognone verso di te, e con il taglio del coltello verso la tua mano manca ne leverai prima dui pezzi di coste picciole da ogni banda, e le farai cadere nel tondo; dipoi tu volterai la parte di sopra, cioè del lombo, verso te, e ne leverai da ogni parte del lombo due fette sottili, ponendole con grazia nel tondo o piatto che tu avrai sotto la mano; tenendo ben ferma la mano della forcina trincerai tutta la carne de’ lombi trita come la carne di vaccina, overo in fette sottili, come a te piacerà, ma tanto andrai adentro con il coltello che tu scopri tutto l'osso e che ne levi tutta la carne, la qual farai cader nel piatto, overo nel tondo. Il resto che ti resterà sopra la forcina desimbroccherai posando nel piatto, perché sopra la forcina tu non la potresti dividere, come dissi di prima. E questo sarà abastanza in quanto al lombo del caprio, il quale va trinciato sopra la forcina.
CAP. XXXIX. COME SI IMBROCCA E COME SI TRINCIA LI COPPIOTTONI DI VITELLA O D’ALTRE CARNI.
Li coppiettoni sono pezzi di carne di vitella, di porco o di altra carne della coscia, quali sono grossi di meza libra l’uno; vanno inlardati minuti e cotti nello spido.
Volendo adunque trinciare questi, tu piglierai la forcina gran de e il coltello mezano, e voltando la punta della forcina all’ingiù ne imbroccherai dui o tre di questi, l’uno appresso l’altro, quanto ne potrà capire nella forcina; ponendoti poi con li piedi al tuo segno, tu leverai in alto la forcina e con il taglio del coltello anderai di mano in mano trinciando in fette sottili la parte di sopra, facendole cadere nel tondo che tu avrai sotto la mano; e nello arbitrio tuo sarà di trinciar il restante in fette sottili o grosse overo minute come la carne di vaccina. Girando sempre la forcina intorno per accommodarti sempre la coppietta al taglio del coltello, finiti questi, ne imbroccherai degli altri, tenendo il medesimo ordine, facendone tante parti quanto a te piacerà, 30v avertendo sempre di tener piegata la mano della forcina sopra il tondo che tu avrai sotto la mano per farvi cadere la carne trinciata nel mezo di essi; avertendo ancora che nel cader la carne a basso, quella non ti venga a cader sopra la mano della forcina, perché sarebbe brutto vedere. E questo sarà abastanza in quanto al trinciare ogni sorte di copiottoni sopra la forcina.
CAP. XL. COME SI TRINCIA UNA PORCHETTA DI LATTE.
Le porchette di latte picciole e grasse sono molto bone quando che le sono ripiene di bone cose e cotte ne lo spiedo e poimangiate calde. Volendola adunque trinciare, tu piglierai la forcina grande e il coltello mezano al solito modo; ma accioché tu sappia, la porchetta non s’imbrocca e non si trincia sopra la forcina, come si fanno molte altre sorti di carne, perché la porchetta ha la sua carne molle e dipoi quella è longa di tratto, di sorte che, imbroccando in qual parte si voglia, non starebbe forte e si romperebbe nella forcina; adunque tu la lascerai star ferma nel piatto, incominciando come tu intenderai.
Tu farai che la porchetta stia con la schiena di sopra, facendo che la testa stia volta verso la tua mano manca, ponendo la costa del coltello sopra il collo; calcando da basso, tu imbroccherai la testa nel grugno, overo nella bocca, di sorte che tu senti che quella sia bene imbroccata; dipoi tu volterai il taglio del coltello da basso tagliandone il collo di netto a canto alle spalle, e il capo ti resterà facilmente nella forcina, la qual leverai con grazia in alto; ponendoti con la persona al tuo segno, con il taglio del coltello volto verso te, ne trincerai tutta la parte del collo e delle gote, la quale è bonissima, e quella farai posare sopra l’orlo del tondo che tu devi havere sotto la mano; dipoi tu levarai ambe le orecchie, posandole nel medesimo tondo; abbassando la testa poi sopra il tondo, tenendo ben ferma la forcina, con la punta de coltello tu aprirai la testa di sopra, scoprendone le cervella e li dui occhi, levandone quelli dui pezzi de ossi; levando la forcina, a testa ti restarà nel mezo del tondo; buttandovi con gratia il suo sale la darai a chi ti piacerà. E questo sarà in quanto alla testa della porchetta; e in questo medesimo modo potresti aprire la testa
del capretto che sari bonissimo.
Hora vi
resta da trinciare il rimanente della porchetta dalle
spalle indietro; tu ti accommoderai adunque di sorte la porchetta jla mano del coltello che con facilità tu ne possi levare prima il piede diritto, ponendolo con grazia con la punta della forcina e Li coltello nel tondo che tu avrai sotto la tua mano e dipoi con gratia, senza imbrattar niente, tu li leverai la paletta della spalla diritta, ma che con essa vi sia attaccata la crosta di sopra la qual ancora porrai nel medesimo tondo; dipoi con la punta del coltello volta all’ingiù tu darai un taglio dalla banda diritta da l’un capo all’altro sopra il filo della schiena, dalle spalle insino alla coda, staccandone di quelle coste dalla schiena; con il taglio del coltello volto da basso ne spiccherai due o tre coste attaccate insieme con la crosta ancora, con un poco di quel pieno, e l’uno e l’altro porrai nel medesimo tondo; buttandovi il suo sale lo darai dove farà bisogno. E questo basterà per il primo tondo, fatto del piede e della spalla dritta e due o tre coste con un poco del pieno della porchetta.
Volendo far il secondo tondo, tu volterai la banda manca della porchetta verso te e ne leverai prima il piede e poi la spalla manca, ponendo l’uno e l’altro nel tondo che tu devi havere sotto la mano; dando poi un altro taglio per il lungo della schiena dalla banda manca delle spalle al groppone, e con grazia, senza imbrattare niente, ne leverai due o tre coste con la crosta attaccata da la banda manca, ponendole nel medesimo tondo e con esso un poco del ripieno della porchetta; e questo basterà per il secondo tondo, fatto del piede e della spalla manca, con due o tre coste attaccate insieme, con un poco del ripieno; e con bona grazia con la punta del coltello vi buttarai il sale, dandolo dove farà bisogno.
Volendo far il terzo tondo, tu seguiterai di levarne tutte le coste dalla banda diritta a tre o quattro insieme con la sua crosta attaccata; le quali ponerai nel tondo che tu haverai sotto la mano; e se quelle non bastaranno per fare il tondo honorevole, vi ponerai un poco di filo delle reni o, per dir meglio, della schiena, ponendo vi con esso un poco di ripieno, buttandovi con grazia il sale al suo loco, dandolo dove a te piacerà. E questo basterà per il terzo tondo, fatto del resto delle coste dalla banda diritta, con un poco di parte dell’osso del filo della schena e con un poco di ripieno con esso.
Volendo fare il quarto tondo, tu ne levarai tutte le coste dalla
banda manca a tre o quattro insieme con la crosta attaccata tre o quattro parti ponerai nel tondo che sarà sotto l'orlo del piatto, ponendovi ancora con esso un poco di filo della sche accompagnandovi sempre un poco di ripieno della porchetta accommodando bene con gratia ogni cosa sopra il tondo, buttando il suo sale, darai dove farà di bisogno. E questo bastarà per il quarto tondo, fatto delle coste della banda manca, con una parte dell’osso della schiena e con esso un poco di ripieno di essa porchetta
Volendo fare il quinto tondo, tu potrai imbroccar la cossa diritta e dividerla dalla manca, e così sopra la forcina levarne prima il piede, ponendolo sopra il tondo che sarà sotto la tua mano; dipoi tu ne trincerai tutta la carne della coscia diritta, spiccandone poi Posso del scannello dalla coscia; e l’uno e l’altro porrai nel medesimo tondo; se vi sarà più ripieno, ve ne porrai un poco, e buttandovi il sale con grazia lo darai o farai dare dove farà di bisogno. E questo basterà per il quinto tondo, fatto del piede e della coscia diritta con un poco di ripieno d’essa.
Volendo fare il sesto e ultimo tondo, tu imbroccherai la coscia manca, ma in parte che tu conosci di poterla trinciare senza sbroccarla; e prima ne leverai il resto dell’osso della schiena, cioè la coda; e quello porrai nel tondo, e dipoi tu li leverai il piede, staccandolo dalla coscia; voltando poi un poco la forcina, ne staccherai Posso del scanello della coscia, ponendolo anco lui nel medesimo tondo, e con grazia taglierai poi la carne della coscia in fette sottili overo grosse, come a te piacerà, ponendola nel tondo; e se sarà bisogno vi porrai ancora con esso Posso della coscia che tu avrai sopra la forcina, buttandovi il suo sale. E questo sarà abastanza per il sesto tondo, fatto dell’ultima parte del groppone o della coda e di tutta la coscia manca divisa in più parti.
E questo crederò che ti doverà bastare in haverti mostro come si trincia una porchetta di latte cotta nel spido, divisa in sei parti, senza la testa. Non voglio già dire che tu non la potresti dividere in altro modo e ancora incominciare da un’altra banda, ma a questo modo me pare che sia il più facile; sarà adunque in poter del trinciante d’incominciar da qual banda li piacerà e di farne quante parti li tornerà commodo che, per dire il vero, in questo animale non vi è quasi regola nè ordine alcuno; e però incomincia da qual banda ti piace che tutto ti tornerà bene, avertendo sempre d’incominciare da quella parte che più piacerà al tuo signore.
CAP XLI. COME SI TRINCIA UN PROSSUTTO INTEGRO
Li prosautti si sogliono fare di zigotti di porco salvatico o domestico e sono molli quando sono della bona sorte.
Volendo adunque trinciare il
prosciutto, tu pigliarai la forcina grande e il coltello grande, e lo imbroccarai giusto nella forcina, acciò che quello non penda da nissuna banda, e lo levarai in alto con grazia, ponendoti giusto con la persona; tenendo il
prosciutto volto con il piede di sopra e con il taglio del coltello volto verso di te, tu li leverai la codica con la grassa d’intorno e tutta la carne rancia, se ve ne sarà, girando sempre la forcina intorno per accommodar il
prosciutto al taglio del coltello, facendo che quello che tu trincerai sia netto e polito da ogni bruttura. Ma nota che sono molto diversi i gusti degli uomini, perché alcuno li piace il
prosciutto tagliato in fette grandi, e altri in picciole, ad altri grasso, ad altri magro, e ad alcuni altri poi li piace che sia trinciato tutto e minuto come la vaccina. Adunque questo sarà ad arbitrio del trinciante di trinciare il
prosciutto secondo il gusto del suo signore e di farne poi quante parti sarà di bisogno. E questo ti deve bastare in havere inteso come s’imbrocca e come si trincia il prosutto sopra la forcina.
