Del governo della corte d'un signore in Roma


Prefazione

Quando l’Alfieri disse che il Cinquecento chiacchierava, non crediamo che giudizio più acconcio ei potesse portare di quel secolo; nel quale rimatori e prosatori brulicavano per ogni canto, e azzimati in una vesta convenzionale tessuta sulle forme latine – studio ed amore, sin dal quattrocento, della borghesia intromettente e pettegola – nulla
VI concepirono che negli animi frolli spirasse forza e virtù. Sommi e mediocri, tutti ebbero sollecita cura di accattarsi la grazia dei potenti, e scrissero d'ogni cosa che servisse ad allettarli. Era di moda cercarsi con le lettere un protettore. E dal papa ai cardinali, dai cardinali ai prelati, ai duchi, ai conti, ai grassi borghesi, ognuno tenea sua corte; ed ogni corte era un vespajo di saccenti, che dei facili ozi piaggiavano continuamente il donatore. Scrissero anche molti per commissione dei Signori stessi o di chi ai Signori volesse piacere; e per la recente stampa diluviarono in Italia libri ed opuscoli d'ogni ragione, seminati d'ipocrisie, di servilità, di adulazioni, spesso con lazzi scurrili, rinfronzoliti nella forma, vuoti però la più parte nella sostanza. Eppure fra tante quisquilie, omai di
VII menticate per sempre, accade talora di scernere qualche rara scrittura che renda maggior chiarezza alla storia, alle costumanze, alla genealogia, o, se non altro, svegli la curiosità dei posteri lontani per alcuni particolari notabili; e chi tali scritture tornasse in vita, non farebbe, stimiamo, opera vana. Anche questo libro Del Governo della Corte che rivede la luce per la prima volta dopo 340 anni, essendo fatto per commissione e in servizio ostentato della nobiltà, ha il suo peccato originale; nè la materia stessa o lo scrittore hanno in sè tanta preziosità o fama da muovere appetito ne' ghiotti amatori di cose antiche. Ad ogni modo non può dirsi ch’ei sia del tutto senza pregio. Perchè sebbene intorno al soggetto delle Corti e de' Cortigiani esistano, di quel tempo e de' posteriori, diverse scritture, non per-
VIII tanto in questa del Priscianese, sotto forma di ammaestramento, si trovano assai particolarità curiosissime che non si riscontrano altrove; senza dire del giusto criterio, della sana filosofia e della perfetta cognizione che l'autore ha del suo tema. Buona, com'è naturale, vi è la lingua, anzi ricca di voci opportunissime anche oggi agli usi casalinghi; alcune delle quali vorrebbero utilmente registrarsi nel vocabolario. Talora, leggendo, s'incespica nello stile; colpa, le più volte, dell'ortografia barbara di quel secolo: la quale – non so se con lode o biasimo nostro – abbiamo sovente accomodata all'uso moderno.
Di Francesco Priscianese diremo ch'ei nacque a Firenze, ed ebbe credito di buon latinista. Pubblicò nel 1504 una grammatica latina, tenuta in molto pregio e ristam IX pata più volte, per la quale il suo nome andò spesso confuso con quello dell'antico grammatico Prisciano. Fece un dotto commentario latino sulle lettere di Cicerone, edito da Aldo Manuzio nel 1549 e ripubblicato a Venezia dal Zenaro nel 1579. Per le quali opere molti letterati gli furono benevoli, segnatamente il Varchi che gl'indirizzò un sonetto pastorale e s'ebbe da lui una lunga lettera registrata nel Tomo IV delle Prose Fiorentine. Ma in ispecial modo egli si dilettò di scrivere intorno alle Corti e ai Cortigiani. Da Michele Poccianti negli Scrittori Fiorentini e dal P. Negri, ampliatore del Poccianti, sono ricordati di lui: Il Reggimento della Corte (che senza dubbio è una medesima cosa col Governo della Corte) L'altezza dello Stato delle Corti – Il Pre
X cipitio dei Cortigiani – е – Il Premio dei fideli Cortigiani. Le quali scritture hanno ad essere tutte ugualmente rare o almeno assai difficili a trovarsi; perchè, per quanti libri bibliografici furono da noi consultati, non ci venne fatto di averne notizia.
Tenne il Priscianese in Roma, con privilegio del Pontefice, una stamperia per quei tempi assai riputata; alla quale, fra le altre opere, devesi la prima edizione della Vita di Dante scritta dal Boccaccio, che il Priscianese dedicó a Giovanni Lodovico Pio l'anno 1544. – In questa tipografia fu impresso la prima volta il Governo della Corte e dedicato a Cola da Benevento per consiglio del quale era stato composto. Nella lettera dedicatoria che ripubblichiamo con l'opera, l'autore entra
XI a parlare dei letterati, e ne punge con facezia spesso acerba la cortigianeria e il vanitoso egoismo. Si vede ch'ei conosceva bene i suoi tempi!
LORENZO BARTOLUCCI
DEL GOVERNO DELLA CORTE D'UN SIGNORE IN ROMA
Dove si ragiona di tutto quello che al Signore e a' suoi Cortigiani si appartiene di fare, opera non manco bella, che utile e necessaria.In Roma Per Francesco Priscianese Fiorentino Con privilegio del Sommo Ponte fice per anni dieci.AL MAGNIFICO E ONORANDO M. COLA DA BENEVENTO FRANCESCO PRISCIANESEXVII AL MAGNIFICO E ONORANDO M. COLA DA BENEVENTO FRANCESCO PRISCIANESE
Eccovi, onorando Messer Cola mio, colorito il disegno vostro, il quale (se io non m'inganno) sarà a' Cortigiani e a' padro ni loro forse di tanta utilità, quanto a me è stato di fatica. Perciocchè essi potranno quasi in un momento di tempo avere tanta notizia di quello che a loro far si appartiene ne' loro uffici, quanto in molti anni forse altrimenti avuto non arebbono. Ma Iddio voglia che io vi abbia in qualche parte sodisfatto, come io son certo che in tre cose almeno, e a me in tutte, non ho quasi sodisfatto punto: ciò è diXVIII
non avere dedicato l'opera a niuno, come volevate; e fatto onorata menzione del Cardinal Campeggio già vostro Signore; e posto un esempio d'un convito solenne che fare si avesse in Corte. Perchè bisogna che io me ne scusi alquanto: e però primieramente vi dico che io sono al tutto deliberato di non esser più di quell'umore che io veggo esser oggidì tutta la schiera de’ Componitori; i quali non solamente una opera grande che meritasse il pregio, ma un epigramma, un sonetto o una sestina non farebbono, che a qualche Signore non la dedicassero. Anzi sono più impacciati in questo, che in tutto il resto delle composizioni loro; dove il più delle volte dicono maggior bugie che non si fa nelle soprascritte delle lettere, e parole tanto adulatrici e lode tanto sfacciate, che le lode istesse ne rimarrebbono vituperate. E chi vuole che i libri suoi si riposino sotto le ale, chi sotto l'ombra, chi sotto il nome loro, che è cosa da ridere; perocchè i libri s'hanno a riposare nelle librarie o ne' librai o negli studi o su per le panche, e non sotto l'ombre o nomi o ale o ditella de' Signori: chè appresso i Signori non si riposa egli nessuno, se già non volessero dire che, studiando i Signori così poco, come ordinariamente fanno, quivi con grande agio riposare si possano. Vogliono poi, anzi gli scongiurano con prieghi, anzi pure se lo persuadono, che i Signori gli difendano da’ detrattori; scioc-
XIX chi che sono questi savi de’ litterati! Qual Signore si trovò egli mai o ne gli antichi o moderni tempi, che si volesse pigliar questo impaccio? E se pur alcuno poco prudentemente preso se l'avesse, come gli sarebbe egli riuscito, non sì potendo essi da' detrattori difender se stessi, da' quali tutto giorno, più che altra maniera d'uomini, lacerati sono? Ma da ridere è egli, quando i dedicatori vengono in cruccio, e si disperano, e così detraggono a coloro da’ quali vogliono da' detrattori essere difesi per non si veder premiare l'opere loro. Ma ditemi un poco a me, o dedicatori miei, che io mi voglio volgere alquanto a voi: che premio ne avete voi per vostra fè d'aspettare, se voi le donate loro, come voi dite? hassi egli però ad essere pagato de' doni? questa è una cosa, che non che a’ litterati, i quali si tengono tutti parenti stretti di Salamone, ma a i più semplici uomini del mondo sarebbe disdicevole a sognarlo, non che a dirlo. Ma voi volete forse intendere che questo vostro donare sia un coperto vendere, o almeno un commutare; e chi potrebbe intender questo, che s'avesse a chiamar vendere o commutare, quando si dona? quai leggi del mondo o civili o scortesi hanno mai detto questo? E se pure alcuno fusse tanto folle o tanto savio che lo facesse, come si potrebbe egli giustamente dolere, o di cui, non gli essendo poi annoverato il prezzo? Ma i Signori sono inXX
questo, come in tutte l'altre cose, troppo galanti uomini, troppo rispettosi, troppo cortesi; perocchè essendo loro tutto dì rotto la testa con tante dedicazioni, e per la potenza loro potendosene in mille modi vendicare, non ne fanno però altra vendetta, che far condannare i dedicatori nelle spese delle legature e de' minii, come tra mille altri, poco fa, vidi intravenire ad uno grande amico nostro; il quale d’una bellissima opera sua non ne potette fare ritratto d'un giubbone di setino, come che molto lo desiderasse. Or per tornare, di che esclamate o vi dolete voi? e' non vi è dato, perchè non sono tenuti a darvi. Ma pognamo che in qualche modo ne siano tenuti; parvi però cosa ragionevole o giusta, che per una pistoletta vostra, che voi Ciceroniani o Petrarchisti in meno d'una settimana fate, essi vi abbiano a donare tanto, che n'abbiate a godere tutto il tempo della vita vostra? Indiscreti che voi sete! che se i Signori vi donassero ogni volta che voi dedicate loro le opere vostre, e' multiplicarebbono tanto i dedicatori e le dedicazioni, che in breve tempo non arebbono che donarvi, se già non vi dessero de' libri donati loro; de' quali in verità arebbono sì gran copia, che più tosto parrebbono librai che Signori. Per la qual cosa essendosi essi accorti della ruina che soprastarebbe loro, se ciò facessero, né volendo esser riputati men cortesi e benigni che savi e prudenti, non con iXXI
bandi pubblici o minaccie o altri sopraventi vi proibiscono che voi non dedichiate loro, come fare potrebbono, ma, col non donare a voi, s'ingegnano di farvi accorgere del vostro errore; il che non facendo o nonsa pendo fare, doletevi di voi stessi, non di loro, chè non n'avete cagione. Perchè, Messer Cola mio, essendomene io accorto io, e cercando la grazia de' Signori quanto io posso e debbo, non ho voluto rientrare più nel pecoreccio, e col giorneare loro intorno con le dedicazioni (come forse anch'io far saprei) con gran perdita mia guadagnarmi la disgrazia loro; senza che io non voglio donare loro i libri miei, ma vendergli, chè troppo tosto fallirebbe la bottega mia. Or se io non vo’ donare loro le cose mie, come volevate voi ch' io gli donassi quelle d'altri? e oltre a questo, se io le ho donate un tratto a voi, ciò è tutta la mia fatica e tutte le mie ragioni ch' io vi avessi sopra, come le poteva io giustamente donar loro? Io l'ho donate a voi, e a voi le mando come cose vostre, e sotto vostro nome; voglio che tutto l'onore sia vostro, se di onor alcuno degne sono, e 'l biasimo mio; che so almeno che le arete care, e forse vi piaceranno, se già non avete mutato gusto. E se pure vorrete rimanere nel comune errore, potrete ancora a chi vi piacerà farne dono. Quanto al non avere io fatto alcuna menzione del Cardinal Campeggio, io vi dirò libeXII ramente, come io soglio, quello che n’è stato cagione. Considerando io le rare qualità e virtù di quel Signore, e le sue grandi e nobili azioni, e le meritate lode che deve il mondo alla eterna sua memoria, e che altra penna e altro ingegno bisognerebbe a poterle convenientemente esprimere, che d'un Priscianese, ho giudicato che sia meglio e più sua lode il passarmene con silenzio, che poco o male o rozzamente dirne. Del convito aveva io bene pensato di sodisfarvi, se io avessi saputo. Ma come? non avendo io a' giorni miei fatti conviti tali, nè forse mai veduto de' sì solenni come volevate voi, se io l'avessi fatto, io dubito che sarebbe stato più somigliante ad un desinare ch'io fo il dì del Berlingaccio a' miei stampatori, che ad un convito magnifico d'un Signore. Oltre a questo io sarei stato giudicato dal vostro M. Domenico Panunto troppo temerario, che, avendomi egli già mostrato nel suo Panuntario mille maniere di conviti bellissimi, e con tanta arte da lui e eccellenza scritti e ordinati, quanto dire o forse pensare non si potrebbe, io avessi voluto mettere prosuntuosamente le mani donde poi cavarle saputo non avessi. Il libro verrà tosto in luce e farà forse maravigliare il mondo della bellezza sua e della utilità grande e commodità che ne potrà cavare il genere umano. Aspetteremo adunque quello che ci insegnerà il tutto, nè solamente il fạr de' conviti, mạ leXIII
vere stagioni di tutte le cose che si mangiano di tempo in tempo, e come cucinando eccellentemente si acconcino, e mille altre cose belle. Ora se io non vi ho obbedito nelle sopradette cose, io l'ho fatto per le sopradette cagioni. Voi che sete la discrezione, la gentilezza e la cortesia del mondo, benignamente riceverete le mie oneste scuse: e se pure non vi teneste anco sodisfatto d'esse, andate compensando, se nella disposizion dell'opera o nel modo del dire o nello accrescere o scemare il disegno vostro o in alcuna altra parte voi vi trovate in parte alcuna sodisfatto. Il che se anco per mia solita disavventura non mi fusse venuto fatto, incolpatene voi stesso che non sapeste trovare de’ disegni vostri miglior coloritore: come che a me paia di avere fatto da valente cavaliero, avendo io saputo in qualche modo (non ostante mille occupazioni, mille fastidi miei, i continui rumori di torcoli e la troppo frettolosa fretta vostra) sbrigarmi di quello che non fu mai punto la mia professione. Ai detrattori (come forse vorreste) non intend'io di rispondere cosa alcuna, poi che da essi ancora chiamato non sono, benchè, se io non muto consiglio, e' n'aranno agio; e cosi farò senza altro dire. Voi, se premio alcuno si deve almeno alla buona volontà, bacierete per mio amore e in mio nome le sacre mani al Reverendissimo padron nostro e comune Signore, e salutate, se si può, il Gian-XXIV
notto già tanto mio, quanto, poi che fu Cortigiano, è fatto suo, e così gli altri amici, e sopra tutto quel grande omaccion da bene M. Lodovico Becci; e state sano e amatemi.