32rCAP. XLII. COME SI TRINCIA UN SALAMO.
Delli salami ve ne sono di più sorti, quali si fanno di carne di porco e altra carne, investiti nelle budelle di bove o di porco; et alcuni chiamano mortadelle, cioè con l’empiture di golle o di altra carne integra; e questa sorte di salami sogliono essere molli e pieni di
sugo, e per la sua grassezza non si potrebbono tenere sopra la forcina, perché, nel trinciarli, si romperebbono e casca rebbono dalla forcina. Adunque questa sorte di salumi si deve lassar stare nel piatto, ponendo li branchi della forcina sopra essi per tenerli più fermi, e con il cortello ne taglierai le fette sottili, facendole cadere nelli tondi che tu avrai sotto la mano. L’altra sorte di salami si chiamano salciccioni bolognesi, grossi e pieni di carne battuta, duri di sorte che a gran fatica si possono imbroccare nella forcina. Volendo adunque trinciare uno di questi, tu piglierai la forcina grande e il coltello mezzano e il salciccione da l’uno de’ capi; e se sarà troppo grosso, tu lo taglierai nel mezo a traverso; dipoi tu imbroccherai una delle due parti e quella leverai in alto, levandone prima quella scorza di sopra, tanto che tu scopri tutto il buono del salame; dipoi con il taglio del cortello verso di te ne taglierai fette sottili, facendole cadere nel mezo del tondo che tu avrai sotto la mano, e di quello ne farai tante parti quanto a te piacerà, girando sempre la forcina intorno per accommodare il salame al taglio del coltello, e il simile farai di ogni altra sorte de salami. E questo sarà abastanza in havere ragionato delli salami de diverse sorti.
CAP. XLIII. COME SI TRINCIA UN PASTIZZO DI QUAL SORTE SI VOGLIA.
Li pasticci si fanno di diverse sorti di carne, grandi e piccioli, alcuni pieni di capponi e altri di pezzi di porco e altre cose simili; e alcuni poi si danno caldi e altri freddi; e l’uno e l’altro sono bonissimi, quando che sono fatti di carne frolle e bene acconci dal pasticcerò.
Volendo adunque trinciare uno
pasticcio grande, tu piglierai la forcina grande e il coltello mezzano, ponendoti il
pasticcio a canto di te dalla tua banda manca; e se quello non sarà aperto, tu lo aprirai levandoli via la crosta di sopra, mandandola via; e se nel
pasticcio vi sarà cappone o altro uccello, tu lo imbroccherai nelle reni, seguitando l’ordine che io dissi che tenessi nel trinciar del fasano. Ma se nel
pasticcio vi sarà un pezzo di porco, di caprio o di altra carne, tu lo imbroccherai avvertendo di poner la forcina in parte che quando tu leverai quello in alto e che tu lo trincerai, che questo sia trinciato per il suo verso, cioè che li lardelli venghino tagliati per il traverso e non per il lungo, perché non starebbe bene. Levandolo poi con grazia in alto, ne taglierai di quello le fette sottili, facendone cadere
32vnel mezo del tondo tanta quantità che sia abastanza; e di questa sorte ne farai quanti tondi ti farà di bisogno.
Li pastizzi piccioli poi, siano pieni di qual cosa si voglia, a questo piglierai la forcina e il cortello mezano, e prima lo aprirai di sopra levandoli la crosta, e se quello fosse pieno di carne, cioè un pezzetto di carne di vaccina o di porco, con il suo intingolo dentro, questo tu lo trincerai, così nella medesima cassa per il traverso, di sorte che li lardelli, come dissi, venghino tagliati per il traverso; lasciando poi stare così, tu lo darai al tuo signore, e se ancora bisognasse dividerlo, lo potrai facilmente fare, facendoti dare un cucchiaro d’argento, e con quello vi butterai un poco del medesimo sapore per ciascun tondo; e se non farà di bisogno, lo aprirai solamente e così lo darai al tuo signore, overo dove farà di bisogno. E questo basterà in haver ragionato come si trincia ogni sorta di pastizzi.
CAP. XLIV. COME SI TRINCIA LA CARNE DI VITELLA O DI CASTRATO COTTA ALLESSO.
Sono molto differenti li tagli e qualità delle carni che si costumano di cuocere bollita: e quasi mai niuna di quelle si sogliono trinciare sopra la forcina, dal pollo e la vaccina in fuora.
Venendoti adunque innanzi vitella, castrato o altra carne cotta alesso, tu guarderai prima da qual parte e di quale carne sarà il pezzo della carne e di qual grandezza e così, secondo la grandezza del pezzo, tu piglierai la forcina e il coltello e perché poche sono le carni alesse, come dissi di sopra, che se imbrocchino, per essere quelle troppo molle. Adunque tu lassarai star così posata nel piatto, ponendo la punta della forcina da qual banda ti piacerà, pur che ti torni commodo che, trinciandola, la sia trinciata per il suo verso, avendo sempre uno o dui tondi sotto l'orlo del piatto per farvi cadere drento la carne che tu trincerai; e così con buona grazia tu tagliarai di quella in fette sottili, facendole cader nel tondo che tu avrai sotto la mano, accompagnandovi sempre qualche ossetti o qualche nervetti, secondo il gusto del tuo signore; buttandovi poi con grazia con la punta del coltello il sale, lo darai dove a te piacerà; e così anderai facendo e seguitando de' farne quante parti ti farà bisogno. E questo crederò che sarà abastanza in quanto al trinciare della carne bolita.
CAP. XLV. COME SI TRINCIA UNA TESTA DI VITELLA.
La testa di vitella suole essere molto buona, ancora che rare volte si costumano di mangiare alle tavole de’ gran signori; e pur quando le si mangiano, si sogliono prima pellare e poi così intiegre cuocere bollite; ma vanno 33rben cotte, di sorte che le si possa dividere. Questa non s’imbrocca e non si trincia sopra la forcina ma solo si lassa così integra nel medesimo piatto, dividendola poi come tu intenderai.
Volendo adunque trinciar la testa di vitella, tu piglierai la forcina grande e il cortello grande nelle mani, accostandoti il piatto di essa a canto di te, dalla tua banda manca, facendo che il mostaccio sia volto verso la tua banda manca; avvertendo che, sebene la testa della vitella è grossa assai, non vi è però molta robba d’intorno, perché, come tu sai, il capo non ha altro che osso e in essa non vi è altro di buono che le orecchie, l’occhi e le cervella, il mostaccio e le gote, a tal che d’ogni cosa insieme potrai facilmente far sei parti; ma ora io ti mostrerò solo come si trincia, ché dipoi a te starà di farne quante parti tu vorrai. Avendoti adunque accommodata la testa nel modo detto di sopra, ponendoti con la persona al tuo segno, prima tu ponerai la punta della forcina nell’orecchio manco e con il taglio del coltello quella leverai sino a canto all’osso, ponendola sotto il tondo che tu avrai sotto la mano; imbroccando poi l’altra orecchia dalla banda dritta, e quella porrai nel medesimo tondo, dando all’una e l’altra un taglio a traverso, dividendole in quattro piatti; e dipoi porrai la punta della forcina nelle nari del naso e con il taglio del coltello volto all’ingiù darai un taglio per il lungo della testa, tagliando solo la pelle, e scoprirai l’osso della testa; e con la punta del coltello alla congiuntura, quella aprirai facilmente, levandone le due parti dell’osso, scoprendo le cervella e tutti dui li occhi. Andrai poi con grazia con la forcina e con il coltello levando tutto il cervello e tutti due li occhi, li quali facilmente spiccherai; la cotica poi della testa con le gote andrai levando in pezzi piccioli o grandi, dividendoli nelli tondi come a te piacerà. E questo sarà il modo che tu devi tener nel trinciare una testa di vitella, la quale poi potrai dividere in quante parti ti piacerà.
CAP. CXLV. COME SI TRINCIA UNA TESTA DI PORCO SALVATICO.
Le teste del porco salvatico si sogliono spiccare dal busto con almeno un dito e sui di collo con la sua ganassa o gola
staccata, che questo è la bontà sua; e sono molto buone quando le sono frolle e di porco giovane; queste si sogliono pelare prima e poi cuocere bollite in vino, aceto,
rosmarino, salvia e sale; e si mangiano fredde e sogliono ritornare in tavola molte volte, come la grue, che sempre sono buone.
Volendo adunque trinciar quella, tu pigliarai la forcina e il coltello grande, ponendo la testa dalla tua banda manca, facendo che il grugno del porco sia voltato verso la tua mano manca; e volterai la testa per fianco, aiutandoti con la mano e con la
33vsalvietta, ché con la forcina e cortello non potresti voltarla per la garandezza sua; e dipoi tu li leverai tutta la cotica di sopra dalla banda dritta, cioè dalla parte che sarà volta di sopra alto a basso, due dita verso il collo e le gote, levandone prima una fetta larga dalla parte di fuora, cioè quella prima parte negra; e dipoi con il taglio del cortello volto da basso li taglierai delle gote fette sottili, a una a una, e con la punta del cortello le ponerai nelli tondi, sino tanto che tu avrai finito tutta quella parte dalla banda dritta sino a canto l'osso della mascella; e se l’orecchia dritta, la quale sarà di sopra, sarà tenera e bona, ché molto bene la vedrai, tu la potrai tagliar ancora lei e dividerla. Tagliato che tu avrai tutta la parte di buono dalla banda dritta, tu volterai di sopra la banda manca, aiutandoti sempre con la mano e con la salvietta per non la toccare, e con grazia tu li leverai tutta la cotica di sopra, come dissi che facesti, tagliandone tutta quella parte di bono in fette sottili sino all’osso della massella, levandoli ancora con esso l’orecchio manco. Tu tornerai dipoi la testa per il suo dritto, facendo che sempre il grugno stia volto verso la tua banda manca, levandone tutta la cotica di sopra tra la nuca e il collo, scoprendone tutta la parte del collo, e che col taglio del coltello volto da basso ne taglierai le fette sottili, e con la punta del coltello gentilmente le ponerai sopra li tondi; e così farai sino che tu haverai trinciato tutta la carne. Il resto, che malamente sarebbe buono, mandato via E questo basterà quanto alla testa del porco.
CAP XLVII. COME SI TRINCIA E DIVIDE OGNI SORTE DE POTAGGIO.
Il potaggio non vole dire altro che diverse sorte di carne condite dal cuoco per farle sapere bene a chi le mangia; e questi sono bonissimi quando che sono fatti di buona carne e da cuoco eccellente; e alcuni se ne fanno de robba integra, e alcuni altri spezzata. Se ’l potaggio adunque sarà di robba spezzata, la forcina mezana e il coltello mezano ti serviranno benissimo; accostandoti il piatto dalla tua banda manca, ponendo uno o dui tondi sotto Torlo del piatto, con la punta poi della forcina e del coltello andrai dividendo quello a poco a poco sopra li tondi, ponendo per ciascuno tondo un poco del suo intingolo col piatto, overo con il cuchiaro d’argento, buttandovi poi il suo sale per ciascuno tondo. Ma se ’l potaggio sarà di robba integra, secondo la qualità della robba così piglierai la forcina e il coltello; e lo imbroccherai e lo leverai in alto, se tu conoscerai di poterlo fare; e dipoi la trincerai e dividerai sopra li tondi, avertendo sempre di non imbrattare cosa alcuna, ma ogni cosa far polito e netto e con buona grazia. E questo sarà abastanza.
34rCAP. XLVIII. COME SI TRINCIA OGNI SORTE DI TORTE E DI CROSTATE.
Le torte e le crostate se ne fanno di diverse sorte e a trinciar queste ogni sorta de forcina e di cortello sarà buono e il trinciante in questo non avrà molta fatica.
Tu piglierai adunque il piatto della torta o
crostata a canto di te dalla tua banda, avendo sempre apparecchiato uno o dui tondi sotto la mano, e con la punta della forcina e del cortello dividerai quella in pezzi grandi o piccioli come a te piacerà; ponendone un pezzo per ciascun tondo, li farai dare di mano in mano dove farà il bisogno. Ma se la torta o tartara fosse morbida di sorte che con la forcina e col cortello tu non la potesti levare, fatti subito dare uno cuchiaro d’argento e con quello andraila dividendo sopra li tondi; e se non avessi cucchiaro nè altra cosa per levarla, piglia subito una
sietta d’argento, cioè uno tondo picciolo, nettandolo prima con la salvietta, e con quello tu ne leverai la tartara un pezzo per volta, ponendola con il medesimo tondo sopra un altro tondo, dandolo a chi ti piace. E così andrai seguitando tanto che tu avrai finito. E questo sarà abastanza in quanto al trinciare della torta, benché nel trinciar di queste non vi è ordine nè regola alcuna; solo deve avertire di dare la parte più bella e meglio cotta al tuo signore.
Fin qui mi pare di havere ragionato abastanza del modo che si deve tener per imbroccare e trinciare e dividere tutte le sorte di carni cotte e acconce in diversi modi. E sebene vi sono di molte altre sorti di carne che io non ho ragionato, io le ho tralasciate, parendo a me che non faccia di bisogno perché solo io ho voluto ragionare di quelle che a me pare più necessarie perché, sapendo un buono e sufficiente trinciante trinciare tutte le cose che ho narrate qui, saperà ancora trinciare ogni altra sorte di carne che li sarà posto innanzi; e però farò fine in quanto alle carni.
Ora ragioneremo di tutte le sorti di pesci, cioè di quelli più necessari; ma perché di tutte le qualità de pesci non v’è il più onorato dello storione, adunque noi cominciaremo dal storione e poi seguitaremo di mano in mano, secondo che da me tu intenderai.
HAVENDO IO RAGIONATO ABASTANZA DE TUTTE LE SORTE DE CARNI, ORA RAGIONEREMO COME SI TRINCIA TUTTE LE SORTE DE’ PESCI DI MARE, E PRIMA DIREMO COME SI TRINCIA E COME SE DIVIDE IL STORIONE. CAP.XLIX
Lo storione, secondo il mio giudizio, fra tutte le sorti de’ pesci grossi è il migliore, ma vole essere mangiato frollo, al con trario di molte altre sorte di pesci, li quali se non sono freschi non vagliono nulla; e ha un’altra parte di buono, che s’aconcia in qual modo si voglia sempre egli è bonissimo, tanto caldo quanto freddo. e ancora si possa cuocere in molti modi, come dissi di sopra, pur il più delle volte si suole cuocere alesso, ma diviso in pezzi grandi o piccioli secondo la grandezza dello storione. Ma sia quello grande o picciolo ordinariamente la testa si cuoce allesso.
Adunque ragionaremo prima del capo come parte più honorata e ancora la migliore. Volendola adunque trinciare e dividere, forcina mezana e il coltello mezano. Ma perché tu non imbroccare nè trinciar sopra la forcina, tu la lascerai stare cosi posata nel medesimo piatto, voltando il mostazzo verso la tua mano manca. Ma nota che la testa dello storione, sebene ella è alcuna volta grande, che in essa vi è poca robba e percioché parti ne potrai fare; perché il capo dello storione è quasi tutto un osso integro tanto nervoso che a gran fatica vi si puole cacciar dentro la forcina nè tagliare col coltello.
Avendo adunque la forcina e il coltello nelle mani, stando con la persona al tuo segno, tu volterai la punta della forcina da basso e imbroccherai la testa nel mostazzo dal mezo innanzi, nella parte più tenerella per tenerla più ferma. Dipoi con la punta del cortello volta verso la tua mano manca, la caccerai in cima la testa tra la nuca e la crosta o scaglia che il storione suole havere sopra la testa, spingendo bene il coltello adentro; alzando poi la mano in alto, ne leverai tutta quella scaglia in due parti, la quale per essere dura la manderai via; tra il collo e la testa vi suole essere di molta polpa; questa, per essere la parte migliore, la leverai con la punta del coltello e la farai cadere nel tondo che tu haverai sotto la mano; ponendo poi la punta della forcina ne l’occhio dritto, con la punta del cotello lo spiccherai d’intorno, lo leverai di netto, ponendolo nel medesimo tondo e buttandovi il sale tu lo darai al tuo signore.
Tu volterai dipoi la testa dalla banda manca verso te, ne leverai l’occhio manco, ponendolo sopra un tondo; un poco più da basso sotto l’occhio vi ha una parte di grasso bianco che pare latte: di quello ne leverai una parte ponendola nel medesimo tondo; girata poi la testa intorno, leverai uno delli duoi ossi che ono sotto la mascella, ne leverai uno di quelli ponendolo nel tondo, vi butterai il suo sale, lo darai dove farà di bisogno; te ne leverai poi l’altra parte dell’osso dell’altra mascella ponendolo nel tondo; e acciò che tu sappi, sotto le due orecchie, o baise che noi le vogliamo chiamare, tu vi troverai da ogni banda un pezzo di polpa la quale non è molto bianca, nè manco molto buona per esser tutta magra; questa dividerai in due tondi aggiongendovi qualche altra parte della polpa di quella che confina col collo; testa intorno; levandone le parti più tenere e le migliori ne fa dui altri tondi che in tutte saranno sei parte. E questo sarà bastanza in quanto alla testa dello storione.
Essendo posto in tavola un pezzo di storione grosso di cinque overo sei libre e che quello sia ben cotto, cioè che stia duro sodo, che molto bene lo conoscerai nel toccarlo con la punta del coltello, tu lo imbroccherai nella forcina per il traverso, ma di sorte che tu conosca quello non ti debbia cascare; imbroccato che tu l’haverai, prima che tu lo levi in alto, tu li leverai tutta la scaglia della schiena e delli fianchi con la parte trita del bilico; e con molta destrezza, con il cortello che taglia come rasore, ne taglierai di quella polpa fette sottili overo minute come la carne di vaccina aggiongendovi una parte del bilico la quale è la migliore per essere più grassa, e l’una e l’altra farai cadere nel tondo che tu haverai sotto la mano. E quando che tu ne avrai tagliata abastanza, vi butterai il sale dandole dove a te piacerà; e dipoi andrai seguitando di dividere quello sino che tu vedi che ’l remanente ti voglia cadere della forcina; allora tu lo lassarai posare nel piatto dividendolo in fette sottili o grandi come a te piacerà; e il simile farai di ogni altro pezzo di storione, quando tu vedrai di non lo potere imbroccare; e questo crederò che basti in haverti mostrato il modo che si deve tenere in trinciare lo storione grosso.
Ma se ti fusse posto innanzi in tavola una porcelletta, che così si chiama un pesce simile al storione, ma sono assai più picciole, di tre sino in quattro libre, a questa tu leverai la scaglia di sopra la schena e quella dalle due bande; aprendola poi per la schiena dal capo alla coda, li leverai la spina di mezo, e così netta e aperta la darai nel medesimo piatto al tuo signore.
CAP. L. COME SI TRINCIA UNA LAMPREDA.
La lampreda è pesce di gran prezzo e è molto stimata fra' golosi, ma ve ne sono de due sorti, delle grosse di quattro overo cinque libre l’una, e delle picciole come le ceriole. Le grosse si cuocono così intiere con il suo sapore sopra e si possono mangiare calde e fredde, che nell’uno e nell’altro modo sono bonissime e durano così acconce otto o dieci giorni.
Volendola adunque trinciare, ogni forcina e ogni coltello sarà buono; tu ti accosterai adunque il piatto dalla tua banda manca, ponendoti con la persona al tuo segno, voltando la forcina da basso sopra la lampreda, e con grazia ne taglierai un pezzo per traverso, come sarebbe un pezzo di anguilla; la porrai sopra un tondo dandoli dui o tre tagli al traverso, così per sbiasso, buttandovi con un cucchiaro d’argento sopra un poco del suo intingolo e vi buttarai il suo sale, la darai al tuo signore; e così seguitando di mano in mano, ne farai quanta parte ti farà di bisogno, buttandovi sempre per ogni tondo un poco del suo sapore. L’altra sorte sono delle picciole, e queste si cuocono sopra la graticola, overo si friggono nella padella, con
agresto o
sugo di melangole sopra; di queste se ne mette due o tre per tondo, dandoli dui o tre tagli per traverso; la parte di mezo è sempre la migliore e questa tu darai al tuo signore. Questo adunque bastarà in quanto al trinciare della lampreda, la quale non ha spinta e va solo tagliata per il traverso, dandola, come dissi, un pezzo per tondo.
COME SI TRINCIA LA TRUTTA. CAP L.
La trutta è pesce eccellentissimo. Questi si suole cuocere in diversi modi, ma in qualunque modo si cuoca, sempre saranno bonissime.