Di Roma il di d'ogni santi MDXLIII.INDICE
QUELLE COSE CHE PRICIPALMENTE SI CONTENGONO NELL'OPERA
PROEMIO ….1
CAPO I........... Delle spese della Casa, che s'appartengono al vitto e seguentemente del pane... 7
II.......... Del vino .. 9
III ......... Della carne…10
IV ........ Della carne salata e strutto… 12
V ……. Degli antipasti e minestre ordinarie… ivi
VI...... Delle spezierie, zuccheri fini e comuni, agresti, sape, acqua rosa, savori e salse ordinarie… 13 VII....... Dell'insalata… ivi
VIII …… Del sale, olio e aceto… 14
IX......... Del formaggio e frutte …. 15LA SOMMA di tutta la spesa del vitto a giorno, mese e anno…16
CAP X ....... Della spesa magra ….ivi
XI......... Altre spese fuor del vitto. Delle legne, carboni e fascine … ivi
XII........ Della cera e candele di sego …17
XIII ....... Delle scope o granate …18
XIV ...... Altre spese di casa occorrenti …ivi
LA SOMMA di tutta la spesa fuor del vitto a giorno, mese e anno … 19
CAP XV ....... Spesa della stalla, fieno e paglia ... ivi
XVI....... Orzo, vena e spelda … 20
XVII ..... Spese al Maniscalco, al Sellaio e Morsaio … ivi
LA SOMMA delle spese della stalla a giorno, mese e anno … 23
Cap XVIII .... De' salari … ivi
LA SOMMA de' salari a giorno, mese e anno … 23
LA SOMMA di tutta la spesa della Corte a giorno, mese ivi mese e anno … ivi
Cap XIX ..... Del tinello … 25
XX...... . Della tavola de' Gentil'uomini … 30
XXI ...... Del Signore . . . 36
XXII . ... De' Prelati ovvero Gentil’uomini di rispetto ... 40XXIII .... Del Riveditore … 40
XXIV .... Del Maestro di casa … 45
XXV...... De' Cappellani … 51
XXVI .... Del Maestro di stalla … 52
XXVII .... Se egli è da tener muli da soma … 65
xxvII .. Del Segretario e Sottosegretario … 68
XXIX..... Dell'Auditore … 69
xxx...... De' Litterati ... 70
XXXI.... Del Sollecitatore …71
XXXII ... De' Camerieri … 72
XXXIII.. Del Guardaroba … 73
XXXIV . Dello Scalco segreto … 74
XXXV ... Del Trinciante … 75
XXXVI .. De gli Scudieri …ivi
XXXVII. Del Coppiero e Bottigliero … 76
XXXVIII Del Credenziero … 77
XXXIX .. De’ Palafrenieri … 78
XL........ Dello Spenditore …ivi
XLI ....... Del Dispensiero … 79
XLII ..... Del Canovaio … 80
XLIII .... Dello Scalco e Trinciante del tinello … 81
XLIV………Del Medico … 82
XLV .... Di tutta la Corte … ivi PROEMIO
DEL GOVERNO DELLA CORTE D'UN SIGNORE IN ROMA PER COLA DA BENEVENTO
PROEMIO
1
Quantunque io abbia solcato a' giorni miei molte parti del mondo, e veduto molte città e molti e diversi costumi di vivere ; nondimeno e' mi pare (quel che ad ognuno ragionevolmente dèe parere) che la città di Roma sia ancora , se non la più bella , al meno la più dilettevole e la più accomodata al vivere umano, che trovar si possa, o che forse stata sia2 giammai. Conciosia cosa che ella primieramente sia posta nel più bello e più vago e più felice paese di tutto l'universo, e dotata abbondantemente di tutte quelle cose che desiderare si possano per fare una città sì egregia e magnifica e famosa, come lei: e che sempre abbia in qualche modo ad essere capo, reina e donna del mondo, siccome ella è stata sede di Re, di Consoli, d'Imperadori e finalmente di Pontefici sommi e di tanti altri Signori illustri: e di tanta e tale felicità, che nè la lunghezza e malvagità de' tempi, né le continove ingiurie del cielo, nė le invidie e malignità degli uomini hanno potuto con tutte le forze loro far giammai, che ella ancora e maravigliosa e miracolosa in parte non si dimostri. Perciocchè dove veggiamo noi i più stupendi e più maravigliosi vestigi di antichità, e maggior copia, che in lei? E dove un sì gran numero di antichi e reverendi tempii, e di tanta santità e religione, e di tante e si preziose reliquie adorni? E dove i più begli ingegni, i più nobili spiriti, i più eccellenti letterati, i più famosi artefici, maggior copia di linguaggi, e più varie e più accomodate e più cortesi conversazioni, e più dolce e più lieto vivere, e maggior libertà, che in Roma? Anzi pur dove veggiamo noi avere il seggio suo una Corte di tanta magnificenza e grandezza, e piena di tanti nobilissimi Signori, dove sia capo un uomo di tanta degnità, che egli3 sia Vicario e Luogotenente di Cristo, e di tanta riverenza, che i maggiori principi del mondo non si sdegnino di riverentemente adorarlo e baciargli i piedi, e di tanta autorità, che a sua posta apra e serri il Paradiso? Certamente in niun altro luogo, che in Roma. Onde non è maraviglia, che insino dell'estreme parti della terra quasi infiniti vengano a vedere le udite maraviglie di lei: e vedutele e gustate le sue dolcezze, quasi niuno partire se ne sappia; eleggendo più tosto quivi (bisognando) in povera e servile fortuna vivere, che in ampia e libera nelle patrie loro: tanta è la dolcezza e soavità, tanto è il piacere del vivere di questa giocondissima città. O città adunque e per fatale e sempiterna gloria, e per grandezza e per santità e per nobiltà e per tutte le parti degna! di cui tutto il mondo come del più nobile soggetto e più bella parte di sè largamente sparga le tue meritate lode, e celebri ed onori ed esalti infino alle stelle (come mille chiari ingegni han fatto già) il tuo felice e glorioso nome; chè io per me, se io avessi di te lode degne, non me ne vederei sazio e stanco giammai. Ma poi che più oltre non mi concede il cielo, egli non mi sarà forse negato di potere almeno in qualche modo con le parole giovare a coloro, per cui si conserva e perpetua in parte il tuo splendore, cioè alli Signori che in te dimorano, ed alle Corti che dimorano con loro, scrivendo (come fare intendo)4 del governo che essi tenere doverebbono, per potere e saper meglio onorarsi della famiglia ch'essi tengono, avendo di tutto ciò che si fa o fare si conviene, o da loro o dai loro ministri, infino ad ogni minima cosa, perfetto lume. Ma per essere più chiaramente inteso, e per potere delle cose ragionar più a punto, io presupporrò una Corte di persone cento sette, e di cavalcature quaranta: la quale non mi pare nè troppo grande nè piccola, ma onesta molto, e qual possa essere onorevole ad ogni tal Signore. Dalla quale si potrà poi, come da preposto esempio, scemando o crescendo, adempiere con ragione il desiderio suo, ciò è o diminuire o augumentare la corte sua e le spese, come più piacerà.
E per mostrare di che persone ella debbe essere composta, diciamo che in essa primieramente sarà il Signore con 36 gentil’uomini e con quei servidori che si convengono, ciò è due Prelati, o due gentil’uomini di rispetto, i quali saranno continui commensali della tavola del Signore, e avranno tre servidori per uno. Dipoi un Riveditore generale di tutto lo stato del Signore, con due servidori. Un Maestro di casa con due servidori. Quattro Cappellani con due servidori tra tutti. Un Maestro di stalla con un servidore e con dieci famigli per la stalla. Un Segretario con due servidori. Un Sottosegretario. Un Au5 ditore con due servidori. Quattro Letterati in diverse facultà, con un servidore per uno. Un Sollecitatore di cause con un servidore. Sei Camerieri con un servidore per uno e un famiglio di camera. Uno Scalco segreto con un servidore. Un Trinciante con un servidore. Dieci Scudieri con un servidore tra due. E questi sono trentacinque gentil’uomini. Segue poi un Credenziero con un Sottocredenziero e con un famiglio per la credenza. Un Bottigliere. Sei Palafrenieri. Uno Spenditore con un famiglio. Un Dispensiero. Un Canovaio con un famiglio. Uno Scalco di tinello. Un Trinciante di tinello con un famiglio. Un Cuoco segreto. Un Sottocuoco con un aiu tante di cucina e un Guattero. Un Acquaiuolo. Uno Scopatore. E finalmente un Medico con un servidore. E così sono gentil'uomini trentasei. Il quale Medico io non ho posto su tra' gentiluomini, ma nello estremo luogo, non perchè egli non sia insino per comandamento di Dio di onor degno, ma per fuggire quanto io posso di augurare al mio Signore infermità, o alla casa sua. E così vengono ad essere persone cento sette, com’io dissi.
Diciamo ora delle cavalcature; le quali saranno primieramente due belle mule, un bellissimo muletto, una bella e buona chinea, un paio di cavalli da due selle da viaggio, un bel Turco e un bel Giannetto, o d'altra razza bella: e tutte queste per la persona del Si6 gnore. I due Prelati, o vero i due gentil'uomini di rispetto, avranno una bella mula ed un bel cavallo per uno: de' quali, non andando a viaggio, possono essere orrevoli. Il Riveditore un bel cavallo per cavalcare, e un altro da valigia. Il Maestro di casa una bella mula. E così sono in tutto cavalcature quindici. Le altre venticinque che rimangono, saranno per lo rimanente dei gentil'uomini, ciò è per quelli a cui concederà il Signore che tener ne possano. E così sia fornita la Corte nostra di Signore, di Prelati, di gentil’uomini ed ufficiali, di servidori e di cavalcature. Del cui governo volendo particolarmente ragionare, comincieremo prima dalle spese della casa: e poi diremo seguentemente di tutto quello che giudicheremo far di mestieri, pregiando le cose secondo che sono valute ne' passati mesi di Aprile e di Maggio 1542.
7
DELLE SPESE DELLA CASA CHE SI APPARTENGONO AL VITTO
CAPO I
DEL PANEPer venir adunque incontanente al fatto senza altre cerimonie, comincieremo dal pane, come principal nutrimento. Il quale primieramente per la tavola del Signore con li due Prelati o gentil’uomini detti sarà o buffetto grosso o cacchiatelle; che a ragione di once 20 per bocca (come dar si debbe) sono il giorno in tutto libbre cinque. E per altre bocche estraordinarie, ma di sua tavola, (come quasi del continuo suole ac
8 cadere) le quali facciamo l'una volta per l'altra bocche cinque, saranno il giorno in tutto libbre otto e un terzo. E per gli altri 34 gentil’uomini a' quali si dà simil mente pan basso, a detto peso, libbre 56 e due terzi. Alli 71 che restano, si dà pane di dicina; che a ragione di libbre due per ciascuno sono il giorno libbre 142.
E per le colezioni che si dánno (come s'usa) alli sei Palafrenieri e alli dieci famigli di stalla, alli quattro di cucina e allo Scopatore, a' quali si dà doppia, e allo Scalco di tinello (facendosi però) e suo Trinciante e famiglio ed al Canovaio e famiglio, a' quali si dà semplice, sono il giorno di pan di dicina cacchiate quattro e mezzo, ciò è libbre 12 in circa. E per limosine l'un dì per l'altro libbre sei. Tal che raccolto tutto il pane che si dispensa insieme, sarebbe il giorno libbre 230. Ma perchè spesso suole essere di manco peso, e per fare ancora una somma giusta, poniamo che sia in tutto libbre 220. E perchè comunemente si dà da’ fornai in Roma per rubbio dicine 44, verrà ad essere un mezzo rubbio il giorno: il quale al prezzo comune che si vende oggi il grano a pala battuta, che è di giuli 27 il rubbio, e con un giulio di condotta e uno di macinatura, viene ad esser la somma di giuli 29 il rubbio: di maniera che il mezzo rubbio sarà di spesa il giorno scudi uno, baiocchi 45.
9 Dispensandosi adunque di pane un mezzo rubbio il giorno, saranno il mese rubbia 15, e l'anno 180, che a giuli 29 il rubbio (come disopra) sono il giorno scudi uno e baiocchi 45, e 'l mese scudi 44 e baiocchi 50, e l'anno scudi 522.CAPO II
DEL VINOCostumasi dare di vin puro per gentil'uomo un boccale il giorno. Mettendo adunque la tavola del Signore tra ordinarie e estraordinarie bocche otto (come è detto), saranno il giorno in tutto boccali otto. E per gli altri 34 gentil’uomini, boccali 34; e alli 71 che restano, un boccale per uomo con un terzo d'acqua, che sono in tutto boccali 47 e un terzo. Per le colezioni de' Palafrenieri, e altri a cui si dà il pane per esse, si suol dare a chi puro, come ad essi Palafrenieri e Cuochi, la mattina; e la sera inacquato: e a chi inacquato sempre, come a tutti gli altri. Onde facciamo, con certa discrezione, che siano il giorno boccali sette e mezzo. E per alcuni estraordinari, che alle volte si dánno a' gentil'uo mini o ad altri della famiglia, per amici o parenti o altri che estraordinariamente sopraggiunti vi fossero, e
10 per limosine, e altro che potesse accadere, poniamo il giorno boccali tre, che fa la somma il giorno in tutto di boccali 99, ciò è barili tre, a boccali 33 l’uno, come sono i barili romaneschi: i quali barili tre, a' prezzi che si vendono oggi i grechi d'Ischia e i calabresi e i còrsi, i quali sono molto a proposito per la famiglia, ciò è di giuli dodici il barile, sarebbono in tutto giuli 36. Alla cui somma aggiungendo giuli quattro per li vini più preziosi per la tavola del Signore, saranno il giorno scudi quattro. Consumandosi adunque il di barili tre al sopradetto prezzo (come è detto), saranno il mese barili 90, e scudi 120; e l'anno barili 1080, e scudi 1440.
CAPO III.
DELLA CARNEEgli è consueto dare di carne una libbra e mezzo il giorno per gentil'uomo tra vaccina e castrato o vitella: che per le tre bocche ordinarie della tavola del Signore e le cinque estraordinarie e per gli 34 gentil'uomini saranno in tutto libbre 62; e alli 71 che restano del numero di 107, libbre una per bocca: che sono il dì libbre 71. E per poter fare le dicine tonde, vogliamo
11 aggiungere alla sopradetta somma libbre sei, che serviranno per qualche estraordinario che accadere potesse. Ridotta adunque tutta la somma a dicine, saranno di numero dicine 14. Ma perchè e' si suole aver sempre dai beccai qualche vantaggio nel prezzo, come dire di vaccina e castrato un baiocco per dicina, la quale ordinariamente si vende baiocchi 20, monterà il giorno in tutto scudi due, baiocchi 66.
Logorandosi adunque il giorno dicine 14, saranno il mese dicine 420, e scudi 79. baiocchi 80; e l'anno dicine 5040, e scudi 957. baiocchi 60. Per la tavola del Signore oltre al piatto della carne grossa, fatto delle lib bre 63 disopra, aggiungeremo sempre di vitella libbre 20 il giorno, che a mezzo carlino la libbra saranno il giorno giuli sette e mezzo. E dipiù la state paia otto di pollastri, che a baiocchi 12 il paio (come ordinariamente soglion valere) sono baiocchi 96. Il verno convertiremo il detto prezzo in tante galline o capponi o selvaggiumi: anzi si potrà far questo in ogni tempo, o tutto, o parte, come in piccioni, cavretti, uccellami, secondo le stagioni, e a diligenza del prudente scalco.
Verrassi adunque a spendere il giorno per le sopradette cose scudi uno e baiocchi 71; e 'l mese scudi 51 e baiocchi 30; e l'anno scudi 615 e baiocchi 60.
12
CAPO IV.
CARNE SALATA E STRUTTODi carne salata facciamo si consumi il giorno libbre tre, che a baiocchi tre la libbra saranno il dì baiocchi nove; e 'l mese libbre 90, e scudi due e baiocchi 70; e l'anno libbre 1080, scudi 32 e baiocchi 40. Di strutto poniamo si logori il mese dicine due, che a giuli cinque la dicina sono il mese scudi uno; e l'anno dicine 24, e scudi 12.