Volendola adunque trinciare e dividere, ogni forcina e ogni cortello sarà buono; se la trutta sarà grande, tu la taglierai per il traverso, cominciando dalla testa; li lascerai attaccato con essa un dito di polpa e con grazia la porrai sopra un tondo e buttandovi il suo sale, la darai al tuo signore per essere quella la miglior parte. E dipoi andrai seguitando di mano in mano, tagliando per il traverso dui o tre dita per pezzo, ponendo sopra il tondo; aprendola poi con grazia li leverai la spina di mezo, buttandovi il suo sale e così andarai facendo sino che tu haverai finito di tagliarla tutta sino alla coda; e se la trutta sarà picciola, tu l’aprirai per fianco dalla testa alla coda con la punta del coltello; dandogli un taglio al traverso della spina a canto alla testa, quella ne levarai tutta intiera; buttarai dipoi sopra l’orlo del tondo un poco di sale, daralle al tuo signore; e se saranno più picciole le lassarai stare senza aprirle e così intiere ne darai due o tre per tondo. E questo ti bastarà in quanto alla trutta.
CAP. LI. COME SI TRINCIA IL CARPIONE.
Il carpione è pesce eccellentissimo, e a questi generalmente si suole dare una mano di sale e poi friggere, mangiandosi poi freddi; e si conservano così cotti otto o dieci giorni; e questi modi di cuocerli si suole dire accarpionare e però si dicono carpioni per il suo proprio nome e ancora perché sempre cuocono a quel modo per potersi conservare e mandarli ancora molto lontano, quando fa il bisogno.
Volendolo adunque trinciare, ogni forcina e ogni coltello ti potrà servire. A questo tu ponerai la punta della forcina nel capo, dandogli un taglio per il largo dalla testa alla coda per il fianco, tanto che solo tu li tagli la pelle di sopra, la quale poi facilmente mondarai verso la coda; ponerai il carpione, dapoi così netto, nel tondo che tu avrai sotto la mano; e se al tuo signore piacerà che tu li levi la spina di mezo, tu li darai un taglio dal capo alla coda con la punta del coltello; voltando poi la coda da basso, ponendola nel taglio che tu li desti per lungo, aprirai per fianco; mondandola da due bande, li levarai la spina di mezo, e la darai al tuo signore, facendoli dare con essa un poco d’aceto forte, e così farai di mano in mano secondo
36rti verrà l’occasione. E questo ti basterà in quanto al trinciare del carpione.
CAP. LII. COME SI TRINCIA L’OMBRINA, LA SPIGOLA E ALTRI PESCI SIMILI.
L’ombrina è pesce bonissimo e puossi cuocere in vari modi, che sempre è buono, e l’ombrina, la spigola, il corvo e il cefalo sono quasi d’una medesima grandezza, salvo l’ombrina, la quale è assai maggiore d’ognuno di essi. Questi si cuocono in diversi modi, e a volerli trinciare ogni forcina e ogni coltello ti servirà. Tutte queste sorte di pesci si possono cuocere in molti modi, come dissi di sopra, ma generalmente si sogliono cuocere a lessi. Se adunque il pesce sarà cotto integro, o vero in pezzi, tu lo vedrai con li occhi tuoi; e se quello sarà integro, tu li leverai prima la testa lassandovi attaccato uno o due dita della sua carne, e quella per essere la miglior parte del pesce tu la darai al tuo signore, ponendola sopra un tondo, nettandola di sopra se vi sarà cosa alcuna di tristo. Ma se la testa fusse grande di sorte che bisognasse aprirla per il mezo, tu porrai la punta della forcina nel mostaccio dalla parte dinanzi, spingendo tanto la forcina a dentro che tu senti che quella stia ben ferma, e volterai la testa così nella forcina con le baise di sopra, le quali baise le leverai via perché non vagliono nulla, e in questo modo li occhi resteranno scoperti. Dipoi tu volterai la punta del coltello all’ingiù, ponendola nel mezo della testa, cioè fra li dui branchi della forcina; spingendo bene da basso facilmente tu aprirai la testa in due parti, di sorte che le cervella vi resteranno scoperte, le quali sono bonissime; avertendo bene che nella testa della ombrina tu vi troverai due pietre bianche, le quali dicono che portandole adosso, che toccano la carne, giovano molto alli dolori colici. Aperto adunque che tu haverai la testa nel modo detto di sopra, sopra il medesimo tondo tu vi butterai il suo sale e lo darai al tuo signore; l’altra parte poi,che vi resterà del pesce, tu lo aprirai per il fianco levandone la spina di mezo, e con la punta della forcina e del cortello ne levarai poco o assai secondo la grandezza del pesce, ponendola sopra li tondi, buttandovi per ciascuno tondo il sale con la punta del coltello; e se il pesce sarà cotto in pezzi piccioli come molte volte si sogliono cuocere, a questo il trinciante vi durerà poca fatica, perché di quello ne potrai porre uno o dui pezzi per tondo, ponendovi con esso un poco del suo sapore; e di questo modo tu andrai seguitando sin che tu avrai finito di dividere tutto o parte del pesce che tu avrai innanzi. E questo ti basterà in haverti mostro come si trincia e si divide l’ombrina, la spigola e altri simili pesci.
CAP. LIV. COME SI TRINCIA IL TONNO.
Il pesce tonno è pesce di mare e la sua carne non è molto bianca nè manco di prezzo, e è più presto magra che grassa; e quasi per l’ordinario questo pesce si suole cuocere bollito e ancora farsene pasticci; e quando sarà un pezzo grosso e che sarà ben cotto, la sua carne sarà talmente dura e soda che facilmente si potrà trinciare sopra la forcina.
Volendolo adunque trinciare, tu piglierai la forcina e il coltello mezano; ponendoti con la persona al tuo segno, accostandoti il piatto alla tua banda manca, tu porrai con grazia la costa del coltello sopra il pezzo del pesce per tenerlo più fermo con la forcina; lo imbroccherai per il traverso, ma con tanta destrezza che tu non lo rompi, spingendo tanto la forcina addentro che tu senti che quello stia ben fermo, e poi lo leverai in alto con grazia, levando prima quella scorza negra di sopra tanto che ne scopri la polpa bianca; e con il taglio del coltello, il quale bisogna che quasi rada come rasoro, ne trincerai la carne o la polpa del tonno minuta, come dissi che facesti la carne di vaccina; la qual farai cadere nel mezo del tondo che tu avrai sotto la mano, buttandovi con grazia con la punta del coltello il sale lo darai al tuo signore; e di questo modo andrai seguitando di farne quante parti ti farà di bisogno. Ma se il pezzo del tonno sarà picciolo, che tu non lo possa imbroccare, tu lo lasserai stare così nel piatto, facendo di quello le parti, ponendone un pezzo per tondo, avertendo di dar sempre la parte del bilico al tuo signore per esser quella la più grassa e la migliore. E questo ti basterà per havere inteso come si trincia e si divide il pesce tonno: del capo suo io non ho voluto parlare perché quello il pescatore lo dà per giunta.
CAP. LV. COME SI TRINCIA LA LENGUATA, OVERO SUOLA.
La lenguata è pesce di prezzo e è molto buono, e è simile a una suola de scarpa, e perciò ancora si chiama suola.
Volendo adunque trinciare questa, poca fatica vi si dura perché solo vi si leva la spina di mezo; e ogni forcina e ogni coltello sarà buono. Tu piglierai adunque il piatto a canto di te, voltando la coda verso la tua mano diritta; e ponerai la punta della forcina nella testa della lenguata e con la punta del coltello li darai un taglio per il lungo della testa sino alla coda, tanto che tocchi la spina; e dipoi con la costa del coltello volta da basso anderai nel medesimo taglio aprendo la lenguata; dandoli poi un taglio per il traverso a canto la testa nella spina, alzando la mano rinsù e aiutandoti ancora con il coltello, ne spiccherai facilmente la spina di netto tutta sino alla coda, la quale ponerai nel piatto; e sopra l’orlo del tondo dove sarà il pesce senza la spina vi butterai il suo sale e lo darai al tuo signore. E questo basterà per la lenguata, al qual pesce si va levando la spina. Questo pesce si suole quasi sempre cuocere fritto nella padella, ponendovi sopra
sugo di melangole, overo nella graticola.
CAP. LVI. COME SI TRINCIA IL PESCE ROMBO.
Il pesce rombo è pesce di mare molto buono e si suole cuocere il più delle volte allesso; a questo pesce la forcina e il coltello mezano ti servirà benissimo. e il rombo, se sarà grande, tu li leverai prima tutta la panza, che sarà quella parte bianca che sarà di sopra, nella quale ne farai uno o dui tondi, buttandovi il suo sale; e dipoi taglierai la spina al traverso a canto la testa, ponendo la forcina in essa dove la tagliasti, alzando la mano della forcina in alto, facendo con la punta del coltello che tutta la polpa del pesce resti nel piatto, la qual spina con molta facilità si leva; levata che sarà, quella porrai da una banda, facendo del rimanene del rombo dui o tre altri tondi, secondo la grandezza del pesce, levandone prima le spine picciole di fuora, non ti scordando di buttare per ogni tondo un poco dell’intingolo che sarà nel piatto. E questo sarà abastanza in quanto al rombo.
CAP. LVII. COME SI TRINCIA UNA LACCIA.
La laccia è pesce di mare, ma entrano per le foci de’ fiumi d’acqua dolce e se ne vanno contra l’acqua; e quando le vanno più alte le sono migliore; questo pesce è bollissimo e si cuocono quasi sempre bollite, ma vogliono essere grasse e fresche e di latte, ma hanno tante spine che con molta difficultà si possono levare che la laccia non si rompa, benché alcuna volta ho sentito dire a homini di questa professione che li dava il cuore di levarli tutte le spine con la punta della forcina e del coltello in un medesimo tempo attaccate alla spina maestra; ma poi a questo tale io ho visto molte volte trinciare e non ha fatto tanti miracoli; e a me non darebbe il cuore di saperlo fare, perché questo, per dire il vero, è il più diffidi pesce al trinciarlo bene che si trovi, e secondo il mio giudizio solo in tre modi si può trinciare la laccia, come da me tu intenderai.
Volendo adunque trinciare una laccia, tu piglierai la forcina e il coltello mezano, pigliando il piatto a canto di te dalla tua banda manca; voltando la coda in fuori, ponendo la forcina nel capo della laccia, e con il coltello ne leverai tutte le spine picciole che sono sopra la schena, mandandole verso la coda; e il simile tu farai a certe scaglie picciole che sono nella pancia; netterai bene polita tutta la laccia da ogni bruttura che vi fusse intorno; e se la laccia haverà l’ova darai un taglio con la punta del coltello per il longo della pancia e con destrezza ne leverai l’ova con la forcina, le quali tu ponerai sopra un tondo e le potrai far friggere; dipoi tu ti accomoderai la laccia di sorte che ponendo la forcina nella testa tu possi dare un taglio con la punta del coltello per il mezo del fianco, dalla testa alla coda; ma non affondar tanto il cortello che tu non tagli e non rompi le spine maestre; e dipoi volterai la costa del coltello di sotto e ponendola nel medesimo taglio, con destrezza aprirai la laccia da due bande, cioè che la parte della schena dalla sua banda e la parte della pancia dall’altra banda. Ma farai con tanta destrezza che tu non rompi la spina nè manco le due parti della laccia; aperto che tu avrai la laccia dalla testa insino alla coda e scoperto tutta la spina, tu volterai la laccia con la testa verso la tua mano diritta e darai un taglio per il traverso alla spina a canto la testa, tagliandola di netto; ponendo poi la punta della forcina nel mezo della spina a canto alla testa, dove la tagliasti, alzando la mano in alto, e con la punta del cortello andrai staccando da canto di sotto la polpa del pesce; la spina ne leverai tutta di netto sino alla coda, con tutte le sue spine maestre attaccate, le quali manderai via; dove la laccia ti verrà a restare aperta da due bande, netta da tutta le spine maestre, la quale potrai dare così acconcia al tuo signore, overo la potrai dividere in quattro parti. Ma nota che vi sono li dui lobi, cioè uno da ogni banda, li quali sono senza spine, e sono molto buoni; ma se la laccia sarà grassa, la parte della pancia è la migliore. E questo sarà il primo modo per trinciare la laccia.
Il secondo modo sarà di nettare prima, come dissi, la laccia da tutte le bande levandoli ancora le ova; dipoi con la punta del coltello darai un taglio per il filo della schena alla laccia, dalla testa alla coda, entrando bene a dentro; e un altro taglio darai dalla banda dinanzi pur sino alla coda. Volterai dipoi la laccia, che la coda guardi verso la tua mano diritta e porrai la punta della forcina nella coda della laccia, pigliando con essa ancora la spina, alzerai la forcina in alto, facendo che la metà della laccia resti da basso sopra il medesimo piatto; e l’altra metà leverai con la spina; avendo un tondo nella mano del clrtello, lo spingerai sotto la spina sino a canto la testa, la quale deve esser tagliata prima di netto; alzando il tondo con la spina e la meza laccia con esso, restarà nel tondo; pigliando dipoi un altro tondo lo porrai sopra quella parte dove sarà la spina; rivoltando quello di sotto, e quello primo leverai, dove la spina resterà di sopra; e con la punta della forcina alla coda ne imbroccherai la spina; rivoltando un poco la mano, la spina ne leverai tutta di netto dalla coda al capo con le spine maestre, dove tu verrai ad havere la laccia divisa in due parti, l’una nel primo piatto e l’altra nel tondo che tu ponesti sotto la spina. E questo sarà il secondo modo del trinciare o del levar le spine alla laccia.
Il terzo modo sarà di nettar prima la laccia da ogni bruttura che le fosse intorno, e levandoli ancora le uova, se ve ne saranno, tagliando poi la laccia al traverso di netto, la spina e ogni cosa; facendone quante parti a te piacerà, dando la parte di mezo al tuo signore per esser quella la migliore; e se vorrà che tu li levi la spina di mezo, quel pezzo aprirai in due bande, la spina ne leverai, buttandovi poi con grazia con la punta del cortello il suo sale. E questo sarà abastanza per haverti mostrato li tre modi che si possono tenere nel trinciare la laccia; ma in quanto al mio giudizio non v’ha il più bello nè il più netto del primo.
CAP. LVIII. COME SI TRINCIA IL FRAOLINO, LA TRIGLIA, L'ORATA e ALTRI SIMILI PESCI.
Il fraolino, la triglia, l’orata e altri pesci simili non vengono molto grossi e sono buoni cotti in diversi modi; e a voler trinciare questi, vi si dura poca fatica e ogni sorte di forcina e di cortello sarà buono; ma se ’l pesce sarà grosso, che il maggiore di questi potrebbe pesare quattro libre, a questo dunque li darai un taglio dalla testa sino alla coda per fianco, e l’aprirai mandandola con la costa del cortello da due bande; e poi con la punta del cortello e della forcina tu li leverai la spina maestra integra, mandandola via; e sopra l’orlo del tondo butterai il sale, dandolo al tuo signore. E così farai d’ogni sorte di pesci di questa grandezza. Ma se saranno piccioli, tu li dividerai tre o quattro per tondo, ponendoli con esso melangole spaccate in due parti. E questo sarà abastanza in saper come si trincia e come si divide simili sorti di pesci mezzani e piccioli.
CAP. LIX. COME SI TRINCIA LA TINCA E LA CARPANA.
La tinca e la carpana sono pesci di acqua dolce e sono quasi d’una medesima qualità e d’una medesima grandezza, salvo che la carpana ha la scaglia grande quanto uno quattrino, e la tinca non ha scaglia alcuna; e per essere questi due pesci tanto universali, non sono tenuti in molto conto. A questi ogni forcina e ogni coltello sarà buono, e generalmente si sogliono cuocere allesso. Adunque li leverai prima la lingua, nettandola bene con il coltello, la porrai sopra un tondo; la testa e il petto, overo la pancia, sono le migliori parti che siano in essi; e questo darai al tuo signore insieme con la lingua, e dipoi il rimanente potrai dividere come a te piacerà. E questo ti basterà in quanto alla tinca e alla carpana.
38rCAP. LX. COME SI TRINCIA LA LOGUSTA O IL GAMBARO DI MARE.
La logusta e gambaro grosso di mare sono molto buoni; gelando son freschi e che sono cotti alessi, vengono a rimanere rossi come li gambari d’acqua dolce.
Volendoli adunque tu trinciare, credo che la forcina e il cortello mezzano ti servirà benissimo. Adunque tu pigliarai la logusta e la volterai con la panza disopra, voltando la coda verso la tua man manca, ponendo la costa del coltello al traverso della logusta per tenerla più ferma nel piatto; ponendo la punta della forcina sotto la punta della coda, spingendola ben dentro, tanto che tu senti che quella sia ben ferma ne la forcina, e ponendoti con la persona tuo loco tu levarai la logusta in alto, voltando [a pancia di sopra e con la punta del cortello darai dui piccioli tagli l’uno per banda alla punta della cocchia della testa, entrando dentro tanto che tu senti che quella sia quasi staccata; ponendo poi la Punta del coltello sotto la cocchia, tu calcherai bene il cortello da basso alzando la forcina in alto; la cocchia della testa ti resterà nel tondo che tu avrai sotto la mano; dipoi con la punta del cortello li leverai li piedi tutti insieme attaccati alla parte del corpo, dove tutta la coda ti resterà sopra la forcina.
Credo che tu sappia che la coda della logusta e del gambaro hanno una scorza spezzata a somiglianza delle lame di uno scarsellone di un corsaletto, overo di una anima di ferro, le quali vanno una sopra l’altra, che volendole levare farà bisogno che tu incominci da quella che sta a canto alla testa della logusta, che sebene tu volesti incominciare da quella parte della coda, tu non potresti levarle, come tu stesso conoscerai; tu spingerai adunque la forcina innanzi, voltando la parte più dura di sopra, tenendo ben ferma la forcina, e con la punta del coltello andrai levando tutte le parti della scorza ad una ad una; e così andrai seguitando fino alla punta della coda. Un altro modo di nettare la coda che sarà più presto, tu poserai la coda così nella forcina sopra il tondo con la cocchia di sopra, e con la punta del coltello tu le darai il taglio per il lungo della cocchia di sopra, cominciando alla punta della coda tra li dui branchi andando insino in cima; dato che tu li avrai quello taglio e tagliato la cocchia, tu rivolterai l’altra parte della coda di sopra e darai l’altro taglio per il lungo della coda dalla parte di dentro; ma non mandare la punta del coltello molto abasso, che basterà solo che tu tagli quella parte tenera sotto la coda; alzando in alto poi con la punta del coltello la cocchia della coda, ne leverai in due bande, restandoti tutta la polpa della coda sopra la forcina, la quale con grazia ponerai nella cocchia della testa sopra il medesimo tondo; e non la volendo dare così integra, tu la potrai tagliare così nel tondo in molte parti per il traverso; buttandovi il suo sale lo darai al tuo signore, e con esso aceto forte e pepe e sale; e questo basterà in quanto alla logusta.
CAP. LXI. COME SI TRINCIA IL LUCCIO GROSSO E PICCIOLO.
Il luccio è pesce d’acqua dolce e è molto buono cotto in diversi modi, ancora che se ne tenga poco conto: a questo la forcina e il coltello mezano ti servirà benissimo. Se il luccio adunque sarà grosso, tu li leverai prima la testa con un dito della sua carne attaccato e con grazia tu la netterai di sopra via da ogni bruttura che vi fusse e, senza romperla, la darai sopra un tondo al tuo signore; l’altra parte del luccio, la pancia, è la migliore; quella dunque dividerai in quante parti a te piacerà. Ma se il luccio sarà picciolo, lo aprirai per fianco, levandoli la spina integra e così lodarai, overo tu lo lasserai stare, ponendolo solo così integro sopra il tondo, buttandovi il suo sale; e questo ti basterà in quanto al luccio grosso o picciolo.
CAP. LXII. COME SI TRINCIA UN
pastello DI PESCI.
Ogni sorte di pastelli che ti verrà posto in tavola, volendolo trinciare, la forcina e il coltello mezano sarà buono; se il
pastello sarà picciolo tu li leverai solo la coperta di sopra, dandone uno per tondo; ma se il
pastello sarà grande, tu lo aprirai prima, e la crosta di sopra la manderai via; e se il pesce che vi sarà dentro sarà spezzato, tu ne darai con grazia un pezzo per tondo; pigliando poi un cucchiaro d’argento, con quello butterai per ogni tondo un poco del suo sapore; e così anderai facendo sino che tu avrai finito di dividerlo tutto. Ma se il pesce sarà integro, tu lo aprirai per fianco, dalla testa alla coda, levandone poi con grazia quella parte che a te parerà la migliore; avertendo sempre di rompere manco che sarà possibile quella parte che tu leverai dal
pastello, ponendola nel tondo che tu avrai sotto la mano, buttandovi per ogni tondo il sale, se il pesce non fusse salato. E questo sarà abastanza in quanto alli pastelli de pesci grandi e piccioli.
CAP. LXIII. COME SI TRINCIANO LE OSTREGHE.
Le ostreghe sono di molta stima, nascono nel mare tra li sassi e honorano ogni gran convito; a questa non fa di bisogno adoperare forcine, ma solo tu avrai uno cortello picciolo, ma grosso dalla costa accioché nell'aprire che farai l’ostrega, quello non si rompa.