CAPO V.
ANTIPASTI E MINESTRE ORDINARIEGli antipasti s'hanno ordinariamente dal beccaio tre volte la settimana. Per li due giorni adunque che non se n'ha, si può supplire o con coppiette di vitella o con pottaggi delle giunte d'essa , o uccellami o altro che oc corresse con la medesima spesa. Per le minestre ordinarie (dico ordinarie per ischiuder le suntuose, le quali son proprie de' conviti e banchetti) come risi, vermicelli, farri, navoni e mill’altre simili, facciamo si spenda il giorno l'un per l'altro baiocchi 30, che sono il mese scudi nove, e l'anno scudi 108.
13CAPO VI.
SPEZIERIE, ZUCCHERI FINI E COMUNI, AGRESTI, SAPE,
ACQUA ROSA, SAVORI E SALSE ORDINARIE.In spezierie spenderemo scudi due il mese, ciò è l'anno scudi 24. E di zucchero fine consumeremo il mese pani due di due libbre l’uno, che a baiocchi 15 la libbra sono baiocchi 60; e l'anno pani 24, ciò è libbre 48, e scudi sette e baiocchi 20. E di zucchero di Madera, Portogallo o d'altro simile, basterà il mese pane uno di libbre dieci, che a baiocchi dodici la libbra sono scudi uno e baiocchi 2; e l'anno pani 12, libbre 120, e scudi 14 e baiocchi 40. E per agresto, sapa ed acqua rosa metteremo uno scudo il mese; e così l'anno scudi 12. Per savori e salse ordinarie e mostarde e simili novelle, presupponendo che la maggior parte delle cose che vi vanno, sia in casa, facciamo si spenda l'anno scudi due e baiocchi 40.
CAPO VII.
insalata.Per insalata per la tavola del Signore, e per gli 34 gentil’uomini ogni sera, e per tre volte la settimana (come dar si suole) al restante della famiglia, si spenderà il
14 giorno, come io mi stimo, baiocchi sette e mezzo, il mese scudi 2. baiocchi 25, e l'anno scudi 27.
CAPO VIII.
SALE, OLIO ED ACETO.Del sale ai reverendissimi Cardinali provede la Camera, dandone loro per ogni 20 bocche un rubbio; per il quale se le paga giuli tre senza la condotta e il nolo delle sacca. Talchè il rubbio viene baiocchi 34 in circa. Al mio Signore adunque per bocche 100 ne toccherà rubbia 5. Suole ancora la Camera dare per la tavola del Signore un mezzo rubbio di sal bianco l'anno: per tanto sarà a bastanza in tutto per bocche 107, senza altro provedimento. Non dimeno se egli pur s'avesse a comperare, costerebbe il rubbio intorno a giuli 13; che essendo rubbia cinque e mezzo, monterebbe in tutto scudi sette, baiocchi 15.
Dandosi in casa le parti, l'olio si deve distribuire in questo modo. Alla camera del Signore il mese boccali due, alla credenza boccali due. Ai due Prelati, ovvero gentil’uomini, per ciascuno, boccali uno e mezzo. Agli altri 34 gentil’uomini per loro insalate un mezzo per uomo. Per la lampana della scala boccale uno e mezzo. Alla stalla per i famigli e per la lampana boccali due
15 e mezzo. Perocchè non bastando, si può supplire con olio fritto. E per la cucina boccali 12.
Talchè saranno il mese in tutto boccali 40, che ad un giulio il boccale sono scudi quattro; e così l'anno ascendono alla somma di boccali 480, e di scudi 48.
Un barile d'aceto il mese è di soverchio; e così l'anno barili 12, che a giuli dieci il barile sono in tutto scudi 12.CAPO IX.
formaggio E FRUTTE.Per la tavola del Signore si torrà formaggio Piacentino o marzolino o simile, una mezza libbra il giorno, che costerà baiocchi cinque. Per le vivande dove cacio si mette, e per tre volte che si costuma darne alla fa miglia la settimana, e, secondo alcuni, a' gentil'uomini ogni sera, pensiamo se ne consumino libbre tre il giorno, che a baiocchi tre la libbra sono baiocchi nove.
Sommerà adunque per la tavola del Padrone il mese libbre 15, e scudi uno e baiocchi 50; e l'anno libbre 180 e scudi 18.
L'altro formaggio il mese libbre 90, e scudi due e baiocchi 70; e l'anno libbre 1080, e scudi 32. b. 40. Per poponi e altre frutte, secondo le stagioni, com-V16putando l'un tempo con l'altro, quando sono più cari o più vili, facciamo si spenda il giorno baiocchi 30, e così il mese scudi nove, e l'anno scudi 108.
Somma di tutta la spesa del vitto al giorno, mesi ed anno.
Somma adunque tutta la spesa del vitto il giorno scudi II. baiocchi II; e 'l mese scudi 333. baiocchi 35; e l'anno scudi 4000. baiocchi 15.CAPO X.
SPESA MAGRA.IL bilancio che si è fatto disopra, è tutto sopra la spesa grassa: non dimeno e' ci sono pure i dì neri , cioè i venerdì, i sabati, le vigilie e le quaresime, dove cose grasse non si mangiano. Fassi adunque allora spesa magra: della quale non mi occorre dir altro, se non che al costo ella debba essere uguale alla grassa; e' così per grassa considerarsi. CAPO XI
ALTRE SPESE FUOR DEL VITTO E PRIMA DELLE LEGNE, CARBONI E FASCINE VEGNAMO ora ad altre spese necessarie per la casa, e primieramente alle legne, dicendo che in una casa, come è la nostra, si consumerà di legne l'anno passi 100, che,
17comperandole a tempi in grosso, si avranno a giuli 15 il passo, e così saranno in tutto scudi 150.
E per carboni per la cucina, l'anno scudi 6. E per fascine di sermenti o salcio, per la camera del Signore, scudi 4.CAPO XII.
DELLA CERA E CANDELE DI SEGO.Per la tavola del Padrone poniamo che si consumino il giorno l'un tempo per l'altro candele quattro grosse belle; le quali ancora potranno servire per la camera. E per torce per accompagnare le vivande ad essa tavola e il Signore e i gentil’uomini fuor di casa, facciamo il giorno libbre due. E così il mese libbre 60, e l'anno 720, che a ragione di quello che vale la cera bianca (come che le torce il più delle volte si usino di cera gialla) mettendo così confusamente l'una per l'altra, costerà la libbra baiocchi 14; che sono in tutto scudi 100 e baiocchi 80. E per l'altare ogni tre mesi due torce belle, di libbre 10 l'una: ciò è l'anno torce otto di libbre 80; e con libbre 20 di candele grosse o falcolette per li candelieri, fanno la somma di libbre 100, che al detto pregio montano in tutto scudi 14. Io penso che si consumi il giorno l’un tempo per l'altro di candele di sego
18libbre sei, e così il mese libbre 180, e l'anno libbre 2160; che a baiocchi tre la libbra sono in tutto scudi 64 e baiocchi 80.CAPO XIII.
SCOPE O GRANATE.E per iscope ovvero granate, un giulio la settimana, e il mese giuli quattro, e l'anno scudi 4 e b. 80.
CAPO XIV.
ALTRE SPESE DI CASA OCCORRENTI.Egli accade poi intra l’anno far alcune altre spese occorrenti, come stagnare le cose di cucina o rinnovarle o cambiarle; e così quelle del tinello; e nella cantina acconciature di botti, o altri simili bisogni; per le quali cose facciamo si spenda l'anno in tutto scudi 24. Delle vetture, o carreggiature di vini o legne massimamente, non pongo il costo: perciocchè col vender le botti delle barche (essendone in casa) o col calare tanto il prezzo, che mi torni il conto mio, potrò guadagnarle, e similmente delle legne. L'altre spese che occorrono fare tra l'anno, come pagamenti di pigioni di case (non le avendo il Signore), e masserizie d'ogni sorte, come letti,
19 seggiole, scabelli, tavole e panni lini; e vestimenti per sua persona o per altri; e paramenti, argenterie ed altri fornimenti; e cavalli e mule e ogni altra cosa appartenente al servizio di sua Signoria, o di sua casa o stalla; son tutte cose o quasi tutte spettanti all'arbitrio e volontà del Padrone: e però non ne potendo dare determinata norma, le lasceremo alla cura sua e del maestro di casa, in quello che s'appartiene all'ufficio suo.
Sommano adunque le sopradette spese fuor del vitto l'anno scudi 368 e baiocchi 48: che ne viene il mese scudi 30 e baiocchi 70, e il giorno scudi uno e baiocchi due.CAPO XV.
SPESE DELLA STALLA, FIENO E PAGLIA.NELLE corti ordinariamente si dà di fieno per bestia il giorno libbre 25, che per bestie 40, come saranno nella stalla nostra, sono il dì centinaia 10, e 'l mese 300, e l'anno 3600, che ad un giulio il cento, come vale ora, sono l'anno in tutto scudi 360. E di paglia facciamo che si consumi l'anno per le bestie, cioè per istrame e letti loro e per riempiere i sacconi della famiglia, come far si debbe, some 200, che a baiocchi 15 la soma sono scudi 30, serbando quel che avanzasse di fieno per li estraordinari occorrenti.
20CAPO XVI.
ORZO, AVENA E SPELDA.SEI mesi dell'anno (cioè il verno) si suole dar orzo, e la state vena o spelda, che a misure due per bestia, come si costuma, saranno il giorno, per le bestie 40, misure 80, e 'l mese 2400: talchè per li sei mesi detti saranno misure 14400. Le quali a misura di Campo di Fiore, cioè a 110 il rubbio rase, vengono ad essere rubbia 131, manco 10 misure, che a scudi uno il rubbio montano scudi 131. Altrettanto vi va di vena o spelda per gli altri mesi sei, cioè rubbia 131 che a giuli cinque il rubbio sono in tutto scudi 65, baiocchi 50.
CAPO XVII.
SPESE AL MANISCALCO, AL SELLAIO E MORSAIO.PER ferri nuovi e rimessi alle 40 bestie nostre facciamo, così in digrosso, si spenda l'anno scudi 50, e per medicine scudi 10, che saranno in tutto scudi 60. Per acconciature e riempiture di selle, e per racconciare e rinnovare guernimenti, e per istaffe e briglie e cavezze e funi, e di più stregghie, forche, vagli, pettini, spugne e altre bagaglie simili, facciamo l'anno scudi 40.
21Sono le sopradette spese della stalla il dì scudi uno, baiocchi 91; e 'l mese scudi 57, baiocchi 21, e l'anno scudi 686, baiocchi 50.
CAPO XVIII.
DEI SALARI.PERCHÈ alla fine chi vuole esser ben servito, bisogna operare che qualche premio sia presente, sì come sono presenti le fatiche; e perchè tutti non si possono pascere di foglie di speranze, noi ordineremo i salari a tutti coloro, a cui dare si debbono, e diremo quanto.
Saranno adunque primieramente gli salariati: il Riveditore generale e il Maestro di casa, ai quali daremo per uno scudi 10 il mese. Non che con sì piccola mercede pagare si possa fatica sì grande ; chè s'egli s'avesse a guardare a questo, essendo tali quali noi presupponiamo che siano, sarebbe vil premio scudi 400: ma perchè ciò sia per ricordanza al Signore, che egli è tenuto di maggiormente premiargli, comunque data ne sia l'occasione, e perchè a loro sia certezza più certa di avere ad esser premiati i meriti loro. Poichè incontanente si comincia, daremo loro per ora il detto premio, che sia in tutto l'anno tra tutti due scudi 240.
22Ai quattro Cappellani scudi due il mese per uno, che sono l'anno in tutto scudi 96.
Al Maestro di stalla scudi 4 il mese, sono l'anno scudi 48.
Ai dieci famigli di stalla carlini 10 per uno, che sono l'anno tra tutti scudi 90.
All'Auditore, l'anno scudi 100.
Ai quattro Litterati, l'anno tra tutti scudi 400.
Al Sollecitatore di cause, il mese scudi tre, e l'anno scudi 36.
Allo Scalco segreto scudi tre il mese e l'anno scudi 36.
Al Trinciante scudi tre il mese, e l'anno scudi 36.
Al Credenziero scudi due il mese, e l'anno scudi 24.
Al Sottocredenziero, il mese giuli 15, e l'anno scudi 18.
Ad un famiglio per la credenza scudi uno il mese, e l'anno scudi 12.
Ai sei Palafrenieri, dei quali uno potrà servire per Bottigliere (come diremo nel luogo suo), scudi uno il mese per uno, che sono l'anno tra tutti scudi 72.
Allo Spenditore almeno scudi I il mese, e l'anno sc. 12.
Al famiglio giuli 5 il mese, e l'anno scudi 6.
Al Dispensiero scudi uno il mese, e l'anno scudi 12.
Al famiglio giuli cinque il mese, e l'anno scudi 6.
Al Canovaio scudi uno il mese, e le regaglie, che diremo nel capitolo suo, e l'anno scudi 12.
23Al famiglio giuli cinque il mese, e l'anno scudi 6.
Allo Scalco di tinello (facendosi); e, non si facendo, a uno che dia le parti di cucina (però che non è bene, che faccia tal ufficio il cuoco) sc. I il mese, e l'anno scudi 12.
Al Trinciante di tinello carlini dieci il mese, sono l'anno scudi 9.
Al famiglio del tinello giuli 5 il mese, e l'anno scudi 6.
Al Cuoco segreto scudi tre il mese, senza dargli altre regaglie, che non è bene, sono l'anno scudi 36. Al Sottocuoco scudi uno e mezzo il mese, cioè l'anno scudi 18.
All'Aiutante di Cucina scudi I il mese, e l'anno sc. 12.
Al Guattero giuli cinque il mese, e l'anno scudi 6.
All'Acquaiuolo scudi uno e mezzo il mese, e l'anno scudi 18.
Allo Scopatore carlini 10 il mese, e l'anno scudi 9.
Al Medico l'anno scudi 100.
A due Lavandaie, una per la camera del Signore, l'altra per la credenza e tinello, scudi uno e mezzo per una, e l'anno tra tutte due scudi 36.
Sommano i sopradetti salari l'anno scudi 1524 e il mese scudi 127, e il giorno scudi 4. baiocchi 23. Somma tutta la spesa di sopra della Corte nostra l'anno in tutto scudi 6579. baiocchi 13: che ne tocca il mese scudi 548. baiocchi 26, e il giorno scudi 18. baiocchi 28.
24Avvertendo però, che dove sono occorsi rotti, che abbiano passato la metà del baiocco, noi li abbiamo messi per interi; e del meno non ne abbiamo fatto stima: perciocchè in questa Corte ch'io dipingo, non importa tenere cura così al sottile d'ogni minima cosa, non potendo a niuno apportar danno. Della quale spesa quello che si potrebbe scemare, sarebbe de' salari, i quali procedono al tutto dall'arbitrio del Signore, o col fare meno ufficiali, o dare più uffici a una persona sola. E nella stalla col dare più paglia e meno fieno; più spelda e vena e meno orzo. E al tempo dell'erba (avendone comodità) dare erba. E risparmierebbesi anche molto, se si facesse tinello, come mostreremo di sotto. Dalla quale spesa così notata si può pigliare poi esempio, scemando o crescendo (come nel proemio si disse) la famiglia e le bestie con la regola del tre. Se tanto mi dà tanto, che mi darà tanto? E poi similmente augumentando o diminuendo i pregi delle cose, dicendo: Quando il grano, il vino, la carne, la biada o l'altre cose valevano tanto, si spendeva tanto; ora valendo tanto, quanto si spenderá egli? E così potrassi ritrovare minutamente e con agevolezza tutto quello che intorno a ciò si desidera di sapere, partendolo ad anno, mese e giorno, come disopra.