Tu piglierai adunque il piatto dell’ostreghe a canto di te stando sempre con la persona disposto al tuo luogo; tu pigliarai prima una salvietta piegata in dui doppi sopra la mano manca e pigliando il cortello picciolo nella mano diritta, tu piglierai con le due dita l’ostrega e la porrai nella mano manca sopra la salvietta per non la toccare e per non imbrattarti la mano, alzando tutte due le mani alte dal piatto, e con la punta del coltello tu aprirai l'ostrega, serbandoti nelle mani quella parte dove sarà il buono dell’ostrega, e l’altra parte porrai in uno piatto apparecchiato per tal effetto; tenendo ben ferma l’ostrega nelle mani così alta dal piatto, tu li spiccarai con il taglio del cortello la parte di dentro e poi con la medesima mano del coltello con due dita la porrai con grazia sopra un tondo; e di questo modo andrai seguitando fino che haverai finito, ponendone quattro o cinque per tondo; buttandovi sopra l’orlo del tondo pepe e sale, lo darai al tuo signore; e questo bastarà in quanto alle ostreghe, le quali solo vanno aperte e spiccato il buono di dentro.
CAP. LXIV. COME SI TRINCIA IL GRANCHIO DI MARE
Il granchio grosso di mare prima si cuoce allesso, e volendolo trinciare tu pigliarai la forcina e il coltello mezano e con l’una e l’altra punta tu volterai il granchio con li piedi di sopra, voltando il corpo verso la tua mano manca, ponendo la costa del coltello al traverso del corpo del granchio per tenerlo meglio fermo, e imbroccarai quello giusto nel mezo della coda spingendo bene la forcina adentro, tanto che tu senti che quello stia bene fermo nella forcina; voltando la cocchia di sopra, alzandolo un poco in alto, spingendolo innanzi, porrai la punta del coltello dal canto di drieto, sotto la cocchia; voltando il granchio con i piedi di sopra, senza movere il coltello, calcando poi quello da basso, alzando la forcina in alto, la cocchia facilmente si spiccherà, la quale farai stare sopra il tondo che devi havere sotto le mani.
Hora ti restarà tutta la parte del corpo ne la forcina con li piedi attaccati: allora tu con la punta del coltello ne leverai tutta la parte buona del granchio, parte bianca e parte gialla; e quelle sono le sue ova, facendo l’uno e l’altro cadere dentro la cocchia nel medesimo tondo; sbroccando dipoi il rimanente, dipoi tenendo con le due dita della mano della forcina la cocchia del granchio, e con la punta del coltello ne spiccherai tutta quella parte di buono che sarà attaccato, e con grazia mescollerai ogni cosa insieme, buttandovi con la punta del coltello di sopra il sale e pepe, e con un poco di
sugo di melangole lo farai scaldar bene sopra le brase. Ma il più delle volte queste si sogliono far acconciar dal cuoco overo dal credenziero , e le sue zampe grosse si sogliono rompere, e quello di dentro lo battono col coltello e meschiano insieme con l’altra parte nella medesima cocchia di sopra; e acconci in questo modo sogliono essere molto buoni, ma io non ho voluto restare di ragionare di questo, accioché, se per sorte ne fosse posto in tavola al tuo signore, tu sappi come tu devi fare per volerlo trinciare.
CAP. LXV. COME SI TRINCIA IL GRANCHIO D’ACQUA DOLCE
Volendo trinciar il granchio d’acqua dolce overo di fontana, delli duri e non delli teneri, a questo tu piglierai la forcina e il; coltello picciolo e voltarai il granchio con li piedi di sopra, e poserai la costa del coltello sopra esso, e lo imbroccherai nella coda, spingendo la forcina bene, tanto che tu senta che il granchio stia fermo. Dipoi tu lo leverai in alto, spingendolo un poco innanzi, e con la costa del coltello verso te ne farai cadere tutti li piedi da tutte due le bande, salvo le due zampe grosse, le quali lassarai attaccate al granchio, acciò se piacesse al tuo signore; dipoi tu volterai la forcina con il granchio verso la tua mano dritta con la cocchia di sopra, e con il taglio del coltello, aiutandoti con il dito grosso, tu taglierai d’intorno intorno la cocchia talmente che tu vedi che quella sia tutta spiccata di netto; tenendo poi ferma la forcina e con la punta del coltello ne farai cadere la cocchia di sopra, che facilmente si leverà per il taglio datoli prima d’intorno, dove il granchio ti resterà netto e tutta la parte del buono scoperta; e quello poi con la punta del coltello leverai della forcina ponendolo sopra il tondo; e di questo modo andrai facendo di mano in mano, ponendo tre o quattro per tondo; e buttandovi il sale lo darai al tuo signore. E questo basterà in quanto al trine delli granchi duri di acqua dolce.
CAP. LXVI. COME SI TRINCIA IL RICCIO DI MARE
Il riccio di mare a punto sono come quelli dove nascono dentro le castagne, ma sono rossi e si mangiano così crudi. A questo tu piglierai la forcina mezana e il cortello mezano, e lo imbroccherai giusto nel mezo della bocca, la quale sarà come la parte del gambo dove sta attaccato il riccio del castagno, e dipoi il leverai in alto piegandolo verso la tua mano dritta e con la costa del cortello darai al traverso di quello girando la forcina intorno, tanto che tu l’abbi rotto di netto, come se tu volessi rompere un ovo al traverso; la qual crosta, o cocchia, per essere tenera, si rompe come una noce che abbia la cocchia sottile; e dipoi con la punta del cortello ne leverai la parte di verso la punta, e il buono che vi sarà dentro sarà rosso, il quale deve restare attaccato alla medesima cocchia; e così rotto in due parti si pongono sopra il tondo; e quella parte di buono si suole mangiare cruda col pepe e
sugo di melangole; e alcuna volta si sogliono così spaccati in due parti ponere sopra la brace; e alcuna volta ancora si cuocono ne l’acqua come li gambari integri; ma nel volerli rompere non v’è il miglior modo di questo, che imbroccarlo nella bocca e rompendo con la costa del cortello. Questa sorte di pesci si mangia di rado; pur questo sarà il modo di trinciarlo.
CAP. LXVII. COME SI TRINCIA IL GAMBARO DI FONTANA.
Li gamberi di acqua dolce sono tanto generali che ognuno li conosce, ma ve ne sono de’ grossi, che quando sono mangiati freschi sono per eccellentia buoni.
Volendoli adunque trinciare non ti sarà di bisogno di adoperivi la forcina, che per la picciolezza sua non li potresti imbroccare. Adunque tu piglierai solo il cortello picciolo nella mano dritta, e un capo della salvietta ponerai sopra la tua mano manca, per non toccare il gambaro con le mani; e così con grazia tu piglierai il gambaro con la mano che tu haverai il coltello e lo porrai nella manca così con la salvietta, e volterai la coda di sopra e li piedi da basso; facendo che il dito grosso della mano manca stia disteso dentro per il lungo della coda, e con le due dita della mano del coltello amaccherai tutta la cocchia della coda; e dipoi che quella sarà acciacata la leverai con le medesime dui dita, tenendo ben fermo il gambaro, la qual scorza butterai nel piatto: ora ti restarà il gambaro con la coda netta dalla sua scorza; poi con il dito longo della mano dritta alzerai o spiccherai un poco la cocchia della testa; voltandola verso te, vi caccerai con prestezza dentro la punta del coltello, il quale devi sempre tenere nella mano; ne leverai il gambero e con esso lo porrai con grazia nel tondo; e questo sarà il primo modo del nettare il gambaro.
L’altro modo sarà, netto che tu avrai la coda del gambero, perché in ogni modo quella prima si netta, tu ne leverai la cocchia della testa, restando la coda attaccata al busto insieme con li piedi; e dipoi con la punta del cortello lo leverai dalla mano manca e lo porrai nel tondo; e questo sarà il secondo modo di mondar il gambaro.
Il terzo e ultimo modo sarà, netto che tu avrai la coda del gambaro come dissi di prima, tu porrai il dito longo della mano del coltello sopra la cima della coda; piegando la punta del dito innanzi, stringendo con esso la coda e la cocchia della testa insieme, tirando quella verso di te; e con la mano manca tenerai forte la parte del corpo e li piedi insieme, dove la coda, cacciata nella cocchia della testa, ne leverai con molta facilità, la quale con la medesima mano porrai nel tondo.
E questi saranno li tre modi che tu devi tenere per mondare li gambari; dove starà poi in tua eletione di mondarli come a te piacerà, ponendone quanti a te piacerà sopra il tondo del tuo signore, facendoli dare con essi aceto, sale e pepe: e questo è la sua triaca. E questo basterà in quanto a l’averti mostrato come si mondano li gambari d’acqua dolce overo di fontana.
Vi sono molte altre sorte di pesci freschi e salati, de’ quali io non ho voluto ragionare per non venir a fastidio alli lettori, perché
delli pesci salati, questi si cuocono e s’acconciano alla credenza da credenzieri; de l’altre sorte poi de le quali io non ho fatto memoria, crederò che sarà abastanza di quello che ho detto, perché nel trinciare de’ pesci non vi vuole molto sapere, perché malamente in quelli si puole osservare regola alcuna. Adunque io farò fine parendomi d’aver detto abastanza de’ pesci.
CAP. LXVIII. COME SI TRINCIA E SI ACCONCIA UOVO DA BEVERE
Volendo acconciar l’ovo da bevere al tuo signore, piglia la forcina a triangolo molle della quale te ho fatto fare qui il modello a posta per tal effetto, e lo imbroccarai con essa, spingendo in su l’anello che ha detta forcina in mezo; leverai l’ovo in alto e con il coltello picciolo da frutti lo romperai attorno attorno; e con la punta del coltello ne leverai quella cimetta che è sopra alla rottura, piegando un poco la forcina verso il tondo che ti starà sotto la mano dritta, tenendo il coltello a traverso l’ovo, acciò non caschi il torlo, ma solo il bianco; poi con la punta del coltello vi butterai il suo sale, overo zuccaro o canella, conforme al gusto del tuo signore, e poi lo ponerai nell’ovarolo, se vi sarà; e se non vi fusse, lo porrai subito sopra la saliera, qual porgerai inanzi al tuo signore o a chi farà de bisogno, e così farai de mano in mano a tutte l'ove da bevere.
Avendo io ragionato assai abastanza come si trincia tutte le sorte de’ pesci più necessari, ora ragionaremo del modo che si deve tenere ne l’imbroccare e trinciare tutte le sorte de’ frutti: e prima diremo del mellone, per essere quello il re de’ frutti.
CAP. LXIX. COME SI TRINCIA IL MELLONE
Il mellone, e massime in Italia, è opinione che sia il miglior frutto che si mangi, massime quando sono della bona sorte e che sono poi mangiati al suo tempo.
Volendolo adunque trinciare, tu piglierai la forcina e il coltello picciolo, ma non già quello delle frutte perché non ti servirà per la sua curtezza, e questo sarà in quanto alla forcina e il cortello che devi adoperare. Ma nota che molte volte sono portati li melloni in tavola quando vengono le vivande, dove che il trinciante malamente ha comodità di assaggiarli tutti per accaparne il migliore per dare al suo signore e molte volte avviene ancora che in quella confusione di tanti, in cambio di darli il buono se li dà il più tristo; e però sarà bene che tenghi l’ordine che da me tu intenderai.
Io voglio adunque, prima di poco che sia portata la vivanda, che si facciano venire li melloni alla credenza e assaggiarli tutti, e di quelli accaparne uno o dui, li migliori, e quelli farli coprire con una salvietta bianca, e poi farli porre in tavola dal scalco, quando haranno portate le altre vivande. Venuta l’ora di trinciare il mello e tu tenerai l’ordine che tu intenderai.
In dui modi si possono trinciare li melloni; il primo modo sarà di pigliare il mellone così integro nella man manca, e facendolo posare nel piatto, voltando la parte del fiore di fuori e con il taglio del coltello levandone le fette ad una ad una, tenendole nella mano manca, levandone prima le anime con il coltello, cimando la fetta da ambedui li capi, e con un taglio spiccando la parte bona della scorza, ponendoli poi sopra li tondi ad una ad una; e questo è il primo modo nel quale non si adopera forcina.
secondo modo sarà di pigliarne prima la forcina e il cortello nelle mani; pigliando il mellone nel piatto, lo cimerai da tutti dui li capi; cimato che sarà, tu volterai la parte del fiore verso di te e imbroccherai il mellone in una delle fette, nel mezo giusto del colmo della fetta; spingendo la mano in fuora, voltando la punta della forcina verso di te, e di quello modo imbroccherai la fetta del mellone per fianco; spiccandola con dui tagli, la leverai in alto, facendo guardare un poco verso di te ne leverai tutte le anime con la punta del coltello; voltando poi la forcina innanzi, tenendola ben dritta e ferma, con il taglio del coltello verso te, con un taglio seguito ne spiccherai la parte buona dalla scorza, ma nel fine del taglio, che sarà verso la parte del fiore, guarda di non tagliarla di sotto, accioché la parte del buono non ti cada della forcina; ma tirerai il coltello per fianco e con il taglio volto da basso darai tre o quattro tagli per il traverso della fetta, incominciando dalla banda del fiore, finendo alla parte del peligone; ponendo poi la punta del coltello nel mezo della scorza per fianco con il taglio verso te, spingendo in fuora, tu desimbroccherai la fetta, spingendola un poco in fuori con l’uno delle due dita della mano della forcina, la qual fetta così trinciata porrai con la punta del cortello sopra il tondo; dipoi con buona grazia vi butterai il sale e lo darai al tuo signore; ritornando poi di nuovo a imbroccare l’altra fetta nel modo di prima, la spiccherai con un taglio solo; levandola in alto e nettandola dall’anime, li darai il suo taglio cominciando dinanzi dalla banda del fiore, cacciando la punta del coltello per fianco nella scorza, la fetta desimbroccherai senza darli li quattro tagli di sopra, e di questo modo andrai seguitando di trinciare tutto o parte del mellone, secondo ti farà di bisogno e questo ti basterà in quanto al trinciare il mellone.
CAP. LXX. COME SI TRINCIA OGNI SORTE DI MELE
Le mele sono di diverse "sorti, ma, siano di qual sorte si voglia, volendola trinciare, tu pigliarai la forcina e il coltello picciolo, dico picciolo fatto a posta per le frutte, il quale non deve tagliare dal mezzo indietro, avertendo bene, nel pigliarlo ne le mani, che tu possi col dito lungo arrivare alla punta del coLtello; e questo si fa per potere, bisognando, mandare con quello la mela fuora della forcina; tu ti porrai adunque il piatto o la tazza delle mele accommodato a canto alla tua mano manca, ponendoti con la persona giusto al tuo luogo, e con grazia con la punta del coltello tu imbroccarai la mela per fianco, voltando la mela con il fiore da basso; e la forcina ponerai nel mezzo del pecollo e così imbroccata la levarai in alto con grazia e dipoi la cimarai dalla parte del fiore tutta di netto; spingendo la punta della forcina innanzi con la mela e con il taglio del coLtello verso te, ne monderai la scorza della mela sottilmente, cominciando dal canto del fiore, venendo con il taglio seguito sino da basso a canto il pecollo; e così anderai girando intorno la mela e di mano in mano ne monderai tutta quella, senza spiccarvi punto della sua scorza, ma l’ultimo taglio che tu li darai entrerai sino a canto alli branchi; piegando un poco la mela inanti, tenendo il dito grosso sopra la scorza dell’ultimo taglio, calcandolo sopra la lama del coltello, spingendo la mela in fuora, quella leverai della forcina;levando poi un poco la mela in alto, voltandola con la parte del fiore di sotto, voltando in alto la punta della forcina, tu vi imbroccherai la mela e, senza levarne mai il coLtello dove stava prima, tu finirai di tagliarne tutta la scorza di netto, avertendo di dare quel taglio di sorte che tutta la scorza resti attaccata insieme, la quale porrai sopra il tondo che tu haverai sotto la mano con la parte del fiore volta di sopra; voltando poi la punta della forcina da basso, la mela così mondata tu ponerai nella sua scorza e, senza levarne la forcina, con il taglio del coLtello volto di sotto darai dui o tre tagli alla mela; e di questo modo andrai facendo di mano in mano secondo che ti farà di bisogno. E questo sarà il modo che si deve tenere nel volere trinciare una mela.
CAP. LXXI. COME SI TRINCIA UNA PERA, SIA DI QUAL SORTE SI VOGLIA
Ancora che io abbia ragionato abastanza del modo che si deve tenere per imbroccare e trinciare la mela a tal che facilmente si potrà tralassare di raggionare de la pera, per andar quella quasi imbroccata e trinciata in uno medesimo modo, ma per essere la pera un frutto tanto gentile e apprezzato molto, non ho voluto restare di ragionare di esso, se non per altro, almeno per mostrarti un altro modo d’imbroccare e di trinciarlo ancora.
Volendo adunque trinciare la pera, sia di qual sorte si voglia, tu piglierai la forcina picciola e il cortello picciolo delle frutte e con la punta del cortello tu infilzerai la pera; ma nota che in dui luochi potrai porre la punta del cortello: l’uno sarà di sotto, acanto il fiore, alzando il pero in alto con picollo di sopra; avendo poi la forcina con li branchi volti di sopra e con buona grazia tirando la pera da basso la imbroccherai nel mezo del fiore nella forcina; l’altro modo sarà di porre la punta del cortello nel mezo della pera per il fianco, ma che il taglio guardi in fuora voltando la parte pel picollo di sopra; tenendo la punta della forcina volta di sopra, alzando un poco la pera in alto, con grazia la imbroccherai nella punta della forcina, giusto nel mezo del fiore, facendo che il picollo resti di sopra; e ognuno di questi dui modi che tu imbrocchi starà bene, purché tu lo facci con grazia; dipoi con il taglio del cortello verso te, tenendo sempre nelle mani di sorte che tu possa arrivar col dito alla punta, e con il primo taglio tu cimerai via il picollo di netto; tirandolo poi col taglio verso te sottilmente ne monderai la pera girando di mano in mano la forcina, per accomodare la pera al taglio del coLtello, avertendo sempre a far di modo che tu non spicchi punto della scorza’ mondato che tu avrai la pera sopra la forcina con la parte del picollo di sopra, tu darai tre o quattro tagli alla pera del picollo sino dabasso con il girare la pera intorno, ma darai ogni taglio di sorte che tu non spicchi niente; dipoi con prestezza caccerai la punta del cortello ne la pera a canto la forcina e con il dito grosso della mano della forcina tu spingerai un poco la pera in fuora e la desimbroccherai, la qual resterà sopra la punta del coltello e conegrazia spingerai la mano del coLtello innanzi, porrai la pera sopra il tondo e con il dito lungo la spingerai fuora del coLtello e la farai stare nel medesimo tondo; e di questo modo anderai facendo sino eche tu haverai finito di trinciare tutte o parte di quelle che faranno di bisogno. E questo sarà abastanza per haverti mostrO il modo che si deve tenere ne l’imbroccare e trinciare la pera.
Vi sono ancora di molti altri modi per trinciare le pere, delli quali non ho voluto parlare parendomi che non vi sia il più bello di questo, volendola trinciare sopra la forcina.
CAP. LXXII. COME SI TRINCIA IL CARDO.
Il cardo è noto a ognuno e sono molto buoni quando sono delli spinosi e che poi sono bianchi e ben fatti; e ancora che questo si ponga nel numero de* frutti, non è però altro che una sorte d’erba che fa le fronde grosse e spinose, le quali sotterandosi poi al suo tempo divengono bianche e si mangiano dopo pasto in cambio de’ frutti. Volendoli mangiare, prima se li levano le fronde triste d’intorno, lassandole solo quelle bianche, nettandole poi il suo pedicone d’intorno alla terra e da tutta la sua parte trista, tagliandoli poi il gambo al traverso di netto per poterlo imbroccare nella forcina.
Volendo adunque trinciare il cardo, tu piglierai la forcina mezana e il cortello piccolo; voltando il cardo che il gambo guardi verso la tua mano manca, pigliando con la mano, dove tu tieni il coltello, la salvieta, la quale spiegata un poco, tu pigliarai il cardo al traverso, fermandolo nel medesimo piatto per non lo toccare con la mano; e con la forcina tu imbroccherai il cardo nel mezzo dell'ultima parte del pedicone, spingendo tanto la forcina adentro che tu senta con la mano che quello stia ben fermo; ritornandoti la salvietta sulla spalla, ponendoti giusto con la persona, con grazia tu leverai il cardo in alto, facendo che la punta delle foglie resti di fuora, la quale volterai un poco verso la tua mano dritta, e con il coltello darai un piccolo taglio a ciascheduna foglia, girando come sarà di bisogno la forcina intorno; e con la punta del coltello tutte le foglie disopra farai cadere nel piatto, lassandovi solo quelle foglie più picciole, le quali devono restare attaccate al gambo. Levato che tu haverai tutte le foglie, tu spingerai il cardo con la punta delle foglie innanzi e, con il taglio del coltello verso te, tu netterai il pedicone nel cardo, andando tanto a dentro che tu scuopra tutta la parte tenera e bianca del gambo. Dipoi tu volterai il taglio del coltello in fuora e con destrezza sottilmente manderai intorno intorno tutte le foglie, sempre spingendo il taglio del coltello innanzi, cimandoli poi nel fine la cima delle foglie. Netto che tu avrai il cardo sopra la forcina, tu andrai con il taglio del coltello alla punta delle foglie; entrando in esse col taglio verso te, lo spacarai in dui o tre parte, tagliando quelle al traverso a canto alla punta della forcina, facendole cadere nel mezo del tondo che tu avrai sotto la mano, e buttandovi il suo sale e pepe lo darai al tuo signore; e di questo modo farai quando vorrai trinciare il cardo.