25CAPO XIX.
DEL TINELLO.IL Tinello (non men corrotto a' tempi nostri ne' fatti che nel nome) fu così da' maggior nostri chiamato per diminuzione (come io mi stimo) da tinno voce latina, quasi tinnello, cioè picciol suono, che così si dice in quella lingua il suono de' metalli: perciocchè al suono di una piccola campana (come ognun sa) si corre a tinello; il quale è un luogo (per chi non lo sapesse) dove in comune si va a mangiare da' Cortigiani, come al refettorio da’ frati. Il quale fu da’ Signori ordinato e per ispender meno, e per potersi più acconciamente servire della famiglia, quando avessero a cavalcare publicamente, o altri Signori venissero ad essi: non essendo per avventura ancora in uso il chiamarli a ciò con la campana, o non l'avendo. Perciocchè essendo così raccolta la fa miglia in tinello, lo Scalco faceva intendere a tutti che niuno si partisse, perchè e' s’aveva accompagnare il Signore: e così era fatto. Ed era allora di tanto onore il mangiare in tinello, quanto è oggi riputato cosa vile e disorrevole. Onde io mi ricordo già aver veduto mangiarvi (non pur ne' tinelli de' Pontefici, ma dei Cardinali) e gran gentil'uomini e prelati degni: anzi era uno
26de' gran favori che facesse allora il Signore; dove oggi si tiene uno più che disfavorito, quando il Signore lo caccia in tinello. E credo che egli nasca per esser tanto differente da quello che già esser soleva: oppure da maggior libertà che dànno oggi i Signori a' cortigiani loro, in cambio forse (come dice l’Aretino) di beneficarli; il che (con riverenza sia detto) molto più si frequentava allora: o veramente (per parlar più corretto) per dare loro maggior contentezza e più soddisfazione, dando a ciascuno le parti dove ognuno a suo senno ed a sua posta goder se le puote. E veramente io confesso che, facendosi tinello si tinellescamente come s'usa oggi, egli è molto meglio per la famiglia aver le parti e di più contento, ancora che triste e scarse fossero. Ma se egli si facesse in quel modo che far si dovrebbe e che lo descriveremo noi ragionando dello Scalco del tinello, io non dubito punto che egli non sarebbe gentil’uomo veruno di stomaco tanto schivo, che più che volentieri mangiar non vi volesse: perciocchè chi è quello che in un luogo netto, pulito e bello e onestamente fornito di buone e ben fatte e stagionate vivande, e ben servito, e in compagnia di pari suoi, o maggiori, piuttosto mangiar non volesse, che solo, e male e sucidamente? Che per un poco di più libertà che vi ha l'uomo di poter mangiare a sua posta, ella costa tanto ed ha tanti
27contrapesi, che a me pare ella piuttosto servitù, che libertà. La stanza tua, quantunque picciola, t'ha prima a servire per camera e per cucina, e il tuo servidore per cameriero e guattero; onde essendo egli di necessità sempre ricamato d'untume, è forza che ciò che t'è intorno ti sappia sempre di sucido e di lezzo: anzi (per aver tu in ciò molti compagni) è necessario, che tutta la casa abbia odor di tinello. Il che quanto abbia del buono e del dilettevole in una Corte, e quanto tenga del signorile, lo lascio giudicare a chi vuole: senza che dandosi le parti, e' ti conviene aggiunger sempre qualche cosa di tuo, oltre alla noia e briga dello avere sempre a pensarvi; che fo assai più conto di questo, e aver ogni giorno a provedere e rinnovare nuove bagaglie, il che è troppo fastidioso fastidio. Lasciamo stare il non mangiar mai cosa che buona sia, che pure se n'arebbe a far qualche stima: ma la sordidezza di cosifatta vita mi dispiace tanto, che io darei alle volte tutte le libertà che cavar se ne possano, per un danaio. Perciocchè io per me appetirei piuttosto una insalata ben netta e pulitamente fatta, che in altra guisa pernici e fagiani. Ma io non vorrei però che noi avessimo tanto l'occhio ai comodi nostri, che noi non volessimo anco aver un po' di riguardo a quei del Padrone. Or veggiamo adunque un poco se egli è utile a lui che si faccia ti-
28nello, o no. Benchè senza vedere o intendere altro, e' si può dire di sì. Perciocchè egli è manifesto che egli spenderà meno e con più suo onore e più ordine e con più contentezza, perocchè ei tratterà meglio la famiglia e darà meno occasione d'esser rubato: e così costringerà gli ufficiali suoi a fare più fedelmente e con più diligenza il loro ufficio. Che egli spenda meno, non si può negare: perocchè chi dubita che a non fare tante tavole e tante parti non si spenda meno? E chi non sa che quantunque le parti si diano scarse e povere, elle non possono essere tanto, che una non potesse bastare ad uno e mezzo? Dunque tutto quel soverchio si spende senza proposito: dove mangiando la famiglia insieme, o non bisognerebbe fare tanto provedimento, o se pure si facesse, apparirebbe almeno più abbondante e più onorevole il piatto. E di quello che sopravanzasse, se ne potria fare limosine, che tutto risulterebbe in onore del Padrone. Lascio stare di dire che non bisognerebbe dare tante insalate, tanti olii, tanti aceti e tante frascherie: le quali (posto che siano cose minime) pure in una famiglia sì grande a capo d'anno montano assai. Oltre a questo se tu dài le parti per ognuno che sopraggiugne, ti conviene fare nuove provisioni; se non, ti confonde e corrompe l'ordine tuo: dove, se egli si fa tinello, si può cacciare là tra gli altr : chè quello che si provede per
29bocche 107, basterebbe ancora (bisognando) a 115, senza fare quasi punto di altro ordinamento. E così non si farà ogni giorno disperare il Maestro di casa, col dire che il Signore gli accresce ogni dì bocche senza accrescergli mai le provisioni. Or che egli dia meno occasione d'essere rubato, non è dubbio alcuno; perciocchè ancora che tu abbia gli ufficiali fedeli, pure la tanta commodità fa l'uomo diventar quel che tu sai: e chi può sempre mattina e sera avere mente alle mani a' dispensieri, a' cuochi, a' canovai e agli altri, e vedere se la carne è poca o cattiva, o se il vino è troppo inacquato, o se il pane non è al peso? Qual famiglio (nonchè gentil'uomo) è che lo pesi giammai, o voglia vedere se le sue parti son giuste? Dove in tinello, essendovi il Maestro di casa (come sempre essere dovrebbe), e avendo a mangiare e bere di quello che gli altri gentil'uomini (come sarebbe più che ragionevole), arebbe più l'occhio a quello che essi fanno, almeno per conto suo propio e per non esser tenuto negligente e poco degno di quello ufficio; potendo massimamente esser notato da tanti occhi che gli sarebbono intorno. E se col dar le parti il Signore può sapere agevolmente (come dicono alcuni) quanto egli spende, egli lo può anco sapere agevolmente in questo modo; e così non darà il campo sì largo di potersi far menare le mani addosso. E se egli si risparmia
30due tovaglie e 'l salario di uno Scalco e d’un Trinciante, e' si consuma tanto in altro, e la famiglia ne sta tanto male, che meriterebbe il pregio che ella stessa, nonchè altro, pagasse tutto quello di suo per istar meglio. Ma io non vorrei però far tanto dello oratore in difesa del tinello, che il mio Signore ne restasse infastidito, e per questo, venutone in cruccio meco, mi condannasse sempre a tinellesca vita, e fusse quella d'oggi. Per tanto io ne lascerò il pensiero a sua Signoria col dirgli di più solamente, che 'l non far tinello importa meno a' Signor ricchi, che a' poveri; anzi volli dire che ai ricchi non importa, ed a' poveri è necessario.
CAPO XX.
TAVOLA DE’ GENTIL'UOMINIE se noi pur volessimo di comun consenso dar bando intrafatto al tinello, e che mai più nella Corte nostra non si ricordasse, come cosa odiosa e schiva, perchè non si potrebbe egli trovare un altro modo da potervi mangiare alquanti Gentil’uomini almeno, quali più piacessero al Signore, e fusse molto più acconcio e pulito e bello e di più onore al Padrone e maggior soddisfazione a chi vi mangiasse, che tinello alcuno non potria esser giammai? Fia questo adunque una tavola, a cui si dica
31tavola de' Gentil'uomini in una stanza di casa onesta e atta a ciò, come di state ariosa e fresca, e di verno dove si potesse fare fuoco, e parata con arazzi o spalliere onestamente, dove fusse una tavola lunga con tappetto e seggiole o scabelli per fuggire al tutto ogni tinellesca somiglianza; e con una bella credenza e una bottiglieria e tavola da trinciare e tovaglie e tovagliuoli e sciugamani copiosamente, tanto che si potessero mutare al meno tre volte la settimana, e coltelli e forchette sì per la tavola come per trinciare, e sempre che s'avessero adoperare puliti e netti; dove vorrei (quando vi fosse la commodità) si servisse d'argento per più magnificenza del Signore, e quando che no, di stagni o terra bellissima, che poco più costerebbe, quando vi si avesse quella cura che io presuppongo; e la bottiglieria avesse suoi fiaschi e bicchieri di cristallo a bastanza; e al servizio di sì onorata tavola fusse principalmente un giovane da bene e sufficiente molto e atto a così fatto esercizio, il quale si chiamasse Scalco de' Gentil'uomini, e avesse seco un Trinciante e ụn famiglio, i quali tutti fussero e di vestimenti e d'ogni altra cosa quanto si può puliti e orrevoli e destri nello ufficio loro. Alla bottiglieria si servisse per settimana da' servidori de' Gentil'uomini; e similmente alla tavola se bisogno ne fusse. All'ufficio dello Scalco s’appartenesse lo aver cura e te-
32ner conto di tutte le masserizie diputate a cotal servizio. E al Trinciante e al famiglio lo apparecchiare la tavola mattina e sera pulitamente, e così sparecchiarla. Al Guattero di cucina (se già non fusse argento) il rigovernare le stoviglie, le quali ogni volta portate gli fussero da esso famiglio e riportate al luogo loro. E dopo mangiare sempre si spazzasse la stanza diligentemente, nè mai vi si gettasse cosa che bruttar la potesse: perchè vi vorrei due vasi pulitissimi o di rame o di legno, l'uno sotto o allato alla credenza, l'altro sotto la bottiglieria, dove buttar si potesse acqua o riponere vino, che bevendo avanzato fusse, e vuoti poi e netti si riponessero nel luogo loro. Lo Scalco avesse in lista tutti coloro che vi mangiano con le loro porzioni, come dire una libbra di vaccina per bocca, e di più per Gentil’uomo una mezza di vitella: la qual carne si potrebbe o tutta o parte mettere insieme col piatto in tavola del Signore che lo mostrerebbe più splendido e più magnifico, e potrebbesi mutare e variare secondo i tempi e le stagioni (come si fa) e d'antipasti e di vivande. E mangiando il Signore e' vi fosse presente col Trinciante suo e 'l servidore (avendo di già apparecchiata la tavola e credenza e bottiglieria loro, e serrata la stanza); e ricevuto tutto quello che si lieva dalla tavola del Signore, lo riportasse in cucina a mantener cald ; e mangian-
33dosi poi le frutte, andasse a far li piatti e le scodelle, secondo le persone che avessero ad essere a tavola. In quel mentre partitosi i Gentil’uomini da veder mangiare il Signore per la volta della tavola loro, e ricevuta l'acqua alle mani da due loro servidori, e rasciugatosi con isciugamani o tovagliette bianchissime, e postosi a sedere, comparisse il valente Scalco con un mantiletto in ispalla più che neve bianco e con tanti servidori di Gentil’uomini, che acconciamente portare potessero le vivande appresso. Gli antipasti suoi prima, o di carne o di frutte o d'altro, secondo i tempi e le stagioni; e la sera insalate; e poi le scodelle a ciascuno, e savori o salse; e alla fine formaggi e frutte: con quel medesimo ordine che si dànno alla tavola del Signore. Dove vorrei si servisse con tanta pulitezza e con gentilezza tale, che, se per avventura ne venisse un giorno capriccio al Signore, vi potesse onorevolmente mangiare senza altro farvi; e li forestieri similmente, che a tempo venuti non fussero per mangiar con lui, o per qualunque altro rispetto mangiar non vi potessero. Per la qual cosa avvertisca lo Scalco che questa tavola sia sempre servita di vini tali, che possan fare onore; perciocchè io non intendo che ella sia in altro da quella del Signor differente, se non che a quella si mangi prima, e a questa poi. Non intendendo però che, se al Signore venisse bene
34alle volte di non mangiare insino alle ventidue ore o a sera, i miei Gentil'uomini abbiano aspettare tanto, che paresse lor troppo: anzi voglio allora che, intesa la volontà del Signore, lasciatogli il piatto suo, vadano a mangiare ad ora debita; altrimenti ricorderei loro che gli fa cessero una beffa che fu fatta un tratto in Napoli al Conte Camarlingo.
Era questo Conte tanto studioso, che spesso avveniva che le nove ore o le dieci lo trovassero in su' libri senza cena; del che la famiglia che di tanti studi non si curava, costumando di cenar dopo lui (come si fa), fieramente si doleva: perchè non potendo più sofferire, si deliberò una volta di fargli una burla tale, che a rimuover l'avesse o al meno a gastigare un tratto di così fatta usanza. Là onde accordatisi tra loro (lasciando stare il Conte a studiare a suo senno) mangiarono una sera ciò che da cena ordinato fusse senza punto lasciarne; con ordine che quando il Conte si svellesse da' libri suoi, e chiedesse da cena, dicesse ognuno che egli già quattro ore fa cenato avea. Essendo adunque passata la decima ora della notte, e chiamando il Conte il paggio che facesse mettere in ordine, gli rispose tutto sonnacchioso: Come, Signore? non avete voi cenato più di quattro ore sono? e la famiglia se n'è tutta ita a dormire, fuor che li camerieri. Maravigliandosi il Conte, e pensando che 'l paggio più
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tosto farneticasse che no, alquanto sdegnato disse: Dove e' sono adunque i camerieri, col mal'anno che Dio dia loro? I quali venuti, gli risposero il medesimo che 'l paggio. Perilchè sdegnato fieramente, cominciò a far loro gran romore in testa, e fece chiamar tutti gli ufficiali in fino al Guattero, che tutti profondamente dormivano: dove comparsi tutti, affermavano che egli mangiato avea, mostrando di maravigliarsi forte che dimenticato se ne fusse. Accortosi adunque il buon Conte che egli era beffato, disse così piacevolmente: Dunque se io ho mangiato, datemi bere. E ordinò che per lo avvenire la famiglia mangiasse sempre all'ore sue. Ora seguendo il proposito nostro, dico che mangiato che aranno i gentil'uomini, dato l'acqua alle mani, e tolto via la tovaglia, lasci lo Scalco stare a suo piacere, chi volesse, a ragionar alquanto, e mangi egli e gli altri ad un'altra tavola a ciò ordinata pure con la solita pulitezza e silenzio onesto. E i rilievi poi di carne, pane e vino e minestre si mandino per lo famiglio e 'l Guattero di cucina a farne fuor della porta di casa limosine a' poveri di Cristo che quivi aspetteranno; chè dentro non vorrei ch'entrassero, se qualche malvagità di tempo non gli costringesse: le quali limosine vorrei si facessero con quello amore, diligenza e carità che usar si debbe ne' servigi di Dio.