Volendo poi nettare le foglie che tu ne levasti prima, tu ti ponerai la salvietta così piegata sopra la man manca senza la forcina, e con la punta del coltello imbroccherai la foglia del cardo nel mezo, ponendola ne la mano manca sopra la salvietta per non la toccare; e la foglia piglierai nella cima e poi con grazia, col taglio del coltello verso te, intaccando nella foglia sottilmente, quella superficie tirando verso te ne leverai per sino a canto alla mano. Mondato che tu avrai la foglia, tu porrai la punta del coltello nel mezo di essa, la rivolterai capo piedi, ripigliandola pur nel mezo della salvietta; voltando la punta della foglia di sopra, nettando la parte di dentro con la punta del coltello, overo con uno capo della salvietta, voltando la punta della foglia un poco innanzi, e darai un taglio del coltello al traverso di quella senza tagliarla di netto, a canto la mano; ponendo la punta del cortello in quella parte di sopra tagliata, calcando da basso quella ne leverai, dove la foglia del cardo ti resterà monda da ogni tristizia nella mano della salvietta; la quale imbroccherai con la punta cortello con gratia e la porrai sopra il tondo; e di questo modo andrai facendo sino che tu haverai finito di trinciare tutte le foglie.
E questo sarà il modo che si deve tenere nel volere trinciare il cardo sopra la forcina.
CAP. LXXIII. COME SI TRINCIA IL CARCIOFFOLO
Il carcioffolo è un frutto noto ad ogni uno; e sono molto buoni quando sono giovani e freschi e si possono mangiare in diversi modi.
Volendolo adunque trinciare, tu piglierai la forcina piccola et il cortello piccolo delle frutte; e prima tu imbroccherai quello di sopra nel mezo delle foglie apunto e manderai la forcina tanto adentro che tu arivi nel torso del carcioffolo; levandolo poi in alto ponendoti con la persona al tuo segno, e con bella grazia li taglierai il gambo di netto sino a canto il torso un mezo dito in traverso e dipoi volterai la punta della forcina verso te; e con il taglio e con il dito grosso ne leverai quelle foglie di sopra tanto che tu scopri quelle foglie buone e tenere, nettando ben tutto il torso di ogni bruttura; netto che tu avrai il carcioffolo sopra la forcina, tu ponerai la punta del cortello per fianco nel mezo del carcioffolo e quello leverai della forcina, rivoltando il gambo di sotto, e quello imbroccherai a punto nel mezo; ma per fermarlo meglio tu poserai il carcioffolo con la punta delle foglie sopra il tondo e di nuovo volterai la punta della forcina in alto e con il cortello e con il dito grosso ne leverai tutte le foglie tenere, ponendole intorno il tondo con grazia; e la parte ultima, che saranno le foglie piccine, quelle cimerai via di netto, ponendole con la punta del cortello nel mezo del tondo; il torso poi netterai da quelli peli di mezo e ogni altra tristizia che li fusse restata; tagliando in due parti, over così integro, con la punta del cortello leverai della forcina, ponendolo nel mezo del tondo, e buttando sale e pepe, lo darai al tuo signore.
Ma se il carcioffolo sarà cotto, non lo potresti levare in alto, ma solo lo imbroccherai nella forcina pur ne la cima delle fogie triste di sopra, ponendolo poi con il pedicone nel mezo del tondo senza levarne la forcina; e le foglie andrai allargando d’intorno,
quella parte delle foglie con un piccolo taglio, quelle leverai con la forcina ponendole sopra l’orlo del tondo; levandone poi con grazia tutta la parte trista del mezo del torso, lo lasserai stare così fermo, dove il carciofiòlo parerà una rosa aperta; e d’intorno buttandovi il sale e pepe lo darai al tuo signore, e di questo modo farai, volendo trinciare il carcioffolo cotto e crudo sopra la forcina.
Lasciamo andare che ancora vi sono molti altri modi per trinciarlo, quali io li ho tralassati per non essere troppo longo perché quello che io ho detto sarà abastanza.
CAP LXXIV. COME SI TRINCIA IL PERSICO
Il persico è frutto eccellentissimo quando sono della buona sorte. Volendolo adunque trinciare, tu piglierai la forcina piccola e il cortello delle frutte, e con la salvietta e con la mano tu aprirai la forcina di sopra allargando l’uno branco dall’altro; e questo si fa per potere meglio imbroccare il persico, come intenderai. Pigliato che tu avrai la forcina e il cortello come si deve, ponendoti sempre con la persona al tuo loco, tu volterai con la punta del cortello il persico con la parte del fiore di sopra e quello imbroccherai, facendo che l’uno de’ branchi vadi da una banda e l’altro dall’altra dell’osso del persico, li quali branchi facilmente entreranno avendoli aperti qui di sopra come dissi che facessi; e spingerai tanto la forcina da basso che tu senti che sia attaccata nell’osso del persico, il quale leverai in alto, ma lo farai piegare verso la tua mano diritta; e con la punta del cortello, accompagnato con il dito grosso, tu incomincerai dal canto del fiore, cioè da quella parte che imbroccasti; e poi sottilmente entrando nella scorza, venendo sempre voltando la forcina intorno trinciandone la scorza sottile, venendo a finire l’ultimo taglio di sopra nel luogo del pedicone; ponendo poi la punta del cortello nel mezo del persico per fianco, quello con grazia leverai della forcina, e ponendo nel mezo del tondo lo darai al tuo signore senza levarli la scorza. E se per caso bisognasse che tu lo trinciassi in fette, senza imbroccarlo, solo li leverai tutta la scorza, spingendo la forcina con il persico innanzi; e con il taglio del cortello verso di te ne taglierai il persico in quattro fette, facendole cadere nel mezo del tondo o della tazza, ponendo con esso Tosso del persico, facendovi buttare del vino di sopra, se piacerà al gusto del tuo signore. E questo a.me pare assai bel modo nel volere trinciare il persico.
CAP. LXXV. COME SI TRINCIANO SCAFFE O FAVE FRESCHE
Le scaffe fresche, così in tegole, si sogliono quasi sempre acconciare alla credenza del credenziero, ma se per sorte toccasse al trinciante, tu piglierai la forcina piccola e il cortello piccolo delle frutte, e con la mano del cortello e con la salvietta stringerai li branchi della forcina insieme, di sorte che nello imbroccare la scaffa o tegola o scornicchia della fava non entri nel mezo delli branchi, ma tanto stretta che imbrocchino la tegola e la si tenga ferma in essa. Avendo serrato li branchi della forcina insieme, tenendo quella e il cortello nelle mani, stando disposto con la persona, tu ponerai la punta del cortello nel mezo della scaffa per fianco; voltando il taglio di fuori, alzandola un poco alta dal piatto, porrai la forcina nel mezo della scaffa per fianco, o per sbiasso ; calcandola verso la punta della forcina, la scaffa imbroccherai facendo che il pedicone guardi di sotto verso di te; et alzerai la forcina in alto e con il taglio del cortello verso di te ne leverai con un taglio solo seguito tutta la parte di sopra della scaffa, tirando verso te; e senza levarne cosa alcuna di essa scorza, ponerai la punta del cortello nel mezo della scaffa con il taglio verso te, spingendo in fuora, la scaffa leverai della forcina, ponendola nel mezo del tondo che tu haverai sotto la mano; e di questo modo andrai seguitando, ponendovi otto o dieci tegole per tondo, e buttandovi il suo sale le darai al tuo signore. E questo sarà il modo che tu devi tenere nel trinciare le scaffe sopra la forcina, benché sogliono il più delle volte venir in tavola trinciate et acconce dal credenziero.
CAP. LXXIV. COME SI TRINCIA IL MELANGOLO.
Le melangole sono di due sorti, delle forti e delle dolci; le forti vanno trinciate in un modo e le dolci in un altro modo.
Volendo adunque trinciare il melangolo tu piglierai la forcina mezana e il cortello piccolo, e incominciando prima dal melangolo dolce tu imbroccherai il melangolo con la punta del cortello per fianco e lo voltarai con la punta del picciolo di sopra, e quivi lo imbroccherai giusto nel mezo del picciolo; lo leverai in alto con grazia cimandolo di sopra come facesti la mela, ma tanto a basso che tu scuopri il spigolo del melangolo; dipoi con il taglio del cortello verso di te, ne verrai mondando via tutta la scorza come si monda la mela, scoprendo tutto il spigolo del melangolo d’in torno, girando sempre il melangolo intorno per accomodarlo al taglio del cortello. Netto che sarà tutto di sopra, di sotto e d’intorno, tu spingerai la forcina innanzi, e con il taglio del cortello volto da basso ne taglierai tutti li spigoli del melangolo ad uno ad uno con darli dui tagli per ciascuno; li farai cadere nel tondo che tu avrai sotto la mano, di sorte che nella forcina ti resterà solo tutta la parte trista di mezo del melangolo, la quale butterai via, e la parte buona darai al tuo signore facendoli buttare sopra essi dell’acqua fresca; e di questo modo trincerai il melangolo dolce.
E per voler poi trinciare il melangolo brusco, tu ponerai la punta del cortello nel mezo del melangolo voltandolo di modo che tu lo imbrocchi con la forcina giusto nel mezo, ma che l’uno de’ branchi guardi verso il fiore e l’altro verso il pedicone; e dipoi lo leverai in alto; voltando il taglio del cortello verso di te, tu cimerai un poco il melangolo nel mezo, la scorza disopra, e con il taglio del cortello verso te entrerai fra li due branchi della forcina, tagliando il melangolo al traverso in due parti; e dipoi ponerai la punta del cortello in una delle due parti e spingendola in fuora la leverai della forcina ponendola nel tondo; e il simile farasi dell’altra parte; e di questo modo farai ogni volta che tu vorrai trinciare il melangolo in dui parti per struccarlo o spremerlo dove piacerà al tuo signore. E questo sarà abastanza in haverti mostrato come si trincia il melangolo sopra la forcina.
Vi sono anchora di molte sorte e qualità de frutti, delli quali io non ho voluto ragionare per non essere troppo longo e ancora perché a me non pare che importi molto, perché solo ho io voluto ragionare de quelli che sono più necessari e che più si costumano di trinciare alle tavole de’ gran signori.