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Agli altri che a questa tavola non mangiassero, nè anco si contentassero di aver le parti di cucina, se al Signore piacesse, io darei loro per li camangiari un giulio il giorno al meno tra Gentil'uomo e servidore, oltre alle provisioni loro del pane e del vino. Agli altri poi, come a' Palafrenieri e simili, un mezzo giulio per uomo, chè se ne arebbono a contentare. E così abbiamo mostrati quattro modi di dar mangiare alla famiglia, ciò è: il dar le parti, il far tinello, il far tavola, e 'l dar danari. Pigli il Signore di questi qual più gli piace, chè io non intendo più ragionarne. Discenderemo adunque a dire degli uffici che a ciascuno si convengono, e primieramente di quanto si aspetta al Signore.CAPO XXI.
DEL SIGNORE.Dappoi che adunque egli m'è lecito di formarmi nella Corte mia un Signore a mio senno, io non intendo in modo alcuno di mancare a me stesso, chè troppo gran ragione arebbe poi di mancarmi egli, come già degli altri fatto m’hanno. Vorrei adunque che 'l Signor mio avesse in sè quelle parti e virtù delle quali si ricerca ad uno animo signorile essere adorno, nè per sua cagione e ornamento solo, ma ancora della Corte sua. Perciocchè es-
37sendo il Signore esempio e specchio dove ognuno riguarda per imitarlo, chi dubita che i suoi servidori non siano o non si sforzino d'essere o almeno di apparir tali, qual è egli, o virtuoso o vizioso che sia? Chi non sa che se il Signore si diletta di cacce, tutti i suoi Cortigiani saranno o mostreranno d'essere cacciatori? e se di musica, musici? e se di giuoco, giuocatori? e così d'ogni altra cosa? È adunque di necessità che egli sia virtuoso, acciocchè ognuno si volga a virtuosamente operare; se non per altro, per mostrar d'essergli simili, e per cotal somiglianza e conformità d'animo potere più agevolmente acquistarsi la grazia sua. Sia adunque tale (poichè gli è così), che, se non da lui, bontà e valore e virtù imparar non si possa; sia giusto, magnanimo, generoso, liberale; e in tutte le sue azioni tenga del signorile e del grande; e per questo sia capital nimico d'avarizia e d'ogni sordidezza e viltà d'animo, pronto al beneficare, virile nelle promesse, facile nelle udienze, umano, cortese, gentile, affabile e piacevole con ognuno, quanto sopporta la gravità signorile; nimico de' detrattori e adulatori e d'ogni vizioso; amicissimo de' buoni. E perchè le virtù e orrevolezze de' Cortigiani sono gloria de' Signori, faccia ogni opera di non avere in Corte se non persone virtuose e orrevoli. E quantunque sia di necessità l'esser diligente e accurato in tutte le parti dello
38stato suo, volendo che egli vada con riputazione prosperando, pure io voglio che 'l Signor mio (essendo massimamente persona di chiesa) riguardi con l'occhio destro le cose spirituali , e le temporali col sinistro; in quelle ponga ogni estrema cura e diligenza; in queste non piccola: benchè i valenti e fedeli ministri suoi, de' quali egli dee esser sollecito ricercatore e spesso riconoscitore, gli torranno gran parte di questo peso, essendo nondimeno pur sempre retti e guidati da lui, come da saldo e fermo timone. Per tanto e' fia necessario che non gli sia grave il vederli spesso parlar con loro delle cose occorrenti, esser ragguagliato del tutto, esaminarli diligentemente come si portino nel commesso ufficio, ammonirli, ammaestrarli di quello che vuole si faccia o non si faccia. Anzi vorrei che alle volte così all'improvista e inaspettato vedesse con gli occhi suoi or la casa tutta or la stalla or la famiglia con rassegna generale, infino ad un minimo servidore; per vedere che Corte egli abbia, di che garbo, di che aspetto, come sia orrevole; e il simile delle cavalcature, anzi di tutte le cose, se possibil fusse. Perciocchè gli è necessario (volendo che le cose passino bene) di mostrarsi più tosto uomo da governare, che da esser governato: conciosia cosa che sia impossibile (come dice il Filosofo) che, essendo negligente il padrone, siano diligenti e solleciti i servidori. Di qui nascono poi
39i disordini, i debiti e il poco credito, e conseguentemente la poca riputazione nell'universale e continui bisogni e tal'ora necessità, la quale, in tante ricchezze e sì grosse entrate massimamente, è pur cosa brutta e grande argomento di poco governo; quinci li stenti continui della famiglia, e la continua mala contentezza e poca sodisfazione; e per questo il poco amore verso il padrone, se non cortigianescamente finto: le quali cose quanto giovino alla grandezza de' Signori, essi lo veggano. Bisogna adunque esser uomo diligente e accurato e di governo, come io dissi, chi vuol esser ben governato e tener cura di tutte le cose e specialmente della famiglia, acciocchè ella tenga cura di te e delle cose tue e del tuo onore e allegramente e con amore ti serva. E però fia bene che il Signore intenda alle volte, e massimamente da' suoi gentil'uomini (da quelli che e' giudica più da bene, più discreti e che più siano per dirgli il vero), come eglino stanno, come son trattati dagli Ufficiali, chè spesso non potrebbono esser peggio, e dar loro speranza che si provederà ad ogni cosa, e farlo. Anzi vorrei, per mostrar di tener di loro più conto, che personalmente alle volte li visitasse nelle stanze loro famigliarmente, e ciò massimamente facesse quando fussero malati, che sarebbe loro d'un conforto maggiore, che se Esculapio stesso li visitasse; e generalmente far loro ogni volta, quanto si può,
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lieto viso e grata accoglienza; perocchè, quantunque siano tuoi servidori, e' son pure gentiluomini, e molte volte, fuor che in dignità, in niuna altra parte a te inferiori. Aminsi adunque, abbiansi cari, favoriscansi, e siano premiati e riconosciuti, quando n' è data l'occasione, ma secondo i meriti di ciascuno e con giudicio e prudenza. E specialmente ti siano cari i litterati; però che questi sanno e possono, più che gli altri, con le penne loro fare volare gli uomini gloriosi sopra i cieli e, a dispetto della morte, fargli immortali.CAPO XXII.
DE' PRELATI, OVVERO GENTIL'UOMINI DI RISPETTO. I due Prelati, ovver gentil’uomini di rispetto, saranno sempre collaterali del Signore e suoi fedeli consiglieri e segretari maggiori, e specialmente nelle cose d'importanza, e diligenti molto nel tenere onorevolmente e con dignitá il grado loro.
CAPO XXIII.
DEL RIVEDITORE.E' mi pare che nelle Corti d'Italia, e specialmente in Roma, manchi un ufficio di grande importanza per lo stato de' loro Signori, e questo è uno Riveditore, il quale41in Napoli e per il Regno, dove pure alcuni se ne servono, è chiamato Scrivano di razioni, in Francia Contraluor, in Ispagna Vededor, e a noi piace nominarlo Riveditore. Il cui ufficio ne' sopradetti luoghi è di pigliare i conti degli stati da' Tesaurieri e dagli Erarii, e tenerne libri autentici d'entrata e d'uscita; talchè per il detto ufficio si vede minutamente l'amministrazione pecuniaria. Ma io vorrei che l'ufficio del mio Riveditore fosse più universale e più largo: cioè che egli non solamente tenesse scritture di tutte l'entrate e uscite del suo Signore, e donde, e di che, e come, e quando vengano o si riscuotano; ma che a certi tempi dell'anno (cioè quando bisogno ne fusse) visitasse tutto lo stato, e i membri suoi particolarmente, e accuratissimamente vedesse con gli occhi suoi tutte le possessioni minutamente, o di patrimonio o di chiese o altre che si fussero; facendosi mostrare i confini di ciascuna co' nomi e vocaboli loro, e di chi le tiene e lavora, o sia allogagione o affitto ordinario o perpetuo o in qualunque altro modo, e quanto ne paghino, e che rendano, e che regaglie se n'abbiano, o con che patti o convenzioni; e di tutto far ricordo, per potere a pieno ragguagliarne poi il suo Signore. Vorrei ancora che egli vedesse diligentemente infino ad ogni minima cosa, come dette possessioni trattate fussero da' lavoratori, se l’acque le rovinano, se gli
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alberi si tagliano, se le vigne si guastano, e tutto quello che vederebbe e farebbe un diligentissimo e intendentissimo Padrone, e che per natura molto se ne dilettasse. E ciò facendo commendasse, biasimasse, ricordasse, comandasse, provedesse a tutto, secondo che ricercasse il bisogno. Nè mancasse poi d'intendere da altri con destrezza, se per nuova allogagione o nuovi affittamenti o per altra via si potessero megliorare e le possessioni e l'entrate del Padrone. E con diligenza estrema rivedesse i conti a' fattori, intendendo come siano diligenti, solleciti e fedeli nell'ufficio loro; e essendovi vassalli o altra maniera di sudditi, come siano trattati da' loro ufficiali o vicari o podestà o altri che si fussero, e massimamente in quanto alla giustizia e governo delle cose spirituali; nelle quali due cose più che in altra usasse diligenza d'intenderle bene, perciocchè queste amministrate male recano al Signore di gran lunga maggior biasimo e danno che l'altre. Il che tolga Iddio! chè a me pare che ne abbiano alle volte bisogno; vedendo massimamente quanti Vescovadi, quante Badìe, quant'altre chiese tengono, e quanto poca cura (con sopportazione) se n'abbia, e specialmente intorno al governo spirituale. Io non parlo de' Signori diligenti e accurati, che pur ne sono molti, ma di chi fusse tale, che pur ne sono alcuni; i quali non che altro in dieci anni
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non veggono pure una volta sola in viso i vicari loro, non che vogliano essi stessi (come far doverebbono) al meno ogni anno una volta con diligente esamina in tendere di tutto l'amministrato ufficio. Oh che amministrazioni di giustizia allora, se così negligentemente se la passano! Oh che giusti gastigamenti, anzi ingiusti componimenti di peccati enormi! Oh che onore, oh che fama, oh che benevoglienza de' popoli inverso quel Signore! Lasciamo stare le possessioni come si rovinino e rechino da' loro affittuari a poco a poco a nulla, che pur conservare almeno, se non accrescere, di ragione si doverebbono. Nè mostriamo (poi che egli non par che se ne curino) come i lor fattori e agenti s'ingrassino; ma diciamo che a tutti questi difetti e a mille altri si potrebbe ottimamente rimediare, se egli si avesse, com' io vorrei, ordinato sopra ciò un uomo particolare il quale in luogo del Padrone (poi che essi non lo fanno o fare non possono o non vogliono o non sanno), quanto si potesse spesso, gli emendasse e correggesse, come potrebbe fa re il nostro Riveditore. Il quale, oltre all'esser nobile e onorevole, per più riputazione dell'ufficio suo vorrei che fusse di ottima fama e gravità matura e lunga e sperienza, nè senza lettere, e specialmente legali, buon ragioniero, e geloso dell'onor del suo Signore, e studioso dell’utile, e sopra ogni altra cosa fedele: e finalmente ve-444stitosi della persona del Signor suo, non come Riveditore, ma come propio Padrone, tutte le cose vedesse e rivedesse, esaminasse, rassettasse e correggesse, nè solamente fuora di Corte, ma ancora nella Corte stessa, quando vi si trovasse; avvertendo talora il Maestro di casa e gli altri ufficiali, anzi tutto il restante della Corte, di quanto giudicasse che fusse di bisogno, per onore e utilità del Padrone, e concordia e unione di tutta la casa; e intervenisse sopra tutto nel riveder loro i conti, e intendesse e vedesse ogni cosa quantunque minima di quanto s'è speso: e finalmente per dire il tutto in quattro parole, avesse cura universale di tutto lo stato del Signore, col tenerne i contratti e le scritture diligentemente, e d'ogni cosa. Il che sarebbe tanto giovamento al Padrone, e di tanta utilità e di tanto onore, quanto per avventura di niuna altra cosa aver potesse. Ma egli mi si potrebbe dir forse qui che questo mio Riveditore, fornito di tante buone qualità, quante io vorrei, non si potrebbe trovare se non nel libro mio. Al che rispondendo confesso che egli è bene malagevole, ma non impossibile il trovarlo. Perciocchè degli uomini da bene e valenti ne son pur molti, e troverebbonsi (chi volesse) senza cercarli col lume a mezzo giorno, come Diogene, ma col propor loro convenienti o quasi convenienti premii; chè alla fine ognun serve per non servire, e si affatica45per non si affaticare: il che non si può conseguire senza premio e frutto delle sue fatiche. Ma perchè gli è di necessità ch'ogni uomo finalmente, quantunque sospettoso, di qualcuno si fidi, io dico che conosciuto per te stesso quella parte delle qualità che tu desideri in lui, che pur molte conoscer se ne possono, il buon nome acquistato nell'altrui amministrazioni e le buone relazioni ti possono far fede del restante; talchè tu ti puoi assicurare. Ma il mio Priscianese ne da un contrasegno che mi pare a bastanza dicendo che, quando uno è stato in più amministrazioni, e di quelle uscito con onore e povero o non più ricco che quando egli v’entrò, è segno manifesto che egli è uomo da bene e valente.
CAPO XXIV.
DEL MAESTRO DI CASA.Molto eccellente e savio, molto pratico e discreto bisogneria che fusse un Maestro di casa, volendo che con suo onore e dignità massimamente sodisfar potesse ad ognuno nel suo ufficio; ufficio veramente non men fastidioso e di fatica, che d'importanza e d'onore. Perciocchè troppo gran varietà di cervelli sono in una Corte, e troppo malagevoli a contentare. Lasciamo stare, per riverenza loro, i Padroni che molte volte pare che non46sappiano quel che si vogliano, oggi facendo un ordine, domani guastandolo; or gridando che si spende troppo, or che la famiglia è mal trattata e che ognun si duole; e finalmente or d'una cosa or d'un'altra, talchè egli è una morte il poterli contentare. Io dico di quei Signori che son tali, non de' savi e discreti e di governo, come è il nostro. Al quale senza quasi una fatica al mondo potrà il Maestro sodisfare a pieno, pur che egli sia diligente, leale e sollecito esecutore della volontà sua e degli ordini dati, come esser debbe. Dunque nella prima entrata del suo ufficio, essendo prima bene ammaestrato e instrutto di quanto ha da fare, chiamati i suoi ufficiali, e ricevute le liste delle bocche e delle cavalcature, e ragionato e discorso con loro sopra i loro uffici, e ordinato quanto bisogna, vada per alquanti giorni osservando e considerando gli ordini e modi del governo de' suoi antecessori, dico degli altri Maestri di casa passati, se già egli non fusse il primiero; e trovandoli buoni e utili al Signore, gli seguiti e mantenga; quando che no, con suo consentimento gli tolga via o gli emendi. Vegga gli inventari di tutte le cose, e le cose stesse in viso, come della credenza, della cantina, della dispensa, cucina e stalla, e d'ogni altra cosa che all'ufficio suo s'appartiene averne cura; e di tutte per annovero o peso o misura ne pigli nota e memoria o inventario, se fatto prima47
non fusse, acciocch'egli abbia di tutto perfetta notizia, e gli altri a lui, e egli al Padrone ne possa rendere conto e ragione, quando bisogna. E provegga a quello che mancasse di mano in mano; ma le provisioni principali, come di grano, di vino, legne, biade, paglie e fieni e somiglianti cose, si facciano (potendo) sempre a ' tempi loro e in grosso e con ogni vantaggio che fare si può; avvertendo sopra tutto sempre che le robe siano buone, che altrimenti e' non potrà sodisfare e farsene onore. Nè disprezzi ancora di far certi provedimenti di cose minime o, per dire meglio, che minime paiono, come di legumi, di salsumi, agrumi, sape, agresti, frutte fresche o secche, o simili novelle; nelle quali, consumandosene tante, quanto si fa in una casa grande, e non se ne facendo provisione in grosso e a' tempi, si spende un mondo. Visiti gli ufficiali suoi spesso, anzi ogni giorno, questo o quello, e con gli occhi suoi vegga ogni cosa, acciocchè ognuno faccia con maggior diligenza e sollecitudine quel che deve; e così guardi i pesi, le misure e le parti, che siano date giuste; e esso pigli le sue uguali agli altri gentil’uomini, e del medesimo pane e del medesimo vino e d'ogni altra cosa, che gli altri. Sia vigilante e accorto di non essere ingannato da loro, come, essendo altrimenti fatto, spesse volte potrebbe accadere; e però con vari esperimenti faccia pruova della loro lealtà, per conoscere48se sono fedeli e conseguentemente se fidar se ne può.
Con lo Spenditore faccia conto ogni sera, e per la Terra vegga egli spesso e intenda i pregi delle cose, per aver buona informazion del tutto. Con gli altri, come Sellai, Maniscalchi, Speziali e altri con cui avesse affare, saldi ogni mese, e così egli col suo Signore o con chi da lui a ciò diputato fusse. Vegga quanto può d'intendersi di tutti gli uffici della casa, per poter meglio ammaestrare e correggere i ministri suoi. Al che molto gli gioverà questo libretto nostro. Co' quali ministri non mi piace meno che egli stia alquanto in sul severo, chè mi dispiacerebbe se non fusse piacevole e umano co' gentil’uomini suoi, e quanto più potesse gli onorasse e mostrasse di far di loro stima. Perchè io voglio che, quando bisogni, con ogni modestia di parolę gli ammonisca e avvertisca de' falli loro, e con paterno amore e fraterna carità gli conforti a non più errare. Col rimanente poi della famiglia sia riprenditore più severo; nè permetta in guisa alcuna o giuochi illeciti o bestemmie o quistioni o altre cose brutte; e per poter con più ardita fronte farlo, manchi esso non solamente d'ogni vizio, ma d'ogni sospizione di vizio. Ben vorrei che non fusse precipitoso nel dar licenza ad alcuno, come alcuni temerariamente fanno, e specialmente a' servidori di casa vecchi, che è troppo errore. Ma il dar contumacie, e mas-49simamente a' gentil'uomini, mi par cosa tanto meschina e vile e tanto poco onorevole ad uno stato signorile, che io non vorrei che pur e' sognasse di farlo, non che lo facesse. Siano le contumacie de' gentil’uomini i buoni ricordi e l'amorevoli ammonizioni, che per lo innanzi non manchino al debito loro; le quali saranno lor più gravi e di correzion maggiore, che di tor loro due giorni il pane o la biada. A’ servidori non mi dispiace già così, per esser il più delle volte indiscreti, e per poco curarsi ordinariamente dell'ammonizioni che si fanno loro: i quali servidori non vorrei che nella Corte nostra fussero d'età minore di anni diciotto, per aver viso d'uomo e non di fanciulli; e di vestimenti li vorrei orrevoli quanto si convenisse, e appariscenti, e di buona creanza quanto possibil fusse: acciocchè la grandezza del mio Signore ancora ne' minimi servidori si conoscesse. Nè vorrei che alcuno pigliasse quello d'un altro di casa, senza espressa licenza del primo Padrone: acciocchè si togliessero le nimicizie e malevoglienze che molte volte per ciò nascer sogliono, e per usar l'uno all'altro quei rispetti debiti che in una Corte ben costumata si convengono, e per istar per tutte le vie che si può in pace, in amore e unione, come si ricercherebbe: il che sarebbe loda grande e onore e contento del Signore, e avendo di ciò cura il Maestro di casa, ne sarebbe sommamente commendato.
50Ma per aggiugnere un'altra parola di quanto s'aspetta all'ufficio suo diremo che avendosi a fare viaggio, egli, saldato prima con chiunque avuto a fare avesse, e pagatogli, e così le provisioni di casa, e riveduti gli inventari di tutte le cose che si lasciano, e ragionato e discorso con gli ufficiali suoi di quanto fare bisogna, faccia liste e memoria di tutte le bocche e cavalcature, e di tutte l'altre cose che condurre si debbono. E di quelle che rimangono e che non posson aspettar il ritorno senza pericolo di guastarsi (come specialmente accader suole ne' vini), lasci a chi n'abbia fedelmente cura, e ne faccia esito bisognando; e così dell'altre cose, acciò che tutto poi si ritruovi in suo stato, o datogli quel ricapito che se gli conviene. E un giorno o due avanti la partita, mandi uno o due furieri innanzi diligentemente ammaestrati di quanto fare bisogna e sufficienti e esperti in cotali servigi. Nel qual viaggio il Maestro dee esser tanto più vigilante e discreto, quanto il governo per i viaggi è più malagevole, che nelle propie case: ma se egli sarà tale, qual noi presupponiamo, non mancherà in parte alcuna che si aspetti al debito e onor dell'ufficio suo.
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CAPO XXV.
DE CAPPELLANI.
QUANTUNQUE e' si convenga ad ogni cortigiano esser di lodevoli e bei costumi adorno, non dimeno a' Cappellani massimamente per la dignità e eccellenza del loro ufficio stanno bene, anzi sono necessari. Per tanto io vorrei che li miei primieramente fussero di costumi santi e di vita esemplare, e in tutte le cose di somma onestà, e poi di litteratura tale, e specialmente nelle cose sacre, quale a tanto e sì onorevol grado è necessario; uomini non abietti e vili, come il più delle volte sono (merce del guasto mondo), ma persone degne, e di onesta orrevolezza: e la Cappella loro, e loro altare e paramenti e vasi fussero tenuti con somma pulitezza e somma cura. Nel celebrar divoti e reverenti, di cerimonie belle, e di voce grata e soave e temperata, e pronunzia bella e netta; nè mai a quell'atto venissero, che tutto prima diligentemente veduto e letto non avessero. E di tutte le cose appartenenti al loro ufficio o Cappella, co 'l riscontro del Maestro di casa, inventario e memoria tenessero, e uno di loro, qual più piacesse al Signore, fusse Caudatario.
52CAPO XXVI.
DEL MAESTRO DI STALLA.
Chi potrebbe agevolmente dire di quanta importanza sia, e per l'onore e utilità del Signore, un buono e diligente Maestro di stalla? Veramente nella stalla non è d'importanza minore un eccellente Maestro, che nella camera un valente Cameriero. Conciosia che una bella e ben tenuta stalla sia al giudicio mio di più onore al Signore, che una bella Camera, quantunque ella fusse parata di broccati d'oro. Perciocchè la Camera, con tutti gli ornamenti del mondo, alla fine è cosa morta, e non può andar fuora a compagnare il Padrone e a mostrarsi bella, anzi, volendola vedere, bisogna andar a lei; ma una stalla di begli e ben tenuti cavalli (oltre che ella non è men bella e dilettevole a vedere, che la Camera) può andar fuora, e va, e accompagna il Signore dove e' vuole: e essendo allora pubblicamente veduta, e con diletto da ognuno riguardata, fa al Padron suo quell'onore che egli stesso co 'l ben tenerla s'è saputo procacciare. Anzi ardirò di dire, che 'l Signore non può in altra guisa e più agevolmente e più a sua posta, anzi ad un sol cenno, farsi più onore e meglio mostrare le sue grandezze, che quando ei si fa con bellissime cavalcature e ben tenute e adorne da' suoi gentil’uomini orrevolmente accompa-
53gnare: lasciando stare da parte di quanta necessità egli sia, e di quanto contentamento e di quanta magnificenza, e quanto si convenga al grado suo e dignità il così fare. Per tanto io voglio che 'l Signor mio ponga ogni cura e diligenza in aver una stalla bella e un Maestro eccellente, poi che tanto onore gliene dee seguire. Delle qualità del quale, e dell'ufficio volendo parlare alquanto, diremo che egli primieramente dee aver notizia e intendersi delle fattezze e parti che vuole avere un bel cavallo. Le quali se da sè non sapesse, si può far mostrare, tra molti altri antichi e moderni, da Columella, il quale molto particolarmente le insegna, quando ragiona de' cavalli: acciò possa poi mostrare al suo Signore qual bellezza o qual bruttezza sia in questo o in quell'altro cavallo. Vuole intendersi e conoscere la natura e qualità del cavallo, perciocchè chi vuole sprone e chi non lo vuole, chi bacchetta, chi grida, chi la man dolce, chi gagliarda; chi esser percosso di calcagno, chi solamente accennato; il che agevolmente comprenderà provandoli, per ciò conoscere, più volte tutti. Dee ancor sapere e conoscere se un cavallo è grave o leggero o terragnolo, o si lieva; per poter poi (come essi dicono) dargli il maneggio secondo la natura e qualità che in quello ritruova. Là onde è di necessità che egli sia ottimo cavalcatore (per saperlo sempre mostrare in sè stesso e, accadendo, ad altri) stando
54alto e diritto sopra la persona in sul cavallo, e di vestimenti ben adorno sempre, col tener le gambe distese e le ginocchie giunte a' primacciuoli o burelli che si chiamino, con le punte de' piè nelle staffe, corrispondenti agli orecchi del cavallo. Vuole aver notizia dell'arte del Maniscalco, per saper principalmente e ferrarlo con le sue mani stesse, bisognando, e conoscere s’è ben ferrato e intendersi delle malattie e rimedi loro, come diremo disotto. Perciocchè, per dir de’ ferri, chi lo vuol grave, chi leggiero, come il leardo e 'l sauro, che lo voglion leggiero per aver l'unghie il più delle volte tenere e vetriuole: onde voglion il ferro largo, perchè elle possano più acconciamente crescere. Gli altri, come i bai, sagginati, falbi, capezzedimoro, ubieri ed altri, vogliono il ferro grave, avendo per natura l'unghie sode e dure. Avvertisca ancora che il cavallo basso di calcagno vuole i ramponi, e che il ferro imbrunito alla turchesca (come dicono) si assetta meglio in su 'l piede. Vuole intendersi dell'arte del Sellaio, per conoscere qual sella stia bene a questa o quell'altra cavalcatura, senza aversene a stare in tutto alla parola d'esso; il quale, ad usanza degli altri bottegai, pur che egli dia spaccio alla merce sua, affermerà con venti giuramenti, che ella, quantunque in verità non se gli convenga nè gli sia commoda, gli sta dipinta, anzi sia propriamente fatta a suo dosso. Dee adunque primie-55
ramente vedere se i fusti sono di buono e stagionato legname e leggieri e bene confitti e nervati e ben coperti di ottimo cuoiame, con la sua bardelletta piena quanto si conviene di buon pelo, e ogni cosa ben inchiodata e diligentemente cucita, e non sia nè lunga nè corta nè stretta nè larga, per istare tutta bene senza potere in parte alcuna far male al cavallo. E similmente avvertisca che i guernimenti, come testiere, redini, pettorali, groppiere, cinghie, staffili, siano doppi e forti e di buon cuoiame e ben cuciti e ottimamente attaccati; e noti quale a questo e quale a quello e qual foggia si convenga, considerando la testa e guancie e muso e bocca e gambe del cavallo per conoscere qual briglia gli stia bene. Perciocchè chi vuol filo, chi cannoncello, chi mellon sodi, chi sellati, chi alla giannetta, chi a sferra di cavallo, chi con montata, chi con saliviera, chi schietta, chi stanghette lunghe, chi corte, chi doppio barbazzale, chi scempio, chi la lingua libera, chi legata ; le quali cose tutte, anzi pur tutto ciò che s'appartiene intorno ad una cavalcatura, saprà e potrà conoscere agevolmente, pur che l'amore inverso le bestie e l'onore di sè stesso e l'onore e utile del Padrone principalmente a ciò fare lo sproni. Non si dee risparmiare in cosa alcuna, anzi si diletti di por mano ad ogni mi nima cosa, acciò con l'esempio suo insegni a' famigli,
56ch'egli ha di stalla, in un medesimo tempo e quello che non sanno dell'arte loro, e esser diligenti e solleciti, se non per l'onor proprio o del Padrone (del quale comunemente poca cura tengono), almeno per esser riputati valenti e poter più meritare. Abbia estrema cura che non solamente le bestie e fornimenti loro stiano ottimamente netti e puliti, ma la stalla ancora quanto si può e pulita e netta; nè dico solamente le mangiatoie de' cavalli e le poste loro, quanto e quando si conviene, ma le rastrelliere ancora e le mura e la volta e lo spazzo, quanto far si può, senza pur veder in essa una bruttura che esser non vi debba, o una tela di ragno. Talchè, piacendo all’amorevole Maestro di stalla, vi possa tenere in alcuna parte un letto con un padiglionetto galante sopra, e come io ho a miei dì veduto fare ad alcuni, alle volte dormirvi, se non sempre, per godersi un dolce e soave sonno la mattina a musica di stregghie e di canzoni stallesche accordata col suono d'esse e con la battuta e andare della mano. Dove poi levatosi, dee andarsi a spasso e con diletto vagheggiare le sue cavalcature, talora fregando la mano or a questa or a quella in su la groppa o dove più gli piace; e trovando quelle esser bene stregghiate, molto ne commendi i suoi galuppi; e bruttandosi la mano di sucidume le faccia ritornare a stregghiare pur con piacevoli parole, come dee far sempre,57acciocchè per amore e con voglia e non per timore o forza o con isdegno facciano l'ufficio loro: a’ quali dee procurare non manchino i lor salari e le loro colezioni e tutto quello che loro si conviene. Dopo questo stregghiate, pulite e nette quanto uno specchio e diligentemente con pannicelli a cotaluso ordinati stropicciate e spolverate tutte le parti del corpo delle bestie sue, e la stalla sotto e sopra e da' lati e dove bisogna spazzata, pulita e netta, le faccia abbeverare e governare con biada diligentemente vagliata e da sassolini e terra scelta e netta, come vuole il dovere, osservando quanto è possibile di governarle sempre ad una medesima ora col mantener loro la medesima misura e peso e di biada e di strame; nè si perda (potendosi fare altro) o nel poco o nel troppo; ché il poco le tien magre e per conseguente brutte (ch'ogni bestia magra si dimostra brutta, sì come ogni grassa, bella), e il troppo le fa svogliate e digestir male. Ma avendosi a peccar o in questa parte o in quella, sia meglio pender nell'assai che nel poco, consigliandoci a così fare i nobili scrittori; benchè la misura e 'l peso di sopra da noi ordinato è al mio giudicio a bastanza. Abbia diligente cura che si lavino loro i piedi e le gambe e tutto quel che bisogna; e così i fornimenti e le staffe, ogni volta che tornano infangati o polverosi. Tenga contrassegnate le selle e i guernimenti, o con polizzetta o
58nome in qualche parte ascoso o altro segnale, come più gli piace, in una stanzetta loro, acciò non si possano scambiare e per questo fare confusione o disordine: e ogni mattina faccia por mente loro a' piedi, se ferri o chiodi mancassero, e una volta la settimana al meno guardar con diligenza ogni minima parte delle selle e fornimenti, se cosa alcuna vi bisognasse, o ricucire o in altro modo acconciare o rinnovar s'avesse. Ma perchè vo io ogni minima cosa raccontando? e massimamente presupponendo di avere un buono e eccellente e amorevolę Maestro di stalla, il quale dell'arte sua si diletti, e dell'onore suo e di quel del Padrone e utilità tenga cura? E chi non sa che egli farà molto più co' fatti, che io non so dire con le parole, e molte più cose? e che egli prevederà e provederà a tutti li bisogni della stalla, avendo diligente cura che la roba non si rubi e consumi senza proposito, e che terrà diligente conto e inventario di tutte le cavalcature e nomi e mantelli loro, e di tutti i fornimenti e selle e masserizie di stalla, e di tutto ciò che bisogna, per sapere e poter poi ad ogni piacimento renderne conto al Maestro di casa, e con esso riscontrare il tutto? E perchè non saprà egli ancora per viaggio usare, quanto è possibile, in tutte le cose la medesima diligenza, co 'l portar seco la Ferriera sua ben fornita, e quanto bisogna? e veduto prima se cosa alcuna manca
59alle cavalcature che state gli sono per lista ordinate che meni seco? Non dirò più adunque cosa alcuna di questo, che sarebbe superfluo; ma ben dirò d'alcune cose d'importanza, di cui non ho potuto ragionare ancora. E primieramente io non ho fatto differenza o distinzione alcuna tra le cavalcature del mio Signore e quelle de’ gentiluomini suoi, perchè io non giudico che ella fare si debba, anzi che egli con bocca sua espressamente comandi che il Maestro e famigli suoi non altrimenti le conoscano che per bestie sue tutte, e di tutti in un medesimo modo sia il governo e la cura; talchè ciascuna parimente possa (quando al Signor piacesse, chè alle volte gli arebbe a piacere) servire per la sua persona. Perciocchè il ben governar le sue e il tener quelle grasse e belle e nette (ma Dio volesse che anche si facesse questo!) e l'altre magre, brutte e sudicie non sarebbe un volernelo onorare, come voglio, ma un disonorarlo poi, quando s'accompagna, come io non voglio. Per il che né s'accresce spesa, o poca; ma sol diligenza e cura. Ma quando ancora s'accrescesse, hassi egli a lasciare per un cinquanta o cento scudi, poi che si fa a migliaia, che il Signore non sia in tutto e per tutto, quanto si può, in ogni cosa onorato? Deh quanto contento sarà il suo, e de' suoi gentil'uomini, di ciò, e quanta soddisfazione! i quali vedendo che alle cavalcature loro non s'ha men
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cura e diligenza, che a quelle del proprio Padrone, chi dubita che non s'abbiano a sforzare e ad impegnarsi loro stessi (se altro fare non si può) per potersi onoratamente mettere a cavallo? Aggiugnesi ancora che potranno essere di servidori più orrevoli, non avendo quegli ad essere e Camerieri e Guatteri in un medesimo tempo, e spezialmente non si facendo tinello, e (quello che di tutto è peggio) ancora famigli di stalla, massimamente essendo soli, a' lor Padroni. O che gentil servizio di lindi cortigiani, e da contentarsene, massimamente chi si diletta di servidori galanti e orrevoli! Ma io mi confido che 'l mio Signore, conosciuto quanto bene e quanto contentamento delle parti risultar ne debba, senza più oltre dire, si sforzerà di seguitare il mio consiglio. E però ritornando al Maestro nostro di stalla, io voglio, com’io dissi di sopra, che egli s'intenda e conosca i vizi e malattie de’ cavalli, e sappia lor fare rimedi; per mostrare, ancora quando son malati, la sua virtù e sufficienza nel saperli risanare. Per recarli adunque a memoria o per insegnarglieli, se pur non li sapesse, io ne porrò alcuni. Gli altri e da' Maniscalchi e da gli scrittori che più diffusamente ne ragionano, potrà comprendere.61
Al Caval restìo.Adunque se 'l Caval fusse restìo, si torrà tal vizio con legargli sotto la coda alcuni razzi, e nel luogo dove non volesse passare, dar loro fuoco.Al Caval pauroso.Se il Caval fusse pauroso od ombroso, come sono massimamente i morelli per aver naturalmente corta vista, non lo batta, chè il Cavallo non vuol mai esser battuto e aspreggiato, ma sempre con piacevolezza accarezzato; nè lo sforzi ad un tratto, come quasi fa ognuno; ma fermatolo prima un poco, e sopra di sè ritenutolo, a poco a poco l'accosti, acciocchè conosca la cosa di cui egli spaventa. Gioverà ancora, per animarlo e assuefarlo a non temere, cavalcarlo spesso per vie, dove si fanno rumori di martelli, o vi si veggon pelli o altre cose di cui egli possa pigliare terrore, e di notte tra' lumi e genti, o per simili strade, e così lo farà tosto animoso. Al Caval duro di bocca.A cotal vizio non si conviene aspreggiarlo con forte e duro morso, che lo farà sempre sanguinare, e sarà peggio; ma usargli briglia leggera e bassa tra' denti, e farallo obbediente alla mano.
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Al Cavallo che tiene la bocca aperta.Se il Cavallo per natura tenesse la bocca aperta, si dee usargli per alcuni dì la musarola di cuoiame, e non bastando, di ferro.Al Cavallo che morde e tira.Togli per rimuover questo vizio una cavezza forte, e legatolo bene e impastoiatolo, che tirar non possa, con un paio di staffili battilo tanto, che per istracco si getti in terra; e per due giorni dàgli poco da mangiare, e sia guarito del bestiale.Quando non teme sprone.Darai a questo con un buon rasoio alcuni tagli leggieri tra pelle e carne nella spronaia, e poi vi butterai sopra vetro sottilmente polverizzato per alcuni giorni; e dipoi vi ugni spesso con olio, acciocchè vi rinasca il pelo. Al guidalesco.Proveduto che la sella non gli faccia male, con orina spessa e polvere di ramerino o di suola abbruciate o di calcina viva si guarirà il guidalesco; e essendo enfiato e non rotto ancora, ponvi sopra ortiche; e essendo di qual che importanza, e avendo fatto puzza, dàgli un botton di fuoco, e fallo purgare.
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Al bolso.Darai a questo crusca con mele e sangue di qual si voglia animale, quanto più caldo si può, e alle volte cavolo, ma fieno non mai, e paglia sempre; e essendo al tutto guasto, e di vendemmia, fattolo stare quanto si può senza bere, pongli una tinella di mosto avanti; il quale berà per sete, e cosi potrà sanarsi. Allo impastoiato.Un uovo cotto in aceto e fatto duro e sgusciato e diviso per lo mezzo e legato in sul male, lo fa sanare. A' Vermini.A’ Vermini, che per la coda rabbuffata si conoscono essere nel Cavallo, si dà semola con zolfo, o fronde di salcio. Quando non può orinare.Un pidocchio messo dentro nella verga, o, secondo Columella, una mosca, guarisce questo male.Alla Rogna.La lavatura delle scodelle guarisce la Rogna. Alli dolori.Fattolo spasseggiare ben coperto con un serviziale medicinale a questo proposito, o più tosto comune, con assai olio, sarà sano.64
Al rappreso.Càvagli sangue, se ciò avviene per aver mangiato troppo orzo, e fàllo star nell'acqua infino alle ginocchia; ma se nasce da fatica, il riposo e beveroni lo faranno sano.
Allo inchiodato.Farai sferrarlo e cavar tanto con lo incastro, che trovi il sangue; e poi con zucchero di Candia liquefatto, e messovi dentro e sopra stoppa, e rimesso il ferro senza esso chiodo, si fa sano.Al piede calcato.Sferrato il piede, e legatovi su una pezza con crusca temperata con vin caldo, sarà per ispazio di due giorni sano. Alla incastellatura.Si fa allargare i settoni, nè altrimenti tor via dell'unghia. All'unghia vetriuola.Empierai la state massimamente l'unghia di sterco con acqua fresca, e ugnila alcuna volta con mele e cera. Allo stucco e infreddato, e alla palatina.Se il Cavallo è stucco, e non mangia, fàllo digiunare, e s'egli è infreddato, dàgli del fien greco con crusca. E
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se ciò viene per palatina, e non sia grossa, dàgli delle fave o ceci a digiuno; e fattola sanguinar con cornetto e non con ferro, la fregherai con sale e aceto forte; e così qualche volta la lingua.
Altre malattie e rimedi d'esse si troveranno in Columella e negli altri Scrittori e antichi e moderni, i quali vorrei sapesse e volesse vedere un diligente Maestro di stalla, cercando anzi tutto quello che essi ragionano non solamente de' cavalli ma delle mule e muli; le quali mule vogliono quasi il medesimo governo che di sopra mostrato abbiamo. Il restante di quello che è proprio loro particolare intorno al governo o vizi o malattie loro, lasceremo alla cura sua; dicendo alcuna cosa de' muli da soma, e spezialmente se egli è da tenerne nella Corte nostra.CAPO XXVII.
S'EGLI È DA TENER MULI DA SOMA.Io rispondo brevemente che essendo più la spesa, o almeno non minor del guadagno (come per esperienza ho potuto comprendere), e 'l fastidio e la briga grande, come mostreremo, io non giudico che sia da tenerne, e spezialmente nella Corte nostra. Perciocchè il tenerne molti non è bene, e pochi non bastano; intendo per
66molti, sei, otto o dieci, e due o tre o quattro per pochi; e massimamente se il mio Signore non avesse casali o vigne, donde le biade e frumenti e paglie e fieni e vini condur si potessero alla terra, e fornirsi anco di legne. Allora tener quel numero maggiore (purchè e' gli bastasse) sarebbe forse bene; ma se tutte queste cose o buona parte d'esse s'avessero a comperare, io non lo giudico esser bene. Perciocchè la spesa de' muli è grande, e sempre riesce maggiore; lasciamo stare il primo costo che pure s'arebbe da considerare, ma le spese estraordinarie (oltre a quelle de' Mulattieri e loro salari) sono tante, che mai non pare che s'abbia altro che fare, che loro fastidi. Ora bisogna un basto nuovo, ora acconciarne un vecchio, or funi, or gabbie, or sonagli, ora coperte, or ferri; ora un mulo è zoppo, ora il mal’anno, che sono stato per dire che Dio dia loro, che gli è un fastidio incomportabile solo ad udirli, quando mai la spesa non ci desse noia; il che io vorrei ad ogni modo fuggire. E quando io avessi a comperar vettovaglie o vini o paglie o fieni, io troverò co' danari miei i conduttori; chè ad ogni modo i muli nostri non basterebbono per fornir la casa, se già noi non volessimo che altra cosa facessero che questa. Senzachè le legne ancora non si donano alla selva; e così non ci è quel guadagno che si crede, se non per i vetturali stessi, i quali
67mettono sempre per loro un pezzo grosso di legne o molte volte due, che sono quasi una mezza soma: ma s'io le tolgo a Ripetta, io voglio che 'l prezzo stesso mi paghi il porto. E così de' vini a Ripa e dell'altre cose; che mi verrà agevolmente fatto, togliendone sempre in grosso buona somma, come far si dee: senzachè al condur queste cose, o buona parte d'esse, i muli nostri non sono a proposito, come spezialmente avviene de' vini e delle legne. resta adunque lo aversene a servire per viaggio, dove senza dubbio è meglio torgli a vettura, a venti o venticinque baiocchi il giorno, o patteggiar tutto il cammino: perchè così non si mette a pericolo i muli e le robe, ma vanno sopra i vetturali che le portano. Adunque se si scandiglia e bilancia bene tutta la spesa (la sciamo stare ora il fastidio da parte), e' mi par esser certo che 'l Signor mio non ne vorrà tenere. E se pure altrimenti disponesse, avvertisca di non li commettere al tutto alla cura e discrezione de' Mulattieri; acciocchè non gli avvenga, come ad un gentil Signore ch'io già conobbi in Roma, ma poco pratico nel tener muli; il quale, per così fare, fece in un anno fuora di dodici Muli bellissimi, che egli aveva.
68CAPO XXVIII.
DEL SEGRETARIO E SOTTOSEGRETARIO.Quanto può esser degno è l'ufficio del Segretario; nè più oltre pare che andar si possa nel farsi intrinseco al suo Signore, che quando si perviene a segreti, per l'amministrazione de' quali si governa il mondo e le sue più nobili azioni. Onde l'onor de' Signori in gran parte è posto nelle mani de' Segretari, e qualche volta le rovine loro. Perchè non si potrebbe dire di quanta importanza sia lo avere in cosi fatto ufficio un uomo degno, segreto principalmente (come ne ammonisce il nome), leale, diligente ed espedito, bello scrittore ed eloquente e leggiadro e breve quanto si può, e prudente. Nel che potrà Marco Tullio (volendo massimamente in quella lingua scrivere) essergli in molte cose guida e scorta con le sentenze, colle parole e con l'arte, e così ancora se in altra lingua scriver volesse, fuor che con le parole, e specialmente nella toscana nostra (come da molti oggi s'usa) per esser lingua e nelle figure del dire e in molt'altre parti molto conforme e somigliante a quella. Perilchè vorrei che il Segretario mio padroneggiasse quello scrittore, e osservato avesse tutte le maniere delle lettere sue massimamente, tutti gli argomenti e materie delle cose, e tutta l'arte; e in tal guisa che a sua posta (bi-
69sognando) e a suo senno servire se ne potesse. Ma con tutto ciò, se egli non avesse bene la mente del suo Signore, e non sapesse i modi e gli andar suoi, e conoscesse (come si dice) gli umori, impossibil cosa sarebbe il potergli sodisfare a pieno. Bisogna adunque che in questo sia molto avvertito e destro, e scrivendo si trasformi in lui, togliendo di suo solamente l'artificio delle sentenze e delle parole; e cosi potrà adempiere il suo desiderio. Del rimanente poi che s'appartiene a cotale ufficio, come lo esser bello intenditore di cifre, e molto accurato e diligente che niuna cosa degli scritti suoi si perda, e registrare il tutto, e tenere le lettere ricevute in filze o mazzi per ordine, co 'l notarvi il giorno e ’l mese e molte volte l'ora della ricevuta, e altri particolari, lascerò la cura alla diligenza sua e del suo Sottosegretario, il quale ancora presupponiamo diligente e valente nel suo ufficio; parendoci questi troppo bassi e superflui avvertimenti ad una persona tale, quale noi figurato abbiamo.
CAPO XXIX.
DELL'AUDITORE.Dotto nella sua professione e giusto principalmente de' esser l'Auditore, facile nell'udir le cause, e sollecito e diligente nello ispedirle; avere Iddio d'avanti a gli occhi, e l'onor del suo Padrone e di sè stesso.70
CAPO XXX.
DE' LITTERATI.I Litterati miei vorrei che fussero di costumi e di litteratura, quanto più si potesse, eccellenti. L'uno de' quali principalmente valesse nella cognizione delle cose di Dio e lettere sacre; l'altro in Filosofia; il terzo e 'l quarto in quelle facultà che più a grado fussero al mio e lor Signore: ed eccellentemente possedessero tutti, o tra tutti, le quattro lingue principali del mondo, ciò è l'ebrea, la greca, la latina, e la toscana, forse a niuna di queste per leggiadria inferiore. Ma essendo essi tali, ed io qual io sono, che ammaestramento o avvertenza potrò io dar loro, che troppa prosunzione e arroganza riputata non sia? Pure se gli è lecito a' servi di avvertire alle volte in alcune cose, e massimamente d'importanza, i lor Signori, perchè sarà egli disdicevole a me il farlo, ed in cose importantissime, il quale di tutti i virtuosi, non che litterati, più che schiavo, non che servo sono? Dunque pur lo farò mosso e sforzato dall'amore ch'io porto al Signor mio e a loro parimente, e dal desiderio grande che essi non manchino in cosa alcuna dell'ufficio loro, come, penso, non faranno: ciò è d'insegnar le lettere e virtù che gli hanno, allo illustre e gran discepol loro,71con quello amore, con quella diligenza e prestezza, e con quelle accomodate parole, aperte e piane ch'io nè dire nè fare non saprei. E così addolcire, quanto si può, l'amaro assenzio che si sente nel gustare massimamente le radici delle lettere, e specialmente da' gusti delicati, come il più delle volte sono, e ragionevolmente, quelli de’ Signori; avendo l'occhio solamente al profitto suo, non al mostrare con ostentazione e pompa la propria dottrina, come molti fanno, i quali, per aver solamente posto la mira a' premii, non guardano di far sì che giustamente possano esser premiati.CAPO XXXI.
DEL SOLLECITATORE.Siccome le cause vinte sempre apportano al vincitore onore e utile, così quando si pèrdono, arrecano vergogna e danno; il che nasce il più delle volte non dalla poca ragione che s'abbia in esse, ma dal molto trascurarle o almeno dal non sollecitarle, quanto si conviene. Perciocchè il piatire non è altro che una estrema sollecitudine e diligenza. Per tanto lo aver di quelle un sollecito Sollecitatore non è di poca importanza per l'onore e utile del suo Padrone; e specialmente quando è uomo che vale assai nella pratica e stile di quella Corte, e non
72 senza ragionevole cognizione delle cose legali. Il mio vorrei che oltre a questo fusse diligente e accurato e instrutto sempre delle cause sue, e ben parlante e acuto e bello informatore e di presenza ragionevole, e mi contenterei. Perciocchè gli altri particolari che si ricercano all'ufficio suo, essendo tale, non è dubbio che tutti non sapesse e facesse.CAPO XXXII.
DE ' CAMERIERI.Il Cameriero vorrebbe esser nobile, gentile e orrevole, e giovane di bello aspetto e d'onesta e grata presenza, di somma pulitezza, e riverente molto e segreto e leale; leggiero di piedi e di sonno, e di bello e non insoave parlare, ma parco e raro; e ne' servizi e culto della persona del suo Signore, graziato e destro e diligente molto; discreto nel far l'ambasciate ed in tutte le cose; e nelle risposte breve, e con belle e ben composte parole; e finalmente d'ogni maniera bella, quanto più si può, adorno. La Camera poi e le stanze e letti massimamente e ornamenti loro e lor paramenti con somma cura, pulitezza e nettezza tenuti e conservati, e sparso alle volte ogni cosa di fiori e di fronde, e tal’ora con soavi odori. E di tutte le cose tenère inventario e me-
73moria e riscontro co 'l Maestro di casa; e per viaggio non mostri meno il suo bel servire, anzi maggior diligenza, sollecitudine e cura; dove mi piacerebbe che avesse seco qualche lettiera bella di campo ad usanza di Germania o di Francia con suoi fornimenti; perocchè tra mill’altri avvedimenti che avere bisogna allora, molta cura si de' porre che l'affaticato Signor si possa, quanto possibil è, agiatamente riposare.
CAPO XXXIII.
DEL GUARDAROBA.Uno de' più fidati Camerieri e atti a ciò potrà esser Guardaroba; il cui ufficio principalmente è una estrema diligenza e cura, che le robe siano ben custodite e guardate e riposte con ordine e acconciamente ne' luoghi loro senza alcuna confusione, acciocchè niente si smarrisca o perda; o per polvere o tignuole o altri animali (come avviene) o altra negligenza si macchi o guasti o laceri. Al che si provede collo sciorinar le cose spesso e scamatarle e scuoterle e co 'l nettarle e setolarle diligentemente, e ricucirle, se bisogno ne avessero, e mantenerle. Oltre a questo la stanza e ogni cosa vuol essere tanto pulitamente e nettamente tenuta, che più tosto paia casa di pulitezza e nettezza che Guardaroba: e di
74tutto si dee tener inventario co 'l Maestro di casa, come degli altri detto abbiamo; anzi niuna cosa se ne cavi mai, quantunque minima, o vi si metta, che memoria e ricordo diligentemente non se ne faccia.CAPO XXXIV.
DELLO SCALCO SEGRETO.AVENDO lo Scalco segreto nelle mani la vita del suo Signore, quanta diligenza pensiamo noi e quanta lealtà che gli bisogni usare (volendo esser quel che deve) nel conservarla? Certamente non minore almeno che nella sua vita stessa. Per tanto io vorrei che 'l mio (oltre allo esser eccellente e avveduto molto nel suo ufficio, e sapere ottimamente ordinar le vivande, e secondo il gusto del suo Signore, e a' tempi e con ordine e gentilezza portarle in tavola, fattosi prima fare da' cuochi le debite credenze, che son cose piane; e oltre allo esser persona destra e orrevole e di aspetto grato e riverente) si potesse chiamare la lealtà del mondo: chè per questo vieppiù che per ogni altra parte, quantunque bella fusse, mi piacerebbe. E se mai riserbato avesse punto dell'eccellenza sua e diligenza suprema, ne' conviti grandi e di maggior importanza la manifestasse, e ne' viaggi; dove dimostrar quanto ei vaglia e sappia, per la difficultà delle cose, ha il più delle volte men potere e più occasione.75
CAPO XXXV.
DEL TRINCIANTE. IN somma tutte le eccellenze delle cose son maravigliose. Chi crederebbe che insino al tagliare a tavola (che cortigianamente è detto trinciare) potesse parer cosa sì bella e dilettevole a vedere, quanto ella è? Chè sono alle volte stupito, quando sono stato a vedere un poco con che destrezza, con che velocità di mano e di coltello, che pare che voli, con che bella attitudine trinciano alcuni un pollo, un fagiano o un pomo, che non si vide mai tal gentilezza. Per tanto io giudico che anco questo sia ufficio degno e bello, massimamente essendo da persona eccellente esercitato. La cui principal importanza (come e' dicono) è di sapere come questa o quella o quell'altra cosa, o in qual parte o in che guisa trinciata esser voglia o non voglia, secondo massimamente il gusto del Signore; e tutto con somma pulitezza e leggiadria e prestezza.
CAPO XXXVI.
DEGLI SCUDIERI.LE qualità e maniere dello Scudiero vogliono essere non manco gentili e belle, che si siano quelle del Ca-
76meriero; diligente nelle guardie sue, destro e graziato nel servire a tavola e in ogni altro rimanente dello ufficio suo.
CAPO XXXVII.
DEL COPPIERO E BOTTIGLIERO.Uno de' più favoriti Camerieri o Scudieri (come più piacerà al Signore) potrà esser Coppiero, ufficio onorevole e bello e degno d'esser molto gentilmente e riverentemente amministrato. Dove la principal importanza (oltre allo intendersi de' vini) è nel farsi fare ogni volta (come si costuma) la credenza dal Bottigliero, e destramente e netto e coperto portare il bere, e farla egli al suo Signore. Per Bottigliero potrà servire uno de' Palafrenieri de' più orrevoli che siano tra loro, e più destri e atti a cotale ufficio: il quale è principalmente esser de' vini e raspati e d'ogni altra lor composizione intendentissimo, e pulitissimo nel tenere i vasi e tutta la Bottiglieria, e con somma cura, tal'ora di fiori e verdura spargendola, e simili gentilezze; trarre il vino di sua mano sempre; fare del vino e dell'acqua le debite credenze al Coppiero; e per viaggio saper trovare, e portarne poi seco quei vini (se possibile è) che egli sa più sodisfare al gusto del suo Signore; quando che no, degli ottimi del luogo e paese.
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CAPO XXXVIII.
DEL CREDENZIERO.
Quanto più si può, pulito e delicato dee essere un Credenziero, e valente in tutte le parti dell'ufficio suo; e così principalmente saper tenere gli argenti e gli altri vasi puliti e belli e più che specchio lucenti, e tutta la credenza similmente con somma pulitezza e nettezza. E gentilmente apparecchiare la tavola con varie e ingegnose fogge di ripiegamenti di tovagliuoli o salviette, e vari disegni e armi di fiori e fronde; e specialmente ne' conviti solenni, e con tovaglie odorate di soavi profumi. Mille maniere poi di varie e appetitose insalatette di fiori e d'erbe e radici loro, or cotte, or crude, secondo le stagioni e gusto del Signore. Saper fare composte e varie confezioni di frutte; fare aceti rosati, acque odorifere e altre somiglianti gentilezze, co 'l far le debite credenze di tutto quello che per lui s'apparecchia. E tener diligente inventario di tutte le cose co 'l Maestro di casa a numero e peso; portando per viaggio tutto quello di cui pensa aver poi di bisogno, e di tutte le cose, e farne nuova lista, e 'l rimanente consegnare ad esso Maestro, sotto ricevuta.78
CAPO XXXIX.
DE ' PALAFRENIERI.GIOVANI di bella presenza e pro' della persona e destri e specialmente bei camminatori, di attillatura onesta e non di servili costumi vorrebbono esser i Palafrenieri, e dilettarsi di Musica, di voci e di stormenti e simili onesti esercizii. All'ufficio de' quali principalmente si aspetta (oltre al servire ottimamente alla staffa il Signore e con ogni destrezza e riverenza) tener con molta cura e diligenza i fornimenti delle cavalcature sue puliti e netti da polvere e fango e da ogni altra cosa, che far gli potesse brutti; far le guardie e le commesse ambasciate con sollecitudine; accompagnare i gentil'uomini colle torce; e di quelle avere cura, come di quelle della cappella e d'altra cera che vi s’arde, i Cappellani, e della tavola e camera del Signore i Camerieri o Scudieri, se io non l'avessi detto.
CAPO XL.
DELLO SPENDITORE.NON di piccola importanza veramente è in una Corte d'un Signore un valente e leale Spenditore, che ottimamente conosca le robe, le grasce e i prezzi delle cose,
79e cose buone sempre e con vantaggio comperi; alla cui diligenza e ufficio, oltre a questo, s'appartiene consegnare sempre il tutto al Dispensiero, o ad altri ufficiali a cui fusse costume o commission di farlo, a peso, numero e misura, e ogni sera mostrare la lista delle cose comperate al Maestro di casa, e saldare spesso con lui; e per viaggio, oltre alle altre diligenze, tener ancora diligente conto del valore delle monete, che spesso si varia.
CAPO XLI.
DEL DISPENSIERO.ALLO ufficio del Dispensiero (oltre allo esser leale e valente e piacevole, e oltre al dispensare le robe giusta mente e solo a chi gli è stato ordinato o per lista o con è parole dal Maestro di casa, e tener la dispensa netta e pulita e ben guardata, che cosa veruna tolta non sia) si aspetta tener diligente conto di tutte le cose che portate gli sono in essa, comperate o presentate che elle si siano, a peso, numero e misura; nè pigliar dallo Spenditore se non robe buone; e ogni sera veder quel che avanza o manca, e di tutto ragguagliarne il Maestro di casa. Al famiglio suo, il quale presupponiamo lealissimo, fare dispensare la biada e gli strami alle cavalcature; e per viaggio, in quel che se gli appartiene, esser più diligente e più accurato che mai.
80 CAPO XLII.
DEL CANOVAIO.INTENDASI ottimamente il Canovaio di vini e di tutto quello che intorno ad essi far bisogna, nello imbottarli massimamente e conservarli, che nè per mali vasi o mali odori non si corrompano o guastino o versino. Sappia eccellentemente far raspati, ammezzati e altre composizioni di vini e bevande, e aceti similmente, e ne faccia. Tenga la cantina di maniera pulita e netta, che pure una picciola tela di ragno non vi si vegga; e le botti strofinate spesso e sempre difese da muffa e polvere e d'ogn'altra cosa che le facesse brutte; lontane alquanto da muri e da terra, nè sopra pietre, ma sopra legni posate. Assaggi spesso i vini per vedere quali siano per durare, o vero a quali da metter mano; e nella fronte delle botti tenga segnati con polizzetta i nomi de' vini, e i paesi loro, e il numero de' barili; e noti il giorno e l'ora che questa o quella o quell'altra botte si manomette, ma non metta mano a niuna mai senza licenza del Maestro di casa. Tenga buon conto de’ vini portati in cantina, anzi pur libro d'entrata e d'uscita d’essi; e nel dar le parti, la quale è parte principale dell'ufficio suo, e nel temperar i vini con acqua sia giusto e discreto, e con tanta
81 pulitezza e diligenza ciò faccia, che da niuno giustamente riprender se ne possa.CAPO XLIII.
DELLO SCALCO E TRINCIANTE DEL TINELLO.Quale esser dee l'ufficio e qualità dello Scalco e Trinciante del tinello, e con che ordine e pulitezza e gentilezza deono servire, non intendo con altre parole dimostrarlo che fatto abbiamo disopra, ragionando dello Scalco de' gentiluomini e del Trinciante del Signore. Perocchè questi a quelli deono esser simili, e i gentil’uomini del tinello anche gentil’uomini sono, e da essere come quelli serviti, almeno con pulitezza, se non con piatti d'argento o con tanti antipasti e tante cose, quante quivi vogliamo che si faccia. Nè al Signore ancora dee importare che anche il Trinciante del tinello sia valente, non si scemando per questo punto dell'eccellenza del Trinciante suo; anzi voglio che per onor suo il tinel nostro sia tanto pulitamente servito, e con tanto e sì bello ordine, che non vi appaia di tinello altro che 'l nome; il che fia agevole a fare, poi ch'egli è agevole, a chi far lo sa e vuole, servir anco pulitamente i cavalli e le mule, e pulitamente tener le stalle loro. Se lo Scalco adunque principalmente sarà tale, quale figurato abbiamo quello
82de' gentil'uomini, e se col Trinciante farà nobilmente l'ufficio suo, se li servitori de' gentil'uomini che vi mangieranno, aiutando a quelli, faranno quanto s’aspetta loro (lasciamo stare se vi fusse ancora il Maestro di casa, e fusse tale, quale descritto abbiamo), chi dubita ch'ogni gran gentiluomo mangiar non vi potesse, e onorevolmente, benchè senza pompa?
CAPO XLIV.
DEL MEDICO.Dotto, fedele, diligente e amorevole debbe essere il Medico, e fortunato e pratico nel suo mestiero, e così può aver titolo d'eccellente, come vorrei che fusse quello del mio Signore; il quale sarebbe degno di tanto onore, che per qual si voglia cagione più nell'ultimo luogo tra ' gentil'uomini non lo metterei.CAPO XLV.
DI TUTTA LA CORTE.Tutta onesta, tutta orrevole, tutta di bei costumi adorna, tutta pronta e sollecita al servizio del suo Signore dee esser la Corte e famiglia sua, e sommamente amarlo e onorarlo; anzi per lo suo onore, bisognando,
83espor la propia vita, essendo massimamente tale, o ingegnandosi d'essere, quale è quello che noi per nostro Signore eletto abbiamo.IL FINEIN ROMA
PER F. PRISCIANESE FIORENTINO
NEL MDXXXXIII